Cass. Sez. III n. 33787 del 3 settembre 2007 (Ud. 8 giu. 2007)
Pres. Vitalone Est. Fiale Ric. Bova
Acque. Scarico in reti fognarie

L'art. 137 del D.Lv. 152-2006 non contiene alcun riferimento ai recapiti dei reflui (acque, suolo e sotto suolo), ma connette la sanzione penale allo scarico di acque reflue industriali effettuato senza autorizzazione, mentre disposizioni eccettuative sono previste dal II comma dell'art. 107 soltanto per "gli scarichi di acque reflue domestiche che recapitano in reti fognarie". . La sanzione penale, dunque, si correlava in precedenza e tuttora si correla alla mancanza del controllo preventivo, da effettuarsi attraverso il rilascio, formale e specifico dell'autorizzazione (lesione dell'interesse della P.A. al controllo ed alla gestione degli scarichi), a prescindere dal recapito finale, che non è menzionato dalla norma sanzionatoria. La logica giuridica che ispira il legislatore nazionale è quella di sottoporre sempre a controllo preventivo espresso e specifico tutti gli scarichi di acque reflue industriali, anche se recapitano in pubbliche fognature, sia per la loro maggiore pericolosità sia per evitare distorsioni e disparità di trattamento tra operatori economici distanti da fognature pubbliche o vicini

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Reggio Calabria - Sezione distaccata di Melito Porto Salvo, con sentenza del 18 febbraio 2005, affermava la responsabilità penale di Bova Annunziato in ordine al reato di cui:

- all’art. 59, 10 comma, D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152 (perché, quale titolare dell’impresa “Lavorazione agrumi Bova Annunziato”, effettuava, senza la prescritta autorizzazione, lo scarico in pubblica fognatura di acque reflue della lavorazione dei bergamotti – acc. in Bova Marina, il 4 marzo 2003) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena - condizionalmente sospesa - di euro 1.600,00 di ammenda.

Avverso tale sentenza ha proposto “appello” il Bova, il quale ha eccepito che il ciclo produttivo dell’impianto per la lavorazione degli agrumi, da lui gestito, sarebbe “limitato ad un periodo di circa tre mesi l’anno” e che la contestata immissione di liquami in pubblica fognatura dovrebbe pertanto ritenersi occasionale e non costituirebbe “scarico” ai sensi del D.Lgs. n. 152/1999, non essendo stato riscontrato, nella specie, alcun superamento dei valori-limite fissati nella tabella 3 allegata allo stesso D.Lgs., sicché per essa non sarebbe necessaria alcuna autorizzazione.

La Corte di Appello di Reggio Calabria ha trasmesso l’atto di impugnazione a questa Corte Suprema - con sentenza del 9 febbraio 2006 - ex art. 568, ultimo comma, c.p.p.

 

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato.

1. Deve ribadirsi innanzitutto, in proposito, l’orientamento di questa Corte Suprema secondo il quale gli scarichi non occasionali di acque reflue industriali, se effettuati in assenza dell’autorizzazione prescritta, costituiscono reato anche se operati nella rete fognaria e ciò, in aderenza al principio comunitario di prevenzione, indipendentemente dal superamento dei valori-limite fissati nelle tabelle allegate al D.Lgs. n. 152/1999 (ed attualmente al D.Lgs. n. 152/2006) [vedi Cass., Sez. III: 10 giugno 2003, n. 24892, Raffaelli; 19 dicembre 2002, n. 42932, Barattonì; 1 febbraio 2001, n. 4021, Arnaud; 26 ottobre 1999, n. 12176, Di Liddo ed altro].

L’art. 2, comma, del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, alla lett. bb), definiva scarico “qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione” (con esclusione dei rilasci di acque previsti dall’art. 40).

L’art. 59 dello stesso testo normativo non ripeteva la dizione letterale dell’art. 21, 1° comma, della legge n. 319/1976 con riferimento ai recapiti dei refluì (acque, suolo e sottosuolo), ma connetteva la sanzione penale allo scarico di acque reflue industriali effettuato senza autorizzazione.

L’art. 74 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 - a sua volta - alla lett. ff), definisce scarico “qualsiasi immissione di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento dì depurazione” (con esclusione dei rilasci di acque previsti dall’art. 114).

Anche l’art. 137 dello stesso testo normativo non contiene alcun riferimento ai recapiti dei reflui (acque, suolo e sottosuolo), ma connette la sanzione penale allo scarico di acque reflue industriali effettuato senza autorizzazione, mentre disposizioni eccettuative sono previste dal 2° comma dell’art. 107 soltanto per “gli scarichi di acque reflue domestiche che recapitano in reti fognarie”.

La sanzione penale, dunque, si correlava e tuttora si correla alla mancanza del controllo preventivo, da effettuarsi attraverso il rilascio, formale e specifico dell’autorizzazione (lesione dell’interesse della PA. al controllo ed alla gestione degli scarichi), a prescindere dal recapito finale, che non è menzionato dalla norma sanzionatoria [vedi pure, in tal senso, Cass., Sez. III: 16 dicembre 1999, n. 14247, Porcu; 15 gennaio 2001, n. 248, Giovannelli; 17 gennaio 2001, n. 324, Ciccottelli ed altro; 17 gennaio 2001, n. 338, Padovani ed altri}.

Questa Corte ha già avuto modo di osservare, in proposito, che “la logica giuridica che ispira il legislatore nazionale è quella di sottoporre sempre a controllo preventivo espresso e specifico tutti gli scarichi di acque reflue industriali, anche se recapitano in pubbliche fognature, sia per la loro maggiore pericolosità sia per evitare distorsioni e disparità di trattamento tra operatori economici distanti da fognature pubbliche o vicini” [così Cass., Sez. III, 26 ottobre 1999, n. 12176, Di Liddo].

2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema:

- il D.Lgs. n. 152/1999 ha distinto (art. 59) tra scarico di acque reflue industriali ed immissione occasionale. Il primo deve avvenire tramite condotta (art. 2, lett. bb) e, cioè, a mezzo di qualsiasi sistema stabile - anche se non esattamente ripetitivo e non necessariamente costituito da una tubazione di rilascio delle acque predette - il secondo ha il carattere dell’eccezionalità collegata con la menzionata “occasionalità”. Ne deriva che questo secondo comportamento non è più previsto come reato con riferimento alla mancanza di autorizzazione (Cass., Sez. III, 14 settembre 1999, n. 2774, Rivoli);

- in tema di disciplina degli scarichi, mentre lo scarico discontinuo di reflui, sia pure caratterizzato dai requisiti della irregolarità, intermittenza e saltuarietà, se collegato ad un determinato ciclo produttivo, ancorché di carattere non continuativo, trova la propria disciplina nel D.Lgs. n. 152/1999 e successive modificazioni, lo scarico occasionale effettuato in difetto di autorizzazione è privo di sanzione penale (Cass. Sez. III, 8 aprile 2004, n. 16720, Todesco);

- la immissione occasionale di acque reflue industriali non è soggetta alla preventiva autorizzazione solo nel caso in cui sia del tutto estranea alla nozione legislativa di scarico, atteso che ogni immissione diretta tramite un sistema di convogliabilità, ovvero tramite condotta, è sottoposta alla disciplina dl cui al D.Lgs. n. 152/1999 (Cass., Sez. III, 8 aprile 2004, n. 16717, Rossi).

Nella fattispecie in esame lo stesso ricorrente ammette l’intervenuta effettuazione di uno scarico di reflui, stabilmente collegato ad un determinato ciclo produttivo, ancorché di carattere non continuativo - discontinuo, dunque, ma non occasionale - (dopo l’accertamento della contravvenzione contestata egli ha installato, infatti, un depuratore ed ha ottenuto autorizzazione amministrativa per l’allaccio alla rete fognaria e lo scarico in essa delle acque reflue depurate) ed il Tribunale ha accertato la esistenza di una stabile condotta di collegamento tra le vasche di raccolta site nell’impianto e la fognatura comunale.

3. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.