Consiglio di Stato Sez. III n. 4531 del 23 maggio 2025
Caccia e animali.Diniego della richiesta di licenza di porto di fucile per “uso caccia”
Tenuto conto del carattere preventivo e cautelare del divieto di porto o detenzione delle armi, la esistenza in capo al richiedente di elementi negativi di valutazione, che facciano perdere all’Autorità competente la fiducia in merito al buon uso delle armi, è sufficiente ai fini della valutazione negativa formulata dall’amministrazione, senza che possa rilevare alcun ipotetico difetto di istruttoria il cui approfondimento non avrebbe potuto comunque elidere la decisiva pregnanza di quei fatti, storicamente accaduti e non contestabili, che l’amministrazione nell’ambito della sua ampia discrezionalità ha ritenuto essere rilevanti ai fini delle proprie determinazioni. La valutazione del pericolo di abuso dell'arma è connotata da un'ampia discrezionalità, essendo sufficiente a giustificare l'adozione del provvedimento negativo impugnato la sussistenza di circostanze tali da ritenere sussistenti possibili rischi di inappropriato o abusivo uso delle armi da parte del titolare.
Pubblicato il 23/05/2025
N. 04531/2025REG.PROV.COLL.
N. 03099/2023 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3099 del 2023, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Cristian Cristiano, Giuseppe Carratelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, Questura Cosenza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) n.1576/2022, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura Cosenza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 aprile 2025 il Cons. Sebastiano Zafarana e viste le conclusioni della parte appellante come in atti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1 Con decreto -OMISSIS-, il Questore della Provincia di Cosenza ha negato il rilascio della licenza di porto di fucile per “uso caccia” richiesta dal sig. -OMISSIS- in quanto, a seguito dell’istruttoria espletata, sono emersi a carico di costui elementi che hanno indotto a ritenere che l’interessato non offra le rigorose garanzie di affidabilità sul corretto uso delle armi. Il riferimento è ai precedenti di polizia a suo carico nonché alle frequentazioni con persone controindicate.
1.2. Con ricorso proposto dinnanzi al TAR Calabria (Catanzaro) il signor -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento di diniego.
1.3. Si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso il Ministero dell’Interno e la Questura di Cosenza depositando atto di costituzione di mero stile.
1.4. Con sentenza n.1576 del 27 settembre 2022 il TAR per la Calabria (Catanzaro) ha rigettato il ricorso condannando il ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore dell’amministrazione.
2.1. Con atto notificato il 27 marzo 2023 e depositato il 5 aprile 2023 il signor -OMISSIS- ha appellato la suddetta sentenza articolando due distinti motivi di appello così rubricati:
I) Violazione e falsa applicazione artt. 1,8,11 e 43 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza n. 773 del 18/6/1931; artt. 24 e 27 Cost. – art. 3 l.241/90 - Eccesso di potere per difetto di presupposti, per illogicità della motivazione e per difetto di istruttoria.
II) Error in iudicando - Insufficienza e contraddittorietà della motivazione - Omessa valutazione dei motivi di ricorso e delle circostanze ivi evidenziate e provate.
2.2. Il Ministero dell’Interno e la Questura di Cosenza si sono costituiti in appello con atto di mera forma.
2.3. Alla pubblica udienza del 3 aprile 2025 l’appello è stato trattenuto in decisione.
3.1. Con il primo motivo di appello l’appellante ripropone le censure già argomentate in primo grado avverso il provvedimento impugnato, che è stato emesso dall’amministrazione sulla scorta delle seguenti circostanze, contestate dall’appellante:
- il ricorrente è stato condannato per guida in stato di ebbrezza alcolica per fatti avvenuti -OMISSIS-, e la relativa pena è stata convertita in lavori di pubblica utilità;
- in data -OMISSIS- il ricorrente è stato deferito all’A.G. poiché ritenuto responsabile di rapina aggravata in concorso;
- in data -OMISSIS- il Comando Stazione Carabinieri di -OMISSIS- ha proposto l’applicazione della misura di prevenzione dell’avviso orale, adottata -OMISSIS-;
- il ricorrente è stato controllato, in un arco temporale -OMISSIS-, con soggetti gravati da precedenti di polizia.
Deduce che la valutazione operata dalla Questura costituirebbe evidente violazione della normativa indicata in epigrafe del motivo di appello, e sarebbe il frutto di un’attività provvedimentale palesemente viziata per eccesso di potere sotto il profilo del difetto dei presupposti, della logicità della motivazione e del difetto di adeguata istruttoria. Emergerebbe chiaramente l'assenza di accurati accertamenti espletati sulla personalità del richiedente tali da consentire di indicare in motivazione quali siano i fatti sintomatici di pericolosità sociale dello stesso ed in base ai quali esprimere un giudizio prognostico sulla sua attuale inaffidabilità circa l'uso delle armi in relazione alla natura dei reati ascritti allo stesso.
Lamenta che nel caso di specie, il diniego sarebbe limitato al richiamo ad alcuni procedimenti penali che sarebbero stati considerati sic et simpliciter ostativi al rilascio della licenza, senza alcuna valutazione dei fatti oggetto dei procedimenti indicati, e quindi applicando immotivatamente ed erroneamente l'automatismo preclusivo che in tesi andrebbe escluso in relazione ai reati contestati al richiedente.
Deduce che: 1) il reato per guida in stato di ebbrezza alcolica è stato dichiarato estinto in data -OMISSIS- dal Tribunale di Cosenza per svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità; 2) la denuncia per concorso in rapina aggravata è stata archiviata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza; 3) gli altri procedimenti, ad oggi, non sono sfociati in provvedimenti dell’autorità giudiziaria, sicché sarebbe da ritenere che anche per tali procedimenti sia intervenuta una richiesta di archiviazione.
In definitiva il ricorrente sostiene di non avere mai tenuto condotte ostative in relazione alla natura del titolo di polizia richiesto, che potessero far sorgere il minimo dubbio circa l’abuso delle armi.
3.2. Con il secondo motivo di appello l’appellante censura la sentenza appellata.
Sostiene che il T.A.R. avrebbe completamento omesso di valutare le insuperabili argomentazioni esposte nel ricorso, da intendersi espressamente riproposte in appello ex art.101 c.p.a. Anzi il giudice di primo grado avrebbe dovuto accogliere il ricorso ai sensi dell'art. 64, comma 2, c.p.a., in virtù del comportamento processuale tenuto dall’Amministrazione che si è costituita in giudizio con atto di mera forma senza espressamente contestare la domanda formulata dal sig. -OMISSIS-.
Sostiene che i numerosi riferimenti giurisprudenziali citati dal TAR Calabria nel respingere il ricorso contrasterebbero con le inderogabili esigenze di determinatezza, volte ad evitare di sconfinare nell'arbitrio, come invece sarebbe avvenuto nella sentenza impugnata, in spregio ai principi richiamati dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 440/1993; ed afferma che “Il diretto collegamento al pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica che l'uso delle armi di per sé comporta, infatti, non può inficiare la natura dell'interesse che è alla base della pretesa, con la conseguenza che neppure qui si è in condizione di precludere che la discrezionalità della amministrazione non trasmodi in arbitrio per l'assoluta atipicità dei criteri che, per quanto "storicizzati" (grazie ad una lunga serie di decisioni profondamente ingiuste), sorreggono il giudizio di affidabilità e che, dunque, impongono all'interessato una sorta di probatio diabolica rispetto ad un concetto che, operante nel meta-giuridico, finirebbe per attribuire ai soli titolari della potestas decidendi il compito di determinarne il contenuto”.
Sostiene infine che da una disamina approfondita del provvedimento impugnato non risulterebbe che sia stata effettuata, dall’amministrazione prima, e dal TAR Calabria-Catanzaro poi, una - sia pure succinta ma comunque sufficiente- valutazione in concreto circa la presunta inaffidabilità del ricorrente, che non potrebbe fondarsi su circostanze smentite in punto di fatto, nonché su occasionali frequentazioni con soggetti gravati da precedenti di polizia, ovvero sull’adozione di un “avviso orale”, fondato su indagini di polizia giudiziaria che poi non hanno trovato alcuno sfogo in sede penale, trattandosi, quindi, di circostanze meramente dedotte e mai accertate.
4. L’appello è infondato.
4.1. Nella sentenza appellata il giudice di prime cure ha opportunamente premesso come in materia di detenzione e porto di armi, l'Autorità di pubblica sicurezza gode di ampia discrezionalità nel valutare la sussistenza dei requisiti di affidabilità del soggetto nell'uso e nella custodia delle armi, a tutela della pubblica incolumità. L'ampiezza di tale discrezionalità deriva, sotto un primo profilo, dall'assenza, nel nostro ordinamento, di posizioni di diritto soggettivo con riguardo alla detenzione e al porto di armi, costituendo tali situazioni delle eccezioni al generale divieto di circolare armati di cui all’art. 699 del codice penale ed all'art. 4, comma 1, della legge n. 110/1975; sotto altro profilo, dalla circostanza che ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del T.U.L.P.S., il compito dell'Autorità di Pubblica Sicurezza, da esercitare con ampia discrezionalità, non è sanzionatorio o punitivo ma è quello di natura cautelare consistente nel prevenire abusi nell'uso delle armi da parte di soggetti non pienamente affidabili, tanto che il giudizio di non affidabilità è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o a misure di pubblica sicurezza.
Il legislatore ha quindi affidato all'Autorità di Pubblica Sicurezza il compito di valutare con il massimo rigore le eccezioni al citato divieto di circolare armati e, dunque, qualsiasi circostanza che consigli l'adozione del provvedimento di rigetto della domanda di porto o di detenzione dell’arma, onde prevenire la commissione di reati e, in genere, di fatti lesivi della pubblica sicurezza.
In sintesi, come ripetutamente è stato affermato da questa Sezione, il divieto di detenzione di armi, munizioni ed esplosivi non implica un concreto ed accertato abuso nella tenuta delle armi, risultando sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne, sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie da parte dell’Autorità amministrativa competente (Cons. St., Sez. III, 10 ottobre 2014, n. 5039; Sez. III, 31 marzo 2014, n. 1521; Sez. VI, 10 maggio 2006, n. 2576).
4.2. Ciò premesso, al giudice amministrativo non compete sostituirsi all’autorità amministrativa nel valutare, a sua volta, se il soggetto sia più o meno affidabile, bensì solo verificare se l’autorità amministrativa, decidendo come ha deciso sulla base degli elementi a sua disposizione, sia incorsa nei vizi di travisamento dei fatti o manifesta illogicità.
La sussistenza dei requisiti soggettivi è subordinata ad un giudizio discrezionale formulato dal Questore in ordine alla capacità personale di abuso da parte del soggetto detentore, sindacabile, in quanto tale, soltanto sotto il profilo dell’illogicità; tale giudizio può essere espresso anche in presenza di un solo episodio sintomatico e senza che debba necessariamente venire in rilievo un accertato abuso del titolo, essendo, al contrario, sufficiente il mero pericolo che delle armi possa abusare non solo il diretto interessato, ma anche un terzo.
E al riguardo il Collegio non ritiene che gli elementi di valutazione offerti dal ricorrente possano incidere nel processo motivazionale del provvedimento tanto da connotare l’agere amministrativo in termini di illogicità.
4.3. Dall’esame del provvedimento in parola è infatti dato rilevarsi come il provvedimento del Questore sia adeguatamente motivato nel suo complesso, e come risultino insussistenti anche i lamentati vizi di difetto di motivazione e di istruttoria.
Al riguardo il TAR ha del tutto condivisibilmente argomentato come alla luce delle superiori coordinate ermeneutiche il diniego opposto al rilascio della licenza di porto di fucile uso caccia non sia irragionevole e sproporzionato rispetto al fine perseguito di tutela della pubblica sicurezza: “Invero, i reati e le segnalazioni a carico del ricorrente, per la loro rilevanza e significatività, sono certamente idonei a supportare una prognosi di assenza di sufficienti garanzie in relazione alle superiori esigenze di evitare ogni possibile pericolo di compromissione dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività. Né il ricorrente ha fornito elementi utilmente valorizzabili per comprovare l’effettiva elisione dei profili di inaffidabilità reputati ostativi alla detenzione di armi e al porto d’armi. Per quel che concerne l’estinzione del reato di guida in stato di ebrezza e l’archiviazione disposta per il reato di minaccia, secondo consolidata e condivisa giurisprudenza, l’esito favorevole del procedimento penale non può in alcun modo vincolare l’Amministrazione rispetto al giudizio prognostico che è chiamata ad effettuare in termini di pericolo per la collettività (cfr., Cons. Stato, Sez. III, 9 gennaio 2019, n. 203; T.A.R. Catanzaro, (Calabria) sez. I, 14 maggio 2019, n.892; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 18 aprile 2018, n. 2540).
L’Amministrazione mantiene il potere di valutare il fatto - reato nella sua obiettiva dimensione storica “indipendentemente dalla remissione della querela da parte della persona offesa, dalla formale estinzione del reato ovvero dalla archiviazione del procedimento penale, con la conseguenza che tali circostanze, quand’anche verificatesi prima dell’adozione del provvedimento di divieto, non risultano decisive per desumere il venir meno del giudizio di pericolosità o di inaffidabilità del soggetto” (T.A.R. Campania sez. V - Napoli, 6 giugno 2022, n. 3820). Possono essere determinanti anche episodi privi di rilievo penale, quali meri “segni di pericolosità o semplici indizi di inaffidabilità” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2010 n. 379, nonché, da ultimo, TAR Piemonte, Torino, sez. I, 5 giugno 2018, n. 693). Né rileva la natura dei reati contestati posto che, avuto riguardo al carattere discrezionale dell’attività valutativa dell’Amministrazione, qualunque precedente penale può adeguatamente costituire il presupposto di una valutazione negativa sull’affidabilità del privato circa il corretto uso delle armi (ex multis, T.A.R. Napoli, (Campania) sez. V, 3 gennaio 2022, n. 44). Il ricorrente è stato, altresì, destinatario di avviso orale ex art. 3 del D. Lgs. n. 159/2011. In ultimo, quale fattore indicativo dell’inaffidabilità del sig. -OMISSIS-, è stata indicata la frequentazione con persone penalmente controindicate, su cui parte ricorrente nulla deduce nonostante siano circostanziati nel tempo e nello spazio i singoli episodi in cui il ricorrente è stato controllato in loro compagnia.
4.4. Alla luce della motivazione resa dal TAR le censure mosse dall’appellante si rivelano infondate.
Quanto all’applicabilità dell’art.64 comma 2, c.p.a., l’effetto che il codice ricollega alla mancata contestazione dei fatti dedotti in giudizio si ricollega esclusivamente alla prova di quei fatti e non al contenuto della domanda giudiziale (di annullamento) non espressamente avversata dall’Amministrazione. In disparte che nell’atto di costituzione l’amministrazione ha espressamente dichiarato di costituirsi “per resistere al ricorso”, vi è che i fatti non contestati (l’estinzione del reato di guida in stato di ebrezza; l’archiviazione del reato di rapina in concorso) risultano del tutto inconferenti rispetto alle tesi difensive dell’appellante, essendo già stati fedelmente riportati nel provvedimento impugnato.
Quanto alla censura con cui si contesta la valutazione operata dal Questore, volta a ritenere non sussistente il requisito della buona condotta “per asserite frequentazioni (assolutamente indimostrate)”, ed a presumere che dalle stesse possa conseguire un abuso nell’uso dell’arma “a fronte dell’assoluta carenza di riferimenti dell’anzidette frequentazioni con episodi di abuso delle armi”, si osserva quanto segue.
Nel provvedimento sono elencati ben 18 episodi distribuiti nel tempo (-OMISSIS-) nei quali l’appellante è stato fermato per controlli mentre in automobile si accompagnava a soggetti controindicati per pregiudizi penali e di polizia che spaziano: dalla guida in stato di ebrezza, all’omicidio doloso, alla detenzione illegali di armi, al porto di armi abusivo in luogo pubblico, al furto aggravato, rapina estorsione, ricettazione, reati legati agli stupefacenti, maltrattamenti in famiglia ed altro.
Tutti gli episodi sono circostanziatamente descritti in base al luogo, al giorno e all’ora del controllo essendo soltanto omesso il nominativo dei soggetti controindicati, di modo comunque che l’appellante potesse risalire agevolmente alla loro identità.
La numerosità, la distribuzione nel tempo e la natura dei reati ascritti a detti soggetti – unitamente alle altre circostanze valorizzate nel provvedimento - depongono nel senso di ritenere ragionevole, logico e non arbitrario il ragionamento inferenziale che ha condotto il Questore ad adottare il provvedimento di diniego.
4.5. In definitiva, tenuto conto del carattere preventivo e cautelare del divieto di porto o detenzione delle armi, la esistenza in capo al richiedente di elementi di valutazione di tal fatta, che facciano perdere all’Autorità competente la fiducia in merito al buon uso delle armi, è sufficiente ai fini della valutazione negativa formulata dall’amministrazione, senza che possa rilevare alcun ipotetico difetto di istruttoria il cui approfondimento non avrebbe potuto comunque elidere la decisiva pregnanza di quei fatti, storicamente accaduti e non contestabili, che l’amministrazione nell’ambito della sua ampia discrezionalità ha ritenuto essere rilevanti ai fini delle proprie determinazioni.
4.6. In proposito, anche recentemente questa Sezione ha ribadito che "La valutazione del pericolo di abuso dell'arma è connotata da un'ampia discrezionalità, essendo sufficiente a giustificare l'adozione del provvedimento negativo impugnato la sussistenza di circostanze tali da ritenere sussistenti possibili rischi di inappropriato o abusivo uso delle armi da parte del titolare." (Cons. Stato, Sez. III, 22/02/2021, n. 1543; Sez. III, 14/10/2020, n. 6226).
5. Va infine esaminata la censura con la quale l’appellante, in via subordinata, chiede la riforma della sentenza appellata in punto di condanna alle spese di giudizio, lamentando che il giudice di prime cure non ha considerato l’assenza di una effettiva attività processuale da parte della difesa erariale, costituita in giudizio soltanto con atto di mera forma.
5.1. La censura è infondata.
Premesso che la difesa erariale si è costituita nel giudizio di primo grado per il Ministero dell’Interno, sia pure per chiedere genericamente il rigetto del ricorso, è indubitabile che l’Amministrazione da essa rappresentata è risultata essere la parte vittoriosa del giudizio ed il ricorrente la parte soccombente.
Va al riguardo rilevato che nel processo amministrativo la compensazione delle spese di giudizio fra le parti è espressione di un ampio potere valutativo del giudice di primo grado, che è sostanzialmente sottratto al sindacato del giudice di appello, salva l’ipotesi di statuizioni macroscopicamente irragionevoli, abnormi ed illogiche, ravvisabili ad esempio in caso di condanna alle spese della parte vittoriosa. L’art 92 c.p.c., cui fa espresso richiamo l’art. 26 c.p.a., prevede infatti al secondo comma le ipotesi al ricorrere delle quali il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero: ovvero quando vi è soccombenza reciproca, oppure nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.
Nel caso in esame non ricorre nessuna delle menzionate ipotesi, non presentando la questione controversa alcun carattere di novità ed essendo la giurisprudenza di questo Consiglio granitica in materia di armi; la Corte di Cassazione ha al riguardo statuito che “i giusti motivi da indicarsi esplicitamente nella motivazione, in presenza dei quali, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, il giudice può compensare, in tutto o in parte, le spese del giudizio, non possono essere tratti dalla natura del diritto azionato, dal tipo di diritto procedimento contenzioso applicato, né dalle particolari disposizioni processuali che lo regolano o dalla semplicità della materia del contendere o, genericamente, dalla natura della lite, ma devono trovare riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa” (cfr. Cass. n. 20188/2013; Cass. 15 dicembre 2011, n. 26987; Cass., 13 luglio 2011, n. 15413).
Per quanto precede, ne consegue che la domanda subordinata proposta dall’appellante non può trovare accoglimento.
6. Conclusivamente, per tutti i surriferiti motivi l’appello è infondato e va respinto.
7. Le spese del giudizio di appello possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 aprile 2025 con l'intervento dei magistrati:
Michele Corradino, Presidente
Stefania Santoleri, Consigliere
Giovanni Pescatore, Consigliere
Giovanni Tulumello, Consigliere
Sebastiano Zafarana, Consigliere, Estensore