TAR Toscana Sez. III n. 1624 del 16 ottobre 2012.
Beni ambientali. Traliccio per diffusione radio-televisiva e tutela dei beni ambientali, paesaggistici, urbanistici ed edilizi.

Anche se la legge 223/1990 (c.d. legge Mammì) ha attribuito alla diffusione radio-televisiva“carattere di preminente interesse generale” (art.1), mai ha stabilito che tale interesse debba prevalere su tutti gli altri interessi pubblici astrattamente coinvolti, ivi compreso quello alla tutela dei beni ambientali, paesaggistici, urbanistici ed edilizi. Né depone in tal senso la previsione di cui all’art.4 della citata L.223/90, che nell’attribuire alla relativa concessione ministeriale valenza di dichiarazione di pubblica utilità per la realizzazione delle opere connesse, lo fa unicamente allo scopo di consentire all’amministrazione la possibilità di espropriare i terreni individuati come i più idonei all’istallazione del ripetitore e non certo ad altri scopi. E, pertanto, il rilascio della relativa concessione edilizia deve comunque avvenire in armonia con le norme generali di natura urbanistica e di protezione dell’ambiente.
Secondo consolidata giurisprudenza (formatasi in costanza dei referenti normativi vigenti all’epoca della adozione del provvedimento impugnato), la verifica concernente la sussistenza dei presupposti atti a rendere obbligatoria l’acquisizione del titolo concessorio, ai fini della legittima realizzazione di un traliccio porta antenna, è incentrata sulla valutazione dell’impatto estetico, ambientale e funzionale alla stessa ascrivibile: in tale ottica, la doverosità del previo conseguimento della concessione edilizia è stata affermata, ad esempio, con riguardo all’ipotesi di antenna alta quindici metri ovvero di opera complessa, composta da “tre antenne, la più alta delle quali misura otto metri, e da un box metallico che misura 7 mq. per un’altezza di circa 3 metri”. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01624/2012 REG.PROV.COLL.

N. 01657/1996 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1657 del 1996, proposto da:

Soc. R.T.M. Ripetitori Televisivi Montagni S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Felice Vaccaro, ed elettivamente domiciliata presso lo stesso in Firenze, via dei Servi 44;

contro

Comune di Bagno a Ripoli, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Leonardo Lascialfari e Silvia Ragionieri, ed elettivamente domiciliato presso il primo in Firenze, via Goro Dati 9;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:

Soc. R.T.I. Reti Televisive Italiane S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Felice Vaccaro e Aldo Bonomo, ed elettivamente domiciliata presso il primo in Firenze, via dei Servi 44;

per l'annullamento

dell'ordinanza-diffida n. 128/96 del Sindaco pro tempore del Comune di Bagno a Ripoli, notificata a Ripetitori Televisivi Montagni (R.T.M.) s.r.l. il 5.3.1996, a demolire, con riconduzione in pristino, entro novanta giorni dalla notifica, con avviso di demolizione d’ufficio, in caso di inottemperanza, un locale tecnico per ripetitore e un ripetitore, insistenti su area vincolata ex L. 1497/1939, nonché del contestuale diniego di sanatoria emesso, ex art. 32 della legge n. 47/1985, sulla base del parere contrario 23.11.1995 espresso da parte della C.E.I., che aveva ritenuto che l'intervento costituisse grave danno ambientale, in quanto sito all'interno di resede di edificio di notevole valore storico ambientale e per l'impatto negativo per le sue dimensioni e morfologia;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bagno a Ripoli;

Visto l’atto di intervento ad adiuvandum della società R.T.I. s.p.a.;

Viste le memorie difensive delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2011 il dott. Eleonora Di Santo e uditi per le parti i difensori L. Pravisani delegata da F. Vaccaro e A. M. Gullo delegata da L. Lascialfari;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. La Società R.T.M. Ripetitori Televisivi Montagni s.r.l., odierna ricorrente, premette di essere succeduta all’inizio degli anni ’80 all’emittente televisiva Rete A s.r.l. nella proprietà sia di un “box per alloggio di impianti di trasmissione”, che del “relativo traliccio”, insistenti “in un terreno in località Incontro di proprietà della Provincia Toscana di S. Francesco, di Firenze, affittato alla ditta Telegest di Siena che, nel corso del tempo, a propria volta, previo consenso del Convento stesso, ne aveva concesso l’uso di una ristretta porzione alla ricorrente, verso il consenso a tenere apparati della medesima Telegest od autorizzati da questa sul suo traliccio e nel box, con atto 29.12.1983”.

Aggiunge di aver provveduto, quindi, a presentare, il 26 marzo 1986, istanza di condono prot. n. 980 ex legge n. 47/85, per i suindicati manufatti, che non hanno mai subito modifiche dal tempo dell’acquisto; “vi trasmettono, da allora e comunque da epoca precedente al 2.8.1990 (data di entrata in vigore della L. n. 2231990)”, tra le altre, “le emittenti private nazionali, con segno distintivo Italia Uno e Rete4, di proprietà R.T.I. …titolare di concessione, come risulta dal decreto del Ministro P.T. 13.8.1992”, e, precisa, per tali emittenti “quel luogo è insostituibile per irradiare nell’area di Firenze, che è il naturale bacino illuminato dal colle Incontro”.

Con il ricorso in esame, ha, quindi, impugnato l'ordinanza n° 128 del 23 febbraio 1996, notificata anche all'Ente proprietario del terreno (“Provincia Toscana di San Francesco Stimmatizato”), con cui è stato negato il rilascio della concessione edilizia a sanatoria ex L. 47/1985, richiesta dalla stessa Società il 26 marzo 1986 prot. n. 980, ed è stata diffidata quest’ultima, unitamente all’Ente proprietario del terreno, a demolire le opere abusive non ammesse alla regolarizzazione, finalizzate alla irradiazione di trasmissioni via etere di varie emittenti private e consistenti in un locale tecnico per ripetitore e in un ripetitore.

Il diniego di condono è stato emesso sulla base del parere della Commissione Edilizia Integrata di incompatibilità delle opere con il vincolo paesaggistico di cui alla legge 1497/1939 al quale è assoggettata la zona (il crinale di un colle). In particolare, la Commissione Edilizia Integrata ha ritenuto che "l'intervento costituisce grave danno ambientale sia per la localizzazione all'interno del resede di edificio di notevole valore storico-ambientale sia per la dimensione e morfologia che crea impatto altamente negativo nell'ambiente circostante".

Sulla scorta di tale parere negativo, il Sindaco ha respinto la domanda di condono e, ai sensi dell'articolo 9, L. 47/1985, ha diffidato la società istante a demolire le opere abusive.

2. Con atto notificato il 31 maggio 1996, e depositato il 19 giugno successivo, è intervenuta ad adiuvandum la società R.T.I. Reti Televisive Italiane s.p.a., in qualità di titolare di concessione a telediffondere per le emittenti Italia Uno e Rete 4, esercenti due impianti di trasmissione sui canali 58 e 62 UHF nel sito, in località Colle Incontro, in cui insiste la postazione oggetto del ricorso in esame.

3. Deve essere accolta l’eccezione di inammissibilità dell’atto di intervento – sollevata dall’amministrazione comunale resistente - con conseguente estromissione dal giudizio della società interveniente R.T.I. s.p.a., sia perché la stessa assume, senza dimostrarlo, di avere titolo a posizionare apparati di trasmissione sui canali 58 e 62 UHF sul traliccio per cui è causa, gestito dalla Società ricorrente, sia per indeterminatezza e genericità dell’atto di intervento.

4. Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo di ricorso ("Violazione di legge: art. 2 D.P.R. 156/1973; 16 - 18 L. 223/1990; art. 1 L. 422/1993”), la ricorrente sostiene che l' ordinanza di demolizione sarebbe, nella sostanza, viziata da incompetenza perché la demolizione di impianti di teleradiodiffusione potrebbe essere disposta solo dal Ministro delle Poste.

La censura è infondata.

Il Sindaco con l'atto in questione non è intervenuto nella materia radiotelevisiva, bensì, in applicazione dei poteri e doveri conferitigli dalla legge 47/1985, ha inteso perseguire un abuso edilizio. Né alcuna delle disposizioni che si presumono violate prevede alcuna deroga al regime sanzionatorio degli abusi edilizi, ovvero al normale regime di riparto di attribuzioni, attribuendo al Ministro delle Poste poteri in materia di edilizia ed urbanistica, con correlate preclusioni per il Sindaco nella stessa materia.

Con il secondo motivo di ricorso ("Violazione art. 4 L. 223/1990.") la ricorrente sostiene di avere titolo alla prosecuzione dell'attività facendo riferimento all'articolo 4 della legge Mammì, che attribuisce al concessionario exarticolo 16 il diritto di richiedere al Comune il rilascio della necessaria concessione edilizia, che sembrerebbe configurarsi, secondo le prospettazioni ricorsuali, quasi come atto dovuto.

La doglianza è inammissibile per carenza di interesse, in quanto la Società ricorrente non risulta titolare della concessione di cui all’art. 16, e, quindi, comunque non potrebbe invocare l’applicazione della suindicata disposizione.

In ogni caso, la censura sarebbe priva di fondamento, non potendosi far discendere dall’invocato art. 4, per le considerazioni di cui infra, le conseguenze volute dalla ricorrente.

Nel caso di specie, il diniego di sanatoria è stato emanato per incompatibilità dei manufatti per cui è causa con la tutela dei beni ambientali e paesaggistici.

Ciò in quanto, se è pur vero che la legge 223/1990 (c.d. legge Mammì) ha attribuito alla diffusione radio-televisiva“carattere di preminente interesse generale” (art.1), mai ha stabilito che tale interesse debba prevalere su tutti gli altri interessi pubblici astrattamente coinvolti, ivi compreso quello alla tutela dei beni ambientali, paesaggistici, urbanistici ed edilizi.

Né depone in tal senso la previsione di cui all’art.4 della citata L.223/90, che nell’attribuire alla relativa concessione ministeriale valenza di dichiarazione di pubblica utilità per la realizzazione delle opere connesse, lo fa unicamente allo scopo di consentire all’amministrazione la possibilità di espropriare i terreni individuati come i più idonei all’istallazione del ripetitore e non certo ad altri scopi. E, pertanto, il rilascio della relativa concessione edilizia deve comunque avvenire in armonia con le norme generali di natura urbanistica e di protezione dell’ambiente (cfr., T.A.R. Umbria, n. 116/2001).

Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, nel caso di specie era necessario che l’amministrazione valutasse se l’opera eseguita, di cui era stata richiesta la sanatoria, contrastasse con il valore estetico del luogo nel quale questa era stata abusivamente realizzata, e, quindi, se provocasse un’alterazione con conseguente danno all’interesse pubblico preposto al mantenimento dello stato dei luoghi gravati dal vincolo de quo.

Con il terzo motivo di ricorso ("Violazione di legge: art. 8 primo comma, art. 10 L. 47/1985.") e con il quarto ("Violazione art. 1 L. n. 10/1977; art. 7 L. n. 47/85.") la ricorrente sostiene che il Sindaco avrebbe errato nell'ordinare la demolizione perchè, per le opere in questione, non sarebbe necessaria la concessione edilizia e, quindi, non potrebbe essere imposta tale sanzione.

Le censure non possono essere condivise.

Secondo consolidata giurisprudenza (formatasi in costanza dei referenti normativi vigenti all’epoca della adozione del provvedimento impugnato, che sono quelli indicati in rubrica), la verifica concernente la sussistenza dei presupposti atti a rendere obbligatoria l’acquisizione del titolo concessorio, ai fini della legittima realizzazione di un traliccio porta antenna, è incentrata sulla valutazione dell’impatto estetico, ambientale e funzionale alla stessa ascrivibile: in tale ottica, la doverosità del previo conseguimento della concessione edilizia è stata affermata, ad esempio, con riguardo all’ipotesi di antenna alta quindici metri (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4391 del 30 luglio 2003) ovvero di opera complessa, composta da “tre antenne, la più alta delle quali misura otto metri, e da un box metallico che misura 7 mq. per un’altezza di circa 3 metri” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3265 del 10 giugno 2003).

Nella fattispecie, pertanto, tenuto conto che il traliccio, come asserito dalla stessa ricorrente, è alto ben 14 metri, è indubbio che le opere abbiano una rilevanza sotto il profilo urbanistico-edilizio tale da richiedere il rilascio della concessione edilizia.

Né le opere in questione, stanti la loro autonomia funzionale – non potendo certo dirsi asservite al Convento dei Frati all’interno del cui terreno insistono - e consistenza materiale, possono ricomprendersi tra quelle accessorie per le quali è sufficiente l’autorizzazione edilizia ex art. 8 della L. 47/1985 (e prima ex art. 7, L. 94/1982). Tali opere, infatti, sono soltanto quelle che, per consistenza, destinazione e caratteristiche, sono accessorie rispetto al fabbricato principale.

Con il quinto motivo di ricorso ("Vizio di violazione di legge: art. 31 L. n. 47/1985.") la ricorrente deduce la violazione della norma in rubrica, in quanto le opere per cui è causa sono state realizzate prima del 1983 (circostanza, peraltro, pacifica).

La censura è inconferente.

Infatti, nel sistema delineato dagli artt. 31 e ss. della legge n. 47/1985, il parere negativo formulato dall’autorità preposta alla tutela di un vincolo d’inedificabilità (nella specie, di un vincolo paesaggistico) ha valore vincolante nel procedimento di condono edilizio, impedendo definitivamente il rilascio della concessione edilizia in sanatoria.

E, nel caso in esame, il condono è stato negato proprio perché la Commissione Edilizia Integrata ha dato parere negativo circa le compatibilità dell'opera con il vincolo paesaggistico ex lege 1497/1939 cui è assoggettata la zona.

Con il sesto motivo di ricorso ("Vizio di carenza di motivazione e di eccesso di potere per contraddittorietà – Errore di fatto – travisamento dei fatti.”) la ricorrente contesta il diniego, e il presupposto parere della C.E.I., sostenendo che il traliccio oggetto dell’impugnata ordinanza di demolizione sarebbe, “in assoluto, di modeste dimensioni e di altezza di soli mt. 14” , e ciò sarebbe viepiù evidente se posto in raffronto con gli altri esistenti in quella stessa area all’interno del Convento in località Incontro, molto più imponenti ed ingombranti; che il suindicato parere negativo sarebbe in contraddizione con altro precedentemente reso dove non sarebbe stata menzionata la necessità di demolire; che nell’ordinanza impugnata mancherebbe una compiuta determinazione ed individuazione dell’area asseritamente vincolata.

La censura non ha pregio.

Il parere della C.E.I., come emerge dalla esposizione in fatto, è motivato in termini che, per quanto sintetici, risultano del tutto chiari e univoci e non evidenzia, anche alla luce della documentazione fotografica prodotta, profili di travisamento o palese illogicità della valutazione, insindacabile nel merito, compiuta dalla C.E.I.. Dalla motivazione del parere si evince l’avvenuto accertamento della esistenza di un impatto negativo sull’ambiente protetto dei manufatti in questione. E l’Amministrazione comunale ha recepito tale giudizio di disvalore che, stanti le caratteristiche strutturali delle opere, non può considerarsi privo di una sua puntuale e logica giustificazione.

Né vale sostenere che la situazione della zona era ormai compromessa dalla presenza di numerose altre opere simili a quelle di cui si controverte, e di dimensioni anche più cospicue, essendo facile replicare che l’esistenza di una situazione di compromissione delle bellezze naturali ad opere di preesistenti realizzazioni non impedisce ed anzi maggiormente richiede per la legittimità dell’azione amministrativa che ulteriori costruzioni arrechino ulteriori danni all’ambiente protetto.

Così come non può fondatamente sostenersi che il Comune, contraddittoriamente, non avrebbe sanzionato la realizzazione delle suindicate opere simili a quella di cui si controverte.

Infatti, l’amministrazione comunale, che – come evidenziato dalla stessa nei propri scritti difensivi, e non contestato dalla ricorrente – sin dal 1983 ha svolto nel sito di cui si discute un’azione repressiva, nella stessa data in cui è stata emessa l’ordinanza impugnata, vista, evidentemente, l’omogeneità delle opere e la loro contiguità, ha emesso ulteriori dinieghi di condono afferenti opere simili a quelle per cui è causa insistenti nella stessa area (ordinanza nn. 122, 123, 124, 125, 126, 127/1996), impugnate con ricorso R.G. n. 1814/1996 a questo Tribunale.

Né, ai fini della legittimità dell’impugnato diniego di condono, rileva la nota prot. n. 12994 del 31 marzo 1995, con cui il Comune di Bagno a Ripoli ha comunicato alla Società ricorrente il precedente parere reso dalla C.E.I., rispetto a quello posto a fondamento del provvedimento impugnato. Si tratta, infatti, di un parere meramente interlocutorio, ancorchè già orientato in termini chiaramente negativi, e, pertanto, ove fosse stato formalizzato in via definitiva – come è, poi, avvenuto con il parere reso il 23 novembre 1995, su cui si fonda il provvedimento impugnato - non avrebbe che potuto comportare la demolizione delle opere cui si riferisce, determinanti una trasformazione del territorio tale da necessitare, come si è detto, del rilascio della concessione edilizia.

Quanto, infine, all’ultimo profilo di doglianza, va rilevato che è documentalmente dimostrato (cfr. doc. sub 9 della produzione dell’amministrazione comunale) che l’area su cui insistono i manufatti di cui si controverte è vincolata dal punto di vista paesaggistico.

5. Il ricorso va, pertanto, respinto.

6. Quanto alle spese di giudizio, le stesse seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) estromette dal giudizio la società R.T.I. s.p.a. interveniente, e respinge il ricorso, come in epigrafe proposto.

Condanna la ricorrente a rifondere all’amministrazione comunale resistente le spese di lite che liquida nella complessiva somma di euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Angela Radesi, Presidente

Eleonora Di Santo, Consigliere, Estensore

Silvio Lomazzi, Primo Referendario

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/10/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)