1. PREMESSA
Ad esaurimento del settimo anno dall’entrata in vigore del Nuovo Codice della Strada, emanato con decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285 ([2]), come già abbiamo fatto ([3]), torniamo ad interrogarci sul significato da ascrivere al contenuto normativo di cui al comma 3, dell’art. 23, del richiamato codice, anche alla luce delle recenti modificazioni apportategli dalla legge 7 dicembre 1999, n. 472 ([4]) in materia di trasporti e, della riunione delle norme sparse in materia di beni culturali e ambientali in un testo unico, avvenuta con l’emanazione del decreto Legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 ([5]).
Riprendendo ora un principio certamente valido nel diritto amministrativo e quindi da trasfondere in questa nostra riflessione — quanto meno a livello di principio — è ben evidente che «ogni assetto di interessi di un certo rilievo implica il concorso di soggetti diversi o quanto meno la loro partecipazione e collaborazione» ([6]) e, proseguendo nell’analisi, «in materia urbanistica esistono poi interessi forti per certi versi superprimari (tipici l’ambiente e il paesaggio) la cui cura non è lasciata solo a livello locale per l’importanza che la loro cura assume per la collettività nazionale».
Ora, una delle domande che più volte ci siamo poste ([7]) è quella relativa al limite della competenza del legislatore delegato ad emanare norme che vadano a tutelare oggetti giuridici (quali appunto quelli dell’ambiente e della cultura), ben diversi da quelli specificatamente indicati nella legge delega 13 giugno 1991, n. 190 ([8]).
Richiamando adesso il principio su esposto, si può concludere che in realtà, non c’è altro interesse nel legislatore, se non quello di tutelare — ancorché con una norma apparentemente estranea, tanto da poterla considerare oggi, una mera norma di richiamo — quel valore superprimario ([9]) che il solo ente proprietario della strada potrebbe non considerare degno di particolare tutela. E per quel che si rileva, la preoccupazione del legislatore non è poi da ritenersi così eccessiva, posto che buona parte delle pubbliche amministrazioni ben poca cosa han fatto per osservare e fare osservare queste particolari norme di tutela, per quanto esistenti nel mondo del diritto.
2.
Il comma 3 dell’art. 23 del Nuovo Codice della Strada
2.1
Sostituzioni apportate dal decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre
1996, n. 610 ([10]).
Tutto ciò premesso, è utile osservare come il testo originale del comma 3 dell’art. 23 del d. Lgs. n. 285 del 1992 non abbia subito a tutt’oggi alcuna variazione letterale, anche se, nella sostanza, le sue modificazioni (quanto meno in chiave di interpretazione sistematica) sono state apportate a seguito delle nuove formulazioni degli artt. 47 e 51 del regolamento di esecuzione e di attuazione, emanato con decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 ([11]).
Infatti, la lettera della legge prevede che «lungo le strade, nell'ambito e in prossimità di luoghi sottoposti a vincoli a tutela di bellezze naturali e paesaggistiche o di edifici o di luoghi di interesse storico o artistico, è vietato collocare cartelli e altri mezzi pubblicitari».
Ora, la definizione originaria di altri mezzi pubblicitari ricomprendeva, tra gli altri elementi inerenti la pubblicità, le c.d. insegne. Era quindi da ritenere giuridicamente corretto affermare che nell’ambito dei predetti luoghi, fosse vietata qualsivoglia forma di pubblicità, ovvero la diffusione di messaggi nell'esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l'immagine del soggetto pubblicizzato ([12]), anche se, impianti quali la c.d. sorgente luminosa, non necessariamente potevano ricondurre la definizione così data all’esercizio della sola attività economica ([13]).
Ebbene, tra le modificazioni apportate al complesso delle disposizioni contenute nella legge materiale da parte del d.P.R. n. 610 del 1996, quelle che adesso ci interessano, sono quelle contenute negli articoli 37 e 41, rispettivamente sostitutivi degli articoli 47 e 51, precedentemente citati.
Relativamente alle modificazioni apportate al regolamento del 92’, ciò che rileva è la innovata definizione di “insegna di esercizio”, di cui al primo comma del novellato art. 47 del decreto n. 495 e, relativamente a questa, la sua estromissione dal novero degli “altri mezzi pubblicitari”, ora indicati nel comma 9, così come introdotto in seguito alla sostituzione di cui all’art. 37 del decreto n. 610.
E comunque, quei dubbi che potevano eventualmente permanere nella nuova interpretazione della norma contenuta nel comma 3, dell’art. 23 del codice, ovvero, della impossibilità di potere applicare quest’ultimo alle insegne di esercizio, sono superati in virtù di quanto previsto dal legislatore materiale nella novellata disposizione presente nell’ultimo comma dell’art. 51 del d.P.R. n. 495 del 1992, così come sostituito dall’art. 41 dell’omologo decreto del 96’:
“La collocazione di insegne di esercizio nell’ambito e in prossimità dei luoghi di cui all’art. 23, comma 3, del codice, è subordinata, oltre che all’autorizzazione di cui all’art. 23, comma 4, del codice, al nulla osta rilasciato dal competente organo di tutela”.
Si tratta cioè di salvaguardare, tra le altre cose, il diritto alla identificazione del luogo di esercizio dell’attività economica a cui l’insegna di esercizio si riferisce, come già avvenuto in altra circostanza ([14]). Ma si tratta anche di puntualizzare – come poi vedremo – che la collocazione dell’insegna di esercizio, per quanto prevista dall’ordinamento come da autorizzare nel preminente interesse del singolo cittadino, è comunque soggetta a quel limite di tutela costituzionale, di cui all’art. 9 della Carta.
Tra l’altro, così come vedremo, non si può oggi più parlare di mero nulla-osta se non di un parere vincolante ([15]) — ancorché non esplicitato nella norma de qua — e che gli eventuali effetti del silenzio significativo, non sono efficaci, nel caso di specie, né come riferimento al c.d. silenzio-assenso ([16]), così come nella c.d. denuncia legittimante ([17]), di cui agli artt. 19 e 20 della Legge n. 241 del 1990 ([18]).
2.2 Integrazioni
introdotte dalla Legge 7 dicembre 1999, n. 472
Come visto, solo apparentemente la portata normativa del comma 3 dell’art. 23 del d. Lgs. n. 285 del 1992 rimane indenne dalle modificazioni apportate al regolamento n. 495; per altro verso, la sostituzione e l’introduzione dei commi 13, 13-bis, 13-ter, 13-quater del richiamato art. 23, così come novellato dall’art. 30 della legge n. 472 del 1999, conduce ad una “nuova” interpretazione della norma cui ci si riferisce.
Infatti, la nuova lettera della legge (comma 13 e 13-bis), oltre che spostare il centro di imputazione dei controlli e delle azioni ripristinatorie dello stato dei luoghi (messa in sicurezza dei luoghi prossimi alla strada) sull’ente proprietario della strada ([19])([20]), al fine di rendere più efficace ed efficiente l’azione amministrativa, torna a chiarire — richiamando specificatamente le relative norme — quanto già si comprendeva contenuto nel più volte citato comma 3 dell’art. 23 del codice, attraverso il metodo della interpretazione (comma 13-ter).
Ma ciò che più conta, la nuova formulazione del comma 13-ter citato determina la reviviscenza della norma contenuta nel precetto originale del comma 3 dell’art. 23 del d. Lgs. n. 285 del 1992. Infatti, la disposizione afferma che «non è consentita la collocazione di cartelli, di insegne di esercizio o di altri mezzi pubblicitari nelle zone tutelate dalle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, e 29 giugno 1939, n. 1497, dal decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, e dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394» e comunque, lungo le strade di interesse panoramico ed ambientale così individuate dalle regioni.
La norma sembra oggi presupporre un imperativo categorico, non solo nel divieto di collocazione degli impianti pubblicitari, quanto piuttosto nel non consentirne — ad ogni titolo ([21]) — la collocazione, nei predetti luoghi: in altre parole, l’ente proprietario della strada, sembra essere estromesso da ogni apprezzamento discrezionale circa la collocazione di qualsivoglia impianto — ivi comprese le insegne di esercizio — nelle zone sottoposte al vincolo culturale od ambientale.
Ed è fuor di dubbio — come espressamente previsto nel penultimo periodo del comma 13-ter, di cui si discute — che si debba anche in questo caso applicare l’impianto ripristinatorio previsto (dal comma 13-bis) per tutte le altre ipotesi di violazione, riconducibili all’art. 23 del codice.
3. IL Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali,
a norma dell'art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352
Ma le cose, non sono ancora chiarite ([22]).
Infatti, a seguito della pubblicazione della legge delegata n. 490 del 1999, si torna nuovamente a discutere sulla portata normativa dell’art. 23, comma 3 del codice, così come integrato dalle disposizioni di cui al d.P.R. n. 610 del 1996, dalla legge n. 472 del 1999 e dal d. Lgs. n. 490 del 1999, di cui adesso si discute.
In certo qual modo, la spinta verso la c.d. delegificazione ([23]) sembra (finalmente) contraddistinguere l’impianto normativo contenuto nel T.U. n. 490 cit.
3.1 Premessa
generale
Ora, «la legge 8 ottobre 1997, n. 352, nel conferire delega al Governo ad emanare un testo unico in materia di beni culturali e ambientali, stabilisce che vi dovranno confluire ed essere coordinate tutte le disposizioni legislative vigenti alla data di entrata in vigore della legge stessa e quelle che entreranno in vigore nei sei mesi successivi: vi sono comprese, di tutta evidenza, quelle precettive della stessa legge n. 352» ([24]). Quindi e tendenzialmente ed in chiave interpretativa, si deve comprendere nella disciplina del testo unico, l’intera materia o l’oggetto su cui esso opera ([25]), tanto che, «in linea di principio, la finalità stessa del testo unico induce a considerare le disposizioni preesistenti ormai superate dal testo unico, nel quale esse hanno assunto ordine, collocazione sistematica e, talora, anche formulazione nuova, o nuovi significati a causa della lettura necessariamente combinata con disposizioni integrative o coordinamento introdotte nel testo ([26]).
3.2 Interpretazione
sistematica
Tutto ciò premesso, è ben evidente che con l’emanazione del T.U. n. 490 del 1999 il legislatore delegato abbia inteso (o così avrebbe dovuto fare) rispettare la delega di cui alla legge-delega n. 352 citata e più in particolare quella contenuta nella lett. b), del comma 2 dell’art. 1 ovvero che «alle disposizioni devono essere apportate esclusivamente le modificazioni necessarie per il loro coordinamento formale e sostanziale, nonché per assicurare il riordino e la semplificazione dei procedimenti».
In questo senso è interessante cogliere il significato della delega, dalla lettura della relazione ministeriale relativa al testo unico citato.
Intanto, «si è perciò considerato che per qualificare una disposizione legislativa come attinente alle materie dei beni culturali o dei beni ambientali deve riscontrarsi nel dato normativo un carattere di “realità” nel senso più ampio del termine: il bene nella sua materialità deve costituire l’elemento centrale della fattispecie regolata dalla norma; ed il suo valore culturale o ambientale deve improntare la ratio del contenuto dispositivo» ([27]), preoccupandosi peraltro di «escludere dalla vis attrattiva del T.U. quelle disposizioni che pur soddisfacendo al criterio sopra enunciato appartengono a sistemi normativi ”compatti” ([28]) dai quali non possono essere enucleate senza menomare il sistema di origine e senza rompere nessi inscindibili con la disciplina in cui sono organicamente inserite».
Più specificatamente, la relazione prosegue precisando che «l’articolo 45 reitera il disposto dell’articolo 22 della legge 1089/39, coordinandolo con la disciplina in materia di collocazione di manifesti e cartelli pubblicitari successivamente dettata dall’articolo 23 del nuovo codice della strada, emanato con decreto legislativo 30 aprile 992, n. 285; [...] l’articolo 127 riprende l’articolo 60 della legge 1089/39, coordinato, peraltro, al comma 3, con quanto disposto dall’articolo 23 del codice della strada (d. lg.vo 285/92); [...] l’articolo 153 coordina il testo dell’articolo 14, comma 1 della legge 1497/1939 con l’articolo 23, comma terzo, del d.lg.vo 285/92 ed infine, l’articolo 161, al comma 1 e 2 contempla invece la sanzione relativa alle violazioni agli obblighi contemplati dal comma 1 dell’articolo 153, al comma 3 richiama l’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 23 del d. lg.vo 285/92 in caso di collocazione abusiva di cartelli o altri mezzi pubblicitari» ([29]).
Si può quindi affermare, che quanto andremo a dire, rappresenta quel coordinamento e consolidamento di norme preesistenti alla emanazione del T.U., ma che in definitiva rappresentano l’attuale istituto che regola l’apposizione degli impianti pubblicitari nelle zone c.d. a vincolo culturale o ambientale. Infatti, non può essere sfuggito a chi ci legge, che la mancata modificazione letterale dell’art. 23 del vigente codice stradale, è l’evidente frutto di una scelta del legislatore, tutta tesa ad evitare la menomazione di quelle disposizioni compatte (innovative per l’ordinamento), nell’ambito delle quali, la richiamata disposizione rappresenta solo un genere.
E’ nell’ambito di quel genere di disposizioni (finalizzate alla tutela della sicurezza della circolazione stradale) che il Testo Unico di cui ora si parla, individua una specie: il consolidamento ed il coordinamento di quelle disposizioni di principio previgenti (in materia di tutela dei beni culturali e storici appartenenti alla Nazione), che grazie alla delegificazione, vengono a costituire un altro insieme compatto di norme, individuate questa volta dal Governo, sulla base della delega parlamentare.
Tutto ciò premesso, c’è però da dire che nell’ambito della delegificazione di cui si parla, il Governo non ha certamente brillato in chiarezza espositiva, tanto che, riprendendo il secondo comma, sia dell’art. 50, come il suo omologo art. 157 del T.U. n. 490, sorge una notevole perplessità, circa l’esatto contenuto normativo o meglio ancora, a quale tipo di impianto pubblicitario la disposizione si riferisca. Vi si legge infatti che «lungo le strade site nell’ambito e in prossimità dei beni indicati nel comma 1 è vietato collocare cartelli o altri mezzi pubblicitari, salvo autorizzazione rilasciata a norma dell’articolo 23, comma 4, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, previo parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela paesaggistica (della sopraintendenza, nel caso di beni culturali) sulla compatibilità della collocazione o della tipologia dell’insegna con l’aspetto, il decoro e il pubblico godimento degli edifici o dei luoghi soggetti a tutela».
Ciò dicendo, si capisce bene che il rilascio dell’autorizzazione amministrativa per la collocazione di un impianto pubblicitario stradale (ex art. 23, comma 4, d. Lgs. n. 285 del 1992) è atto dovuto ([30]), ma, non da meno, si ritiene obbligatorio e vincolante il parere rilasciato dalla competente sopraintendenza (per i beni culturali), o dalla CBA (per i beni ambientali); sono queste tipiche espressioni del potere amministrativo, che vanno a tutelare, distintamente, diversi oggetti giuridici, indipendentemente dal nome che le va a distinguere: da un lato, l’autorizzazione amministrativa propriamente detta e, dall’altro, il parere vincolante, che, il Giannini, considera nella forma, una decisione amministrativa mascherata ([31]).
Ma si torna a non capire il significato da ascrivere al termine di insegna, utilizzato, isolatamente, nella richiamata ultima norma, se non in chiave di lettura con il precitato quindicesimo comma dell’art. 51, del d.P.R. n. 495 del 1992.
Infatti, se il legislatore delegato avesse voluto ricomprendere nel termine di insegna, qualsivoglia impianto pubblicitario, avrebbe potuto continuare ad usare l’omnicomprensivo termine “cartelli ed altri mezzi pubblicitari”, affiancandovi, eventualmente, il termine di “insegna di esercizio”; ciò che invece sembra più logico presupporre è che il Governo, nell’intento di raggiungere gli obiettivi della delegificazione, abbia inteso far convogliare nel Testo Unico di cui si discute sia le norme di principio già contenute nella legge formale, sia quelle di dettaglio, già contenute nella legge sostanziale. Tra queste, proprio quella disposizione contenuta nel richiamato art. 51 cit., che già costituiva la chiave di lettura del comma 3 dell’art. 23 del codice, così come indicato nel paragrafo 1.1 che precede.
Unica precisazione, è che in questo caso si parla di parere favorevole anziché di nulla-osta.
Si può anche parlare di decisione polistrutturata costituente una conferenza di servizi decisoria, dove gli atti di concerto «provenienti dalle amm. partecipanti non equivalgono all’ “in idem consensus” delle parti di una convenzione, ma sono esercizio di autonome attribuzioni collegate a quelle dell’amministrazione procedente» ([32]); resta pur sempre il fatto che se il nulla-osta costituisce un particolare tipo di provvedimento amministrativo autorizzatorio con il quale si rimuove un limite all’esercizio di una facoltà, il parere, per quanto obbligatorio e vincolante, rappresenta pur sempre una manifestazione di giudizio dell’amministrazione consultiva, rispetto all’amministrazione attiva ([33]): sembra cioè di poter (ora) cogliere il “minor” peso della decisione adottata dall’organo di tutela, rispetto all’amministrazione deputata al rilascio dell’autorizzazione formale. Ne discende, che l’ente proprietario della strada, per quanto tenuto ad assumere (nella forma) il parere dal competente organo di tutela, non sembrerebbe tenuto a recepirne (nella sostanza) il relativo contenuto. Si è convinti di questo, anche se, qualche perplessità solleva il fatto che il parere sembrerebbe comunque dover essere favorevole, affinché si posa addivenire al rilascio dell’autorizzazione di cui si discute.
Del resto, è già stato affermato che alla nozione di alterazione dei luoghi è collegata quella di stravolgimento integrale della situazione pregressa, certamente insussistente di fronte all’assoluta modestia delle strutture e che per questo ne deriva che per la loro realizzazione, non occorre autorizzazione paesistica, in base all’art. 1, comma dodicesimo (nonché “quinquies”) legge 8 agosto 1985, n. 431 (parere relativo alla sistemazione di una recinzione di un cancello e di taluni pali per la collocazione di una tenda, rientrante nel concetto di restauro e risanamento conservativo) ([34]) ([35]).
Infine, è interessante notare come sia l’art. 133, che l’art. 157 del T.U. n. 490 del 1999, vadano — sul piano sanzionatorio — ad individuare un concorso apparente di illeciti amministrative rispetto ai quali e con riferimento al contenuto dell’omologo comma 3, è possibile riconoscere il carattere di specialità (ex art. 9 Legge n. 689 del 1981) alla disposizione che vieta la collocazione di cartelli o altri mezzi pubblicitari lungo le strade, site nell’ambito e in prossimità di edifici o di luoghi di interesse storico e artistico e/o paesaggistico.
4. CONCLUSIONE
Dovendo concludere, si è dell’avviso che la collocazione o l’affissione di cartelli o altri mezzi di pubblicità sugli edifici e nei luoghi d’interesse storico artistico o paesaggistico è nella generalità dei casi vietata, fatto salvo il caso in cui il competente organo di tutela intenda rilasciare la speciale autorizzazione: in caso d’inosservanza, si applicano le sanzioni previste dal T.U. n. 490 del 1999.
Peraltro, se la collocazione delle insegne di esercizio (ma non anche dei cartelli e degli altri mezzi pubblicitari) avviene lungo le strade site nell’ambito e in prossimità dei richiamati luoghi, l’autorizzazione amministrativa è rilasciata dall’ente proprietario della strada, previo parere del competente organo di tutela: in caso d’inosservanza, si applicano le sanzioni previste dall’art. 23 del d. Lgs. n. 285 del 1992, in quanto richiamate e, più in particolare e secondo quanto previsto dalla Direttiva del Ministero dei beni e le attività culturali dello scorso 27 gennaio ([36]) quelle di cui ai commi 13-bis e 13-quater.
L’unica perplessità scaturirebbe quindi dalla possibilità, per l’ente proprietario della strada, di disattendere l’eventuale parere non favorevole o segnalazione del competente organo di tutela: cosa questa, che secondo costante dottrina può essere attuata, purché adeguatamente motivata.
Quanto all’opportunità o
meno di rilasciare le autorizzazioni di cui si parla anche per la sistemazione
di cartelli ed altri mezzi pubblicitari nell’ambito delle predette zone
vincolate, si è dell’avviso che, in riferimento all’immodificato comma 3
dell’art. 23 del nuovo codice della strada, le cose rimangano sostanzialmente
invariate. Rimane peraltro in capo all’ente proprietario della strada un
generico potere autorizzativo — fatto comunque salvo il previo rilascio del
parere da parte del competente organo di tutela — da valutare anche in
riferimento alla concreta idoneità dell’impianto e delle relative strutture,
a costituire manufatto e quindi, ad essere assoggettato al previo rilascio della
concessione edilizia.
[1] Istruttore direttivo del Comando Polizia Municipale di Forte dei Marmi (LU) e docente in materia di segnalamento stradale, attestato presso il Politecnico di Milano..
[2] Il decreto, è stato pubblicato G.U. n. 114, del 18 maggio 1992.
[3] Si vedano in particolare e dello stesso Autore, il volume La Pubblicità sulle Strade, edito dalla Noccioli Editore Firenze, nell’anno 1997 e l’articolo pubblicato sul n. 10/99 della Rivista L’Amministrazione Italiana.
[4] La legge inerente gli interventi nel settore dei trasporti, è stata pubblicata nella G. U. n. 294, del 16 dicembre 1999 - Suppl. Ord. n. 220.
[5] Il Testo Unico è stato pubblicato nella G.U. n. 302 del 27 dicembre 1999 - Suppl.Ord. n. 229.
[6] Così Filoreto d’Agostino, Manuale di diritto amministrativo, GIUFFRE’ EDITORE MILANO, anno 2000, pagg. 265 s.
[7] Un interessante dibattito si è sviluppato nella recente Giornata di Studio di Rapallo per la Polizia Municipale, organizzato dall’Autore, in collaborazione con la Scuola per le Autonomie Locali, Civita Snc di Torre del Lago.
[8] La legge, è stata pubblicata nella G.U. n. 150 del 28 giugno 1991.
[9] Tra i c.d. principi fondamentali della Costituzione troviamo, infatti, la promozione e lo sviluppo della cultura e la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione (ex art. 9 della Carta).
[10] Il decreto, è stato pubblicato nella G.U. 4 dicembre 1996, n. 284 – Suppl. Ord. n. 212.
[11] Il decreto è stato pubblicato nella G.U. 28 dicembre 1992, n. 303 – Suppl. Ord. n. 134.
[12] Nell’accezione comune, contenuta nel comma 2, dell’art. 5 del d. Lgs. n. 507 del 1993.
[13] In senso lato, chi scrive è più propenso a ritenere che ai fini dell’applicazione delle presenti norme (ex art. 47, u.c., d.P.R. n. 495/92), per pubblicità si debba intendere ogni attività idonea a richiamare l’attenzione dell’utenza stradale e quindi a distrarne l’attenzione.
[14] Cfr. Vincenzo Salvatore, Pubblicità e pubbliche affissioni, NOCCIOLI EDITORE FIRENZE, Ed. 1982, pagg. 20 ss.
[15] Cfr. Filoreto d’Agostino, Op. cit., pagg. 289 ss.
[16] Cfr. Filoreto d’Agostino, Op. cit., pag. 309.
[17] Cfr. Filoreto d’Agostino, Op. cit., pag. 311.
[18] E’ qui da precisare, che quei dubbi contenuti nella nota precedente ed inerenti una possibilità di riviviscenza dell’atto di assenso, in ordine alla norma contenuta nei commi 5 e 6 della Legge n. 127 del 1997, sono da ritenere oggi superati, in virtù dell’abrogazione esplicita del comma 5 della richiamata legge, prevista dall’art. 166 del d. Lgs. n. 490 del 1999.
[19] Che, se già non si fosse capito, non deve limitarsi ad intervenire esclusivamente sugli impianti non autorizzati, quanto piuttosto su ogni mostra pubblicitaria idonea a determinare una o più delle turbative indicate nel comma 1 dell’art. 23 cod. strada.
[20] Cfr. Giovanni Fontana, Novità in tema di pubblicità sulle strade, in Crocevia, n. 5/2000, pag. 17.
[21] Sembra infatti del tutto evidente che «la portata cogente dell'art. 23 punto 3 del codice della strada, che per quanto attiene alla materia della regolamentazione delle insegne pubblicitarie, pone il divieto assoluto del rilascio della relativa autorizzazione nei luoghi sottoposti a vincoli storici, artistici ecc., non lascia spazio ad alcuna valutazione discrezionale da parte dell'amministrazione autorizzante, la quale in materia di autorizzazione è tenuta al rilascio o al diniego della stessa in stretta correlazione con la verifica della sussistenza o insussistenza dei presupposti fissati dalla legge» (T.A.R. Lombardia sez. II, Milano, 15 gennaio 1998, n. 47). Questo, sempre che la portata del termine insegne pubblicitarie comprenda, nello spirito della sentenza citata, le c.d. insegne di esercizio di cui all’art. 47, comma 1, del d.P.R. 495 del 1992.
[22] Cfr. Stefano Manzelli, Alcune novità in materia di beni culturali-ambientali e di commercio, in Crocevia, n. 5/2000, pag. 45
[23] Cfr. Masimiliano Spagnuolo, La semplificazione dell’azione amministrativa. La delegificazione, in http://www.diritto.it/articoli/amministrativo/spagnuolo.htm e, in Nuova Rassegna, n. 9/2000.
[24] Così, Franco Mautino – Rodolfo Pagano, Testi Unici (la teoria e la prassi), GIUFFRE’ EDITORE MILANO, Ed. 2000, pagg. 202 s.
[25] Cfr. V. Angiolini, Testo unico, in Enc. dir., XLIV, Ed. 1992
[26] Così, Franco Mautino – Rodolfo Pagano, Op. cit., pagg. 184 s.
[27] Si ringrazia il Dr. Luca Ramacci, della Procura della Repubblica di Venezia (http://www.lexambiente.com/motore.htm) per la gentile concessione del testo della relazione.
[28] Tra cui, chi scrive ritiene senz’altro di poter ricomprendere il Nuovo Codice della Strada.
[29] Rispetto alla relazione ministeriale, i dispositivi che regolano la materia, sono rispettivamente individuati dagli artt. 50, 133, 157 e 165.
[30] «Si è confermato che l'esercizio della pubblicità mediante l'apposizione di cartelli ed altri mezzi pubblicitari lungo le strade pubbliche e in vista di esse, per quanto attiene ai rapporti tra chi esercita tale forma di pubblicità e l'ente proprietario della strada pubblica lungo e in vista della quale gli anzidetti mezzi pubblicitari siano installati, trova la fonte esclusiva della sua disciplina nell'art. 11 d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393 (ora art. 23 Cod. Str., N.d.A.)». (Cas. Civ. N. 6632 del 8 luglio 1998)
[31] Cfr. Filoreto d’Agostino, Op. cit., pag. 290
[32] Così, Filoreto d’Agostino, Op. cit.
[33] Vds. relative voci nel Dizionario delle Discipline Giuridiche, dei Dizionari Multimediali Simone, CD/D1 - 1999
[34]
Cas. Pen., Sez. III, Sent. 26
maggio 1994, n. 6189.
[35] In effetti, la norma contenuta nel comma 3, dell’art. 49 del d.P.R. n. 495 del 1992, sembra ribadire nella sostanza il predetto principio giurisprudenziale.
[36] In S. Manzianelli, art. cit., pag. 45, sub nota 2).