Caccia e animali. Divieto di caccia
Fattispecie relativa a divieto di caccia a tempo indeterminato su una vasta area di territorio in relazione ad un pericolo generico e non attuale.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale dell'Umbria ha pronunciato la seguente
sul ricorso 399/2006 proposto da:
con domicilio eletto in PERUGIA
VIALE INDIPENDENZA, 49
RAMPINI MARIO
COMUNE DI CASTIGLIONE DEL LAGO
SINDACO DEL COMUNE DI CASTIGLIONE DEL LAGO
AVVOCATURA STATO
con domicilio eletto in PERUGIA
VIA DEGLI OFFICI, 14
presso la sua sede
e nei confronti di
AZIENDA AGRARIA TERESI GIORGINA
MAJORCA FULVIO CARLO
con domicilio eletto in PERUGIA
VIALE ROMA, 74
presso la sua sede
e con l'intervento ad opponendum di
ASSOCIAZIONE ITALIANA FAMILIARI E VITTIME DELLA CACCIA
con domicilio eletto in PERUGIA
VIA DEL ROSCETTO, 3
presso la sua sede;
dell'ordinanza sindacale n. 61 prot.n. 25336 del 20 luglio 2006, con la quale è stato disposto il divieto, a tempo indeterminato, dell'esercizio dell'attività venatoria in una porzione di territorio comunale di circa 48 ettari in frazione Pozzuolo e compresa tra Via Galeotti – loc. Cozzano e via Fioretti, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso, conseguente e/o collegato.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Sindaco del Comune di Castiglione del Lago e della controinteressata Azienda Agraria Teresi Giorgina;
Visto l'atto di intervento ad opponendum dell'Associazione Italiana Familiari e Vittime della Caccia;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta alla pubblica udienza del giorno 16 maggio 2007 la relazione del Dott. Carlo Luigi Cardoni e uditi i difensori delle parti come da verbale
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto:
1- Con il provvedimento impugnato il Comune resistente ha imposto il divieto di caccia su di un'area di circa 48 ettari, condotta dall'azienda agraria Teresi.
Ciò in considerazione del pericolo che deriverebbe per il personale ed i clienti della stessa dall'esercizio dell'attività venatoria.
Nel ricorso si formulano articolate censure d'eccesso di potere e violazione di legge (art. 21 L. n. 157/1992 e art. 54 D.Lgs. n. 267/2000) sostenendo, in estrema sintesi:
- l'illegittima sovrapposizione del provvedimento con la disciplina statale e regionale della caccia
- l'assenza dei presupposti per l'emanazione della contestata ordinanza contingibile ed urgente giacché in realtà essa non sarebbe volta a fronteggiare uno specifico ed immanente pericolo, ma ad inibire permanentemente l'attività venatoria nel territorio di cui trattasi;
- il difetto di motivazione circa le ragioni per le quali è stata disattesa la proposta della Polizia Municipale volta all'installazione di tabelle nelle quali si rammentassero le distanze legali di sicurezza per l'impiego delle armi da caccia;
- violazione dei principi in materia di giusto procedimento, per il mancato coinvolgimento dell'ente ricorrente e di altre autorità nonostante che il provvedimento avversato sia stato emanato dopo molto tempo dalla piena conoscenza dei fatti;
- carenza di potere del Sindaco in ordine all’emanazione della disciplina contenuta nel provvedimento.
2- Si sono costituiti in giudizio il Comune e la controinteressata azienda Teresi; è altresì intervenuta ad opponendum l'Associazione Italiana Familiari e Vittime della Caccia. Tutti hanno controdedotto ed eccepito il difetto d'interesse al ricorso poiché la normativa sulle distanze di sicurezza farebbe sì che in pratica tutta l'area di cui si discute sarebbe di per sé già sottratta all'attività venatoria.
3- Il Collegio respinge in primo luogo tale eccezione preliminare.
Infatti, dette distanze consistono (art. 21 L. n. 157/1992) in 50 metri dalle strade, 100 metri dai fabbricati abitativi o produttivi ove si faccia fuoco non in loro direzione, ovvero 150 metri nell'ipotesi opposta.
E’ dunque evidente al comune buon senso e all’ordinaria esperienza che un vincolo imposto su ben 48 ettari (circa 700 metri per 700 metri) copre una superficie ben più ampia di quella delimitata anche dalle massime fra le indicate distanze.
3- Ciò premesso, si ritiene che tutti i motivi di ricorso siano fondati.
Infatti, con il provvedimento impugnato si pone un divieto di caccia a tempo indeterminato su una vasta area di territorio in relazione ad un pericolo generico e non attuale.
Vengono così meno i presupposti tipici del provvedimento contingibile ed urgente, di natura residuale, costituiti dalla presenza di un pericolo determinato ed immediato altrimenti non fronteggiabile.
Prova ne sia che l'atto impugnato è in data 20 luglio 2006 e cioè segue di quasi un mese l'esposto presentato in data 24 giugno 2006, di circa dieci mesi mesi la denuncia ai Carabinieri in data 29 settembre 2005 e di circa sette mesi la relazione della Polizia Municipale in relazione al precedente esposto già presentato sullo stesso tema dall'azienda agraria il 20 ottobre 2005.
4- In più, l'ampiezza del divieto, la sua natura permanente, la sostanziale assenza di collegamento con un pericolo specifico ed attuale, fa sì che il potere esercitato si connoti in realtà come un’usurpazione delle competenze regionali e provinciali in materia di gestione del territorio ai fini venatori (art.2 L.R. 17 maggio 1994 n. 14).
5- Inoltre, l’atto impugnato è macroscopicamente irrazionale, come esattamente sostiene la parte ricorrente.
Invero, osserva il Tribunale, il pericolo cui si intende ovviare è quello generale cui sono esposti tutti gli individui presenti nello Stato in relazione all'attività venatoria. Pericolo contemplato e disciplinato specificamente dalla legg mediante la previsione, fra l’altro, delle suddette distanze di sicurezza.
Sottrarre il territorio alla caccia nel timore che quelle distanze possano essere violate è manifestamente irragionevole giacché, accedendo ad un simile procedimento logico, si dovrebbe vietare qualsiasi attività umana nel timore che questa possa costituire una infrazione della legge od un pericolo per le persone e le cose.
Si dovrebbe cioè, ad esempio, vietare la circolazione di ogni automezzo per evitare che un criminale, guidando in stato d'ebbrezza, travolga dei passanti.
Il procedimento logico seguito nel provvedimento impugnato ripugna dunque all’ordinaria razionalità prima che al diritto ed altro non v'è d'aggiungere sul punto.
6- Va da se che il rispetto delle distanze di sicurezza deve ritenersi di per sé idoneo, almeno perché tale è stata la valutazione del Legislatore, a scongiurare i temuti pericoli e che la violazione delle distanze stesse costituisce un illecito da reprimersi nelle competenti sedi e non con provvedimenti irrituali come quello qui avversato.
Il tutto a maggior ragione, ove si consideri che dalla ripetuta relazione della Polizia Municipale risulta che i danni ai rivestimenti delle serre dell'azienda controinteressata provocati dalle munizioni da caccia, appaiono tali da "… escludere il caso fortuito…." Pertanto si sarebbe in presenza di eventi prodotti da condotte dolose che, in quanto tali, non possono certe essere prevenute o represse sovrapponendo un ennesimo divieto, a dir poco singolare, a quelli legittimamente già esistenti in forza delle inerenti disposizioni di legge.
7- In tale prospettiva, appare dunque logica e addirittura tuzioristica la proposta a suo tempo avanzata dalla Polizia Municipale (1 Dicembre 2005 ) volta ad autorizzare l'azienda Teresi ad installare cartelli che rammentassero le suddette distanze.
Orbene, come esattamente lamenta la parte ricorrente, la proposta stessa è stata disattesa senza alcuna motivazione e ciò costituisce un ulteriore vizio dell'atto impugnato.
8- Sussiste altresì la violazione dei principi in tema di giusto procedimento (ricorso pagina 10) giacché il lungo tempo trascorso dalla piena conoscenza dei fatti da parte dell'Amministrazione Comunale (sia sufficiente pensare all'esposto in data 20 ottobre 2005) avrebbe ben consentito il coinvolgimento sia dell'ente ricorrente, sia di altre autorità, quanto meno per concertare eventuali specifici interventi, ammesso e non concesso che fossero ritenuti necessari in seguito ad un’obiettiva valutazione degli effettivi interessi pubblici.
9- Per tutte le considerazioni sin qui svolte il ricorso dev’essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Il Tribunale Amministrativo dell'Umbria, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e per l'effetto annulla l’atto impugnato.
Condanna le parti resistenti ed intervenienti al pagamento, in solido ed in parti uguali, delle spese del giudizio, complessivamente liquidate in € 5.000 oltre agli oneri di legge ed alle ulteriori spese eventualmente occorrende.
Così deciso in Perugia, nella Camera di Consiglio del giorno 16 maggio 2007 con l'intervento dei signori: