TAR Toscana, Sez. III,  n. 1623 del 16 ottobre 2012.
Beni ambientali. Insussistenza obbligo di analitica motivazione del diniego di autorizzazione in zona soggetta al vincolo paesaggistico.

Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, la relatività del vincolo di inedificabilità di cui alla L. 1497/1939 e 431/1985 non comporta un obbligo di analitica motivazione del diniego di autorizzazione ambientale, obbligo che sussiste, viceversa, per il rilascio dell’autorizzazione nonostante il vincolo. Questo anche perché il parere negativo in ordine alla sanatoria di opere eseguite su aree tutelate costituisce espressione di discrezionalità tecnica, incensurabile nel merito con la conseguenza che il giudizio può risultare viziato solo allorché esso sia manchevole quanto alla sua ragionevolezza e comunque non abbia attinenza alla fattispecie concreta. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01623/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00866/2005 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 866 del 2005, proposto da:

Soc. Edera S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Oliviero Landi, ed elettivamente domiciliata presso lo stesso in Firenze, borgo San Lorenzo 3;

contro

Comune di Firenze, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Annalisa Minucci e Andrea Sansoni, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Firenze, c/o Ufficio Legale Comunale;

Comune di Firenze, in persona del Dirigente p.t. della Direz.Ufficio Speciale Condono Edilizio; Comune Firenze, in persona del Presidente p.t. della Commissione Edilizia Integrata;

per l'annullamento

del provvedimento dirigenziale n. 2005/DD/01242, n. 64/05 del 15.2.2005 di diniego parziale di sanatoria e di inizio del procedimento sanzionatorio ed atti presupposti, connessi e conseguenti tra cui i pareri della Commissione Edilizia Integrata (n. 655 del 14.10.1998 e n. 538 del 27.3.2003) e comunque di tutti quelli ivi richiamati, da intendersi qui interamente ritrascritti;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Firenze;

Viste le memorie difensive prodotte dalle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2011 il dott. Eleonora Di Santo e uditi per le parti i difensori F. B. Campagni delegato da O. Landi e G. Rogai delegata da A. Minucci;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. In data 30 aprile 1986 Prot. 7781/86, la Soc. Edera s.r.l., odierna ricorrente, presentava domanda di concessione edilizia in sanatoria composta dai modelli da D1 a D14 (Pos.S/31689), per la realizzazione di una serie di manufatti tutti dettagliatamente descritti nel rapporto dell’Ufficio Condono Edilizio in data del 17 giugno 2005 (trattasi, per lo più, di “box prefabbricati in lamiera ondulata” e di “tettoie con struttura portante in legno e copertura in ondulato plastico”).

Verificato che le opere di cui era stata chiesta la sanatoria ricadevano in zona soggetta al vincolo paesaggistico imposto con D.M. 28 ottobre 1958 (G.U. n° 278 del 28 ottobre 1958), veniva richiesta l’autorizzazione all’autorità preposta alla tutela del vincolo.

Con decisione n° 655 del 14 ottobre 1998 la Commissione Edilizia Integrata così si esprimeva: “esprime parere favorevole all’intervento individuato nella foto n° 1. Per tutti gli altri interventi esprime parere contrario rilevando alterazioni dello stato dei luoghi e pertanto gli stessi costituiscono danno ambientale”.

In data 29 marzo 1999 la Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici competente per territorio ratificava il parere della C.E.I..

Successivamente, in data 27 marzo 2003, la pratica veniva nuovamente sottoposta all’esame della C.E.I. che, con decisione n° 538, confermava il precedente parere, rilevando che “il manufatto rappresentato nella foto n. 1 in muratura intonacato e con copertura in cotto ha forma, dimensioni e materiali perfettamente compatibili con valori estetici e tradizionali tutelati; mentre i manufatti rappresentati nelle foto n. 2, 3 e 4 sono costituiti da pannelli e manti di copertura, alcuni ondulati, altri piani, alcuni in plastica, altri in metallo con le forme di tettoie e box che nulla hanno dei colori estetici e tradizionali tali da avere effetto deturpante l’esteriore aspetto dei luoghi che la legge vuole tutelati”.

Conseguentemente, in data 25 maggio 2004 (prot.23519/04) l’ Ufficio Condono Edilizio comunicava, ai sensi dell’art.8 della L.241/90, l’inizio del procedimento di diniego con riferimento alle opere per le quali era intervenuto il duplice parere contrario della Commissione edilizia Integrata, ovvero le opere di cui ai modelli ministeriali D3 (lettera a), D4 (lettera b), D5 (lettere a-b), D10 (lettere b-c-d-e-f), D11 (lettera a), D12 (lettere a-b-c-d-e-f-g-h-i-l-m), D13 (lettere a-b- c-d), D14 (lettere a-b-c-d).

Tale comunicazione veniva regolarmente notificata alla Soc. Edera s.r.l. ed al Sig. Giacomo Graziani in qualità di legale rappresentante della stessa, rispettivamente in data 16 luglio 2004 e 23 luglio 2004 .

Medio tempore, in data 14 settembre 2004, il Sig. Giacomo Graziani, in nome e per conto della Soc. Edera, presentava un progetto di miglioramento relativo ai predetti manufatti (numerato come progetto B 5099/2004), in base all’art. 198 del Regolamento Edilizio del Comune di Firenze.

Tuttavia, considerato che “la tipologia degli immobili oggetto del parere contrario della Commissione Edilizia Integrata (box prefabbricati in onduline metalliche e tettoie con struttura in legno e coperture varie) non consentiva alcun intervento assoggettabile all’art. 198 del Regolamento edilizio del Comune di Firenze”, in data 15 febbraio 2005 l’Ufficio Condono Edilizio emetteva il provvedimento di diniego parziale n° 64/05 Prot. 20 05/DD/01242.

Avverso il suindicato provvedimento, la società Edera s.r.l. ha, quindi, proposto il ricorso in esame.

2. Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta: violazione dei principi generali in materia di affidamento, dei principi in materia di pagamento delle sanzioni per violazioni ambientali, del principio di buona amministrazione, nonché eccesso di potere per difetto di motivazione, ed illogicità.

Sostiene che in virtù della richiesta di corresponsione dell’indennità risarcitoria da parte dell’Ufficio Condono e del successivo pagamento il 25 ottobre 2002 del relativo importo da parte della ricorrente, l’abuso sotto il profilo ambientale dovrebbe ritenersi sanato ed illegittimo dovrebbe considerarsi il diniego di sanatoria che non terrebbe conto della già intervenuta regolarizzazione e che si baserebbe sulla violazione di norme a tutela dell’ambiente; e quand’anche l’Amministrazione avesse inteso esercitare un potere di autotutela annullando il provvedimento sanante insito nella richiesta e nel pagamento dell’indennità, avrebbe dovuto dare comunicazione di avvio del relativo procedimento di secondo grado, e, comunque, motivare sull’interesse pubblico all’annullamento dell’atto, avuto anche riguardo al tempo trascorso.

La censura è infondata.

E’ sì vero che, essendo la funzione della sanzione pecuniaria di cui all'art. 15 l. 29 giugno 1939 n. 1947 non meramente repressiva della condotta nell'autore del illecito, ma ripristinatoria dei valori giuridici offesi dalla condotta illecita, la condanna al pagamento di tale sanzione,”equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito”, è eventuale ed alternativa alla demolizione e può essere adottata solo dopo una valutazione effettuata dall'amministrazione "nell'interesse della protezione delle bellezze naturali e panoramiche".

Peraltro, il principio – che è jus receptum– di autonomia della violazione paesaggistica rispetto all’illecito edilizio, e dei correlati procedimenti amministrativi, esclude qualsiasi interferenza, nei sensi invocati dalla ricorrente, tra i due procedimenti, e, quindi, che l’erronea richiesta di pagamento della sanzione pecuniaria ex art. 15 cit., cui sia seguita la corresponsione a tale titolo della somma richiesta – come avvenuto nel caso di specie – quale che sia la valenza che a tale richiesta si voglia attribuire, possa inficiare la validità dell’ordine di demolizione successivamente emesso in relazione a quelle stesse opere abusive per la realizzazione delle quali era stato richiesto il pagamento della suindicata sanzione pecuniaria.

L’autonomia dei due procedimenti esclude, altresì, che la richiesta di corresponsione della sanzione pecuniaria in argomento ed il successivo pagamento del relativo importo possano aver consolidato una vera e propria aspettativa sull’esito favorevole del condono.

Non può, inoltre, non rilevarsi il breve lasso di tempo intercorso tra la richiesta di pagamento dell’importo relativo alla sanzione ex art. 15 cit. e la comunicazione di inizio del procedimento di diniego di sanatoria (25 ottobre 2002 – 25 maggio 2004), che sarebbe, comunque, inidoneo ad ingenerare un qualsivoglia affidamento nella responsabile degli abusi sulla sanabilità delle opere.

A riguardo, infatti, la giurisprudenza ha ripetuta temente chiarito che “per definizione non può considerarsi legittimo l’affidamento derivante dalla realizzazione di un abuso soggettivamente qualificato; e che, in ogni caso, alla stregua di un indirizzo giurisprudenziale anch’esso costante, l’esercizio del potere di controllo e sanzionatorio della p.a. in materia urbanistico-edilizia e paesistica non è soggetto a prescrizione. Ne consegue che l’accertamento dell’illecito amministrativo paesistico e l’applicazione della relativa sanzione, così come la verifica in sede di condono della ricorrenza di un profilo preclusivo di incompatibilità, può intervenire anche dopo il decorso di un rilevante lasso temporale dalla consumazione dell’abuso, al quale deve riconoscersi natura permanente sino al conseguimento del titolo autorizzatorio (Cons. Stato, Sez. VI, 15 novembre 2004, n. 7405)” (così Cons. di Stato, sez. VI, 10 febbraio 2006, n. 528).

Con il secondo motivo di ricorso la Soc. Edera deduce : violazione dei principi generali in materia di affidamento, del principio di buona amministrazione, nonché della circolare ministeriale in tema di condono del 17 giugno 1995; eccesso di potere per perplessità, errore, difetto del presupposto e di istruttoria; contraddittorietà ed illogicità manifesta.

In particolare la Società ricorrente deduce:

- in primo luogo, carenza di presupposti in ordine al danno ambientale posto a fondamento del provvedimento impugnato, in quanto, tenuto conto del tenore del parere espresso dalla C.E.I. nella seduta del 1993 (rectius: 2003), dovrebbe dedursi che se i manufatti di cui è causa fossero stati realizzati con materiali e colori uguali a quelli del manufatto assentito, anche tali manufatti sarebbero stati oggetto di assenso e conseguentemente condonati; e, pertanto, l’amministrazione non avrebbe dovuto negare il condono, ma impartire le prescrizioni relative all’uso di (materiali se del caso e) colori per il corretto inserimento nell’ambiente dei manufatti in questione;

- in secondo luogo, carenza di motivazione del contestato diniego e degli atti su cui si fonda, atteso che conterrebbero una motivazione apodittica e laconica del tutto inidonea a sorreggerli.

Le censure non possono essere condivise.

Invero, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, la relatività del vincolo di inedificabilità di cui alla L. 1497/1939 e 431/1985 non comporta un obbligo di analitica motivazione del diniego di autorizzazione ambientale, obbligo che sussiste, viceversa, per il rilascio dell’autorizzazione nonostante il vincolo. Questo anche perché il parere negativo in ordine alla sanatoria di opere eseguite su aree tutelate costituisce espressione di discrezionalità tecnica, incensurabile nel merito con la conseguenza che il giudizio può risultare viziato solo allorché esso sia manchevole quanto alla sua ragionevolezza e comunque non abbia attinenza alla fattispecie concreta (cfr., ex multis, TAR Toscana, sez. III 17 gennaio 2000 n. 7).

Peraltro, nel caso di specie, nell’esprimere il proprio parere negativo, nella seduta del 23 marzo 2003, la C.E.I. ha motivato il proprio avviso facendo espresso riferimento alle caratteristiche tipologiche, strutturali, architettoniche e all’uso dei materiali impiegati, che, a prescindere dall’entità delle opere, determinano un impatto negativo con l’ambiente circostante.

Si tratta, quindi, di un parere sulle opere abusive di cui si controverte, motivato in termini che, per quanto sintetici, risultano del tutto chiari e univoci e non evidenzia, anche alla luce della documentazione fotografica prodotta, profili di travisamento o palese illogicità della valutazione, insindacabile nel merito.

Né l'amministrazione, in luogo del rigetto dell'istanza, era tenuta ad indicare all'interessata le modifiche da apportare al fine di rendere le opere compatibili con il contesto tutelato.

Come affermato dalla consolidata giurisprudenza non sussiste alcun obbligo in capo all'amministrazione di imporre prescrizioni per rendere l'abuso esteticamente compatibile con l'area tutelata in quanto tale finalità non rientra nei compiti d'istituto, dovendo l'amministrazione limitarsi a valutare il contenuto della domanda di sanatoria allo scopo di accertarne la compatibilità paesaggistica e non già per suggerire attività ulteriori volte a legalizzare comportamenti "contra legem" (cfr. Cons. St., sez. VI, 15 giugno 2009, n. 3806).

Con il terzo motivo di ricorso la Soc. Edera lamenta la violazione ed errata applicazione dell’art. 32 L.47/85, e dell’art.198 del Regolamento edilizio, nonché eccesso di potere per difetto dei presupposti.

La ricorrente sostiene che il Comune di Firenze avrebbe dovuto applicare l’art. 198 del Regolamento edilizio al caso di specie, atteso che dalla realizzazione del progetto di miglioramento negato, lungi dal potersi verificare ogni“alterazione sostanziale” dei valori paesaggistici implicati, si sarebbe ottenuto un risultato di armonico inserimento dei manufatti nell’ambiente, sulla base proprio delle caratteristiche ritenute idonee dall’amministrazione con il rilascio del condono (parziale); in ogni caso, la struttura sarebbe rimasta sostanzialmente la medesima (salve le possibili prescrizioni da impartire) e sarebbero stati modificati quegli elementi di tipo estetico che non consentivano, nell’ottica del provvedimento impugnato, l’inserimento nell’ambiente.

Anche tale censura è priva di pregio.

La procedura prevista dall’art. 198.7 del Regolamento Edilizio, invocato dalla ricorrente, ha una portata del tutto eccezionale e, quindi, limitata alle ipotesi ivi tassativamente previste.

Trattasi, infatti, di una disciplina che è stata introdotta con le deliberazioni comunali nn. 346/2000 e 214/2001 e che prevede i seguenti necessari requisiti:

- deve trattarsi di manufatti oggetto di condono edilizio posti in area soggetta al vincolo paesaggistico per i quali sussista il parere contrario dell’Autorità competente all’espressione del parere ambientale;

- occorre che la motivazione del predetto parere contrario si fondi su “motivi non sostanziali e comunque modificabili senza alterazioni sostanziali della struttura oggetto di condono”;

- è necessaria l’iniziativa del soggetto competente al rilascio dell’atto di sanatoria volta a consentire la proposizione - da parte dell’interessato - di interventi di adeguamento finalizzati a superare i motivi ostativi individuati dai competenti organi;

- risulta condizione indispensabile per il rilascio della sanatoria la valutazione positiva del progetto di adeguamento da parte dei medesimi organismi che hanno espresso il precedente parere sul vincolo paesaggistico, e la realizzazione degli interventi di adeguamento è condizione indispensabile per il rilascio della sanatoria.

In altre parole, ai sensi della predetta disposizione, a seguito dell’espressione del parere contrario da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, si può aprire una fase partecipativa nella quale gli interessati possono proporre degli interventi da realizzare sul manufatto abusivo al fine di rimuovere i motivi ostativi al rilascio della concessione edilizia, purchè - da una

parte - i motivi della valutazione contrario non siano di carattere sostanziale, e - dall’altra - gli eventuali interventi di adeguamento non consistano in alterazioni sostanziali della struttura dei manufatti oggetto della domanda di condono.

Nel caso di specie, gli interventi volti a trasformare i box prefabbricati in onduline metalliche e tettoie con struttura in legno nella tipologia di manufatto che la CEI ha ritenuto armonizzarsi con i valori estetici e tradizionali che la legge vuole tutelare, avrebbe senza dubbio implicato un’alterazione sostanziale della struttura abusiva, il che è espressamente vietato dalla norma invocata dalla ricorrente.

Nel provvedimento di diniego, infatti, si precisa espressamente “vista la tipologia edilizia degli immobili oggetto del parere contrario della Commissione edilizia Integrata (box prefabbricati in onduline metalliche e tettoie con strutture in legno e coperture varie), che non consente alcun intervento assoggettabile all’art.198 del regolamento edilizio (che non prevede “alterazioni sostanziali della struttura oggetto di condono”)”, evidenziando chiaramente quale sia la motivazione della non applicabilità dell’art. 198 del regolamento edilizio comunale.

Se si considera che i manufatti in questione non potevano subire interventi di adeguamento finalizzati a rimuovere le cause ostative al rilascio della concessione in sanatoria, senza essere completamente demoliti e ricostruiti con strutture edilizie e materiali diversi da quelli attuali, appare evidente che, del tutto correttamente, il Comune di Firenze ha adottato il provvedimento di diniego di condono di cui trattasi, ritenendo che non potesse essere applicata la suindicata normativa regolamentare.

3. Il ricorso risulta, pertanto, infondato in tutte le sue articolazioni e va, quindi, respinto.

4. Quanto alle spese di giudizio, le stesse seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente a rifondere all’Amministrazione resistente le spese di lite, che liquida nella complessiva somma di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Angela Radesi, Presidente

Eleonora Di Santo, Consigliere, Estensore

Silvio Lomazzi, Primo Referendario

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/10/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)