Consiglio di Stato Sez. VI n. 8167 del 23 settembre 2022
Beni culturali.Tutela del patrimonio culturale e promozione dello sviluppo sostenibile
La primarietà di valori come la tutela del patrimonio culturale o dell’ambiente implica che gli stessi non possono essere interamente sacrificati al cospetto di altri interessi (ancorché costituzionalmente tutelati) e che di essi si tenga necessariamente conto nei complessi processi decisionali pubblici, ma non ne legittima una concezione ‘totalizzante’ come fossero posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, necessariamente mobile e dinamico, deve essere ricercato – dal legislatore nella statuizione delle norme, dall’Amministrazione in sede procedimentale, e dal giudice in sede di controllo – secondo principi di proporzionalità e di ragionevolezza. In virtù del principio di integrazione delle tutele ‒ riconosciuto, sia a livello europeo (art. 11 del TFUE), sia nazionale (art. 3-quater del d.lgs. n. 152 del 2006, sia pure con una formulazione ellittica che lo sottintende) ‒ le esigenze di tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle altre pertinenti politiche pubbliche, in particolare al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile.
Pubblicato il 23/09/2022
N. 08167/2022REG.PROV.COLL.
N. 09196/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9196 del 2021, proposto da
MINISTERO DELLA CULTURA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
COMUNE DI TUFARA, SICOP S.R.L., LUCIA PASQUALE, rappresentati e difesi dagli avvocati Michele Rosario Luca Lioi e Stefano Viti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima) n. 300 del 2021;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Tufara, di Sicop s.r.l. e di Lucia Pasquale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 giugno 2022 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Michele Rosario Luca Lioi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.– I fatti principali, utili ai fini del decidere, possono essere così riassunti:
- la Sicop s.r.l. presentava alla Regione Molise due istanze di autorizzazione unica ai sensi dell’articolo 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili): i) la prima del 14 settembre 2011, riguardante la realizzazione di n. 1 pala eolica nella località Crocella di Tufara nel Comune di Tufara; ii) la seconda del 6 settembre 2012, riguardante la realizzazione di n. 1 pala eolica nella località Toppo di Rocco nel medesimo comune di Tufara;
- con riferimento al progetto relativo alla pala eolica nella località Toppo di Rocco di Tufara, il Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Molise esprimeva, in sede di conferenza di servizi, parere negativo alla realizzazione della pala eolica a causa di interferenze visive della stessa con la presenza di beni culturali quali il Castello, il centro storico di Tufara, il bosco di Toppo Castagneto, il bosco di Lago Pincioso e una croce votiva posta in area limitrofa, asserendo che l’interferenza visiva avrebbe potuto essere superata solo riducendo l’altezza della pala a 25 metri;
- all’esito della conferenza di servizi, la Regione Molise, rilevato che le prescrizioni impartite dalla Soprintendenza avrebbero compromesso la fattibilità tecnica ed economica dell’opera (in quanto la pala, se ridotta di altezza come richiesto dalla Soprintendenza, sarebbe risultata improduttiva per assenza di vento), rilasciava in favore dell’impresa proponente l’autorizzazione unica n. 97 del 1 agosto 2013;
- sennonché, dopo l’avvenuto rilascio della autorizzazione, la Soprintendenza, con nota prot. 1188 del 12 maggio 2014, comunicava l’avvio di un procedimento di dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante (ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) del «sistema delle croci votive e viarie lungo il crinale di confine tra i comuni di Tufara e Castelvetere in Val Fortore»; successivamente, la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise, con decreto n. 27 del 26 agosto 2014, dichiarava di interesse culturale, ai sensi dell’art. 10, commi 1 e 3, lettera a), e 13 del d.lgs. n. 42 del 2004, il ‘sistema di croci’ innanzi descritto: in particolare, il decreto contemplava, come oggetto di vincolo, quattro croci site nel territorio di due comuni, ossia quello di Tufara (provincia di Campobasso) e di Castelvetere in Val Fortore (provincia di Benevento), ed anche per esse individuava vaste aree territoriali da assoggettare a tutela indiretta, ai sensi degli articoli 45, 46 e 47 d.lgs. n. 42 del 2004, nelle località Toppo Mastotonno, Toppo Fonte Gallina e Toppo di Rocco;
- anche con riguardo al progetto relativo alla pala eolica da istallarsi in località Crocella di Tufara, in sede di conferenza di servizi, il Soprintendente rilevava che l’intervento interferiva con due aree boscate site nei Comuni di Tufara e Gambatesa, ritenendo quindi necessaria «una riduzione significativa dell’altezza complessiva dell’impianto ovvero l’adozione di una tipologia ad asse verticale della pala»;
- la Regione Molise rilasciava l’autorizzazione unica n. 83 del 12 luglio 2012; successivamente, a seguito di una variante al progetto richiesta dalla medesima Soprintendenza, la Regione Molise convocava una nuova conferenza di servizi, all’esito della quale, con determinazione n. 125 del 6 novembre 2012, autorizzava il nuovo progetto; a seguito del dissenso espresso dalla Soprintendenza, si pronunciava quindi anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri che definitivamente approvava l’intervento (con la delibera DICA 0018100 P-4.8.2.8 del 26 giugno 2015 dove si legge che: «dalla comparazione degli interessi coinvolti nel procedimento in esame, individuati nella tutela paesaggistica, da riferirsi ad area contermine e nello sviluppo della produzione di energia da fonte rinnovabile, nella valenza imprenditoriale ed economica dell’opera in argomento, di considerare prevalente l’interesse all’incremento delle fonti di energia rinnovabili e alla realizzazione dell’opera di che trattasi, condividendo le posizioni favorevoli all’impianto eolico in questione espresse dagli Enti coinvolti in conferenza di servizi e facendo proprie le relative motivazioni […]»);
- con il decreto n. 28 del 26 agosto 2014, la medesima Direzione regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dichiarava di interesse culturale il «sistema di croci votive e viarie» posto nella località Crocella, tra i comuni di Tufara e Gambatesa, prescrivendo, anche in questo caso, misure di tutela indiretta nelle aree circostanti;
- il Comune di Tufara, la Sicop s.r.l. e i signori Lucia Pasquale (presente solo nel primo ricorso) e Domenico Leccese (presente solo nel secondo ricorso) impugnavano, con due distinti ricorsi (rispettivamente n. 430 del 2014 e n. 431 del 2014), i citati decreti della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise n. 27 del 26 agosto 2014 (con cui è stato dichiarato di interesse culturale il sistema delle croci votive e viarie rilevato lungo il crinale di confine tra i comuni di Tufara e Castelvetere in Val Fortore) e il decreto n. 28 del 26 agosto 2014 (con cui la medesima amministrazione ha dichiarato di interesse culturale anche il simile sistema delle croci votive e viarie riscontrato lungo l’antico percorso per Benevento tra i confini dei Comuni di Tufara e Gambatesa);
- i ricorrenti deducevano in entrambi i ricorsi le seguenti, identiche censure:
1) violazione del d.lgs. n. 387 del 2003 e del d.lgs. n. 42 del 2004, eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento e del difetto dei presupposti, violazione dei principi di proporzionalità e di ragionevolezza;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 138 del d.lgs. n. 42 del 2004;
3) assoluto difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, violazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 42 del 2004, violazione della nota della Direzione Generale del Ministero dei Beni Culturali prot. n. 5085 del 3 marzo 2009;
4) violazione dell’art. 14 del d.lgs. n. 42 del 2004, difetto di istruttoria, violazione del principio del giusto procedimento.
2.– Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise, con sentenza n. 300 del 2021 ‒ respinte le eccezioni sollevate dall’Amministrazione statale di inammissibilità (per difetto di legittimazione dei ricorrenti) e improcedibilità (stante la scomparsa per trafugamento di una delle croci in questione, in particolare, quella sita in località Toppo di Rocco) dei ricorsi ‒ ha accolto nel merito le domande di annullamento.
In particolare, il giudice di primo grado ha:
i) respinto il primo motivo di gravame (relativo allo sviamento di potere consistente nel fatto che i vincoli in questione sarebbero stati apposti dal Ministero della Cultura con l’unico intento di ostacolare la realizzazione di un impianto eolico già autorizzato proprio sulle aree poi assoggettate a vincolo), motivando che i ricorrenti non avevano fornito sufficienti elementi per evidenziare, con adeguata specificità, che con i provvedimenti gravati in questa sede il potere esercitato in concreto era stato sviato dalla sua funzione tipica;
ii) respinto il secondo motivo di gravame, relativo alla dedotta violazione dell’art. 138 del d.lgs. n. 42 del 2004 nella parte in cui prevede il preventivo parere regionale, in quanto la norma in questione trova applicazione esclusivamente con riferimento ai ‘beni paesaggistici’, mentre i provvedimenti impugnati afferiscono all’ambito della tutela dei ‘beni culturali’;
iii) dichiarato inammissibile la censura relativa all’incompetenza della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise (per aver dichiarato di interesse culturale e assoggettato a tutela indiretta aree rientranti nella competenza di altra direzione regionale), in quanto non espressa nei ricorsi introduttivi, né veicolata nelle forme di rito;
iv) ha invece accolto il terzo motivo di ricorso, imperniato sui vizi di difetto di istruttoria e di motivazione dei provvedimenti impugnati, rilevando (nei suoi passaggi principali) che:
«[…] il giudizio emesso dall’Amministrazione, nella specie, per la dichiarazione di particolare interesse culturale dei due complessi di croci viarie di cui si tratta si presenta seriamente lacunoso sia sotto il profilo del difetto di istruttoria, sia sotto quello della carenza di motivazione, in quanto dall’esame della documentazione alla luce delle doglianze dei ricorrenti emerge un evidente difetto di logicità, coerenza e completezza della complessiva valutazione compiuta dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali. Nei provvedimenti impugnati, infatti, in difformità dal modello previsto dall’Amministrazione centrale, e segnatamente dai precisi oneri istruttori e motivazionali appena visti, né la Direzione Regionale per i Beni Culturali - nei provvedimenti impugnati - né la Soprintendenza - nella relazione storico-artistica del 26 agosto 2014 - hanno indicato, con la specificità richiesta e la necessaria valutazione critica finale, la letteratura di riferimento e gli studi storico-artistici esistenti sull’interesse storico-culturale del c.d. sistema di croci viarie»;
- «[…] la relazione storico-artistica su cui poggiano i provvedimenti impugnati si è limitata, nella ricostruzione del contesto storico-culturale nell’ambito del quale si collocherebbero i beni culturali in questione, a citare solo con una sorta di postilla in calce, e pertanto del tutto sbrigativamente, la letteratura reputata rilevante. Di quest’ultima non sono stati puntualmente richiamati, invero, contenuti e analisi; e l’Amministrazione ha altresì omesso di operare una propria valutazione finale di confronto, in modo da far emergere, anche attraverso il sostegno delle valutazioni di settore già esistenti, un’obbiettiva e riconosciuta valenza d’interesse culturale del c.d. sistema di croci viarie. All’interno della citata “Bibliografia generale di confronto” l’Amministrazione individua unicamente due studi, il primo risalente al 2003 e il secondo al 2012. Quanto al primo studio, si deve però osservare che la parte ricorrente non è stata efficacemente smentita quando ha affermato che questo integri, in realtà, solo una mera ricognizione dei singoli manufatti e delle varie croci viarie diffuse nel territorio molisano, senza che queste ultime siano state ricondotte ad un più ampio e complesso valore culturale unitario dal peculiare significato storico. Quanto al secondo studio, i ricorrenti hanno evidenziato poi che tale contributo mette in realtà in discussione proprio la valenza storico-culturale del sistema di croci viarie, anziché avvalorarne il peculiare interesse culturale […]»;
- «[…] È evidente, quindi, come nei decreti impugnati non risultino essere state condotte con la necessaria profondità e accuratezza le valutazioni specifiche prescritte dallo stesso Ministero nella nota n. 5085 del 3 marzo 2009 in ordine alla ricostruzione dell’interesse storico-culturale oggetto di tutela. In particolare, è stato omesso l’ineludibile passaggio volto all’inquadramento del bene da tutelare nell’ambito del contesto storico mediante il preciso richiamo a contributi specialistici e studi capaci di dare obbiettiva e verificabile sostanza alle valutazioni proprie dell’Amministrazione. In mancanza di queste basi, i provvedimenti in esame si limitano ad affermare una rilevanza storico- artistica del complesso di manufatti in questione senza tuttavia esplicitare né gli elementi dai quali desumerne il valore culturale, in coerenza con la pertinente letteratura, né l’effettiva e qualificata rilevanza che i manufatti avrebbero in concreto assunto nella comunità di riferimento […]».
I restanti motivi di gravame sono rimasti assorbiti.
3.– Avverso la predetta sentenza ha proposto appello il Ministero sostenendo che la stessa sarebbe errata in quanto, in estrema sintesi:
a) il T.a.r. Molise avrebbe travalicato i limiti del proprio sindacato, in quanto le valutazioni sottese alle dichiarazioni di interesse culturale sarebbero connotate da discrezionalità tecnica e, come tali, riservate all’Amministrazione ed insindacabili in sede giudiziaria;
b) i decreti n. 27 e n. 28 del 26 agosto 2014 emessi dalla soprintendenza molisana sarebbero assistiti da adeguata e congrua motivazione.
4.– Si sono costituiti nel presente giudizio di appello, il Comune di Tufara, la Sicop s.r.l. e Lucia Pasquale, argomentando l’infondatezza dell’appello.
I ricorrenti in primo grado hanno proposto appello incidentale, sostenendo che la sentenza di primo grado dovrebbe essere riformata nella parte in cui:
i) ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso con cui gli odierni appellanti hanno censurato i decreti della Soprintendenza per sviamento di potere: i vincoli di cui si verte sarebbero l’ennesima manifestazione della vera e propria “guerra”, ormai ultradecennale, che la Soprintendenza molisana avrebbe intrapreso contro l’energia eolica in tutto il territorio regionale;
ii) non ha accolto la censura incentrata sull’omessa richiesta ed acquisizione del parere obbligatorio della Regione Molise, in violazione dell’articolo 138 del Codice dei Beni Culturali (d.lgs. n. 42 del 2004), il quale subordinerebbe l’esercizio del potere riconosciuto al Ministero di dichiarare di interesse pubblico immobili o aree meritevoli di tutela, alla previa richiesta di parere alla Regione interessata.
Vengono poi riproposti i motivi rimasti assorbiti in primo grado, ed in particolare:
- la violazione del contraddittorio procedimentale, in quanto le comunicazioni di avvio dei procedimenti sarebbero state notificate alle parti senza che fosse concesso ai destinatari un termine per la proposizione di osservazioni;
- il vizio derivante dalla mancata partecipazione della Commissione regionale per il patrimonio culturale sia del Molise, che – per ciò che attiene al vincolo località Toppo di Rocco – della Campania, come prescritto dall’articolo 39, comma 1, del D.P.C.M. del 29 agosto 2014, n. 171.
5.– Con ordinanza del 17 dicembre 2021, n. 6704, la Sezione – «Considerato che, in esito alla sommaria delibazione propria della fase cautelare, si apprezzano profili di fondatezza del ricorso in appello […]; Considerato, inoltre, che è opportuno disporre la sospensione dell’efficacia dell’appellata sentenza, onde mantenere la res adhuc integra nel tempo necessario alla definizione del giudizio» – ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata.
6.– All’udienza del 23 giugno 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.– Il patrimonio culturale si compone di due componenti, beni culturali e paesaggio, unite nella sintesi verbale di cui all’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004 («il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici»), sia pure soggette ad una disciplina differenziata.
In considerazione della natura delle contestazioni mosse avverso la decisione di vincolo, connotata da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, è bene fare una precisazione preliminare.
1.1.‒ A differenza delle scelte politico-amministrative (c.d. «discrezionalità amministrativa») ‒ dove il sindacato giurisdizionale è incentrato sulla ‘ragionevole’ ponderazione degli interessi, pubblici e privati, non previamente selezionati e graduati dalle norme ‒ le valutazioni dei fatti complessi richiedenti particolari competenze (c.d. «discrezionalità tecnica») vanno vagliate al lume del diverso e più severo parametro della ‘attendibilità’ tecnico-scientifica.
Quando la valutazione del fatto complesso viene preso in considerazione dalla norma attributiva del potere, non nella dimensione oggettiva di fatto ‘storico’, bensì di fatto ‘mediato’ dalla valutazione casistica e concreta delegata all’Amministrazione, il giudice non è chiamato, sempre e comunque, a ‘definire’ la fattispecie sostanziale.
Difettando parametri normativi a priori che possano fungere da premessa del ragionamento sillogistico, il giudice non ‘deduce’ ma ‘valuta’ se la decisione pubblica rientri o meno nella (ristretta) gamma delle risposte maggiormente plausibili e convincenti alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto.
È ben possibile per l’interessato ‒ oltre a far valere il rispetto delle garanzie formali e procedimentali strumentali alla tutela della propria posizione giuridica e gli indici di eccesso di potere ‒ contestare ab intrinseco il nucleo dell’apprezzamento complesso, ma in tal caso egli ha l’onere di metterne seriamente in discussione l’attendibilità tecnico-scientifica.
Se questo onere non viene assolto e si fronteggiano soltanto opinioni divergenti, tutte parimenti plausibili, il giudice deve dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche) della competenza ad adottare decisione collettive, rispetto alla prospettazione individuale dell’interessato.
In quest’ultimo caso, non si tratta di garantire all’Amministrazione un privilegio di insindacabilità (che sarebbe contrastante con il principio del giusto processo), ma di dare seguito, sul piano del processo, alla scelta legislativa di non disciplinare il conflitto di interessi ma di apprestare solo i modi e i procedimenti per la sua risoluzione.
1.2‒ La dichiarazione dell’interesse culturale «accerta la sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto» dell’«interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante», combinato disposto degli articoli 10, comma 3, lettera a), e 13 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. La nozione di bene culturale è un concetto giuridico indeterminato, per la cui definizione l’ordinamento giuridico fornisce solo generalissimi criteri: viene stabilito che bene culturale deve essere una «testimonianza» materiale «avente valore di civiltà», rivestire un «particolare» o «eccezionale» interesse culturale tale da giustificarne il vincolo ed avere una certa vetustà.
Il potere ministeriale di vincolo richiede, quale presupposto, una valutazione basata non sulle acquisizioni delle scienze esatte, bensì su riflessioni di natura storica e filosofica, spesso strettamente legate al contesto territoriale di riferimento, per loro stessa natura in continua evoluzione. L’esigenza di oggettività e uniformità di valutazione dei tecnici del settore (storici dell’arte, antropologi, architetti, urbanisti al servizio della pubblica amministrazione) non può non risentire del predetto limite epistemologico.
2‒ Su queste basi, l’appello principale del Ministero è fondato.
2.1.‒ Nell’impianto motivazionale del giudice di primo grado ‒ reso evidente nel passaggio in cui si legge: «nei decreti impugnati non [risultano] essere state condotte con la necessaria profondità e accuratezza le valutazioni specifiche prescritte dallo stesso Ministero nella nota n. 5085 del 3 marzo 2009 in ordine alla ricostruzione dell’interesse storico-culturale oggetto di tutela» ‒ si presuppone che i parametri elencati nella suddetta nota ministeriale sarebbero tassativi, con la conseguenza che una dichiarazione di interesse culturale priva di uno di essi sarebbe irrimediabilmente viziata per difetto di istruttoria e di motivazione.
Nella specie, secondo la sentenza impugnata, difetterebbe il parametro incentrato sulla ‘letteratura scientifica esistente’, in quanto le due pubblicazioni richiamate nelle Relazioni storico-artistiche sarebbero l’una meramente descrittiva (quella di Cianciullo, Le croci viarie nel Molise, Isernia, 2002), l’altra in conflitto con la valutazione di interesse culturale (quella di Valente, Croci stazionarie nei luoghi antichi del Molise, Campobasso, 2012).
Ritiene il Collegio che tale ratio decidenti non sia corretta.
2.2.‒ Posto che la dichiarazione di interesse deve basarsi su di un solido e documentato apparato motivazionale, va rimarcato che la stessa, pur dovendosi informare a criteri generali e predeterminati (in ossequio al canone della trasparenza amministrativa), deve necessariamente tenere conto di considerazioni che si impongono caso per caso, ben potendo la situazione concreta richiedere la maggiore (o minore) considerazione di alcuni criteri a discapito di altri.
Per questi ovvi motivi, gli indicatori di cui alla nota ministeriale devono ritenersi esemplificativi e non certo tassativi o cumulativi.
Nel caso di specie ‒ in presenza di un apparato bibliografico limitato ‒ l’Amministrazione, non solo poteva, ma aveva il precipuo dovere di procedere allo studio ‘diretto’ dei beni culturali in questione (il Ministero della Cultura è, del resto, espressamente investito del compito di promuovere e sostenere studi e attività conoscitive aventi ad oggetto il patrimonio culturale: cfr. art. 118 del decreto legislativo n. 42 del 2004).
L’oggetto del giudizio non può esaurirsi nel mero controllo formalistico dei richiami bibliografici, dovendosi invece verificare se il contenuto specifico dell’apparato motivazionale posto a base della dichiarazione di vincolo sia in grado di sorreggere ‒ anche autonomamente ed in dissenso con l’opinione di altri studiosi ‒ il valore di testimonianza delle croci votive.
2.3.‒ Su queste basi, rileva il Collegio che il difetto di istruttoria e motivazione è apertamente contraddetto dalla quantità e qualità di elementi conoscitivi ‒ storici, etnoantropologici e fotografici ‒ che sorreggono i decreti impugnati.
Va in primo luogo rimarcato che la dichiarazione di interesse non ha per oggetto tutte le croci viarie del Molise, ma solo quelle ritenute di maggiore interesse storico e culturale, in quanto appartenenti a una particolare tipologia, quella delle croci viarie ‘votive’, dotate cioè di una nicchia per le offerte ed espressive dell’antica devozione e della cura del territorio da parte degli abitanti, dei pastori e dei viandanti di quei luoghi.
Ogni singola croce votiva e viaria è stata singolarmente analizzata – tenendo conto delle iscrizioni risultanti sui basamenti di alcune croci, della loro posizione topografica, della finalità per le quali venivano erette, del ruolo che hanno assunto negli ultimi secoli, della presenza di alcune di esse su mappe risalenti al XIX secolo – per poi essere coerentemente collocata nei ‘sistemi viari’ ubicati lungo il crinale di confine tra i comuni di Tufara e Castelvetere in Val Fortore e lungo l’antico percorso per Benevento tra i confini dei Comuni di Tufara e Gambatesa.
Emergono in modo chiaro le ragioni in base alle quali il sistema delle croci votive caratterizza storicamente l’ampio paesaggio naturale e agrario circostante, in virtù della sua posizione di altura, fungendo da punto di riferimento visivo, testimoniato dai toponimi ancora in uso che rimandano a un sistema di torri di avvistamento e di controllo.
Con riguardo alla relazione storico artistica allegata al decreto n. 27/2014, relativo al sistema delle croci votive e viarie lungo il crinale di confine tra i comuni di Tufara e Castelvetere, appare significativo riportare testualmente i seguenti passaggi:
«[…] In questo territorio di confine, tra Tufara e Castelvetere in Val Fortore, si individuano diversi manufatti, oggetto della presente relazione, costituenti una nuova tipologia di croce diversa da quella stazionaria, posta nelle vicinanze dei sagrati delle chiese, e anche da quella viaria con la quale pur condivide le funzioni. Queste croci costituiscono un connotato storico-paesaggistico rilevante nel territorio, sia singolarmente, per la loro posizione in altura, sia in quanto parti di un sistema di segnali viari che compongono un vero e proprio Sistema delle croci votive e viarie lungo il crinale di confine tra Tufara e Castelvetere. Questo sistema qualifica, insieme al centro urbano di Tufara, la storia del territorio essendo testimonianza della devozione e della cura del territorio da parte delle popolazioni di Tufara e Castelvetere.
Una delle iscrizioni apposta su una delle croci del sistema permette di considerare una datazione del medesimo al XIX secolo, ma tali manufatti perpetuano un uso che può essere fatto risalire ai secoli precedenti e che potrebbe giungere al periodo medievale.
Nell’approfondire, infatti, l'esame del contesto ambientale e storico in cui si sviluppa tale sistema di croci, è da notare che nelle località della Campania a ridosso del Molise si rinvengono tutta una serie di antiche strade che costituivano ramificazioni del sistema tratturale.
Le croci viarie indicavano ai pastori il percorso per raggiungere l'Adriatico e ai pellegrini le mete di pellegrinaggio come San Michele sul Gargano e San Nicola di Bari. Le croci erano collocate in punti visibili da tutti, su alture, agli incroci, nei pressi di punti di sosta, nei punti di raduno delle mandrie o di ingresso ai paesi. Per gli abitanti di una zona, oltre ad avere un significato devozionale, le croci potevano indicare anche un confine fra territori di centri abitati o proprietà.
I manufatti oggetto della presente relazione, rinvenuti sul detto crinale tra Tufara e Castelvetere condividono, appunto, le funzioni delle croci viarie in quanto a fattura e a forma strutturale, data, quest'ultima, dall'innesto di croci latine trilobate, in questi casi aniconiche, lapidee o metalliche, su cippi troncopiramidali e troncoconici. Tali croci presentano caratteri di somiglianza - per materiali, disegno, ma soprattutto per il tipo di ubicazione fuori dei centri abitati - con le croci di Gambatesa (Cda Fontanelle), Mirabello Sannitico (c.de Quercelle, Crocelle, San Giorgio, Colle del Signore), Morrone del Sannio (lungo la strada per il Monastero di S. Maria di Casalpiano), San Giuliano del Sannio (al quadrivio di due mulattiere colleganti la valle del Tammaro ai comuni a monte di San Giuliano del Sannio e Cercepiccola).
Le croci in esame si differenziano invece dalle precedenti per le nicchie presenti a metà altezza dei basamenti, utilizzate per il lascito di piccole lampade e altri oggetti votivi […]».
Anche della relazione storico artistica allegata al decreto n. 28/2014, relativo al sistema di croci votive e viarie lungo l’antico percorso per Benevento tra i comuni di Tufara e Gambatesa, appare opportuno riportare testualmente i seguenti passaggi:
«[…] Questo contesto territoriale non poteva non essere caratterizzato da un'importante rete di percorsi viari di cui è elemento fondamentale l'antica strada per Benevanto, che corre su parte del confine tra i comuni di Tufara e Gambatesa.
In questo territorio di confine tra Campania e Molise, si individuano appunto diverse croci votive e viarie, costituenti una tipologia che si aggiunge a stazionaria, posta invece nelle vicinanze dei sagrati delle chiese. Questi manufatti costituiscono un connotato storico-paesaggistico rilevante nel territorio, sia singolarmente, per la loro posizione in altura, sia per comporre, insieme alle altre croci votive e viarie sparse sul territorio, un vero e proprio sistema.
Tale sistema, oggetto della presente relazione risulta interessare anche la citata strada comunale per Benevento, sul cui percorso sono presenti, appunto, due manufatti.
Il sistema qualifica, insieme ai centri urbani di Tufara e Gambatesa, e il vicino territorio di Riccia, la storia del territorio essendo testimonianza della devozione e della cura del territorio da parte delle popolazioni molisane, oltre che di quelle campane.
Una delle iscrizioni apposta su una delle croci del sistema permette di considerarne una datazione del medesimo al XVIII secolo, ma l'insieme di tali manufatti perpetua un uso che può essere fatto risalire ai secoli precedenti e che potrebbe giungere al periodo medievale.
Nell’approfondire, infatti, l'esame del contesto ambientale e storico in cui si sviluppa tale sistema di croci, è da notare che nelle località della Campania a ridosso del Molise si rinvengono tutta una serie di antiche strade che costituivano ramificazioni del sistema tratturale. In questa zona, infatti, dalla mappa della Reintegra del 1959, è segnato il Tratturello n. 31 Volturara-Castelfranco, che collegava trasversalmente il tratturo Lucera-Castel di Sangro con il Pescasseroli-Candela. La rete minore dei tratturelli è ancora individuabile sia sulla cartografia IGM in prossimità di Decorata (BN), Castelvetere (BN), e, come da antiche mappe, in prolungamento verso Riccia, da un lato, e verso San Bartolomeo in Galdo (BN) dall'altro, attraversando il fiume Fortore.
La citata Strada comunale per Benevento, difatti, risulta essere un ramo di un antico percorso tratturale come dalla mappa del Bove3, e proprio in prossimità della 10c. Crocella è presente una diramazione per Tufara.
L’importanza del sistema viario in questione lo si evince anche dalla "Pianta del Bosco del Comune" di Tufara4 (oggi Bosco Pianella), datata 1812, dove la strada a confine con il comune di Riccia, in prossimità della 10c. Morgia Giuntatore, luogo di snodo con la rete dei percorsi campani, ed in prolungamento per Gambatesa, è indicata come "Tratturello", e si sovrappone proprio all'antica Strada comunale per Benevento riportata nel quadro di unione catastale del comune di Gambatesa.
Proprio in 10c. Crocella, sulla precedente mappa, in prossimità dello snodo con la diramazione per Tufara, è indicata la posizione della croce viaria, appunto la “Crocella”.
Le croci viarie indicavano ai pastori il percorso per raggiungere l'Adriatico e ai pellegrini le mete di pellegrinaggio come San Michele sul Gargano e San Nicola di Bari. Le croci erano collocate in punti visibili da tutti, su alture, agli incroci, nei pressi di punti di sosta, nei punti di raduno delle mandrie o di ingresso ai paesi. Per gli abitanti di una zona, oltre ad avere un significato devozionale, le croci potevano indicare anche un confine fra territori di centri abitati o proprietà.
Dall’antico percorso sopracitato, sono apprezzabili le visuali panoramiche sull'abitato di Gambatesa e, in parte sulla vallata del Tappino, ovvero, verso monte, sulla conca di Tufara fino al confine con la regione Campania. Il sistema delle croci votive e viarie è strettamente legato, pertanto, al suo percorso, lungo il quale appunto si rinvengono le singole croci, individuabili anche dalla cartografia IGM e catastale.
Tali opere costituivano un sistema di segni esprimenti sia la devozione degli abitanti di Tufara e Gambatesa, sia dei viaggiatori e dei pastori che percorrevano le vie di comunicazione caratterizzate dal sistema di croci votive descritto. Non è da escludere, peraltro, che tale sistema possa essere servito, oltre a finalità devozionali e di riferimento visivo, anche a marcare, nel sec. XIX, i confini amministrativi tra i comuni di Tufara, Gambatesa e Riccia […]».
Si tratta di argomenti e testimonianze da cui è possibile desumere come, nel contesto molisano, le croci votive e viarie costituissero beni oggetto di conoscenza e di consuetudine percettiva all’interno delle comunità che, provvedendo alla loro manutenzione, ne hanno garantito sino ad oggi la sopravvivenza. L’approfondimento critico sulle croci votive e viarie è stato condotto nel rispetto di alcuni dei principali criteri ministeriali di valutazione, e segnatamente: la «collocazione storica e cronologica del bene», la «comprensione filologica delle vicende e delle trasformazioni subite dal bene stesso dal momento della sua origine ad oggi», la «collocazione storico-territoriale», la «definizione dell’attuale consistenza materiale, in termini di materiali e tecniche costruttive ma anche per il relativo stato di conservazione».
2.4.‒ Nel corso del giudizio, il Ministero della Cultura ha peraltro offerto ulteriori contributi scientifici sull’importanza culturale generale delle croci viarie nel nostro Paese. È assai significativa in tal senso la ricognizione storiografica degli studi dedicati ai segni antropici che contraddistinguono storicamente la ‘rete viaria’ del paesaggio italiano, fra cui appunto le croci.
Questo complesso integrato di segni – «volti a offrire un orizzonte reintegrativo all’angoscia territoriale» dove «il simbolo della croce viene usato, innanzi tutto, come protezione rituale del territorio, ai quattro punti cardinali o comunque nei luoghi più salienti di contatto con le aree di pertinenza delle comunità vicine» – può fondatamente considerarsi parte del patrimonio culturale italiano, in quanto espressione di identità e frutto di un retaggio antico.
La difesa erariale ha pure richiamato attenzione sul fatto che, nel Catalogo Nazionale curato dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del Ministero, dedicato agli standard e ai vocabolari dei beni oggetto di catalogazione, sussistono a oggi ben 250 risultati corrispondenti alla voce «croce viaria», e molte di queste sono in Molise.
2.5.‒ In conclusione, non sono stati offerti al Collegio elementi idonei a smentire la ricostruzione storica ed etnoantropologica così operata dall’Amministrazione.
3.– Accolto l’appello principale del Ministero, va quindi scrutinato quello incidentale.
3.1– Viene in primo luogo riproposto il motivo di ricorso respinto dalla sentenza appellata, incentrato sullo sviamento della funzione e sull’abnorme sproporzione delle prescrizioni di tutela indiretta involgenti le aree circostanti i manufatti in oggetto. Non si comprenderebbe, secondo i ricorrenti, quale mai possa essere la ragione alla base di un vincolo indiretto rispetto a dei manufatti che, per la loro limitatissima consistenza, sono visibili soltanto a chi si avvicini a pochi metri di distanza, e rispetto alla cui visione non può in alcun modo incidere l’eventuale realizzazione di altri manufatti che si trovino a centinaia di metri di distanza. La sproporzione riguarderebbe soprattutto l’estensione del divieto di trasformazione, mediante la realizzazione di opere e palificazioni, a tutte le aree circostanti i manufatti assoggettati a vincolo diretto.
Il motivo è fondato per le ragioni che seguono.
3.2.‒ I decreti impugnati, per le aree di tutela indiretta, costituite dalle particelle catastali circostanti ognuna delle croci menzionate, hanno dettato le seguenti prescrizioni: «è vietata la trasformazione, sia a carattere permanente che temporaneo, dell’aspetto esteriore dei luoghi ricompresi nell’ambito del vincolo indiretto; per i medesimi luoghi è prescritto il mantenimento dell’uso agricolo attuale del suolo; è vietata, altresì, nei medesimi luoghi, l’apertura di cave, la posa in opera di condotte per impianti industriali e civili, nonché la realizzazione di palificazioni, sia se articolate su elementi puntuali, sia se articolate in sistemi a rete».
L’ampiezza del vincolo viene motivata dall’Amministrazione «in funzione dell’esigenza di evitare che siano alterate le condizioni di contesto ambientale e di decoro, nonché di prospettiva e visuale, delle croci votive e viarie sottoposte a tutela, oltre che di scongiurare rischi all’integrità di ciascuno dei manufatti».
Ritiene il Collegio che tale motivazione sia del tutto inadeguata.
3.3.– I beni culturali sono radicati nello specifico luogo in cui, nelle epoche passate, furono ideati e realizzati. Influendo la “cornice” ambientale sull’aspetto esteriore e sulla capacità di tramandare il «valore tipico» di cui è portatrice ogni testimonianza materiale avente valore di civiltà, l’intervento pubblico contempla uno specifico regime di salvaguardia territoriale delle zone circostanti e limitrofe.
Le «prescrizioni di tutela indiretta» ‒ previste dall’art. 45 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nel quale è rifluita, con espressioni letterali largamente coincidenti, la fattispecie sostanziale disciplinata dapprima all’art. 21 della legge n. 1089 del 1939 e poi all’art. 49 del decreto legislativo n. 490 del 1999 ‒ hanno la funzione di completamento pertinenziale della visione e della fruizione dell’immobile principale (gravato da vincolo “diretto”).
L’amministrazione, in particolare, «ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro» (così il già citato art. 45 del d.lgs. 42 del 2004).
La soggezione di determinati beni a previsioni di tutela indiretta può fare insorgere, in capo ai loro titolari, vincoli e oneri conservativi della res, nella sua integrità e originalità, sia pure di intensità attenuata rispetto ai più gravosi obblighi “positivi” (come definiti agli artt. 30, 32, 33 e 34 del d.lgs. n. 42 del 2004) che ricadono sul proprietario del bene di “diretto” interesse culturale.
Tale tipologia di vincolo, integrando un limite apposto al diritto di proprietà sulla base di apprezzamenti rimessi all’autorità amministrativa competente, deve essere ‘dimensionato’ alla luce dei principi di seguito esposti.
3.4.‒ Negli ordinamenti democratici e pluralisti si richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. Così come per i ‘diritti’ (sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2013), anche per gli ‘interessi’ di rango costituzionale (vieppiù quando assegnati alla cura di corpi amministrativi diversi) va ribadito che a nessuno di essi la Carta garantisce una prevalenza assoluta sugli altri. La loro tutela deve essere «sistemica» e perseguita in un rapporto di integrazione reciproca.
La primarietà di valori come la tutela del patrimonio culturale o dell’ambiente implica che gli stessi non possono essere interamente sacrificati al cospetto di altri interessi (ancorché costituzionalmente tutelati) e che di essi si tenga necessariamente conto nei complessi processi decisionali pubblici, ma non ne legittima una concezione ‘totalizzante’ come fossero posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto.
Il punto di equilibrio, necessariamente mobile e dinamico, deve essere ricercato – dal legislatore nella statuizione delle norme, dall’Amministrazione in sede procedimentale, e dal giudice in sede di controllo – secondo principi di proporzionalità e di ragionevolezza.
Nel caso di specie, il principio di proporzionalità appare violato, non nella componente della idoneità (al raggiungimento dell’obiettivo prefissato) o della necessarietà (ravvisabile quando non sia disponibile nessun altro mezzo egualmente efficace, ma meno incidente nella sfera giuridica del destinatario), bensì della ‘proporzionalità in senso stretto’.
L’ultimo gradino del test di proporzionalità, come è noto, implica che una misura adottata dai pubblici poteri non debba mai essere tale da gravare in maniera eccessiva sul titolare dell’interesse contrapposto, così da risultargli un peso intollerabile.
Ebbene, se paragoniamo l’obiettivo perseguito dalla Soprintendenza ‒ la tutela culturale delle croci votive ‒ ed il mezzo utilizzato ‒ il radicale svuotamento delle possibilità d’uso alternativo del territorio, soprattutto ai fini della produzione di energia eolica ‒ appare evidente quanto sia sbilanciata la ponderazione effettuata.
L’interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale non ha, nel caso concreto, il peso e l’urgenza per sacrificare interamente l’interesse ambientale indifferibile della transizione ecologica, la quale comporta la trasformazione del sistema produttivo in un modello più sostenibile che renda meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia, la produzione industriale e, in generale, lo stile di vita delle persone.
La posizione ‘totalizzante’ così espressa dall’Amministrazione dei beni culturali si pone in contrasto con l’indirizzo politico europeo (Direttiva CEE n. 2001/77) e nazionale (d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387) che riconosce agli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili importanza fondamentale, dichiarandoli opere di pubblico interesse proprio ai fini di tutela dell’ambiente: l’art. 12, comma 7, del d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387, in particolare, sancisce la compatibilità degli impianti eolici con le zone agricole, stabilendo che nella loro ubicazione si deve tenere conto «delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale […]»).
3.5.‒ Gli atti impugnati risultano violativi anche del principio di integrazione delle tutele ‒ riconosciuto, sia a livello europeo (art. 11 del TFUE), sia nazionale (art. 3-quater del d.lgs. n. 152 del 2006, sia pure con una formulazione ellittica che lo sottintende) ‒ in virtù del quale le esigenze di tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle altre pertinenti politiche pubbliche, in particolare al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile.
Il principio si impone non solo nei rapporti tra ambiente e attività produttive ‒ rispetto al quale la recente legge di riforma costituzionale 11 febbraio 2022 n. 1, nell’accostare dialetticamente la tutela dell’ambiente con il valore dell’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), segna il superamento del bilanciamento tra valori contrapposti all’insegna di una nuova assiologia compositiva ‒ ma anche al fine di individuare un adeguato equilibrio tra ambiente e patrimonio culturale, nel senso che l’esigenza di tutelare il secondo deve integrarsi con la necessità di preservare il primo.
Se il principio di proporzionalità rappresenta il criterio alla stregua del quale mediare e comporre il potenziale conflitto tra i due valori costituzionali all’interno di un quadro argomentativo razionale, il principio di integrazione costituisce la direttiva di metodo. La piena integrazione tra le varie discipline incidenti sull’uso del territorio, richiede di abbandonare il modello delle «tutele parallele» degli interessi differenziati, che radicalizzano il conflitto tra i diversi soggetti chiamati ad intervenire nei processi decisionali.
La valenza ‘procedimentale’ del principio di integrazione ‒ bene esemplificata dall’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 dove si prevede che «linee guida sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio», escludendo per ciò stesso una incompatibilità di principio di essi con la tutela del paesaggio stesso ‒ implica che il procedimento sia la sedes materiae in cui devono contestualmente e dialetticamente avvenire le operazioni di comparazione, bilanciamento e gestione dei diversi interessi configgenti.
Su queste basi, le prescrizioni di tutela indiretta apposte dall’Amministrazione dei beni culturali costituiscono un metodo, non solo incongruo (in quanto operata al di fuori della delicata operazione di valutazione e comparazione degli interessi), ma anche surrettizio ‒ in tal senso è ravvisabile lo sviamento della funzione ‒ per ‘disapplicare’ gli esiti della conferenza di servizi cui aveva preso parte la stessa Soprintendenza molisana, a danno dei soggetti che avevano già conseguito le autorizzazioni uniche da parte della Regione per la realizzazione degli impianti eolici.
3.6.‒ Va invece respinto il secondo motivo di ricorso incidentale ‒ relativo alla asserita violazione dell’articolo 138, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, stante l’omessa richiesta ed acquisizione del parere obbligatorio della Regione Molise ‒ in quanto, come correttamente statuito dal giudice di prime cure, la norma invocata riguarda esclusivamente i «beni paesaggistici», mentre i provvedimenti impugnati si riferiscono alla tutela di «beni culturali».
4.‒ Quanto ai motivi assorbiti in primo grado e riproposti in appello:
i) non sussiste alcuna violazione del contraddittorio procedimentale, in quanto i decreti impugnati sono stati preceduti dalla comunicazione di avvio dei procedimenti e i ‘diritti partecipativi’ sono espressamente garantiti dall’art. 10 della legge n. 241 del 1990 (in ogni caso, nella nota del 15 maggio 2014, prot. n. 1278, si legge che «presso la Soprintendenza è possibile effettuare sia la richiesta di accesso agli atti, sia la presentazione di memorie scritte e documenti entro il termine di 80 giorni dalla ricezione della presente»);
ii) quanto alla mancata partecipazione della Commissione regionale per il patrimonio culturale sia del Molise, che – per ciò che attiene al vincolo località Toppo di Rocco – della Campania, prevista invece dall’articolo 39, comma 1, del D.P.C.M. del 29 agosto 2014, n. 171, è sufficiente considerare che si tratta di censura inammissibile, in quanto non contemplata negli atti introduttivi del giudizio di primo grado.
5.– In accoglimento dell’appello incidentale, i ricorsi di primo grado vanno dunque accolti, sia pure con differente motivazione, con conseguente annullamento dei decreti impugnati nella parte relativa alle prescrizioni di tutela indiretta.
L’Amministrazione, in sede di riedizione del potere, dovrà questa volta ricercare non già il totale sacrificio dell’uso produttivo di energia pulita delle aree contigue alle croci votive, secondo una logica meramente inibitoria, bensì una soluzione comparativa e dialettica fra le esigenze dello sviluppo sostenibile e quelle afferenti al paesaggio culturale.
5.1.– Le spese di lite del doppio grado di giudizio vanno compensate, in considerazione della particolarità della vicenda e della natura degli interessi coinvolti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
- accoglie l’appello principale proposto dal Ministero della Cultura;
- accoglie l’appello incidentale e, per l’effetto, accoglie i ricorsi di primo grado con diversa motivazione e annulla in parte i provvedimenti impugnati in quella sede nei termini di cui in motivazione;
- compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2022 con l’intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Dario Simeoli, Consigliere, Estensore
Francesco De Luca, Consigliere
Thomas Mathà, Consigliere
Giovanni Pascuzzi, Consigliere