Cassazione, abbruciamento di scarti vegetali e gestione di rifiuti. Quale prova per evitare sanzioni?

di Gianfranco AMENDOLA

* Pubblicato su Rivista Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell'ambiente (rivistadga.it) si ringraziano Autore ed Editore

Cass. Sez. III Pen. 24 settembre 2021, n. 35410 - Ramacci, pres.; Zunica, est.; Seccia, P.M. (conf.) - Frigerio, ric. (Conferma App. Milano 28 ottobre 2020)

Sanità pubblica - Rifiuti - Scarti vegetali - Classificazione.

In tema di gestione dei rifiuti, gli scarti vegetali non sono classificabili come rifiuti soltanto se utilizzati in agricoltura mediante processi e metodi costituenti le normali pratiche agronomiche disciplinate dagli artt. 182, comma 6 bis, e 185, comma 1, lett. f ), del d.lgs. n. 152 del 2006.

1. - Premessa. A volte, ci sono delle sentenze che, a prima vista, scorrendo la massima, sembrano poco significative, ma, poi, se si legge la motivazione integrale, inducono ad un approfondimento.

È il caso di Cass. Sez. III Pen. 24 settembre 2021, n. 35410 che, come risulta dalla massima, si è occupata (anche) dei rapporti tra combustione di scarti vegetali e normativa sui rifiuti. Nel caso di specie, i titolari di un’azienda agricola erano stati condannati per gestione abusiva e combustione illecita di rifiuti in quanto avevano realizzato un duplice deposito incontrollato, uno di rifiuti costituiti da liquami derivanti dall’allevamento di bestiame con immissione nel suolo, e l’altro costituito da rifiuti anche pericolosi costituiti da sedici fusti metallici contaminati, imballaggi in plastica contaminati, rottami metallici, un motore di veicolo non bonificato, un serbatoio di un autocarro, due cisterne per carburanti, materiale edile da demolizione, imballaggi in plastica, pneumatici usati, sversamenti di sostanza oleosa, 300 litri di olio esausto e tre cisternette in plastica, oltre che per avere appiccato il fuoco a rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato, quali materassi, bottiglie e imballaggi in plastica. A questo proposito, la sentenza specifica che era stato rinvenuto un mucchio di cenere «con evidenti residui di plastica di colore blu parzialmente incombusta e con apparenti reti di materasso», rispetto al quale la difesa, dopo aver premesso che l’azienda praticava «da anni la c.d. “economia circolare”, cioè non buttando nulla e riutilizzando tutto», aveva evidenziato che «erano visibili nelle ceneri residui di arbusti presenti nell’azienda; per cui si era in presenza di un’attività lecita ex art. 182, comma 6 bis del d.lgs. n. 152 del 2006, essendo pacifico che quello era l’unico posto dove venivano di volta in volta smaltiti i residui di vegetazione»; e pertanto, alla luce dell’art. 182, comma 6 bis, d.lgs. n. 152 del 2006, non era ravvisabile il reato di combustione illecita di rifiuti.

Nella sua decisione, la Cassazione rigettava i ricorsi e, in particolare, affermava che «in tema di gestione dei rifiuti, gli scarti vegetali non sono classificabili come rifiuti soltanto se utilizzati in agricoltura mediante processi e metodi costituenti le normali pratiche agronomiche disciplinate dagli art. 182, comma 6 bis, e 185, comma 1, lett. f), del citato d.lgs. n. 152 del 2006, non risultando comprovato nel caso di specie il rispetto di tali procedure». Affermazione che costituisce la massima della sentenza in esame.

2. - Scarti vegetali: la disciplina attuale. Cenni. Rinviando ad altre opere per un approfondimento (anche in relazione alla ben più scarna normativa comunitaria) e per citazioni 1, appare sufficiente ricordare che, per quanto interessa in questa sede, il d.lgs. n. 152/06 prevede attualmente (dopo numerose modifiche 2 specie per gli sfalci) che:

a ) ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. b ter), sono rifiuti urbani, tra l’altro, «i rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d’erba e potature di alberi, nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati»;

b ) ai sensi dell’art. 184, comma 3, lett. a), sono rifiuti speciali «i rifiuti prodotti nell’ambito delle attività agricole, agro-industriali e della silvicoltura, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2135 (...)»;

c ) ai sensi dell’art. 185, comma 1, lett. f), non rientrano nel campo di applicazione della normativa sui rifiuti «(...) la paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati nell’ambito delle buone pratiche colturali, utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana (...)» 3;

d ) ai sensi dell’art. 182, comma 6 bis «le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui all’art. 185, comma 1, lett. f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti. Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle Regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata. I Comuni e le altre amministrazioni competenti in materia ambientale hanno la facoltà di sospendere, differire o vietare la combustione del materiale di cui al presente comma all’aperto in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attività possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili (PM10)».

In sostanza, quindi, i residui vegetali sono rifiuti (urbani o speciali), ma, in caso di loro «abbruciamento» in presenza delle condizioni di cui al riportato comma 6 bis dell’art. 182, vengono esclusi dalla disciplina (e relative sanzioni) relativa alla gestione dei rifiuti in quanto si tratta, ex lege, di normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti.

A questo proposito, sembra opportuno evidenziare subito che, a nostro sommesso avviso, contrariamente a quanto viene normalmente (anche nella sentenza in esame) affermato, trattasi sempre di rifiuti (sostanza o oggetto di cui si disfa per il recupero) i quali, tuttavia, sono, ex lege, esclusi dalla relativa disciplina (e, pertanto, onde evitare equivoci, si usano altri termini quali «materiali» e simili), come risulta con ogni evidenza anche dalla giurisprudenza comunitaria 4. Tanto è vero che, quando vuole escludere qualche sostanza o oggetto dalla nozione di rifiuto, la legge (comunitaria e italiana) lo dice espressamente, come, ad esempio, avviene per i sottoprodotti 5.

3. - L’«abbruciamento» di scarti vegetali in particolare. Come già si è accennato, la massima della sentenza recita che «in tema di gestione dei rifiuti, gli scarti vegetali non sono classificabili come rifiuti soltanto se utilizzati in agricoltura mediante processi e metodi costituenti le normali pratiche agronomiche disciplinate dagli art. 182, comma 6 bis, e 185, comma 1, lett. f), del citato d.lgs. n. 152 del 2006, non risultando comprovato nel caso di specie il rispetto di tali procedure». Trattasi di affermazione che, tuttavia, nella motivazione risulta inserita nel seguente periodo: «Non può dunque affermarsi che si fosse in presenza di una lecita pratica agricola, avendo al riguardo questa Corte precisato (Sez. III, n. 21936 del 5 aprile 2016, rv. 267.470) che, in tema di gestione dei rifiuti, gli scarti vegetali non sono classificabili come rifiuti soltanto se utilizzati in agricoltura mediante processi e metodi costituenti le normali pratiche agronomiche disciplinate dagli art. 182, comma 6 bis, e 185, comma 1, lett. f), del citato d.lgs. n. 152 del 2006, non risultando comprovato nel caso di specie il rispetto di tali procedure»; con un espresso rinvio, quindi, alla sentenza n. 21936 del 2016.

Tuttavia, se si legge questa sentenza del 2016, non troviamo alcuna «precisazione» in questi termini: la massima recita, infatti, che «Le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, art. 185, comma 1, lett. f), effettuate nel luogo di produzione, non sono sanzionate penalmente ai sensi del d.lgs. n. 152 del 2006, artt. 256 e 256 bis»; e nella motivazione si legge che «dunque, dal sistema normativo come sopra delineato, deve desumersi che ora gli scarti vegetali sono esclusi dal novero dei rifiuti e che l’abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui all’art. 185, comma 1, lett. f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole e non attività di gestione dei rifiuti e ad essi non sono di conseguenza applicabili sanzioni di cui all’art. 256 bis. Deve, in conclusione, affermarsi il principio secondo cui le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, art. 185, comma 1, lett. f), effettuate nel luogo di produzione non sono sanzionate penalmente ai sensi del d.lgs. n. 152 del 2006, artt. 256 e 256 bis» 6.

Appare, a questo punto, evidente che, nella sentenza oggi in esame, la Cassazione, rifacendosi a questo precedente del 2016, lo ha sintetizzato nel senso che «gli scarti vegetali non sono classificabili come rifiuti soltanto se utilizzati in agricoltura mediante processi e metodi costituenti le normali pratiche agronomiche disciplinate dagli art. 182, comma 6 bis, e 185, comma 1, lett. f), del citato d.lgs. n. 152 del 2006»; inserendolo, quindi, (in particolare, con l’aggiunta di «soltanto») in un’ottica limitativa, certamente condivisibile, ma che, in realtà, non si riscontra nella sentenza n. 21936 del 2016, la quale tende a leggere, invece, la deroga dell’art. 182, comma 6 bis in modo estensivo, affermando come principio generale che gli scarti vegetali sono esclusi tout court dal novero dei rifiuti e riportando le condizioni per la deroga senza precisare che, ricalcando l’esenzione più generale dell’art. 185, comma 1, lett. f), l’attività di raggruppamento e di abbruciamento dei residui vegetali è considerata dall’art. 182, comma 6 bis normale pratica agricola consentita «per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti ed ammendanti».

La stessa ottica della sentenza oggi in esame si riscontra, invece, in altra sentenza, ben più significativa, emessa due mesi prima dalla Suprema Corte, la quale precisa che la disposizione dell’art. 182, comma 6 bis va letta «in controluce» in quanto «stabilisce che costituisce (...) attività di gestione di rifiuti, esulando dalle normali pratiche agricole, ogni attività di raggruppamento e abbruciamento dei materiali vegetali di cui all’art. 185, comma 1, lett. f), eseguita fuori dal luogo di produzione o, se eseguita nel luogo di produzione, per una finalità diversa dal reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti; ovvero che sia eseguita nel luogo di produzione, per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, ma in cumuli non piccoli o, se in cumuli piccoli, in quantità giornaliere superiori a tre metri steri per ettaro. Da ciò si ricava che la disposizione ex art. 182, comma 6 bis va coordinata con la disciplina, che già conteneva in nuce il medesimo principio, di cui all’art. 185, comma 1 lett. f) T.U.A. richiedendosi pertanto un reimpiego finalisticamente orientato (“come sostanze concimanti o ammendanti e quindi l’utilizzazione in agricoltura che è realisticamente fattibile se le attività sono eseguite nei luoghi di produzione) (...)» 7. Sentenza, quindi, in cui si leggono congiuntamente, l’art. 182, comma 6 bis e l’art. 185, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 152 del 2006, così come fa la sentenza in esame 8, la quale, tuttavia, come abbiamo visto, rinvia ad altro precedente molto meno appropriato9 .

In conclusione, la sentenza in esame è sicuramente condivisibile e, altrettanto certamente, il caso di specie non meritava una trattazione approfondita della questione. Tuttavia, a nostro sommesso avviso, la stringatezza della massima ed il richiamo espresso ad un precedente non appropriato potrebbero indurre ad una interpretazione della deroga largamente liberatoria. Peraltro, anche la Suprema Corte, in una articolata sentenza del 2017 10 (ripresa pedissequamente dalla citata sentenza n. 48397 del 2018), dopo aver puntualmente premesso che «la norma pone una serie di condizioni che riguardano, nell’ordine: 1) la tipologia dell’attività (raggruppamento e abbruciamento); 2) la quantità di materiale (piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro); 3) la tipologia dei materiali [materiali vegetali di cui all’art. 185, comma 1, lett. f)]; 4) il luogo in cui l’attività descritta deve svolgersi (luogo di produzione)», aggiunge testualmente che «concorrendo tutte queste condizioni, le attività descritte non rientrano nell’ampia nozione di gestione e si ritiene costituiscano “normali pratiche agricole”, consentite, però, “per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti”, ponendosi, così, un’ulteriore condizione per l’operatività della deroga (...)» 11.

4. - La «normale pratica agricola consentita» richiede la prova del reimpiego come sostanze concimanti o ammendanti? L’osservazione è importante perché pone un ulteriore problema che attiene al reimpiego degli scarti vegetali e, pur esulando dall’ambito della sentenza in esame, non sembra sia stato fino ad oggi trattato in modo esauriente in dottrina e giurisprudenza.

In altri termini, una attività di raggruppamento e abbruciamento in loco di scarti vegetali in piccoli cumuli in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro costituisce una normale pratica agricola consentita in quanto, ex lege, viene considerata finalizzata al reimpiego degli scarti vegetali come sostanze concimanti o ammendanti e non attività di gestione dei rifiuti; ovvero questa finalizzazione costituisce una «ulteriore condizione» (che si aggiunge alle altre) da provare caso per caso? Con la conseguenza che, qualora risultasse che l’abbruciamento è finalizzato non al reimpiego ma al semplice smaltimento, pure in presenza della altre condizioni ( in loco, tre metri steri ecc.) non potrebbe applicarsi la deroga e si rientrerebbe nell’ambito della disciplina sulla gestione dei rifiuti con relative sanzioni.

Trattasi, ovviamente, di problematica rilevante in quanto, – diciamo la verità – chi brucia le stoppie vuole solo disfarsene senza alcuna intenzione di utilizzare le ceneri e i residui in operazioni utili all’agricoltura 12 . In giurisprudenza, sembrano aderire a questa più severa impostazione, oltre alle due decisioni del 2017 e del 2018 da ultimo riportate, anche la citata sentenza Lazzarini del 2016, la quale richiede specificamente un «reimpiego finalisticamente orientato come sostanze concimanti o ammendanti» non ritenendo ipotizzabile una normale pratica agricola qualora si persegua una «finalità diversa»; sia altra sentenza del 2017 la quale ha negato l’applicabilità della deroga in un caso in cui non solo «il materiale vegetale bruciato non era prodotto sul terreno ove avveniva la combustione», ma, «inoltre, questa non era evidentemente finalizzata al reimpiego come concime o ammendante dei residui, bensì alla mera eliminazione del rifiuto» 13; sia, da ultimo (anche se più in generale), altra sentenza del 2020 la quale ritiene «infondata la qualifica degli sfalci di potatura come “non rifiuto”, atteso che l’esclusione dalla parte IV del d.lgs. n. 152/06 degli sfalci di potatura opera solo se “utilizzati in agricoltura nella selvicoltura o per la produzione di energia (...)” [cfr. art. 185, comma 1 lett. f), d.lgs. n. 152/06]» 14. Peraltro, a questo proposito, sembra importante ricordare che la deroga, tutta «italiana», dell’art. 182, comma 6 bis può essere ritenuta compatibile con la direttiva comunitaria sui rifiuti solo se si tratta di materiali utilizzati nell’attività agricola, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana. E, pertanto, si pone il problema della prova sulla esistenza anche di questa «ulteriore» condizione.

5. - L’onere della prova. A questo punto, quindi, appare di tutta evidenza la importanza di individuare il soggetto cui compete l’onere della prova circa la esistenza della deroga di cui sopra. La sentenza in esame se ne occupa, con riferimento alla fase non dell’«abbruciamento» ma del deposito incontrollato in relazione alla tesi difensiva secondo cui, nel caso di specie, tutti i rifiuti venivano riutilizzati in un’ottica di economia circolare. E ricorda la «costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. III, n. 35494 del 10 maggio 2016, rv. 267.636), secondo cui, in tema di gestione dei rifiuti, l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo, fissate dall’art. 183 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria di tale deposito rispetto alla disciplina ordinaria». Aggiungiamo che, ovviamente, tale principio generale, si applica anche circa la presenza di tutte le condizioni previste dalla legge per beneficiare della deroga di cui all’art. 182, comma 6 bis, d.lgs. n. 152 del 2006. Trattasi, infatti, anche in questo caso di disciplina derogatoria e pertanto, vale il principio generale che la dimostrazione sulla sussistenza delle condizioni per beneficiarne spetta a chi la invoca 15 .

E, pertanto, se si aderisce alla tesi che il riutilizzo delle ceneri è una condizione ulteriore per l’operatività della deroga, chi vuole usufruirne, evitando le relative sanzioni, dovrà dimostrare che si è trattato di riutilizzo utile e non di smaltimento.

Gianfranco Amendola

1 Cfr., da ultimo, Amendola, La combustione di rifiuti vegetali. Il quadro attuale della regolamentazione e delle sanzioni , in questa Riv., 2018, 3, cui si rinvia soprattutto per quanto concerne la disciplina sanzionatoria.

2 In proposito, si rinvia a Paone,Abbruciamento di scarti vegetali: quale disciplina?, in Ambiente e sviluppo, 2015, n. 2, 73 e ss., nonché ai nostri Abbruciamento di scarti vegetali, inquinamento da leggi e Cassazione , in www.lexambiente.it., 24 ottobre 2014; Breve aggiornamento sulla combustione di stoppie e la Cassazione ,ivi, 11 dicembre 2014; e L’apoteosi del legislatore italiano sui rifiuti vegetali, in ww w.industrieambiente.it , 2016.

3 Si noti che, molto più sobriamente, l’art. 2, par. 2, lett. f) della direttiva sui rifiuti 2008/98/CE, confermato dalla direttiva 2018/851/UE, esclude dal suo ambito di applicazione «(...) paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati nell’attività agricola, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana». In proposito, circa la problematica di «sfalci e potature» introdotta dall’Italia, cfr., da ultimo, il nostro D.lgs. n. 116/2020 e rifiuti organici: cosa cambia e cosa resta , in www.osservatorioagromafie.it , 12 novembre 2020.

4 Cfr. per tutti Corte giust., Sez. III 18 dicembre 2007, in causa C-195/05 la quale, condannando l’Italia per l’allargamento delle esenzioni (contenute nell’art. 2, n. 1 della direttiva dell’epoca) precisa testualmente che «il citato art. 2, n. 1, indica quali tipi di rifiuti sono o possono essere esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva e a quali condizioni, mentre, in linea di principio vi rientrano tutti i rifiuti corrispondenti alla definizione in parola (...)».

5 Art. 184 bis, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006: «È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni (...)».

6 E, quindi, la sentenza impugnata doveva essere «annullata con rinvio al fine di verificare le condizioni indicate dall’art. 182, comma 6 bis (verifica della quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali) ai fini della successiva applicazione del disposto di cui all’art. 256, comma 6 cit.».

7 Cass. Sez. III Pen. 10 febbraio 2016, n. 5504, Lazzarini, inwww.osservatorioagromafie.it, 2016 e in www.lexambiente.it, 22 febbraio 2016.

8 Cfr., per il collegamento tra le due norme, Corte cost. 26 febbraio 2015, n. 16, Foro it., 2015, 4, I, 1125, secondo cui «appare chiaro che (...) l’art. 185, comma 1, lett. f), del codice dell’ambiente (...) consentiva - pure anteriormente all’introduzione del comma 6 bis all’art. 182 (...) - di annoverare tra le attività escluse dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti l’abbruciamento in loco dei residui vegetali, considerato ordinaria pratica applicata in agricoltura e nella selvicoltura».

9 Per completezza, si noti che Cass. Sez. III Pen. 24 ottobre 2018, n. 48397, in www.lexambiente.it, 14 novembre 2018, riporta entrambe la sentenze del 2016, fornendo anche essa una lettura di sintesi che non sembra rispecchiare esattamente il contenuto delle stesse: «Questa Corte ha già ricordato che, in tema di gestione dei rifiuti, gli scarti vegetali non sono classificabili come rifiuti, se utilizzati in agricoltura mediante processi e metodi costituenti le normali pratiche agronomiche disciplinate dagli artt. 182, comma 6 bis, e 185, comma 1, lett. f), del citato d.lgs. n. 152 del 2006, sicché la loro eliminazione mediante incenerimento, in piccoli cumuli ed in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro, non integra il reato di smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali non pericolosi di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006, né quello di combustione illecita di rifiuti di cui all’art. 256 bis del medesimo decreto legislativo (Sez. III, n. 21936 del 5 aprile 2016, Ascolese, rv. 267.470)». Quanto alla sentenza Lazzarini, la richiama nei seguenti termini: «Vero è, peraltro, che l’incenerimento di residui vegetali effettuato nel luogo di produzione al di fuori delle condizioni previste dall’art. 182, comma 6 bis, primo e secondo periodo, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, integra il reato di smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali non pericolosi di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Sez. III, n. 5504 del 12 gennaio 2016, Lazzarini, rv. 265.838)». Anche Cass. Sez. III Pen. 23 ottobre 2018-24 gennaio 2019, n. 3598, in www.ambientediritto.it , 2019 e Cass. Sez. III Pen. 13 settembre 2019, n. 38021, in www.osservatorioagromafie.it , 2019, riportano il contenuto della sentenza Lazzarini con la stessa, identica formulazione.

10 Cass. Sez. III Pen. 2 agosto 2017, n. 38658, Pizzo, in www.lexambiente.it, 3 agosto 2017, cui si rinvia per la complessa problematica delle sanzioni applicabili (esulante dall’ambito del presente lavoro).

11 In dottrina, cfr. Santoloci, La Cassazione: bruciare residui vegetali fuori deroga integra il reato di gestione illecita di rifiuti mediante combustione , in www.dirittoambiente.net , 28 marzo 2016.

12 In dottrina, anche per richiami, cfr. VITA,Rifiuti. L’abbruciamento dei residui vegetali, in www.lexambiente.it, 29 ottobre 2015, il quale, dopo un’analisi della giurisprudenza, conclude che «non si può affermare quindi che “gli scarti vegetali sono esclusi dal novero dei rifiuti”, ma piuttosto che sono esclusi se reimpiegati in una pratica agricola quale quella dell’abbruciamento in cumuli, che per dimensioni e distribuzione sul terreno consentano l’utilizzazione delle ceneri come sostanze ammendanti o concimanti. In altri termini, dunque, l’abbruciamento di residui vegetali in cumuli piccoli da un punto di vista quantitativo, ma non della pratica agronomica, non deve considerarsi pratica agricola in quanto non consente il reimpiego dei residui come sostanze ammendanti o concimanti senza ulteriore spargimento». Cfr. anche il nostroLa combustione di rifiuti vegetali. Il quadro attuale della regolamentazione e delle sanzioni, cit., a favore della tesi più restrittiva.

13 Cass. Sez. III Pen. 18 dicembre 2017, n. 56277, Gallone, in www.dirittoambiente.net , 28 dicembre 2017.

14 Cass. Sez. III Pen. 28 aprile 2020, n. 13121, Giordano, in www.osservatorioagromafie.it , 2020.

15 Si tratta di un principio più volte affermato dalla Suprema Corte. Cfr. per tutte Cass. Sez. III Pen. 4 febbraio 2015, n. 5178, Mainella, in www.lexambiente, 2 marzo 2015, secondo cui (a proposito delle terre e rocce da scavo) una disciplina che prevede l’applicazione di un diverso regime gestionale in condizioni di favore, comporta la conseguenza che l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza di tutte le condizioni di legge incombe comunque su colui che l’invoca; nonché, in particolare per la deroga in esame, Cass. Sez. III Pen. 10 febbraio 2016, n. 5504, cit., secondo cui «va chiarito che, siccome l’art. 182, comma 6 bis T.U.A. è da considerarsi norma che deroga alla disciplina ordinaria dei rifiuti, introducendo una regolamentazione avente natura eccezionale, l’onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge per la sua applicazione deve essere assolto da colui che la deroga invoca»; Cass. Sez. III Pen. 2 agosto 2017, n. 38658, Pizzo, cit., la quale richiama anche diversi altri precedenti nello stesso senso; e, da ultimo, Cass. Sez. III Pen. 24 ottobre 2018, n. 48397, cit. Contra, in dottrina, Vergine, La S.C. ripropone una lettura «creativa» dello smaltimento non autorizzato di rifiuti vegetali (nota a Cass. Pen. n. 30625/2018) , in Ambiente e sviluppo, n. 8-9, 2018, 535 e ss., la quale contesta che il principio sia applicabile in quanto non si tratterebbe di rifiuti. In realtà, a noi non sembra dubbio che trattasi di rifiuti anche se agli stessi, per espressa disposizione di legge, non si applica la disciplina sui rifiuti.