Cass. Sez. III n. 40560 del 5 novembre 2024 (CC 25 set 2024)
Pres. Ramacci Rel. Vergine Ric. Saffiotti
Beni culturali.Proprietà privata e statale

I beni culturali ovunque essi si trovino, sia che siano già stati oggetto di ritrovamento oppure no, appartengono allo Stato. Il privato che affermi al contrario il proprio diritto di proprietà su tali beni può soltanto eccepire che i beni stessi sono stati acquisiti in proprietà privata prima del 1909 ovvero far valere una delle ipotesi in cui la legge statale consente che i beni stessi ricadano in proprietà di privati. In tutte tali ipotesi l'onere di fornire la prova di quanto eccepito grava sul privato.

RITENUTO IN FATTO 

1. Con ordinanza del 4 aprile 2024 il giudice per le indagini presso il Tribunale di Palmi, in funzione di giudice dell’esecuzione, decidendo sulla istanza di opposizione alla confisca (così riqualificato il ricorso per cassazione proposto dagli indagati, odierni ricorrenti, avverso il rigetto dell’istanza di restituzione dei beni confiscati con provvedimento del giudice per le indagini preliminari del 17 luglio 2018 in una con il decreto di archiviazione del procedimento pendente a loro carico) rigettava l’opposizione.

2. Saffioti e Punturiero hanno interposto, a mezzo di difensore di fiducia, tempestivo ricorso affidandolo a quattro motivi.
Il ricorso ripercorre in via preliminare le tappe salienti dell’iter procedimentale come di seguito.
Con decreto del 17 luglio 2018 il giudice per le indagini preliminari di Palmi disponeva l’archiviazione del procedimento penale iscritto a carico degli odierni ricorrenti, con contestuale restituzione degli atti al pubblico ministero e, quanto  ai beni oggetto di sequestro –come indicati nel verbale del 15 maggio 2017- disponeva confisca e devoluzione allo Stato, in ragione dell’asserita rilevanza storica, artistica e culturale degli stessi. 
Gli indagati proponevano incidente di esecuzione con atto depositato il 9 febbraio 2021.
Con provvedimento del 16 marzo 2021 –depositato il 9 novembre 2022 e comunicato al difensore e al Comando di Polizia Municipale di Palmi il 22 novembre 2022- il giudice dell’esecuzione disponeva il dissequestro di quanto indicato nell’istanza; l’esecuzione del provvedimento veniva differita alla sua definitività, facendola decorrere dal quindicesimo giorno dal deposito. 
Il 29 novembre 2022 il Comando di Polizia Municipale di Palmi depositava nota di richiesta di chiarimenti al giudice.
Nelle more della decisione di questi, il 14 dicembre 2022, il provvedimento del 16 marzo 2021, divenuto definitivo, veniva eseguito.
Il giudice dell’esecuzione rispondeva alla nota di chiarimenti successivamente, il 22 dicembre 2022: «ad integrazione di quanto disposto con provvedimento del 16 marzo 2021 [...] ferma restando la confisca dei beni indicati ai nn da 1 a 5 del verbale di sequestro, si proceda alla restituzione alla istanze dei beni di cui ai punti da 6 a 9 del verbale di sequestro, previa revoca della confisca».
Interposto ricorso per cassazione, riqualificato da questa Corte quale incidente di esecuzione, il giudice dell’esecuzione pronunciava, all’esito dell’udienza del 26 marzo 2024, il provvedimento del 4 aprile 2024 oggi impugnato.
2.1. Col primo motivo si lamenta violazione di cui all’art. 606, comma 1, lett b), c) ed e), in relazione agli artt. 666, comma 6, 125 cod.proc.pen. e art. 174 D.lgs n 42/2004 -irritualità del sequestro.
Il provvedimento di dissequestro dei beni del 16 marzo 2021, depositato il 9 novembre 2022, comunicato al difensore di fiducia degli istanti il 22 novembre 2022 ed ai Carabinieri del Nucleo Culturale di Cosenza il 24 novembre 2022, non impugnato, divenuto definitivo, è stato eseguito il 14 dicembre 2022.
La richiesta di chiarimenti da parte dei Carabinieri del Nucleo Culturale di Cosenza non può ritenersi opposizione, tecnicamente formulabile solo con ricorso per cassazione.
Il provvedimento del giudice dell’esecuzione del 22 dicembre 2022 è illegittimo, configurandosi quale ulteriore e nuovo provvedimento di sequestro, intervenuto dopo il precedente dissequestro divenuto irrevocabile. 
Il provvedimento oggi impugnato, a integrale conferma delle statuizioni contenute nel provvedimento del 29 novembre 2022 (dovrebbe intendersi 22 dicembre n.d.r.), così come quello reso dal giudice per le indagini preliminari in risposta alla richiesta di chiarimenti da parte della polizia giudiziaria che doveva eseguire il dissequestro, è abnorme ed illegittimo “nella misura in cui pone effetti modificativi di un provvedimento mai impugnato, definitivo e regolarmente eseguito, ossia l’ordine di dissequestro del 16 marzo 2021”.
Ne invoca, pertanto, l’annullamento.
2.2. Col secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett b), c) ed e) cod.proc.pen., in relazione agli artt. 666, comma 6, 125 cod.proc.pen. in relazione agli artt 174, comma 3, e 176 d.lgs.n. 42/2004 , all’art. 518-bis e 240, comma 2, cod.pen..
La confisca originariamente si fondava, essenzialmente, sull’applicazione dell’art.174 d.lgs. n. 42/2004, che prevedeva l’ipotesi di reato di illecito trasferimento all’estero di beni di interesse artistico, storico, culturale. Tale norma, abrogata con l’art. 5, comma 2, lett b, L n. 22/2022, prevedeva quale sanzione accessoria la confisca dei beni oggetto del reato, demandandone l’applicazione al giudice anche a prescindere dall’accertamento della responsabilità penale dell’imputato (sulla obbligatorietà della confisca la difesa cita Cassazione, n. 42458 del 2015).
Gli indagati rispondevano di ricettazione, e non del reato di cui all’art. 174 d.lgs.n. 42/2004, peraltro abrogato a far data dal 2022, tant’è che il giudice per le indagini preliminari -con provvedimento del 16 marzo 2021- aveva disposto il dissequestro.
Il provvedimento impugnato, a sostanziale conferma delle statuizioni contenute nel provvedimento del 29 novembre 2022 (deve intendersi 22 dicembre n.d.r.), realizza un’irrituale, illegittima ed arbitraria integrazione in peius del precedente provvedimento, già oggetto di ricorso per cassazione. 
Sancito il principio di presunzione di proprietà statale di tutti i beni aventi carattere storico, artistico, culturale, archeologico, demo-etno-antropologico sulla scorta di rassegna normativa e giurisprudenziale; attestato un non meglio specificato onere, ricadente sui ricorrenti, relativo alla dimostrazione dei presupposti che sarebbero idonei a dimostrare la legittimità del possesso dei beni in questione, senza indicare in quale fase gli stessi avrebbero dovuto assolverlo, e senza che gli istanti abbiano potuto dimostrare alcunchè in proposito, il provvedimento si palesa assolutamente illegittimo, financo abnorme: 
l'art. 174 d.lgs.n. 42/2004, abrogato, confluito nell’art. 518-bis cod.pen., non può trovare applicazione;
l'art. 518-bis cod.pen. mai è stato invocato e non è corredato da ipotesi di confisca obbligatoria se non quella, residuale, di cui all’art. 240, comma 2, cod.pen. (invocata quest’ultima dal pubblico ministero solo in occasione dell’udienza camerale del 26 marzo 2024, conseguente all’incidente di esecuzione realizzato a seguito del primo ricorso per cassazione);
i beni oggetto di interesse non sono stati oggetto di impossessamento da parte dei ricorrenti, ma sono giunti nella loro disponibilità insieme alla casa in cui vivono ove sono stati collocati nella prima metà del secolo scorso dal prozio che ne venne in possesso in modo del tutto legittimo; l’illecito di cui all’art. 518-bis cod.pen. - che punisce chiunque si impossessa di beni culturali appartenenti allo Stato in quanto rinvenuti nel sottosuolo o nei fondali marini- non può, dunque, configurarsi;
in difetto della configurabilità di un reato neppure può ritenersi operativa la confisca obbligatoria di cui all’art. 240 cod.pen., posto che la mera detenzione di tali beni non configura ipotesi penalmente rilevante. 
Invoca, pertanto, l’annullamento del provvedimento anche per questo motivo.
2.3. Col terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett b) ed e) cod.proc.pen. in relazione agli artt. da 10 a 17 d.lgs. 42/2004 - assenza dichiarazione di interesse culturale dei beni – assenza di legittimazione alla confisca.
Ribadita l’impossibilità di disporre la confisca obbligatoria per le argomentazioni sopra svolte, assume la difesa il difetto della dichiarazione di interesse culturale dei beni; il mancato avviamento della procedura a tal fine necessaria; l’impossibilità di esercizio di tale potere da parte del giudice dell’esecuzione.
2.4. Col quarto motivo si lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett b, c) ed e) cod.proc.pen., in relazione all’art. 240 cod.pen. - irritualità/illegittimità della confisca.
Il provvedimento del giudice dell’esecuzione del 16 marzo 2021, mai impugnato, è divenuto definitivo.
Il provvedimento oggi impugnato, a integrale conferma delle statuizioni contenute nel provvedimento del 29 novembre 2022 (dovrebbe intendersi 22 dicembre n.d.r.), già configuratosi come ulteriore e nuovo provvedimento ablativo intervenuto dopo che il precedente provvedimento di dissequestro è divenuto irrevocabile, operato di iniziativa dal giudice per le indagini preliminari in funzione di giudice dell’esecuzione e senza che sia stato sollecitato dagli organi competenti è illegittimo integra un nuovo provvedimento di confisca che non trova alcuna collocazione giustificativa nel vigente ordinamento.

3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
      
1. Si ritiene opportuna, ai fini della intelligibilità della decisione, la ricostruzione dell’iter procedimentale, secondo quanto desumibile dagli atti a disposizione di questa Corte. 
Con decreto del 17 luglio 2018 il giudice per le indagini preliminari di Palmi disponeva l’archiviazione del procedimento penale iscritto a carico degli odierni ricorrenti, con contestuale restituzione degli atti al pubblico ministero e confisca dei beni oggetto di sequestro –come indicati nel verbale del 15 maggio 2017- e devoluzione allo Stato, in ragione dell’asserita rilevanza storica, artistica e culturale degli stessi.  
Gli indagati proponevano incidente di esecuzione con atto depositato il 9 febbraio 2021.  
Con provvedimento del 16 marzo 2021 –depositato il 9 novembre 2022 e comunicato al difensore e al Comando di Polizia Municipale di Palmi il 22 novembre 2022- il giudice dell’esecuzione («ritenendo fondata la richiesta, letto il parere favorevole del P.M. [...]») disponeva il dissequestro di quanto in istanza. Il parere era reso in senso favorevole alla restituzione dei soli beni indicati nei nn da 6 a 9 del verbale di sequestro.
La cancelleria ne disponeva l’esecuzione una volta divenuto definitivo, ossia decorso il quindicesimo giorno dal deposito.  
Il 29 novembre 2022 il Comando di Polizia Municipale di Palmi depositava nota di richiesta di chiarimenti al giudice. 
Nelle more della decisione di questi il provvedimento del 16 marzo 2021, divenuto definitivo, veniva eseguito il 14 dicembre 2022. 
Il giudice dell’esecuzione rispondeva alla nota di chiarimenti successivamente, il 22 dicembre 2022: «ad integrazione di quanto disposto con provvedimento del 16/03/2021 [...] ferma restando la confisca dei beni indicati ai nn da 1 a 5 del verbale di sequestro, si proceda alla restituzione alla istante dei beni di cui ai punti da 6 a 9 del verbale di sequestro, previa revoca della confisca [...]».  
Interposto ricorso per cassazione, riqualificato da questa Corte quale incidente di esecuzione, il giudice dell’esecuzione pronunciava, a seguito dell’udienza del 26 marzo 2024, il provvedimento del 4 aprile 2024 oggi impugnato. 

2. Il ricorso è infondato. 
Il ricorso è proposto avverso l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari in funzione di giudice dell’esecuzione del 4 aprile 2024, emessa, a seguito di riqualificazione –operata da questa Corte- quale incidente di esecuzione del ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento del 22 dicembre 2022 (di restituzione previa revoca della confisca dei beni indicati ai nn da 6 a 9 del verbale di sequestro e) di conferma della confisca e rigetto dell’istanza di restituzione dei beni indicati nei nn da 1 a 5 del verbale di sequestro del 15 maggio 2017.

3. Le prospettive di doglianza di cui al primo motivo e quarto motivo, sostanzialmente sovrapponibili, sono infondate in quanto emerge chiaramente che la volontà del Gip –sin dal 16 marzo 2021- era quella di revocare la confisca, non di tutti i beni in sequestro, ma esclusivamente di quelli di cui ai punti da 6 a 9. 
Non sussiste alcun profilo di “giudicato” in quanto la stessa autorità che ha emesso il provvedimento –giudice per le indagini preliminari in qualità di giudice dell’esecuzione- ne ha rettificato il contenuto, una volta informata dell’errore materiale, in fase di esecuzione dello stesso, da parte della Polizia Giudiziaria. 

4.Infondate sono pure le censure proposte col secondo e terzo motivo, che possono essere discussi congiuntamente, essendo, entrambi, relativi al tema della confiscabilità dei beni (di cui ai nn da 1 a 5 del verbale di sequestro) in ragione della loro natura.
4.1. L'ordinanza impugnata ne ricostruisce lo statuto come di seguito.
Indica le norme di dettaglio negli articoli 10 e 91 del DECRETO LEGISLATIVO 22 gennaio 2004, n. 42 -Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 -. Recita l’art. 10 ; «1. Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. 2. [...]. 3. Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall'articolo 13: a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1; [...]. 4. Sono comprese tra le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lettera a): [...] b) le cose di interesse numismatico che, in rapporto all'epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione, nonché al contesto di riferimento, abbiano carattere di rarità o di pregio; [...] ». Recita l’art. 91 : «1. Le cose indicate nell'articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del codice civile ».
L’ordinanza rileva dunque che sui beni culturali vige una presunzione di proprietà pubblica –legge n. 304 del 1909, RD n. 363 del 1913, legge 1089 del 1939, artt. 826, comma 2, 828 e 832 cod.civ.- non soverchiata dal d.lgs.n 42/2004, confermata dalle sezioni civili (Sez 1, n. 2995 del 10/02/2006) e dalle sezioni penali (Sez. 3, n 11269 del 10/12/2019; Sez 3 n 378615 del 04/04/2017; Sez 4 n. 14972 del 22/03/2016; Sez 3 n 49439 del 04/11/2009) di questa Corte. 
Se ne ricava il principio generale di proprietà statale e l’eccezionalità delle ipotesi di dominio privato sugli stessi oggetti (così Sez 3 n. 42485 del 10/06/2015) nei soli casi di dimostrazione di un titolo di provenienza legittimo.
Osserva che nel caso di specie detto onere non è stato assolto dagli istanti non avendo gli stessi dimostrato la legittimità del possesso dei beni di cui si discute, i cinque mascheroni (Sez 3, n. 16513 del 2021).
Indaga, poi, a prescindere dall’accertamento della responsabilità penale -esclusa, nel caso di specie, in ragione dell’impossibilità di collocare nel tempo, in modo certo, la condotta incriminata- dal problema della destinazione dei beni in sequestro, profilo diverso ed ulteriore, e di natura prettamente civilistica, che risolve nei termini già stabiliti da Sez. 3 penale, n. 24065 del 2018, in difetto di prova, da parte dei privati istanti, di un titolo di proprietà anteriore alla legge 364 del 1909. 
E, comunque, ferma restando la legittimità della confisca ex art. 240 co 2 cod.pen., essendo i beni oggetto d'interesse ricompresi tra quelli la cui detenzione da parte del privato che non ne abbia dimostrato la legittimità del titolo di proprietà, costituisce reato.
Si rinvia, per la migliore lettura della diffusa motivazione, alle pagine 2 e 3 dell’ordinanza impugnata.
4.2. Intende il collegio ribadire la necessità di non confondere il piano della penale responsabilità -nella fattispecie in esame esclusa per le motivazioni di merito addotte dal giudice per le indagini preliminari- con quello della invocata restituzione di tutti i beni (quindi anche dei cinque mascheroni), che postula la revoca della confisca originariamente disposta e non revocata. 
Si richiama quanto osservato a proposito della discussione dei motivi 1 e 4 relativamente alla volontà del Gip –sin dal 16 marzo 2021- di revocare la confisca, non di tutti i beni in sequestro, ma esclusivamente di quelli di cui ai punti da 6 a 9, come precisato nel provvedimento del 22 dicembre 2022, in assenza del  “giudicato” predicato dalla difesa, ma non ravvisabile in capo al provvedimento del (giudice per le indagini preliminari in qualità di) giudice dell’esecuzione, intervenuto a rettificarne il contenuto, una volta resosi conto, in fase di esecuzione dello stesso e su sollecitazione della Polizia Giudiziaria, dell’errore materiale in cui era incorso (prive di pregio le argomentazioni della difesa dei ricorrenti in merito alla persona fisica del giudice estensore, in tale qualità, i provvedimenti che si sono succeduti nella vicenda procedimentale, dovendosi avere riguardo, esclusivamente, alla funzione ricoperta dal decidente).
4.3. La inequivoca reciproca impermeabilità dei profili di accertamento della responsabilità penale, da un lato, e della proprietà, dall’altro, coi riflessi in tema di diritto alla restituzione e individuazione del titolare di tale diritto, rende essenziale la chiarezza in ordine alla qualità dei beni in questione, si ribadisce i soli cinque mascheroni in pietra con figure in rilevo, oggetto di residua contesa.
Il che rende a questo punto ultronea qualsivoglia discussione in ordine ai reati originariamente contestati (ricettazione, che postula la ricezione di beni provento di reato e/o art. 174 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in ordine al quale, comunque, si deve affermare la riconosciuta continuità normativa con il reato di cui all’art. 518-bis cod.pen.).
4.4. Rileva il collegio che la nozione di bene culturale è desumibile dagli artt. 2, co. 2, e dagli artt. 10 e 11 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004). In base all'art. 2, co. 2, sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli artt. 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà. In particolare, l'art. 10 – più volte modificato – individua le categorie di beni culturali, ossia delle cose assoggettate alle disposizioni di tutela contenute nel Titolo I della Parte seconda dello stesso Codice, tra le quali sono ricomprese, in particolare, misure di protezione (artt. 21 e ss., che stabiliscono, tra l'altro, le tipologie di interventi vietati o soggetti ad autorizzazione), misure di conservazione (artt. 29 e ss., che includono anche obblighi conservativi), nonché misure relative alla circolazione dei beni (artt. 53 e ss.), nel cui ambito rientrano anche le quelle concernenti i beni inalienabili.
Recita l’art. 10, al comma 1: «Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.»
4.5. Si rappresenta che è la stessa difesa a ribadire, in ricorso, che “tali beni consistono in maschere decorative apposte sulla facciata del Teatro Manfroce del Comune di Palmi. Tale edificio venne seriamente danneggiato dal terremoto del 1908 e pertanto chiuso al pubblico fino alla sua demolizione avvenuta con delibera del Podestà del 1934 (v. copia delibera).[...]. All'atto della demolizione, [...], tali beni sarebbero stati destinati a materiale di risulta in siti che avrebbero ospitato la costruzione di nuovi edifici e ciò risulta non soltanto dalla delibera già menzionata, ma anche da corposa letteratura storica. Il 28 dicembre 1934 venne registrato il contratto di appalto per la demolizione del teatro comunale, firmato dal Podestà Vincenzo Silipigni e dall'impresa appaltatrice Annunziato Seminara. Risulta altresì che il comune raccomandasse a tutti coloro che si accingevano ad eseguire demolizioni in seguito ai danni del terremoto, di scaricare i materiali di risulta nella zona denominata ‘Vallonasso’, ove pure erano destinate le macerie del teatro. Il 09.10.1934 Vincenzo Grio, prozio dell'odierna ricorrente Saffioti Lucia, ottenne il nullaosta per la costruzione della sua casa in Palmi, via Dante, l'impresa costruttrice è la stessa impresa Seminara occupatasi della demolizione del teatro. È stato con tutta probabilità in quella occasione che i materiali di risulta del teatro, e nello specifico i manufatti in questione, che peraltro non costituiscono che una minima parte del compendio ornamentale del Teatro Manfroce , sono finite nella disponibilità del Grio, il quale le ha sostanzialmente sottratte alla distruzione, collocandole a vista nei muri perimetrali esterni dell'abitazione oggi occupata dai ricorrenti. [...].”.
Ritiene il collegio trattarsi di chiara attestazione, da parte degli stessi ricorrenti, della appartenenza dei beni in questione all’ente pubblico territoriale Comune di Palmi.
Se ciò basta –come sostenuto dalla difesa- per chiarire che nessun reperimento nel sottosuolo nei fondali marini è alla base di tale detenzione, che dunque non può in alcun modo configurare l'illecito di cui all'articolo 518-bis cod.pen., non vale però a far ritenere inapplicabile la confisca obbligatoria di cui all’art. 240, comma 2, cod.pen..
4.6. Si richiama, condividendola in toto, la ricostruzione della disciplina della tutela dei beni culturali operata da Sez 3, n. 16513 del 2021, non massimata, preceduta da Sez. 3, Sentenza n. 24065 del 2018, non massimata, nel cui solco la motivazione dell’ordinanza impugnata perfettamente si inserisce.
Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico: «[...] L'art. 10, prevede, al comma 1, che «Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico». [...] Il quadro è integrato dall'art. 91, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 42 del 2004, il quale prevede che «Le cose indicate nell'articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del codice civile». 
Si aggiunge che il medesimo articolo, al comma 2, così recita: «2. Qualora si proceda per conto dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali o di altro ente o istituto pubblico alla demolizione di un immobile, tra i materiali di risulta che per contratto siano stati riservati all'impresa di demolizione non sono comprese le cose rinvenienti dall'abbattimento che abbiano l'interesse di cui all'articolo 10, comma 3, lettera a). È nullo ogni patto contrario.». 
4.7. É esattamente il caso di quanto occorso, storicamente, nella vicenda in esame, con la demolizione di un edificio esso stesso, pubblico, attività data in appalto (con delibera del Podestà del 1934) ad una impresa di demolizione, e di ‘beni’ rivenienti dall’abbattimento dello stesso edificio pubblico comunale, a proposito dei quali la norma predica l’esclusione, tra i materiali di risulta anche eventualmente per contratto riservati alla impresa di demolizione, delle «cose rinvenienti dall'abbattimento che abbiano l'interesse di cui all'articolo 10, comma 3, lettera a)», con prescrizione di nullità di ogni patto contrario.  Se vero che la norma precisa trattarsi di «cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1», si rileva l’aporia di sistema ove a tale particolare disciplina di tutela non dovessero essere sottoposte anche « le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro , ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico», evidentemente per loro natura, in quanto già di proprietà pubblica, destinatarie complessivamente di misure di garanzia più intense rispetto a quelle dei privati. 
Beni in relazione ai quali la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3 - , Sentenza n. 24988 del 16/07/2020 Cc.  (dep. 02/09/2020 ) Rv. 279756 - 01) in virtù della disamina dell’intero sistema normativo ha ritenuto la configurabilità del reato di impossessamento illecito di cui all’art. 176 dlgs n. 42/2004: «[...] secondo la giurisprudenza di questa Corte, il reato di impossessamento illecito di beni culturali di cui all'art. 176 del D.Lgs. n. 42 del 2004 non richiede, quando si tratti di beni appartenenti allo Stato, l'accertamento del cosiddetto interesse culturale, né che i medesimi presentino un particolare pregio o siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, essendo sufficiente che la "culturalità" sia desumibile da caratteristiche oggettive del bene (Sez. 2, n. 36111 del 18/07/2014, Medda, Rv. 260366; Sez. 3, n. 24344 del 15/05/2014, Rapisarda, Rv. 259305; Sez. 3, n. 41070 del 07/07/2011, Saccome e a., Rv. 251295). Del resto, «le cose indicate nall'articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, se mobili...sono sottoposte alle disposizioni della presente Parte fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2» (art. 12, comma 1, d.lgs. 42 del 2004, come modificato dall'art. 1, comma 175, lett. c, I. 4 agosto 2017, n. 124, che ha elevato il termine in precedenza fissato in cinquanta anni), vale a dire la verifica della sussistenza di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico»
Prosegue la pronuncia sopra citata (Sez 3, n. 16513 del 2021), a proposito dell’art. 91: «Tale ultima disposizione prevede che fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le cose di interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo. 8.2. Ancora in termini generali, poi, deve essere ricordato che sui beni culturali vige una presunzione di proprietà pubblica, con la conseguenza che essi appartengono allo Stato italiano in virtù della legge (legge n. 364 del 1909, regio decreto n. 363 del 1913, legge n. 1089 del 1939, articoli 826, comma 2, 828 e 832 del codice civile), la cui disciplina è rimasta invariata con l'introduzione del decreto legislativo n. 42 del 2004. Le Sezioni civili di questa Corte (Sez. 1, n. 2995 del 10/02/2006 in motiv.), in particolare, hanno affermato che la legislazione di tutela dei Beni Culturali, in particolare dei beni archeologici, è informata al presupposto fondamentale, in considerazione dell'importanza che essi rivestono (anche alla luce della tutela costituzionale del patrimonio storico – artistico garantita dall'art. 9 Cost.), dell'appartenenza di detti beni allo Stato (...), per cui l'art. 826 c.c., comma 2, assegna al patrimonio indisponibile dello Stato "le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo": disciplina confermata dalla L. n. 1089 del 1939, artt. 44, 46, 47 e 49, cui rinvia l'art 932 c.c., comma 2. In prosieguo di tempo, prima il d. Igs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 88, Beni Culturali, che quelle norme ha abrogato (art. 166), ha disposto che i beni di cui all'art. 2 (che alla lett. a) enumera "le cose mobili e immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o demo-etno-antropologico"), da chiunque e in qualunque modo ritrovati, appartengono allo Stato, e, attualmente, il d. Igs. n. 42 del 2004, nei termini appena sopra richiamati. Sono fatte salve, tuttavia, particolari e tassative ipotesi nelle quali il privato può provare la legittima proprietà di reperti archeologici, dovendo al riguardo dimostrare che questi: 1) gli siano stati assegnati in premio per il loro ritrovamento; 2) gli siano stati ceduti dallo Stato; 3) siano stati acquistati in data anteriore all'entrata in vigore della legge n. 364 del 1909 (anche la giurisprudenza di legittimità ha in generale chiarito che il possesso delle cose di interesse archeologico integra il reato di cui all'art. 176, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004 e si presume illegittimo, a meno che il detentore non dimostri di averli legittimamente acquistati in epoca antecedente all'entrata in vigore della legge n. 364 del 1909, di prima disciplina organica della materia (ex multis, Sez. 3, n. 11269 del 10/12/2019, The Pierpont Morgan Library, Rv. 278764; Sez. 3, n. 37861 del 4/4/2017, PG in proc. Rolfo; Sez. 4, n. 14792 del 22/03/2016, Rv. 266981; Sez. 3, n. 49439 del 04/11/2009, Rv. 245743). 8.3. Da questo complesso di norme, dunque, consegue che la disciplina dei beni culturali è retta da una presunzione di proprietà statale che non crea un'ingiustificata posizione di privilegio probatorio, perché fondata, oltre che sull'id quod plerumque accidit, anche su una "normalità normativa" sicché, opponendosi una circostanza eccezionale, idonea a vincere la presunzione, deve darsene la prova. Pertanto, dal complesso delle disposizioni, contenute nel codice civile e nella legislazione speciale, regolante i ritrovamenti e le scoperte archeologiche, ed il relativo regime di appartenenza, si ricava il principio generale della proprietà statale delle cose d'interesse archeologico, e della eccezionalità delle ipotesi di dominio privato sugli stessi oggetti (tra le altre, Sez. 3, n. 42485 del 10/6/2015, Almagià)».
4.8. In conclusione può affermarsi che i beni culturali ovunque essi si trovino, sia che siano già stati oggetto di ritrovamento oppure no, appartengono allo Stato. Il privato che affermi al contrario il proprio diritto di proprietà su tali beni può soltanto eccepire che i beni stessi sono stati acquisiti in proprietà privata prima del 1909 ovvero far valere una delle ipotesi dianzi indicate in cui la legge statale consente che i beni stessi ricadano in proprietà di privati. In tutte tali ipotesi l'onere di fornire la prova di quanto eccepito grava sul privato, come stabilito da Cass. n. 10355/95.
Non muta il quadro normativo il riferimento al d. Lgs. 42/2004, perché i beni archeologici per la definizione dell'art. 13 sono sempre culturali, a meno che non appartengano ai privati, il che può verificarsi solo nei rari casi sopra passati in rassegna.
4.9. Il Giudice dell'esecuzione, nell'ordinanza impugnata, ha dato puntuale applicazione al principio di diritto affermato dalla Cassazione civile. 
In difetto di prova di un legittimo titolo di proprietà ante 1909 ne ha confermato la confisca rigettando l’istanza di restituzione al provato. 
Del resto, è stato anche chiarito con sentenza sempre della I sezione civile n. 2995/06, Rv 586959, che il mancato riconoscimento dell'interesse culturale di oggetti archeologici da parte dell'autorità, a mezzo di apposito atto di "notifica", non dimostra il carattere privato del bene, e la sua impossibilità di ascriverlo al patrimonio indisponibile dello Stato (e quindi la possibilità di apprensione o usucapione da parte di privati), essendo il requisito del carattere culturale insito negli stessi beni, per il loro appartenere alla categoria delle cose d'interesse archeologico. 

5. Ne consegue il rigetto del ricorso con onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.  
   
P.Q.M.   
   
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali .
Così deciso in Roma il 25 settembre 2024