Legislazione:
d. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285
d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495
d. Lgs. 10 settembre 1993, n. 360
d.L. 4 ottobre 1996, n. 517, conv. in legge 4 dicembre 1996, n. 611
L. 23 dicembre 1996, n. 662
Legge 15 maggio 1997, n. 127
d. Lgs. 15
dicembre 1997, n. 446
Legge 30 marzo 1999, n. 83
d. Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490
Legge 7 dicembre 1999, n. 472
Circolari
Ministeriali:
direttiva Min. LL.PP. n. 1381 del 17 marzo 1998
circolare Min Finanze 17 marzo 1994, n. 10
circolare Min. Finanze 3 novembre 1998, n. 256/E
PARTE I
Introduzione
L’articolo
che segue, è una rivisitazione di un mio precedente articolo pubblicato sul n.
7-8/2000 de L’Amministrazione Italiana (che si consiglia di confrontare con il
presente elaborato), riproposto a Codesti lettori, alla luce delle recenti
modificazioni apportate dalle coeve Legge n. 472 in materia di trasporti e d.
Lgs. n. 490, recante il T.U. delle leggi in materia di beni ambientali e
culturali.
Nell’intento
di realizzare una nuova monografia sull’argomento, è gradito l’eventuale
confronto con tutti coloro i quali hanno un particolare interesse alla materia,
scrivendo all’indirizzo di
Premessa
Come
ho già avuto modo di argomentare ([1]),
a far data dal 1.1.1999, le norme di cui al Titolo II del d. Lgs. 285 del 1992
(in seguito, richiamato più semplicemente con il termine di codice o N.
C.d.S.), giuste le disposizioni di cui all’art. 234 dello stesso codice ([2]),
divengono pienamente efficaci: più semplicemente, ciò significa che
l’applicazione della norma prevista dall’art. 23 del codice non ammette più
alcun tipo di deroga.
Bisogna
appena accennare il fatto che con la decretazione d’urgenza e la successiva
conversione il Legge del d.L. 517 del 1996, il legislatore ha “salvato” in
extremis una situazione di fatto nella quale si trovava (e per quanto si
possa conoscere, si trova) buona parte del demanio stradale. Cosa questa che non
si è realizzata al termine di quest’ultimo anno utile di transizione, per il
corretto adeguamento degli impianti di pubblicità alle nuove disposizioni di
legge. E tutto ciò era abbastanza intuibile, anche tenuto conto
dell’intervento ritardato ma, paradossalmente affrettato, del Ministero dei
LL. PP. che con propria Direttiva n. 1381 del 1998 ([3])
ha disposto le metodiche di controllo e di adeguamento degli impianti
pubblicitari alla normativa vigente.
Vero
è che ogni norma in deroga tende a porre su un piano di equità di trattamento
soggetti che in tempi diversi hanno goduto di distinta tutela giuridica. Ma è
altresì ovvio che la transitorietà - quindi, ed in buona sostanza, la
salvaguardia dei “vecchi” impianti pubblicitari - dell’applicazione della
legge, non potrà andare oltre un ragionevole tempo di adeguamento giuridico, ciò
determinando, in caso contrario, la mancata applicazione di quell’invocato
principio equitativo.
Semmai
è qui da dire, che possono sorgere ben validi sospetti sul come i cittadini —
pur non ammettendo in capo a loro, giustificazioni di comodo (quali
l’ignoranza della legge) — possano comunque invocare a loro discolpa
un’ignoranza scusabile derivante dall’inefficienza della P.A. e
dall’inefficacia dell’azione amministrativa.
Infatti,
qui mi domando (ma domando!): dove finisce la responsabilità della Pubblica
Amministrazione e dove inizia quella dell’utenza?
In
concreto: che cosa hanno fatto, o per essere più precisi, quali strumenti hanno
attuato gli enti proprietari delle strade per mettere in condizione i cittadini
di adeguarsi, senza eccessivi “traumi” alle nuove disposizioni di legge
(sempre che le vecchie siano già state rispettate)?
In
conclusione: sino a che punto i cittadini “irrispettosi” delle norme di
legge sono (non tanto giuridicamente, quanto) giustamente sanzionabili?
Anche
a queste domande dovrebbe rispondere la coscienza di chi serve lo Stato e tutto
ciò che esso rappresenta, sia a livello centrale, che periferico. Ma qui è
dato di rispondere più che all’etica del servizio, alla prassi professionale;
quindi, alle domande precedenti è giusto che ognuno di noi le mediti tra le
quattro mura... del proprio corpo o servizio di polizia municipale.
Il
decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 in materia di riordino della
disciplina dei tributi locali e di canone per l’installazione di mezzi
pubblicitari
Abbiamo
parlato poc’anzi di termine ultimo di adeguamento degli impianti pubblicitari
alla data del 31.12.1998.
Ora
è avvenuto che a seguito della delega di cui alla Legge 23 dicembre 1996, n.
662, il Governo ha emanato il d. Lgs. 446 del 1997 inerente il riordino della
disciplina dei tributi locali, disponendo tra l’altro la possibilità per i
comuni di disapplicare l’imposta sulla pubblicità di cui al Capo I del d.
Lgs. 507 del 1993 e di sostituirla con un canone di autorizzazione, in base a
tariffa ([4]).
Ed è altresì sintomatico, che pur trattandosi di altro settore di pertinenza
del richiamato decreto n. 446 (l’occupazione del suolo pubblico), sono state
poste in chiave critica, le conseguenze connesse alla abrogazione della
T.O.S.A.P. e all’istituzione della C.O.S.A.P.; fatto questo che ha determinato
il ripristino del sistema previgente, con l’entrata in vigore della legge
collegata alla Finanziaria 1999, n. 448 del 1998 ([5]).
Ebbene,
con un po’ di fantasia giuridica, c’è chi ha fatto proprio il contenuto
degli artt. 52 e 62 del decreto in parola ([6])
disponendo oltre all’abolizione della imposta sulla pubblicità, ulteriori
termini di adeguamento per gli impianti pubblicitari alla normativa vigente.
Ecco
che allora, prima di proseguire oltre, verso il nostro discorso principale,
vorrei addentarmi nell’ambito della vexata
quæstio e richiamare fortemente il rispetto delle regole, prima fra tutte
quella relativa alla gerarchia delle fonti.
E’
di fondamentale importanza che specialmente i dirigenti o i responsabili dei
servizi, si attengano a quelle regole giuridiche preordinate che stanno alla
base del sistema democratico; questo non solo in ordine alla possibilità di
inficiare la legittimità dell’atto amministrativo sul piano dell’eccesso
di potere ([7]),
ma ben anche in riferimento alla nuova formulazione dell’art. 323 del c.p. ([8]).
Vero
è che i comuni necessitano di una sempre più ampia autonomia regolamentare, ma
non si deve neppure dimenticare che i valori forti dello Stato unitario e della
salvaguardia della sicurezza e della incolumità delle persone, debbono
giocoforza, rimanere proprio in capo allo Stato centrale e non certo a quello
periferico.
Ci
sono elementi e particolarità locali (che tutti noi conosciamo) che troppo
influiscono sulla libera determinazione della volontà politica locale, tanto da
renderle eccessivamente influenzabili e condizionabili. Basti pensare oggi, a
questo “nuovo” fatto.
Ebbene
e per concludere questo paragrafo, c’è una legge dello Stato - il Nuovo
Codice della Strada, appunto - che ha come oggetto giuridico la tutela della
salvaguardia della sicurezza della circolazione stradale. E questa ha il
medesimo valore ad Aosta, come a Palermo, a Firenze, come a Pescara... in tutti
i comuni d’Italia ed in ognuno in particolare.
Il
semplice fatto che l’amministrazione dello Stato ha affidato
all’amministrazione degli enti locali la gestione delle proprie entrate (ex
art. 62, comma 1, d. Lgs. n. 446), non sta certamente a significare che le
amministrazioni locali possano fare tutto ciò che vogliono nell’ambito del
proprio territorio comunale, ivi compresa la disapplicazione delle norme
giuridiche preordinate: cosa questa che la Costituzione riserva a ben altre
Autorità!
Appare
certamente giusto e corretto che i regolamenti locali, approntando e richiamando
il principio costituzionale della efficienza della P.A. e dell’efficacia
dell’azione amministrativa, vadano a migliorare le condizioni di esercizio
degli interessi legittimi della popolazione locale, ma questo, si badi bene, nel
pieno rispetto delle preordinate regole giuridiche.
E
se ciò non bastasse, è giusto qui richiamare i principi informatori del nuovo
regolamento comunale eventualmente adottato in forza del decreto n. 446 (ex art.
62, comma 2 e 4):
a)
l’individuazione della tipologia dei mezzi, sulla base delle caratteristiche
di cui al N. C.d.S.;
b)
un sistema sanzionatorio più efficace ([9])
che vada a privilegiare il procedimento sanzionatorio previsto dall’art. 23
del N. C.d.S., nell’ambito dell’area di pertinenza stradale.
Quindi
niente di nuovo, se non una maggiore autonomia impositiva per i Comuni.
Come
infatti precisa al riguardo il Ministero delle Finanze ([10]),
«parimenti, ha natura di entrata non
tributaria il canone per
l’installazione di mezzi pubblicitari, di cui all’art. 62 dello stesso d.
Lgs. n. 446/1997» e quindi non devono essere trasmessi allo stesso Ministero
per la pubblicazione in G.U. e per l’eventuale esercizio del potere
d’impugnativa i regolamenti locali che disciplinano tali entrate.
Gli
impianti pubblicitari abusivi
Ciò
detto, ci domandiamo adesso quando gli impianti pubblicitari sono da considerare
abusivi, ai fini della tutela della
salvaguardia della circolazione stradale e di altri valori indirettamente
tutelati dalle disposizioni contenute nelle norme giuridiche sopra richiamate e
quando sono applicabili i rimedi previsti dalle medesime norme giuridiche.
Ciò
che rileva ai fini del nostro studio, sono ovviamente le disposizioni contenute
nel nuovo codice della strada, divenendo quindi le altre, strumentali a queste,
ai fini di una sistematica e generale interpretazione giuridica.
Appare
evidente, in ordine di tempo, che il d. Lgs. 285 del 1992, così come ampiamente
modificato ed integrato dal d. Lgs. 360 del 1993, ha dato luce a tutta
un’azione giuridica di controllo e d’intervento sugli impianti pubblicitari,
integrata poi dai richiamati dd. Lgs. n. 507 del 1993 ([11])
e 446 del 1997 ([12]).
L’azione
integratrice del decreto n. 507 del 1993, in materia di tributi locali e del
decreto n. 446 del 1997, in materia di entrate comunali
Ora,
la tutela giuridica offerta dal decreto n. 507 appare ben diversa da quella del
precedente decreto n. 285, ma idonea a determinare il “blocco” del rilascio
di nuove autorizzazioni. Dispone infatti il comma 8, dell’art 36, del citato
decreto sull’imposta sulla pubblicità che «il comune non dà corso alle
istanze per l'installazione di impianti pubblicitari, ove i relativi
provvedimenti non siano già stati adottati alla data di entrata in vigore del
presente decreto, né può autorizzare
l'installazione di nuovi impianti fino all'approvazione del regolamento comunale
e del piano generale previsti dall'art. 3» ([13]).
Appare
quindi evidente che una delle forme di abusiva collocazione di un impianto
pubblicitario è quella che si concretizza nella diffusione di messaggi
pubblicitari in carenza di autorizzazione, stante il fatto evidente che «l’imposta
comunale (e l’autorizzazione dalla quale ne scaturisce il presupposto
giuridico di esistenza e non di sanzione ex artt. 23 e 24 stesso decreto,
N.d.A.) sulla pubblicità è uno dei tributi comunali e viene corrisposta in
ragione della facoltà che è data al singolo operatore economico di diffondere
messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive od
acustiche, diverse da quelle assoggettate
al diritto sulle pubbliche affissioni» ([14]).
Per
completezza, è infine da sottolineare il fatto - in parte già detto - che il
decreto 446 segue tutto sommato la medesima logica giuridica, tendendo peraltro
a privilegiare l’autonomia degli enti locali ([15])
in materia delle sole entrate.
L’abusivismo
nell’ambito della tutela della sicurezza della circolazione stradale e di
altri valori
Per
quanto già detto al paragrafo precedente è quindi formalmente abusivo, quel
messaggio pubblicitario posto in luogo pubblico o aperto al pubblico o che sia
da tali luoghi percepibile (ultima ipotesi riferibile ai messaggi acustici)
senza che per lo stesso sia stata rilasciata adeguata autorizzazione
amministrativa.
L’abusivismo
formale
Ora,
il rilascio di un’autorizzazione amministrativa presuppone il riconoscimento
di un interesse legittimo, intendendo
tale «la posizione di vantaggio fatta ad un soggetto dell’ordinamento in
ordine ad un bene oggetto di potere amministrativo e consistente
nell’attribuzione al medesimo soggetto di poteri atti ad influire sul corretto
esercizio del potere, in modo da rendere possibile l’interesse al bene» ([16])
Parrebbe
qui evidente che il diritto all’espressione di un messaggio ideologico e
quindi il frutto della elaborazione mentale, possa ben comprendere qualsivoglia
messaggio pubblicitario e come tale sia dotato di quella particolare tutela
costituzionale che scaturisce dalla lettura del comma 1 dell’art. 21 della
nostra Carta fondamentale.
Da
tutto ciò si comprende bene che con il rilascio dell’autorizzazione
amministrativa, non si riconosce tanto un interesse ad esercitare una
determinata attività (che nel caso di specie è propria di ogni cittadino),
quanto piuttosto la «pretesa alla legittimità dell’atto che viene
riconosciuta a quel soggetto che si trovi rispetto all’esercizio di un potere
discrezionale dell’amministrazione in una particolare posizione legittimante»
([17]).
Certamente,
se con lo strumento del regolamento comunale emanato in forza del potere
riconosciuto all’ente locale dai decreti n. 507 o 446 precitati, si è voluto
anche ed indirettamente limitare certe forme di pubblicità (esplicitamente
ritenute abusive), con lo strumento dell’autorizzazione amministrativa
rilasciata ai fini della salvaguardia della circolazione stradale (ex art. 23,
comma 4, N. C.d.S.), dei beni ambientali e/o culturali (ex art. 23, comma 3, N.
C.d.S.) ([18]),
dell’autonomia degli enti locali e delle aree ferroviarie (ex art. 23, comma
5, N. C.d.S.), si è semplicemente previsto uno strumento di legittimazione di
quell’interesse ad esercitare alcune particolari forme pubblicitarie,
nell’ambito più generale di quelle già previste dal regolamento comunale.
Ed
in effetti, lo stesso tenore letterale del comma 6, dell’art. 23 del d. Lgs.
285 del 1992, così come modif. dall’art. 13 del d. Lgs. 360 del 1993 ([19]),
tende a qualificare il regolamento comunale emanato (anche) in forza di tale
dispositivo, piuttosto come un regolamento meramente tecnico che giuridico (lato
sensu).
Lo
abbiamo detto e lo ribadiamo, che garanzia per il lecito esercizio
dell’attività pubblicitaria lungo le strade o in vista di esse è
l’avvenuto rilascio dell’autorizzazione amministrativa.
Richiamando
un precedente accenno, dobbiamo anche dire che il rilascio di un palese atto
amministrativo illegittimo non
inficia l’efficacia dell’atto stesso, se non quando quest’ultimo è posto
al competente giudice ordinario o amministrativo per l’eventuale
disapplicazione o annullamento dell’atto stesso. Vale peraltro il caso di
ricordare che compito della polizia municipale, in quanto organo della P.A., è
anche quello di segnalare tempestivamente all’autorità amministrativa
emanante l’eventuale ipotesi di vizio dell’autorizzazione rilasciata e, in
quanto organo di polizia giudiziaria, alla medesima autorità, l’eventuale
ipotesi dell’abuso d’ufficio ascrivibile al funzionario responsabile del
procedimento che abbia partecipato dolosamente al procedimento di rilascio
dell’autorizzazione in violazione di legge, procurando un danno od un
vantaggio patrimoniale ([20]).
Ora
è pure da ribadire quanto già espresso dal Cigolini ([21])
in vigenza dell’art. 11 del d.P.R. 393 del 1959 ed oggi ripreso dal
Protospataro ([22])
e quindi che vada applicata la sanzione (ora amministrativa) anche a chi sia
munito di autorizzazione nulla ([23]),
perché un tale atto è da equipararsi giuridicamente a mancanza di
autorizzazione, mentre se trattasi di autorizzazione annullabile, produce i suoi
effetti giuridici sino a che non sia dichiarata illegittima ([24]).
«Devesi
ritenere caducata l’autorizzazione quando il titolare di essa non abbia
ottemperato alle condizioni alle quali essa era stata subordinata, e pertanto il
titolare si dovrà considerare sprovvisto dell’autorizzazione e soggetto
quindi alla sanzione penale (ora amministrativa, N.d.A.)» ([25]).
In
questo caso particolare, trova specifica applicazione la norma contenuta
nell’art, 56 del d.P.R. 495 del 1992, inerente la vigilanza degli enti
proprietari delle strade in materia di pubblicità.
Vale
la pena di ricordare e richiamare il principio di ordine generale contenuto nel
comma 1 del più volte citato art. 23 del nuovo codice stradale, che come tale
ha comunque un chiaro significato teleologico.
Si
può quindi ritenere che sotto l’aspetto formale, il concetto di abusivismo
sia stato ampiamente e sufficientemente argomentato.
Ciò
che adesso è da comprendere è il suo concreto significato, anche sotto
l’aspetto sostanziale e quindi, quando un messaggio pubblicitario necessita di
ottenere il rilascio dell’autorizzazione amministrativa.
La
ricerca potrebbe essere ritenuta banale, ma non a caso si fa, perché non pochi
sono quei funzionari pubblici, dirigenti o responsabili del servizio, che
affermano con assoluta certezza che soltanto determinati messaggi pubblicitari
necessitano di un’autorizzazione amministrativa, rispetto alla variegata
presenza dei messaggi pubblicitari: ipotesi questa, assolutamente non condivisa
da chi scrive.
L’abusivismo
sostanziale
Come
già detto, la parte iniziale dell’art. 21 della Costituzione sancisce che «tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Al
termine poi di pubblicità si assegnano svariati significati quali la
divulgazione della pubblica conoscenza, mediante la diffusione di messaggi e,
per converso, far diventare una notizia di pubblico dominio; l’insieme delle
attività e dei mezzi attraverso cui si richiama l’attenzione del pubblico, a
fini promozionali, su prodotti, servizi, prestazioni di vario tipo,
predisponendo messaggi adatti alla fascia di popolazione che più interessa.
Fornite queste definizioni, forse si sarebbe più propensi a stabilire che la
regolamentazione giuridica della pubblicità risulti essere più conforme alla
seconda delle due definizioni: ma questo, almeno per chi scrive, sarebbe assai
riduttivo.
Se
è vero, come è vero, che ciò che si è voluto regolamentare è senz’altro
l’abusiva utilizzazione dei mezzi di comunicazione realizzata per il tramite
dei cartelli ed altri mezzi pubblicitari, è altresì evidente che l’oggetto
giuridico che si vuole tutelare — lo ribadiamo — è la sicurezza della
circolazione stradale.
Ed
in questo, ciò che rileva, non è tanto il fatto che sia o meno presente lungo
una strada una forma di divulgazione del pensiero ai fini pubblicitari — così
descritti —, quanto piuttosto che vi sia un messaggio rivolto all’utenza
stradale, realizzato con un mezzo di percezione ottica, idoneo di per se ad
ingenerare confusione con la segnaletica stradale, ovvero a renderne difficile
la comprensione o a ridurne la visibilità o l’efficacia, ovvero ad arrecare
disturbo visivo o a distrarne l’attenzione con conseguente pericolo per la
sicurezza della circolazione (ex art. 23, comma 1, N. C.d.S.).
Ma
esiste pure il fatto che, in quanto libera manifestazione del pensiero, la
pubblicità non possa essere vietata ma anzi, debba essere garantita a tutti
coloro che ne vogliano disporre, sia per uso personale e nell’interesse del
privato, sia come uso pubblico e nell’interesse della collettività. E beh, ma
adesso domandiamoci pure, sino a che punto la pubblicizzazione di un prodotto
assolva esclusivamente a fini privati (e cioè ad uso esclusivo dell’azienda)
e non anche per fini pubblici. La conoscenza dei prodotti e delle regole di
mercato, non è forse una garanzia per lo sviluppo economico-sociale del Paese?
Ma
come già in altra occasione abbiamo avuto modo di ricordare, la Consulta ha
avuto modo di argomentare, che l’attribuzione di un diritto — anche
costituzionalmente tutelato — non esclude a priori il regolamento
dell’esercizio di esso ([26]).
Questo
per dire che è vero che a ciascuno è data la facoltà di esprimere il proprio
pensiero, mediante la divulgazione di scritte od immagini, determinanti un
richiamo visivo, ma per ben garantire questo diritto è necessario che il suo
esercizio venga in qualche modo disciplinato e quindi si escluda la possibilità
dell’abusivo esercizio di quello stesso diritto. Ed un po’ di attenzione a
quanto accade sulle plance pubblicitarie, è molto più incisiva che non tanti
giochi di parole: chi di noi non ha avuto occasione di osservare manifesti
pubblicitari coperti e ricoperti da altri manifesti? Hanno realmente esercitato
costoro il loro diritto costituzionale o forse, non si è avuto l’effetto
contrario, se non quello peggiore di chi ha ottenuto tale diritto a danno degli
altri e molto più spesso, con l’arroganza di chi non pone limiti alla propria
autodeterminazione?
Ed
allora, dopo questo lungo giro di parole, torno a dire che in generale è
necessario garantire a tutti l’esercizio di questo diritto, applicando delle
regole che coinvolgano tutti e lo rendano fruibile a tutti, in modo equo e
quindi in modo proporzionale alle reale esigenze locali.
Questo
metodo, è quello del riconoscimento formale di questo interesse pubblico (qui
inteso come interesse d’ogni persona fisica e/o giuridica) da parte della
pubblica amministrazione, mediante il rilascio delle autorizzazioni.
E’
altresì ovvio, che all’origine di questa potestà amministrativa deve essere
presente una regola fondamentale, conosciuta da tutti ed approvata dai
rappresentanti della comunità locale, che noi chiamiamo regolamento comunale.
Ma
è pure evidente, che a questo atto formalmente amministrativo, si deve
associare un altro obbligo giuridico che scaturisce dalla normativa speciale o
gerarchicamente sovraordinata, quale appunto il N. C.d.S., il suo regolamento e
quello locale; regolamento (tecnico) questo che si forma sulla chiara volontà
del legislatore di non stravolgere l’equilibrio economico-sociale interno
all’ente locale, senza peraltro perdere di vista, neanche per un sol attimo,
quei principi teleologici rinvenuti nel più volte richiamato comma 1
dell’art. 23 del d. Lgs. 285 del 1992.
E’
per questo che a conclusione di questo ragionamento, contrappongo quello di
certi odierni sofisti ed ostinati “burocrati” che con troppa semplicità
accusano la (stessa) burocrazia di essere il male della P.A., dimenticando che
non questa, ma proprio il loro particolare modello di burocrazia — per meglio
dire, burocratismo — assilla i rapporti dei cittadini con la pubblica
amministrazione: la burocrazia di chi costruisce le regole al di là di una
scrivania e non già nell’aula consiliare; la burocrazia di chi si sente
elargitore e dispensatore di diritti, quanto piuttosto il pubblico garante di
questi.
Ed
è a costoro che l’attività della polizia municipale dovrebbe rivolgere
l’attenzione, purtroppo anche in modo indiretto; anche andando a colpire
quell’utenza disinformata, ma convinta di esercitare un diritto mai
formalmente riconosciuto.
L’applicazione
delle sanzioni è un male che oggi — a parere di chi scrive — si rende
necessario, non solo per ristabilire ordine ma anche perché i cittadini si
assumano in prima persona l’onere di partecipare alla vita del Paese e di
pretendere che i funzionari pubblici seguano regole di diritto e non di
circostanza o di opportunità (falsamente) politica.
L’applicazione
di quelle sanzioni di non facile comprensione, che andremo ad analizzare nel
dettaglio.
PARTE
II
La
rimozione degli impianti pubblicitari, alla luce delle disposizioni di legge
vigente
Tra
sanzione principale e sanzione accessoria
La
forza della norma giuridica o se vogliamo, ciò che differenzia una regola
giuridica da una qualsivoglia altra regola di comportamento, sta nella
previsione di una sanzione. La sanzione, è quindi quell’elemento idoneo a
dare alla regola di condotta, la dignità di regola giuridica ([27]).
Fatta
questa breve premessa, in tutti i decreti sino ad ora citati, si rinvengono due
tipi di sanzioni delle quali le prime, quelle pecuniarie
(rappresentate dal pagamento di una somma di denaro) hanno natura afflittiva e
risarcitoria, al fine di prevenire l’evento contrario all’ordinamento cui si
riferiscono, mediante la minaccia della sanzione e per il danno procurato alla
P.A. e alla collettività; le seconde, quelle accessorie e ripristinatorie
per riportare ordine allo stato dei luoghi e delle cose.
Quelle
che qui interessano, sono quelle accessorie.
Ora,
la definizione di sanzione accessoria non ci deve condurre fatalmente ad un
grossolano errore di valutazione e cioè far credere che questo tipo di sanzione
possa o non possa essere applicata. L’accessorietà della sanzione sta proprio
nel fatto che questo tipo di sanzione assieme alla principale, concorre a
ripristinare lo stato giuridico e di fatto precedente all’evento scaturito
dalla consumazione dell’illecito. In chiave strettamente etimologica, si ha
infatti una derivazione dal latino medioevale accessòrium,
con il significato di accedere, aggiungersi. E se per altri campi vale il
brocardo latino accessòrium sèquitur
principale ovvero, che la cosa accessoria segue la cosa principale, possiamo
meglio comprendere l’attuale significato giuridico della sanzione accessoria.
Ma
rimanendo nell’ambito della scienza giuridica, giova ricordare la chiara e
diretta derivazione penalistica della sanzione accessoria dove si stabilisce (ex
art. 20 c.p.) che le sanzioni accessorie «conseguono di diritto alla condanna,
come effetti penali di essa».
Vedremo
ora, come nell’ambito del diritto della circolazione stradale, della
regolamentazione delle entrate tributarie e non tributarie degli enti locali,
questo tipo di sanzione assuma connotati del tutto particolari.
Le
sanzioni accessorie previste
per la collocazione degli impianti pubblicitari abusivi
V’è da dire, come diremo, che le recenti integrazioni al sistema sanzionatorio contenuto nell’art. 23 del N. C.d.S., sembrano sublimare le disposizioni già contenute nell’art. 211 del medesimo codice e che sono state il punto di riferimento dell’originale stesura del presente intervento. Peraltro, ho ritenuto giusto non cassare la parte che segue, onde evitare di privare di senso storico-giuridico il presente lavoro.
La
sanzione accessoria dell’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi o di
rimozione di opere abusive di cui all’art. 211 del d. Lgs. 285 del 1992
La
violazione alle disposizioni di cui all’art. 23 del nuovo codice della strada
ed alle norme contenute nel relativo regolamento, viene sanzionata
(pecuniariamente) nei termini di cui ai commi 11 e 12 dello stesso articolo e
dalle predette violazioni consegue (ex art. 23, comma 13, N. C.d.S.) la sanzione
amministrativa accessoria dell’obbligo a carico dell’autore e a proprie
spese di rimuovere l’opera abusiva, secondo le norme del Capo I, Sez. II, del
Tit. VI.
Le
norme che qui interessano sono quelle di cui all’art. 211 del medesimo codice,
così come modificato dall’art. 111 del d. Lgs. 360 del 1993.
Prima
di procedere oltre, si deve tenere conto del fatto che l’art. 194 del codice
stradale — uno dei pochi che non abbia subito modificazioni od integrazioni da
parte di leggi successive ed in particolare il d. Lgs. 360 del 1993 — dispone
che «in tutte le ipotesi in cui il presente codice prevede che da una
determinata violazione consegua una
sanzione amministrativa pecuniaria, si applicano le disposizioni generali
contenute nelle Sezioni I e II del Capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689,
salve le modifiche e le deroghe previste dalle norme di questo Capo».
Da
questo primo approccio giuridico, sorge spontanea la domanda sul corretto
significato da ascrivere a questa norma. Infatti, nel descrivere la fonte di
riferimento necessaria per interpretare in via sistematica le norme che seguono
(la Legge 689, appunto), il legislatore ha fatto un chiaro e preciso riferimento
alle sole ipotesi di violazione dalle quali consegue una sanzione amministrativa
pecuniaria. Cosa significa questo?
A
parere di chi scrive, il richiamo alle “sole” ipotesi di violazione cui
consegue l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, comprende
anche la regolamentazione ex lege 689
del 1981 dell’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, in quanto
queste ultime sono, per definizione, aggiunte alle prime.
L’altra
domanda è del come le norme codicistiche che seguono, sono da rapportarsi alla
Legge 689 del 1981.
Sempre
a parere di chi scrive è ovvio che le norme appartenenti al Capo in commento,
possono derogare alla Legge (in questo caso principale) n. 689 del 1981 giusto
per il caso considerato, il brocardo latino in
toto iure generi per speciem derogatur, ma ovviamente quando ciò sia
chiaramente espresso dal tenore letterale della norma derogatrice o
modificatrice.
Tutto
ciò premesso, il primo obbligo in capo all’organo dell’accertamento è
quello di fare menzione nel verbale di contestazione da redigere ai sensi
dell’art. 200 o, in mancanza, nella notificazione prescritta dall’art. 201
del N. C.d.S., dell’obbligo di rimuovere i messaggi pubblicitari abusivi (ex
art. 211, comma 1).
Dal
fatto, possono conseguire quattro diverse situazioni:
A) il trasgressore adempie all’obbligo e provvede a estinguere la
violazione mediante il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria;
B) il trasgressore adempie all’obbligo, ma non provvede ad estinguere
la violazione, né presenta ricorso al Prefetto competente per territorio;
C) il trasgressore, non adempie all’obbligo, né provvede ad estinguere
la violazione, né presenta ricorso al Prefetto;
D) il trasgressore, non adempie all’obbligo, né provvede ad estinguere
la violazione, ma presenta ricorso al Prefetto.
Ora,
è ben evidente che per i casi di cui ai punti A) e D) suddetti non dovrebbero
sorgere particolari difficoltà interpretative stante nel caso della ipotesi A),
la cessazione del procedimento sanzionatorio in conseguenza della estinzione
della violazione amministrativa e, nel caso della ipotesi B) la chiara
disciplina dettata dagli artt. 203 e 204 del codice, in combinato disposto con i
commi 2 e 3 dell’art. 211 del medesimo testo legislativo.
Nel
caso prospettato nelle ipotesi B), l’adempimento dell’obbligo non
sembrerebbe comportare di per sé particolari effetti sul procedimento
sanzionatorio pecuniario, ma semmai pone a carico dell’organo
dell’accertamento l’obbligo di informare il Prefetto.
Infatti,
quello che ci domandiamo è se, decorsi sessanta giorni dalla contestazione o
notificazione, l’organo dell’accertamento debba o meno informare il Prefetto
ed informarlo per l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione di pagamento, o
piuttosto seguire l’iter procedurale normale previsto dal comma 3, dell’art.
203 del richiamato codice e quindi far sì che il verbale costituisca comunque
titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo della sanzione
amministrativa edittale e per le spese di procedimento.
In
effetti, il precetto testé richiamato dà luogo ad una delle norme in deroga
previste in generale dall’art. 194 più sopra richiamato. Ma è anche pur vero
che leggendo con maggiore attenzione il comma 2 dell’art. 211 in commento, ci
accorgiamo che al secondo periodo si esclude implicitamente l’applicazione
della norma prevista dal comma 3 del più volte citato art. 203, lì
affermandosi che «si applicano le disposizioni dei (soli) commi 1 e 2
dell’art. 203».
Sembrerebbe
chiaro per chi scrive che in questo particolare caso, l’accessorietà della
sanzione, ancorché rispettata negli obblighi giuridici che ne derivano,
comporta non già la semplice informativa al prefetto dell’avvenuto
adempimento dell’obbligo giuridicamente previsto, quanto piuttosto la
materiale trasmissione dei relativi atti del procedimento, per l’emissione di
adeguata sanzione amministrativa. Si potrebbe anzi concludere, che proprio
l’adempimento dell’obbligazione da parte del trasgressore, possa in certo
senso dare luogo ad una sua affermazione di ravvedimento e che il Prefetto, in
tal senso, potrebbe valutare in senso riduttivo, rispetto alla prevista sanzione
amministrativa pecuniaria di cui al comma 3, dell’art. 203 N. C.d.S.
Nel
caso previsto nella ipotesi C), all’inerzia del trasgressore consegue
d’obbligo l’attivazione del procedimento sanzionatorio da parte
dell’organo dell’accertamento e quindi, la trasmissione degli atti al
Prefetto entro il termine (ordinatorio) di trenta giorni, dalla scadenza del
termine per ricorrere (ex art. 211, comma 2, ultimo periodo, N. C.d.S.).
Una
volta informato (in conseguenza dei due diversi comportamenti di cui ai punti C)
e D) il Prefetto, nell’ingiungere al trasgressore il pagamento della sanzione
pecuniaria, gli ordina l’adempimento del suo obbligo di rimozione delle opere
abusive, nel termine fissato in relazione all’entità delle opere da eseguire
ed allo stato dei luoghi. Nell’ipotesi in cui questi non ritenga fondato
l’accertamento, provvede ad emettere relativa ordinanza di archiviazione che
si estende, di diritto, alla sanzione accessoria.
L’esecuzione
delle opere viene effettuata sotto lo stretto controllo dell’ente proprietario
o concessionario della strada che, una volta accertato l’adempimento, ne dà
comunicazione al Prefetto. In caso contrario, a seguito di autorizzazione di
quest’ultima autorità, l’ente proprietario o concessionario provvede
d’ufficio, rimettendo le note per le spese sostenute sempre al Prefetto il
quale provvede di seguito ad emettere la relativa ordinanza-ingiunzione di
pagamento.
In
casi di particolare gravità ed urgenza, l’agente accertatore, ai sensi del
comma 6 del citato articolo 211, trasmette senza indugio al prefetto il verbale
di contestazione per l’emissione dell’ordinanza ingiunzione urgente.
Una
singolare situazione è quella prescritta dalla direttiva per il controllo della
pubblicità abusiva (3). E’ infatti previsto che in seguito al
censimento degli impianti pubblicitari abusivi (ad
essentiam, quelli sprovvisti di autorizzazione ex art. 23 N. C.d.S.)
l’organo accertatore informi quanto prima il prefetto per l’emissione
urgente dell’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi.
La
sanzione accessoria della copertura del messaggio pubblicitario e della
rimozione delle opere abusive di cui al’art. 24 del d. Lgs. 507 del 1993.
Anche
al comma 1 dell’art. 24 (Sanzioni
amministrative) del d. Lgs. 507 del 1993, così come modificato dall’art.
12 del d. Lgs. 473 del 1997 e dall’art. 4, comma 3), lett. a) del d. Lgs. 203
del 1998, per l’applicazione delle sanzioni amministrative è esplicitamente
previsto che vengano osservate le norme contenute nelle Sezioni I e II del capo
I della richiamata legge n. 689 del 1981.
Più
in particolare, al successivo comma 2 dell’articolo de
qua è prevista la possibilità per il comune di procedere alla rimozione
dei mezzi pubblicitari abusivi. Come già detto, la sanzione accessoria consegue
di diritto (ed anzi la completa) alla sanzione principale ed infatti, il tenore
letterale dell’ultimo periodo qui analizzato è idoneo a far ritenere che
l’ente deve provvedere a rimuovere l’impianto abusivo, dalla cui esistenza
scaturisce l’illecito.
Ora
è da dire che la dizione letterale del precetto in commento non è delle più
felici, tenendo presente che qui si prevede che «il comune dispone altresì la
rimozione degli impianti pubblicitari abusivi facendone menzione nel suddetto
verbale». E’ ovvio che il comune, in quanto tale, non può certamente fare
alcuna menzione, se non tramite i propri pubblici ufficiali. Ed è altrettanto
ovvio, come già detto, che quella della rimozione è un atto a contenuto
vincolato e quindi non necessita di alcuna motivazione da parte dell’organo
dell’applicazione se non nel fatto, che deve necessariamente conseguire
all’accertamento dell’illecito.
Ciò
detto, si ritiene che il dirigente o il competente responsabile del servizio (rectius
il funzionario responsabile ([28])
ex art. 11 d. Lgs. 507 del 1993) provvederà in seguito all’accertamento ad
intimare al trasgressore di provvedere a rimuovere l’impianto. E’ infatti
evidente che la rimozione d’ufficio avviene in seguito alla mancata osservanza
dell’ordine di rimozione e non già in seguito al semplice accertamento
dell’illecito ([29]).
Rèbus
sic stàntibus,
l’organo dell’accertamento, in sede di stesura del verbale di contestazione
provvede anche a far menzione dell’obbligo della rimozione dell’impianto
pubblicitario abusivo e quindi, provvede ad informare l’ufficio del
funzionario responsabile per l’emissione dell’ordinanza di rimozione.
Il
funzionario responsabile, una volta appurato la validità dell’accertamento
dispone con propria ordinanza (ex art. 51 Legge 142 del 1990) la rimozione
dell’impianto abusivo entro un congruo termine. Qualora infine il trasgressore
non provveda ad ottemperare all’obbligo impostogli con l’ordinanza, il
comune provvede d’ufficio, addebitando ai responsabili le spese sostenute.
Ovviamente, se l’impianto oggetto dell’accertamento risulta essere non solo abusivo ma anche posto lungo la strada o da questa semplicemente visibile, i procedimenti amministrativi di cui al d. Lgs. 285 del 1992 e d. Lgs. 507 del 1993, vanno a concorrere, dando luogo a due procedimenti separati e con azioni di tute