Tribunale Palermo Sez. III 16 maggio 2017
Beni Culturali.Deturpazione chiosco liberty
Secondo l’orientamento consolidato in Cassazione, soggetto attivo del reato ex art. 733 c.p. può essere sia il proprietario sia il possessore o il detentore, dato che un’interpretazione eccessivamente restrittiva del termine “propria” paradossalmente escluderebbe dalla tutela penale una serie di beni pubblici, che in quanto res communes omnium non possono definirsi, strictu sensu “propri” di determinate persone fisiche, preposte alla loro effettiva salvaguardia. La cosa propria definita dalla norma in commento va intesa come rientrante nella “materiale disponibilità” dell’agente (fattispecie relativa alla deturpazione di uno dei chioschetti liberty, posti davanti al teatro Massimo di Palermo - la cui natura di bene di pregio artistico e storico è reso palese dalle caratteristiche architettoniche del tutto peculiari e dalla assoluta notorietà della importanza nella storia dell’architettura del suo progettista- attraverso buchi praticati sul marmo di Billiemi per il passaggio dei tubi del condizionatore d’aria ed una serie di ingombranti strutture metalliche abusive stabilmente infisse al suolo, con funzione di vetrine di mercanzie varie, che lo infagottano).
N.2563/2017 RGNR – N.22982/2015 RGNR
TRIBUNALE DI PALERMO-SEZIONE III PENALE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice, dott.ssa Marina Petruzzella;
all’udienza del 16 maggio ha emesso . SENTENZA
nei confronti di XXX nata a Palermo il XX, libera, assente,
difeso di fiducia dagli avv.ti XXX;
IMPUTATA
A) per il reato cui all’art. 44 lett. b d.p.r. 380 del 2001, perché, pur non essendo provvista di permesso di costruire, su una porzione del chioschetto in stile liberty di piazza Verdi a Palermo, nelle immediate adiacenze del teatro Massimo, eseguiva le seguenti opere: realizzazione di una veranda in profilato metallico e vetro delle dimensioni di metri 1 × 1,80; stabile infissione al suolo di due vetrine di delle dimensioni di metri 1,77 per 0,78 per 2,35; collocamento di una struttura metallica delle dimensioni di metri 0,40 × 0,90 × 1,21;
B) del reato di cui agli articoli 633 e 639 bis c.p., perché arbitrariamente invadeva il chioschetto di cui al capo A di proprietà del Comune di Palermo e la cui concessione in suo favore era scaduta, al fine di occuparlo per l’espletamento della sua attività imprenditoriale;
C) del reato di cui all’articolo 733 c.p., perché deteriorava il chioschetto di cui al capo A, realizzandovi le opere ivi descritta, praticandovi dei fori per il passaggio dell’impianto di refrigerazione.
Fatti accertati in Palermo il 10 dicembre 2015
Procedimento nel quale è da considerarsi persona offesa e il comune di Palermo
Conclusioni delle parti
Pm: ritenuto più grave il reato di cui al capo B, condanna alla pena di mesi nove di reclusione da euro 200 di multa.
Difensore : assoluzione con la più ampia formula liberatoria.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Pm presso il Tribunale di Palermo, con atto del 9 luglio 2016 citava a giudizio davanti a questo Tribunale XXX per rispondere dei reati di cui esattamente in epigrafe. All’udienza del 7 marzo 2017, dichiarata l’assenza dell’imputata, l’avv.to XXX, dotato della necessaria procura, chiedeva l’accoglimento dell’istanza di applicazione pena formulata per iscritto e per la quale già il 28 febbraio 2017 aveva ricevuto il consenso dal Pm titolare, ricevendo anche il consenso del Pm d’udienza. Il giudice, all’esito della camera di consiglio, con ordinanza di cui dava lettura, rilevava che in realtà da un esame preliminare dell’istanza ex art. 444 era dato scorgerne vistosi errori materiali, non contenendo alcun calcolo in relazione al regime della continuazione ex art. 81 c.p. (alla cui applicazione alludeva con l’espressione “ritenuto più grave il reato di cui all’art. 633 c.p.”) e parlandosi in essa inoltre di “aggravanti generica” (il che precludeva al giudicante la possibilità di esaminare gli atti dell’indagine e di esprimersi sul merito della richiesta). Pertanto, al fine di consentire alle parti la correzione della richiesta, rinviava la trattazione del processo all’udienza del 14 marzo 2017.
All’udienza del 14 maggio 2010, assenti i difensori d’ufficio, sostituiti ai sensi dell’articolo 97 quarto comma codice di procedura penale, per ragioni riguardanti il carico dell’udienza veniva disposto un rinvio per la medesima attività all’udienza del 21 marzo 2017, stante ancora l’assenza dei difensori di fiducia, sostituiti ai sensi art. 97 quarto comma c.p.p., e preso atto della dichiarazione del difensore così nominato all’astensione indetta dall’Unione Camere Penali Italiane il 4 marzo 2017, giudice, dichiarando la sospensione dei termini di prescrizione dei reati, disponeva un rinvio per le medesime attività.
All’udienza del 28 marzo 2017, ancora una volta i difensori di fiducia assenti venivano sostituiti ai sensi art. 97 comma quarto c.p.p.. Dunque il giudice dando nuovamente atto degli errori già rilevati in ordine all’istanza di applicazione pena (e non essendo pervenuta alcun altra istanza di riformulazione e alcun altro tipo di istanza preliminare), ne dichiarava il rigetto per le ragioni formali già messe in luce, restituendo al Pm gli atti del fascicolo delle indagini. Procedendo oltre il giudice dichiarava l’apertura del dibattimento e provvedeva sulle istanze istruttorie delle parti, ammettendo i testi della lista del Pm e l’esame dell’imputata, richiesto dal difensore. Alla stessa udienza venivano escusso il teste di Pg Luigi Migliore, e su istanza del Pm e col consenso della difesa, venivano acquisiti documenti relativi alla vicenda della concessione dell’uso del chioschetto alla imputata ed album fotografico del 10 dicembre 2015, cui il teste aveva fatto riferimento, ed altro album composta da quattro foto scattate il 16 marzo 2016 dal Nucleo Tutela Patrimonio Artistico della Polizia municipale.
All’udienza del 16 maggio 2017, dichiarato chiuso il dibattimento e utilizzabili gli atti acquisiti, raccolte le conclusioni delle parti, giudice all’esito della camera di consiglio, emetteva la sentenza di cui al dispositivo in atti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I fatti di cui è processo hanno ad oggetto le modalità dell’uso fatto e i danni cagionati allo storico “chioschetto Vicari”, opera del grande architetto Ernesto Basile, appartenente al patrimonio del Comune di Palermo.
Per l’esatta contestualizzazione dei fatti di cui è qui processo, va ancora premesso che il chiosco, che sorge davanti al monumentale teatro Massimo, contribuendo a comporre il panorama artistico della piazza, è un piccolo immobile di rilevante pregio architettonico liberty, realizzato su progetto del noto architetto Ernesto Basile, costruito sul finire dell’’800. Riprende motivi dell’arte islamica. Attraverso le foto acquisite, nonostante il grave degrado che all’evidenza lo pervade e nonostante appaia infagottato tra i casotti e le vetrine abusive collocate da chi lo ha in uso (per sfruttare intensivamente l’area a beneficio del commercio che vi esercita), è possibile apprezzarne la struttura a pianta cruciforme, e la base in pietra di Billiemi ed inoltre l’elegante intarsio in legno di diverse parti dei suoi rivestimenti esterni e gli elementi in ferro battuto, nel profilo strutturale e nella guglia.
Il teste Luigi Migliore, della polizia municipale di Palermo, riferendo della sua ispezione effettuata insieme ad altri colleghi, il 9 il 10 e l’11 dicembre 2015, ha innanzitutto rievocato che l’intervento del 9 dicembre era avvenuto a seguito di segnalazione della centrale operativa riguardante alcuni “comportamenti commerciali” tenuti presso i due chioschetti storici di piazza Verdi, che sorgono davanti al teatro Massimo, adibiti a rivendita tabacchi.
In particolare, ha aggiunto il teste, la Centrale aveva segnalato che venissero poste in vendita dai gestori di quei chioschetti merci di diversi tipi, in strutture collocate sul suolo pubblico adiacente a ciascuno dei chioschi. La sera del 9 dicembre, arrivati sul luogo, passando al controllo del locale dato in concessione dal Comune alla XXX, era presente non quest’ultima ma il marito, XXX. Vista l’ora si concordava col coniuge dell’imputata di rinviare la prosecuzione del controllo all’indomani mattina. Sul luogo l’indomani mattina si faceva trovare l’imputata, alla presenza della quale veniva chiesto l’intervento di un tecnico dell’ufficio del centro storico del Comune di Palermo e dei vigili del fuoco, in quanto lo stato del cornicione del chioschetto rischiava di mettere a repentaglio l’incolumità pubblica. Ed infatti previa valutazione concorde del tecnico del Centro storico, architetto Gabriele Giorgianni, e dei vigili del fuoco, intervenuti, questi provvedevano d’urgenza al distacco delle parti del cornicione ché minacciavano di crollare addosso agli avventori e ai passanti. La Palazzolo veniva avvertita dal tecnico di collocare con urgenza nelle parti ammalorate delle tutele provvisorie, per evitare danni alla gente.
Durante il medesimo sopralluogo, ha via via ricordato il teste, veniva constatato che alla struttura dell’immobile erano state apportate delle modifiche, consistenti: nella collocazione di una veranda in profilato metallico e vetri delle dimensioni di cui anche al capo d’accusa, di un compressore per la refrigerazione di alcuni banconi frigo collocati sul suolo pubblico; inoltre erano stati praticati dei buchi sul marmo di Billiemi del chioschetto (che ne riveste anche l’esterno) al fine di farli passare i tubi dei suddetti frigoriferi.
Il teste ha tra l’altro evidenziato che le foto 1 e 2 dell’album acquisito mostrano la collocazione di quattro grossi fari alogeni nel tetto della chioschetto, per illuminarlo, le foto 3 e 4 i compressori ricoperti da una grossa griglia di profilato metallico, collocati sul suolo davanti al chioschetto, la foto 4 i fori praticati sulla pietra di billiemi che ricopre la parte bassa esterna del chioschetto, la foto 5 i tubi di degli apparecchi di refrigerazione di cui sopra, collegati ad un impianto di alimentazione elettrica, le foto 6 e 7 la grossa vetrina aderente al chioschetto, rispetto alla quale l’imputata non forniva alcun titolo autorizzativo. Le foto da 8 a 15 gli ammaloramenti della cornice, la foto numero 17 de mostra ancora di più da vicino la gabbia metallica posta a protezione contro i furti del grosso compressore dei frigoriferi.
L’ispettore Migliore ha inoltre fatto presente che nell’occasione era stato chiesto un sopralluogo con la Sovrintendenza, al fine di accertare attraverso la documentazione anche planimetrica dell’immobile in quale misura il suo stato attuale si discostasse da quello originale, trattandosi di bene storico di proprietà del comune e quindi ope legis sottoposto a vincolo monumentale, ma di non saper dire se poi la Sovrintendenza avesse espletato tale accertamento, dal momento che gli aspetti afferenti alla tutela del monumento erano stati demandati al Nucleo Tutela Patrimonio artistico e monumentale. Ha dichiarato di sapere che comunque dopo il sequestro delle due vetrine staccate dal chiosco, effettuato in occasione del suo intervento, l’imputata aveva ottenuto la rimozione dei sigilli ed aveva provveduto a farle allontanare dal chioschetto con una gru, mentre il condizionatore non è stato mai stato rimosso. Al riguardo il teste ha pure chiarito che invece le verandine fabbricate sul prospetto del chioschetto, fuoriuscenti dai tre lati finestrati del chioschetto non furono poste sotto sequestro, e ha spiegato ciò rappresentando che erano queste ultime opere saldamente imbullonate alla muratura del chiosco.
Proseguendo nella descrizione dello stato dei luoghi il teste ha rivelato ancora che la porta d’ingresso all’interno del locale (collocata sul quarto lato del chioschetto) consisteva in un deturpante infisso in profilato metallico (cnfr. anche verbale di sequestro in atti)
Ciò posto, risulta accertata la sussistenza degli estremi dei reati contestati all’imputata ai capi A e C.
Ed invero la struttura (veranda) in profilato metallico e vetro, larga metri 1,77 profonda 0,78, e alta metri 2,35 (ricolma di mercanzia), costituisce all’evidenza un arbitrario ampliamento volumetrico del chioschetto monumentale, così come le due vetrine alte metri 1,80 e larghe 1 metro, poste ai lati dell’ingresso del chioschetto, per volume e struttura, integrano ai sensi degli artt. 3 e 10 e 44 lett. c DPR 380/2001 gli estremi di una costruzione abusiva, alla stessa stregua della struttura metallica delle dimensioni di 0,40 × 0,90 × 1,21 m, infissa al suolo pubblico, con funzione di protezione dei due compressori per l’aria condizionata e a beneficio dell’interno del locale. Tutte le suddette opere, oltre a costituire uno sfregio della integrità e della funzione del monumento e oltre a non essere state precedute da alcuna autorizzazione della Sovrintendenza (in violazione anche tra l’altro degli artt. 20 e 21 comma quarto dlg 442/2004), dal punto di vista della disciplina edilizia ed urbanistica risultano abusivamente compiute, non soltanto perché non formalmente autorizzate dall’ufficio tecnico del centro storico del comune di Palermo, ma innanzitutto perché in contrasto con le Norme Tecniche di Attuazione del Piano Particolareggiato Attuativo del centro storico di Palermo, approvato con decreto dell’Assessore Territorio e ambiente nel 1993, che vieta ogni deturpante manomissione dei beni monumentali 1.
Non v’è dubbio che i buchi praticati sul marmo di Billiemi per il passaggio dei tubi del condizionatore d’aria abbiano danneggiato il monumento e che in ciò è ravvisabile una condotta che integra gli estremi del reato previsto e punito all’articolo 733 bis del codice penale, sia dal punto di vista oggettivo che sotto l’aspetto dell’elemento psicologico dell’agente. La natura di bene di pregio artistico e storico è nella specie reso chiaro dalle caratteristiche architettoniche del tutto peculiari del chioschetto e dalla assoluta notorietà della importanza nella storia dell’architettura del suo progettista.
Secondo l’orientamento da decenni consolidato in Cassazione, soggetto attivo del reato ex art. 733 c.p. può essere sia il proprietario sia il possessore o il detentore, dato che un’interpretazione eccessivamente restrittiva del termine “propria” paradossalmente escluderebbe dalla tutela penale una serie di beni pubblici che in quanto res communes omnium non possono definirsi, strictu sensu “propri” di determinate persone fisiche, preposte alla loro effettiva salvaguardia. La cosa propria definita dalla norma in commento va intesa come rientrante nella “materiale disponibilità” dell’agente (Cass. 12 maggio 1995, Cinelli, C.E.D. Cass., n. 195114; ad es. possono rispondere del reato i legali rappresentanti delle persone giuridiche, in particolare, l'amministratore di una società che sia proprietaria del bene -Cass. 21 giugno 1991, C.E.D. Cass., n. 187801-, i soci di una s.r.l. che abbiano realizzato costruzioni abusive danneggiando una villa di proprietà della società -Pret. Napoli, 22 gennaio 1977, Lamberti, Foro it.,1977, II, 199-, l'assessore delegato dal Sindaco, in concorso con l'organo tecnico comunale e con gli organi centrali e locali dell'amministrazione dei beni culturali, per l’errato restauro della pavimentazione di Piazza della Signoria a Firenze -Pret. Firenze, 21 febbraio 1992-, il presidente della camera di commercio che disponga la demolizione di un edificio storico di proprietà dell’ente -Pret. Livorno, 22 giugno 1974, Pini. In dottrina si è ritenuto che il corretto intendimento del termine "cosa propria" con efficacia estensiva all'aggettivo possessivo, così da ricomprendere tra gli agenti chiunque abbia con la cosa un rapporto di disponibilità ovvero di possesso in senso lato, non si traduce nella inammissibile estensione analogica in malam partem, ma rimane nei limiti di una corretta interpretazione estensiva, con il risultato di affrancarsi dal collegamento univoco con l'accezione di proprietà ex art. 832 c.c., e rendere possibile l'affermazione di penale responsabilità anche dei legali rappresentanti della persona giuridica).
L’imputata va invece assolta dal capo B in quanto la documentazione prodotta, come si vedrà meglio di seguito, attesta che la pratica di concessione all’epoca dell’ispezione della Pg fosse in itinere e che sia stata poi esitata favorevolmente e che tra l’altro le vetrine in questione avevano addirittura formato oggetto di concessione dell’occupazione del suolo pubblico.
Passando al trattamento sanzionatorio, stante la continuazione sotto il reato più grave, contestato al capo A, appare equo, in considerazione della notevole entità del danno cagionato al bene di interesse monumentale attraverso le modalità accertate e tenuto conto di tutti i parametri di cui all’art. 133 c.p., la pena dell’arresto di anno uno e mesi otto ed euro 25.000,00 di multa, aumentata per la continuazione come da dispositivo. Segue la condanna alle spese del giudizio. Segue, ai sensi dell’art. 31 comma 9 DPR 2380/2001 l’ordine di demolizione delle opere abusive e della rimessione pristino dei luoghi.
Infine va segnalato al Pm, per i provvedimenti di sua competenza, quanto segue.
Dagli atti acquisiti nel corso del processo, relativi agli accertamenti di cui ha riferito il teste di Pg, risulta che il Comune di Palermo concede ininterrottamente almeno dal 1998 all’imputata l’uso del chioschetto di piazza Verdi, di cui è processo, per esercitarvi l’attività commerciale di rivendita di tabacchi”, senza che la concessione in godimento dello stesso pregevole bene immobile del Comune sia stato sottoposto mai in tutto questo tempo a procedura di evidenza pubblica. E’ incontrastato che il regio decreto 2440 del 1923 sia sempre stata considerata la disciplina applicabile ai contratti attivi conclusi dalla Pubblica amministrazione, con l’espressa indicazione di una tipica modalità di affidamento: i pubblici incanti. Le forme che i pubblici incanti possano e debbano assumere risulta sicuramente influenzata dalle spinte legislative europee che richiedono la definizione di procedure volte a garantire la concorrenza e la massima trasparenza e pubblicità.
.
I diversi dirigenti del Comune di Palermo che hanno sottoscritto le suddette concessioni all’imputata hanno così agendo escluso dalla partecipazione alla aggiudicazione dell’uso del bene il pubblico degli interessati, gestendo il bene come una cosa in loro privato dominio, in fregio alle normative sulla gestione ed utilizzazione trasparente e fruttuosa delle risorse del patrimonio immobiliare di un ente pubblico e come è tra l’altro pure espressamente stabilito dal regolamento adottato dal Settore Risorse mobiliari e immobiliari del Comune di Palermo (intitolato Regolamento relativo alla gestione e alienazione dei beni immobili di proprietà comunale nonché alla locazione acquisto immobili di proprietà), che facendo preliminare richiamo alle varie norme del settore, fino al DPR n. 41 dell’8.1.2001, tra l’altro prevede all’art. 4 -criteri di assegnazione- “per la locazione e o concessione degli immobili oggetto del presente regolamento deve eseguirsi di regola il criterio dell’offerta pubblica al rialzo sulla base del canone predeterminato dall’amministrazione comunale. Del bando verrà data comunicazione attraverso pubblicazione, anche per estratto su due quotidiani a maggiore diffusione cittadina e mediante affissione all’albo pretorio.
Tale bando dovrà contenere tra l’altro:
a) l’indicazione degli immobili e l’ubicazione degli stessi, nonché all’occorrenza i relativi dati catastali,
b ) la consistenza di essi con specificazione dei dati metrici;
c) il canone di locazione o concessione base e la durata del contratto;
d) la destinazione e o tipologia di attività per la quale l’immobile dovrà essere utilizzato, nel rispetto dei piani commerciali, delle previsioni urbanistiche e di eventuali piani programma;
e) le modalità di partecipazione;
F) l’ammontare della cauzione da versarsi, pari al 2% del canone annuo della locazione o della concessione;
g) requisiti soggettivi richiesti per il concessionario locatario;
h) l’indicazione dei giorni in cui l’immobile potrà essere visionato,
i) il giorno l’ora e il luogo in cui si procederà all’esame delle offerte;
l) le condizioni contrattuali relative agli oneri posti a carico del concessionario locatario,
m) tempi e modalità dell’eventuale secondo incanto cui fare luogo nel caso in cui il primo male, prevedendo in tal caso rilascio del 20% del prezzo base la.
Il termine assegnato per la presentazione dell’istanza non può essere inferiore ad anni 30 giorni dalla pubblicazione del bando.
Tra l’altro salta agli occhi che l’applicazione dei dovuti criteri di mercato nella determinazione del canone di locazione nella fattispecie, in ragione del tipo di commercio -rivendita tabacchi- che nell’immobile viene esercitato e della sua posizione particolarmente privilegiata, ai fine del medesimo tipo di commercio (il chiosco si trova nel punto più nevralgico e maggiormente frequentato e turistico della città di Palermo, davanti al suo monumentale teatro Massimo), impediscono di ravvisare in concreto la ricorrenza di alcuna della ipotesi di deroga (al criterio generale di evidenza pubblica stabiliti all’art. 4) elencate all’art. 5 dello stesso citato Regolamento del Comune 2.
Osserva chi scrive che la descritta situazione si è risolta nella creazione e nel protrarsi per lunghissimo tempo di un ingiusto privilegio in capo all’imputata e della sua famiglia e nella violazione da parte dei responsabili del Comune, che vi hanno dato adito, delle regole specifiche del settore sulla gestione dei beni immobili dell’ente e dei più generali principi di imparzialità e probità nell’esercizio delle funzioni pubbliche e della regole della libera concorrenza, ai danni della comunità e degli aventi diritto.
Tra l’altro l’imputata con atto del 2 dicembre 1998 a firma della dirigente pro tempore della Ripartizione della Polizia Urbana, XXX (e “in qualità di titolare della omonima ditta sita in piazza Verdi chiosco rivendita tabacchi n. 116) veniva autorizzata ad occupare il suolo pubblico davanti al chiosco con sei vasi ornamentali non infissi al suolo, ed ancora , con atto dell’11 giugno 1999, sottoscritto dal capo area pro tempore della detta Ripartizione, XXX, veniva autorizzata ad occupare per la durata di ben 10 anni, il suolo pubblico davanti al “proprio esercizio commerciale “ di Piazza Verdi “con n. 3 vetrine mobili”, due di metri 1 × 1 e l’altra di metri 1,50 X metri 0,50 (cnfr. atti cit. prodotti dal Pm all’ud. del 2.5.2017).
Risulta altresì che la suddetta concessione venne rinnovata all’imputata nell’agosto del 2009 dal Settore Risorse Immobiliari del Comune di Palermo per la durata di 6 anni (nell’atto si disciplinava pure l’obbligo per la concessionaria di corrispondere le somme dovute a titolo di debito pregresso per euro 47.274,42 in 60 rata mensili di euro 849,00 ciascuna a decorrere dall’1.9.2009). Dopo la scadenza maturata nell’agosto del 2015, la concessione è stata rinnovata a favore dell’imputata per altri 6 anni, sebbene la stessa avesse chiesto la “voltura” della concessione a favore del figlio appena diciottenne e la stessa dottoressa XXX avesse espresso per iscritto il suo parere favorevole (cnfr. atti a firma della XXX del 26 agosto 2015, con cui invita diversi altri uffici ad esprimere parere favorevole alla adesione all’istanza della Palazzolo; vedi inoltre istanza sottoscritta dalla XXX e dal marito XXX che chiedono la voltura a favore del figlio Alessandro nato l’1.10.1996; due note a firma della XXX del 14 luglio 2015, in cui la stessa rivolgendosi all’imputata ed al figlio XXX si dice favorevole alla voltura in favore di quest’ultimo ed allega copia di schema del contratto di concessione per la firma).
Detta ultima rinnovazione della concessione a favore della XXX è avvenuto nelle more del presente procedimento penale, con atto intitolato “Concessione”, esattamente sottoscritto il 20 maggio 2016 da XXX (concessionaria) e, per conto del Comune concedente, dalla dirigente dell’Ufficio Valorizzazione Risorse Patrimoniali, dott.ssa XXX, per un canone annuo di 9.100,00 euro (cnfr. sempre documentazione prodotta dal Pm all’ud. del 2 maggio 2015).
La sentenza va inoltre trasmessa alla Sovrintendenza, all’ufficio tecnico del comune di Palermo, all’assessorato regionale territorio e ambiente, per i provvedimenti di rispettiva competenza, ex artt. 27 e segg. DPR 380/2001.
Le fissazione del termine per il deposito della motivazione è dovuto alla sua non semplicità ed anche al complesso dei numerosi impegni dei ruoli del giudice.
PQM
Visti gli articoli di cui ai capi d’imputazione e gli articoli 533 e 535 c.p.p.;
dichiara XXX responsabile dei reati ascrittile ai capi A e C e ritenuta la continuazione sotto il capo A, la condanna alla pena dell’arresto di anni due e di euro 28.000 di ammenda, oltre che al pagamento delle spese del giudizio.
Visti gli articoli 31 comma 9 e l’articolo 44 DPR 380 2001;
ordina la demolizione delle opere abusive e la rimessione pristino dei luoghi.
Visto l’articolo 530 c.p.;
assolve l’imputato al capo B perché il fatto non sussiste.
Giorni 90 per la motivazione
Visti gli articoli 27 e segg. DPR 380 2001;
dispone la trasmissione della sentenza alla Sovrintendenza, all’ufficio tecnico del comune di Palermo, all’Assessorato regionale territorio e ambiente, per i provvedimenti di rispettiva competenza.
Dispone altresì la trasmissione dell’intero fascicolo al PM, per le determinazioni di sua competenza, in ordine agli elementi di abuso d’ufficio emersi dalla documentazione relativa alla concessione dell’immobile di cui è processo, da parte dell’ufficio competente al comune (v. in particolare atti concessori del 4 agosto 2009 -ove si fa riferimento all’articolo 5 del regolamento sulla gestione alienazione dei beni immobili al comune, deliberato il 17 agosto 2008- e la concessione del 20 maggio 2016, in assenza di procedura di evidenza pubblica).
Palermo 16 maggio 2017 Il Giudice
dott.ssa Marina Petruzzella