La legge sul patrimonio storico della Grande Guerra (scheda a cura di Giuseppe Severini) VERIFICA GIURIDICA DELLE DENUNCE AMBIENTALI

 

     La Gazzetta Ufficiale n. 75 del 30 marzo 2001 reca la legge 7 marzo 2001, n. 78 – Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale.

 

     Si tratta di una legge che riunisce vari disegni di legge d’iniziativa parlamentare presentati sia alla Camera dei Deputati che al Senato e che è stata varata con il consenso di tutti i gruppi parlamentari.

 

     Questa legge risponde all’esigenza di salvaguardia di un diffuso patrimonio storico, che – come dice la relazione ad uno di questo disegni di legge - “l’usura del tempo e degli agenti atmosferici da un lato, la curiosità e l’interesse non sempre correttamente orientato degli uomini dall’altro, vanno progressivamente ed implacabilmente rimovendo”. Al tempo stesso, essa intende regolare e sostenere le iniziative spontanee che, negli ultimi anni, si sono un po’ ovunque moltiplicate per la difesa, la conservazione, il restauro e la valorizzazione di queste cose realizzando musei, convenzionali o all’aperto, e recuperando strutture da parte di amministrazioni locali, associazioni di volontariato (come l'Associazione Nazionale Alpini) e il Comando delle Truppe alpine, talvolta in azione congiunta di volontari italiani, austriaci e tedeschi.

 

     Gli oggetti che la legge espressamente protegge sono le “vestigia della Prima guerra mondiale”: cose materiali, del cui “valore storico e culturale” viene fatto espresso riconoscimento (art. 1, comma 1), e la cui caratteristica comune è di essere state, direttamente o indirettamente, realizzate per l’attività bellica della Grande guerra o in memoria o per documentazione di questa.

 

Di queste vestigia, l’art. 1, comma 2, fornisce una elencazione:

a)      forti, fortificazioni permanenti e altri edifici e manufatti militari;

b)      fortificazioni campali, trincee, gallerie, camminamenti, strade e sentieri militari;

c)      cippi, monumenti, stemmi, graffiti, lapidi, iscrizioni e tabernacoli;

d)      reperti mobili e cimeli;

e)      archivi documentali e fotografici pubblici e privati;

f)        ogni altro residuato avente diretta relazione con le operazioni belliche.

 

     Non si tratta di beni culturali, almeno nel senso inteso dal Titolo I del d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico dei beni culturali e ambientali) (già legge 1 giugno 1939, n. 1089), perché sono cose oggetto sì di un processo di rarefazione, ma non giunto fino al punto tale da giustificare un loro generalizzato assoggettamento a quella tutela quali beni storici o storico-artistici. Se introdotta per singole cose (ad es., per un forte di particolare pregio architettonico, o per un edificio che fu sede di un particolare evento), la salvaguardia apprestata da quella legge concorrerà con questa salvaguardia, senza che l’una escluda l’altra. Del resto, si tratta di qui di una specie particolare di c. d. “beni culturali minori”, per i quali la necessità presente nel corpo sociale è non tanto di una tutela di tipo ablativo, quanto di una normazione “a basso regime”, vale a dire a vigilanza leggera e fatta più di servizi e di sostegno che di direzione autoritativi. Di fronte ad una tale domanda sociale, un assoggettamento generalizzato alla normativa del Testo unico sarebbe stato difficilmente accettabile e difficilmente gestibile (si consideri che il solo fronte era di ben 600 chilometri). Al tempo stesso, lasciare fuori di una normativa di salvaguardia un tale patrimonio, avrebbe significato rimanere indifferenti alla sua dispersione.

 

     L’impianto della legge è comunque ispirato a non derogare, ma a concorrere cumulativamente con altre normative: non solo quella in tema di tutela del patrimonio storico-artistico, ma anche, ad es., quella in tema di tutela paesistica, che come noto riguarda ex lege tutti i territori di alta montagna o circostanti i fiumi.

 

     In sintesi, la legge opera lungo queste direttrici:

 

a)      da un lato vengono vietati gli interventi di alterazione delle caratteristiche materiali e storiche delle vestigia protette. Il che è di particolare importanza per quanto riguarda il patrimonio immobiliare (art. 1, comma 5).

b)      da un altro lato vengono invece facilitati e sostenuti gli interventi di manutenzione, restauro, gestione e valorizzazione delle stesse vestigia, purché eseguiti in conformità a precisi criteri tecnico scientifici, da fissare da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (art. 4, comma 1, lett. b)), sia da parte privata (con particolare riguardo al volontariato) che da parte pubblica. Tali interventi – che non possono eccedere in alterazioni dei manufatti - sono assoggettati all’obbligo di previa comunicazione alla locale Soprintendenza, corredata di progetto esecutivo e di atto di assenso del titolare del bene, almeno due mesi prima dell’inizio delle opere (art. 2, comma 3). Questo regime di denuncia di inizio di attività non deroga però all’obbligo di ottenere la previa autorizzazione se la cosa è sottoposta alla tutela del Titolo I del d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, a quello di ottenere l’autorizzazione paesistica ai sensi del Titolo II dello stesso T. u. e alle competenze del Ministero della Difesa e del Ministero delle Finanze (art. 2, comma 2).

 

     Circa i soggetti che possono eseguire gli interventi, essi sono indicati alla legge secondo un ordine che riflette il principio di sussidiarietà, sia orizzontale (privati, singoli o associati) che verticale (enti territoriali). Un particolare ruolo è dato al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che dovrà fornire determinate direttive sugli interventi o, in via suppletiva, eseguirli direttamente, e dovrà istituire un apposito Comitato tecnico-scientifico con specifiche funzioni consultive; al Ministero della Difesa, che, oltre che poter realizzare direttamente alcuni interventi, dovrà in particolare curare gli archivi storici militari (strumento indispensabile anche per un corretto recupero degli immobili) e al Ministero degli Affari esteri, che dovrà promuovere iniziative a livello internazionale. Un ruolo particolarmente incisivo sarà poi, sia sul piano della amministrazione attiva che su quello della legislazione concorrente, quello spettante a regioni e province autonome, anch’esse chiamate alla realizzazione o alla vigilanza sugli interventi (artt. da 4 a 6) e a regolare più dettagliatamente la raccolta di reperti mobili.

 

     È previsto anche il finanziamento statale degli interventi, se pienamente conformi ai criteri e corredati di adeguata documentazione, ad opera del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (art. 8).

 

     Dal punto di vista dell’apparato sanzionatorio, la legge prevede alcune fattispecie di illecito amministrativo e penale (art. 10): l’esecuzione di interventi senza avere compiuto la denunzia in questione e l’impossessamento, o il possesso, di reperti mobili o cimeli senza farne denuncia al sindaco sono illeciti amministrativi, la realizzazione degli interventi di alterazione è un reato contravvenzionale.