Cass. Sez. III n. 52837 del 23 novembre 2018 (Up 6 lug 2018)
Pres. Cavallo Est. Macrì Ric. Greco
Caccia e animali.Concorso di reati
Avendo una oggettività giuridica diversa – la contravvenzione dell’art. 2 e 30 lett. l), L. 157/1992 relativa alla detenzione dei cardellini, specie particolarmente protetta contenuta nell’allegato II della Convenzione di Berna, la contravvenzione di cui all’art. 727, secondo comma, cod. pen., relativa alla detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, il delitto di cui all’art. 544-ter cod. pen., relativo al maltrattamento di animali per crudeltà o senza necessità - e non essendovi tra di esse alcun rapporto di specialità, tali ipotesi di reato concorrono tutte.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 17.3.2017, la Corte d’appello di Messina ha confermato la sentenza in data 5.10.2015 del Tribunale della stessa città che aveva condannato alle pene di legge Greco Francesco per i seguenti reati: capo A) art. 30, lett. l), L. n. 152/1992, in relazione alla lett. b) dello stesso articolo, perché aveva posto in commercio o comunque detenuto 16 esemplari di cardellino, specie dichiarata a rischio d’estinzione con la Convenzione di Berna del 1979, per la conservazione della vita selvatica, recepita con L. n. 503/1981, capo B) art. 61, n. 2, e 727 cod. pen., perché, al fine di commettere il reato di cui al capo A), aveva detenuto 16 cardellini in 7 gabbie, in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive per loro di gravi sofferenze, capo C) art. 544-ter cod. pen., perché, per crudeltà o senza necessità, aveva sottoposto 7 cardellini a sevizie consistenti nel tenerli imbracati con fili di nylon e con ganci di ferro nel ventre, tutti reati commessi in Messina il 19.8.2012.
2. Con il primo motivo, l’imputato deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 30, comma 1, lett. b), L. n. 157/1992, con riferimento al capo della sentenza relativa alla responsabilità penale per il capo A). La Corte territoriale aveva riqualificato il fatto ai sensi dell’art. 30, lett. h), L. n. 157/1992, non considerando che si trattava di una diversa ipotesi sanzionata solo con l’ammenda. La Convenzione di Berna sottoponeva a speciale tutela le specie minacciate da rischio d’estinzione. Tale condizione non era riferibile ai fringillidi, tant’era vero che la legge ne consentiva la cattura e detenzione purché in numero non superiore a 5.
Con il secondo motivo, denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 544-ter cod. pen. e 727 cod. pen., con riferimento al capo della sentenza che aveva ritenuto la sua responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi B) e C). Segnala che la Corte territoriale non aveva risposto alla doglianza secondo cui il Giudice di prime cure non aveva valutato il rapporto di continenza di un reato nell’altro, da risolversi attraverso la corretta contestazione della normativa speciale in deroga a quella generale, atteso che i tre reati contestati erano ipotizzati in relazione alla medesima condotta di detenzione dei volatili. Da questo punto di vista, era inconferente l’esempio evocato in sentenza del cacciatore che maltrattava i cani per aumentarne il rendimento. Nella specie, i cardellini erano imbracati con fili di nylon e ganci di ferro. La Corte territoriale aveva omesso di motivare sulla sussistenza della condotta dell’art. 544-ter cod. pen. e sul suo assorbimento nell’art. 727 cod. pen. L’esperto di fauna selvatica escusso in dibattimento aveva riferito che l’imbracatura in nylon era una sorta di guinzaglio e che solo un esemplare aveva un anello metallico, simile a quelli utilizzati per identificare i singoli animali, pur precisando che, nella specie, l’anello era privo di numero e quindi era ipotizzabile fosse stato applicato per altri scopi. Lamenta che i Giudici di merito non avevano motivato sulle sevizie e gravi sofferenze dei volatili. In ogni caso, avevano ritenuto l’art. 544-ter cod. pen., in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui non integrava il reato di maltrattamento di animali la sottoposizione degli stessi a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche, in un caso di detenzione in gabbie di ampiezza insufficiente. La presenza delle imbracature e dell’anello (in un solo esemplare) erano fatti che potevano determinare una condizione del volatile riconducibile alle modalità di detenzione, di guisa che, previa verifica di una conseguente produzione di grave sofferenza per l’animale, la condotta doveva essere al limite qualificata ai sensi dell’art. 727 cod. pen.
Lamenta infine che la Corte territoriale aveva omesso di considerare il motivo d’appello sulla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e sull’irrogazione della pena detentiva, pur essendo tutti i reati contestati puniti con la pena alternativa. In tali sensi si era pronunciato anche il Giudice per le indagini preliminari, allorché aveva emesso il decreto penale di condanna opposto. Era evidente, però, che la pena detentiva, immotivatamente qualificata con estremo rigore, evocava un’irrituale reazione sanzionatoria alla scelta di non aver accettato la definizione del procedimento con il decreto penale di condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
3.1. E’ contestato il reato previsto e punito dall'art. 30, comma 1, lett. l), L. 157/1992, in relazione agli uccelli di cui alla lett. b) che, a sua volta, rinvia all’elenco dell’art. 2, la norma relativa alla tutela della fauna selvatica che individua le specie protette attraverso la seguente tripartizione: lett. a), relativa a specifici mammiferi, lett. b) relativa a specifici uccelli, lett. c), relativa a tutte le altre specie che direttive comunitarie o convenzioni internazionali o apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri indicavano come minacciate di estinzione. La giurisprudenza consolidata di questa Corte, cui il Collegio ritiene di dare continuità, interpreta le norme nel senso che, per l’integrazione del reato, non sia necessaria la specifica verifica della minaccia d’estinzione della specie, bastando che si tratti di specie particolarmente protetta, come indicato nell’allegato II della Convenzione di Berna, tra cui rientrano pacificamente i cardellini (carduelis carduelis). Va aggiunto che la Convenzione di Berna all’art. 6 prevede espressamente che ogni parte contraente (tra cui l’Italia che l’ha ratificata) adotti le necessarie ed opportune leggi e regolamenti onde provvedere alla particolare salvaguardia delle specie di fauna selvatica enumerate nell’allegato II. In particolare, vieta espressamente per queste specie, tra l’altro, qualsiasi forma di cattura intenzionale, di detenzione e di uccisione intenzionale. L’art. 9 contempla tuttavia delle deroghe al precetto dell’art. 6, in casi del tutto eccezionali espressamente menzionati e non ricorrenti nel caso in esame. In altri termini, ai fini dell’applicazione dell’art. 2, si ritiene che sono “particolarmente protette” non solo le specie espressamente indicate alle lett. a) e b), ma anche quelle della lett. c) e cioè quelle la cui specificazione proviene da altre fonti normative, oltre che ovviamente quelle minacciate in via d’estinzione. Tale ultimo sintagma è da intendersi come aggiuntivo e non come limitativo dell’elenco della lett. c). Milita in senso conforme a tale interpretazione anche l’elenco redatto dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, nel quale gli uccelli del presente processo sono annoverati tra quelli protetti dalla L. 157/1992 e dall’allegato II della Convenzione di Berna. Come già ampiamente spiegato da questa Corte nella sentenza n. 16441/11, Feroldi, Rv 249859, avente ad oggetto, tra l’altro, la passera scopaiola, lo scopo dichiarato della menzionata Convenzione è quello della conservazione della flora e della fauna, come indicato anche nelle disposizioni generali, ove il riferimento alla particolare attenzione che gli Stati contraenti dovranno dedicare alle specie minacciate di estinzione e vulnerabili costituisce un’indicazione generica, volta a richiamare l'attenzione sulle specifiche esigenze di tutela delle specie maggiormente esposte a tale rischio. È infatti di tutta evidenza che se la convenzione ha come finalità specifica quella della conservazione della flora e della fauna selvatiche e dei loro habitat naturali, è implicito l'intento di scongiurarne l'estinzione. Tale esigenza risulta particolarmente avvertita con riferimento alle specie indicate negli allegati 2 e 3, che assicurano differenti livelli di protezione agli esemplari indicati. Si vedano sul tema, nello stesso senso, anche la sentenza n. 23931/10, Fatti, Rv 247798, nonché le più recenti n. 23505/14 Uberti, n. m. e 1494/18, Spandre, n.m., che parimenti ritengono integrato il reato allorché le specie selvatiche siano già solo “particolarmente protette”. Quest’ultima sentenza ha osservato che il richiamo normativo dell’art. 2 include sia la Direttiva uccelli 147/2009/CE del 30.11.2009 sia la Convenzione di Berna relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa risalente al 1979 ma i cui elenchi sono stati aggiornati da ultimo nel 1996 (GU 201/1996). Peraltro, mentre la Direttiva uccelli si limita a prevedere differenti gradi di protezione, la Convenzione di Berna stabilisce una protezione rafforzata che consiste nel divieto di abbattimento in via generale delle specie protette indicate nell’allegato, salvi i casi specifici indicati nell’art. 9.
Pertanto, condivisibile è l’affermazione della Corte territoriale secondo cui la detenzione anche di un solo esemplare avrebbe integrato il reato contestato. Nella specie era stata accertata la detenzione di ben 16 cardellini.
3.2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo sul rapporto tra art. 727 ed art. 544-ter cod. pen. Ed invero, nella specie, sono state contestate due diverse condotte, quella della detenzione in gabbie in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, e quella della sottoposizione a sevizie, specificamente indicate ed accertate, per crudeltà o comunque senza necessità. Tali contestazioni sono entrambe corrette ed in linea anche con la giurisprudenza di questa Corte che, nella sentenza n. 10163/17, Rondot e altri, Rv 272621, ha chiarito i diversi presupposti giuridici dei due reati, il primo, contravvenzione, ed il secondo, delitto, precisando che il primo costituiva un’ipotesi più ampia rispetto al secondo che era un’ipotesi residuale. Ciò però non significa che il secondo è contenuto nel primo, ma semplicemente che la condotta del secondo è più generica, per l’appunto la formulazione è più ampia, il che non preclude, quando le condotte siano distinte, la contestazione di entrambi i reati.
Già con sentenza n. 41742/09, Russo, Rv 245261, questa Corte aveva osservato che non era esatto sostenere che le norme della L. 157/1992 si ponevano in rapporto di specialità con tutte le norme del codice penale. L’art. 19- ter, disp. coord. e trans. cod. pen. infatti prevede che "le disposizioni del titolo IX bis del libro II cod. pen. non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia...". Il titolo IX bis sopraindicato comprende l’art. 544- bis cod. pen. (uccisione di animali), l’art. 544-ter cod. pen. (maltrattamenti di animali), l’art. 544-quater cod. pen. (spettacoli o manifestazioni vietati), l’art. 544-quinquies cod. pen. (divieto di combattimenti tra animali), vale a dire le ipotesi originariamente previste dall’art.727 cod. pen. che la L. 20 luglio 2004, n. 189 ha "trasformato" da contravvenzioni in delitti. L’art. 19-ter non fa invece alcun riferimento alle ipotesi contravvenzionali di cui all’art. 727 cod. pen., come modificato dalla medesima L. 189/2004.
3.3. In definitiva, avendo una oggettività giuridica diversa – la contravvenzione dell’art. 2 e 30 lett. l), L. 157/1992 relativa alla detenzione dei cardellini, specie particolarmente protetta contenuta nell’allegato II della Convenzione di Berna, la contravvenzione di cui all’art. 727, secondo comma, cod. pen., relativa alla detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, il delitto di cui all’art. 544-ter cod. pen., relativo al maltrattamento di animali per crudeltà o senza necessità - e non essendovi tra di esse alcun rapporto di specialità, le ipotesi di reato contestate concorrono tutte. I Giudici di merito hanno accertato in fatto che si erano verificati i presupposti di tutti e tre i reati, mentre il ricorrente ha genericamente contestato la suddetta conclusione.
3.4. Il motivo sul trattamento sanzionatorio è parimenti generico perché il ricorrente non ha allegato gli elementi a suo favore per il relativo riconoscimento e perché, sebbene i reati contestati siano puniti con pena alternativa, la sanzione irrogata è comunque legale attestandosi in misura vicina al minimo edittale che per il reato di cui all’art. 544-ter cod. pen. è pur sempre di tre mesi. Nella specie, oltre alla continuazione, va rimarcata la gravità delle condotte poste in essere nei confronti di un numero non insignificante di cardellini.
3.5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso, il 6 luglio 2018.