Cass. Sez. III Sent.42201 del 22-12-2006 (Ud.08/11/2006)
Presidente: Vitalone C. Estensore: Tardino VL. Imputato: P.M. in proc. Della Valentina.
(Annulla con rinvio, Gip Trib. Pordenone, 27 ottobre 2004)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Materie fecali - Utilizzo in agricoltura - Disciplina applicabile - Individuazione.

L'utilizzo di materie fecali in agricoltura è sottoposto alla disciplina sui rifiuti di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997 (oggi sostituito dal D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, parte quarta), in quanto non sono stati emanati i decreti ministeriali attuativi previsti dall'art. 38, comma primo, D.Lgs. n. 152 del 1999, soltanto a seguito dei quali si sarebbe potuta applicare la diversa disciplina in tema di acque di cui al D.Lgs. 152 del 1999 (oggi sostituito dal D.Lgs. n. 152, parte terza).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 08/11/2006
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. TARDINO Vincenzo Luigi - Consigliere - N. 1732
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 47392/2004
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PUBBLICO MINISTERO PRESSO GIUDICE UDIENZA PRELIMINA di PORDENONE;
nei confronti di:
1) DELLA VALENTINA ANGELO, N. IL 09/10/1956;
avverso SENTENZA del 27/10/2004 GIUDICE UDIENZA PRELIMINA di PORDENONE;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. TARDINO VINCENZO LUIGI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MELONI Vittorio, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
FATTO E DIRITTO
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone ricorreva per Cassazione avverso la sentenza (8.11.04) di quel Tribunale, che aveva assolto Della Valentino Angelo dal reato contravvenzionale di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 2 (perché, nella qualità di proprietario e conduttore di allevamento avicolo, depositava in modo incontrollato sul terreno agricolo, sito in località Lima del Comune di Budoia, un cumulo di rifiuti non pericolosi (pollina). Eccepiva la violazione di legge e il vizio di motivazione, deducendo che l'attività posta in essere dall'imputato, rientrerebbe nell'ambito della gestione rifiuti - che, ai sensi della normativa citata è vietata, se posta in essere senza le previe autorizzazioni di legge; Nello specifico, la normativa del decreto Ronchi (che avrebbe una portata generale) recederebbe solo e quando subentrasse e fosse vigente la prevista normativa speciale; e che se tale situazione non si verificata, continuerebbe ad applicarsi il decreto Ronchi: che, all'art. 27 e segg. detterebbe norme anche per il riutilizzo o il recupero dei rifiuti con riferimento, perciò, all'utilizzo a fini agronomici degli affluenti animali. Con un secondo motivo, ribadendo, contrariamente all'assunto del Tribunale, l'insussistenza dell'autorizzazione all'uso agronomico ex art. L. n. 319 del 1976: da cui la conseguenza che il giudice avrebbe assolto l'imputato senza che vi fosse in atti la prova positiva dell'esistenza di quell'autorizzazione, dalla quale si sarebbe dovuto ricavare l'innocenza dell'imputato.
Il D.L. 5 febbraio 1997, n. 22, qualifica come rifiuto qualsiasi sostanza o oggetto che rientra nelle categorie tipicizzate all'allegato A), che include "le feci animali, urine e letame (comprese le lettiere usate), effluenti raccolti separatamente e trattati in fuori sito". Questo decreto ha, poi, previsto all'art. 8 l'esclusione degli effluenti gassosi emessi nell'atmosfera, nonché una serie di altri rifiuti, tra cui quelli agricoli - ivi comprese le materie fecali utilizzate ordinariamente in agricoltura. Ma sulle materie fecali l'esclusione è in funzione di alcune condizioni: che, cioè, le materie fecali provengano da attività agricola (come si evince dal testo letterale della norma); che il rifiuto escluso sia disciplinato da altre specifiche disposizioni di legge che le stesse materie fecali derivate da attività agricole siano destinate al riutilizzo in agricoltura. Eccettuato questo(...) il decreto Ronchi si applicherebbe in tutti gli altri casi. Da questa prima approssimativa riflessione deriva già che, per il fatto che l'imputato è proprietario e conduttore di un allevamento avicolo, e non gestisce, pertanto, un'attività agricola, rifiuti di cui è procedimento (miscela di deiezioni animali solide e liquide frammiste a lettiera formata in prevalenza da segatura di legno, detta pollina) non possono dirsi agricoli con ogni conseguenza di legge...È vero che con il D.L. n. 152 del 1999 (integrato dal D.L. n. 258 del 2000), che disciplina in generale la tutela delle acque dall'inquinamento, si è inteso disciplinare anche taluni rifiuti agricoli, tra cui le materie fecali utilizzate in agricoltura; ma la nuova disciplina delle attività di utilizzazione agronomica degli effluenti da allevamento contenuta nell'art. 38 di questo decreto (e che, per esigenze di semplificazione, ha innovato con la previsione, non già di un regime autorizzaztorio ma di un mero onere di comunicazione), al secondo comma ha stabilito un rinvio alle Regioni per la disciplina di quelle attività di utilizzazione agronomica di cui al comma 1, alla stregua dei criteri e delle norme tecniche generali adottati con decreto dal Ministro per le politiche agricole e forestali, al comma 3, che la disciplina si estenda alle norme tecniche di effettuazione delle operazioni di riutilizzo agronomico, e ai criteri e alle procedure di controlli ivi compresi quelli relativi all'imposizione di prescrizioni da parte dell'autorità competente). Certamente un chiaro l'intendimento di una autonoma regolamentazione (...): ma questa direttiva normativa non è, allo stato, ancora in vigore, in quanto non è stato mai emanato il decreto ministeriale attuativo di cui al comma 1, con la conseguenza che, in mancanza della Regolamentazione regionale; non potendo applicarsi la norma penale di cui al D.L. n. 152 del 1999, art. 59, comma 11 - che necessita della previa vigenza della disciplina dell'art. 38; e, non potendosi più dare attuazione alla pregressa normativa della L. Merli, la L. n. 319 del 1976, in quanto espressamente abrogata, (...): non si può neppure puntare sulla normativa transitoria di cui al D.L. n. 152 del 1999, art. 62, comma 10 (che prevede che, fino all'emanazione della disciplina regionale di cui all'art. 38, le attività di utilizzazione agronomica siano effettuate secondo le disposizioni regionali vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto). Così stando le cose (con particolare riguardo alla regione Friuli Venezia Giulia - dove non è stata emanata alcuna disposizione in ordine alle attività di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, per il cui motivo la normativa transitoria prevista dal D.Lgs. n. 152 del 1999 è, di fatto, inapplicabile: deve ritenersi (in considerazione che il D.L. n. 22 del 1997 ha previsto la possibilità di una diversa e successiva disciplina rispetto a quella del decreto stesso, per talune categorie di rifiuti - tra le quali le materie fecali riutilizzate in agricoltura; e, in mancanza di una diversa e successiva disciplina di tutela ambientale) che la regolamentazione delle materie fecali rientri a pieno titolo (seppure provvisoriamente) nel campo di applicazione del decreto Ronchi. Concludendo, in relazione alla fattispecie in esame, deve potersi dire che le sostanze di cui all'imputazione vanno considerate dei rifiuti non pericolosi ai sensi del decreto Ronchi; e che tutte le altre attività propedeutiche e connesse alla loro gestione siano necessariamente autorizzabili ai sensi dell'art. 27 e seguenti con l'ulteriore conseguenza che, in mancanza di autorizzazione o di altro provvedimento idoneo, sia configurabile il reato contestato. - L'altra censura del P.M. riguarda il fatto che il giudice - che aveva ritenuto applicabile la normativa ex art. L. n. 319 del 1976 - aveva affermato che l'imputato era, comunque, in possesso dell'autorizzazione all'uso agronomico degli effluenti animali, indipendentemente da una concreta delibazione della stessa. E invero, l'autorizzazione, come osservato dal P.M., non era e non è in atti, e il giudice ha argomentato sulla sua sussistenza alla stregua di una mera dichiarazione del figlio dell'imputato; e perché il personale della Forestale, durante l'attività d'indagine, non ebbe a richiederla: perché, trattandosi di accertamento facilmente esperibile, sarebbe stato inverosimile che il figlio dell'imputato affermasse il falso esponendosi al rischio di falsa testimonianza. È evidente, a questo proposito, un paralogismo inconcludente, che non può supportare con ragionevolezza l'assunto della esistenza di un documento autorizzatorio.
- Del tutto incidentalmente va, poi, rappresentata la non configurabilità della scusante dell'errore di diritto dipendente da ignoranza non inevitabile della legge penale, e quindi da un mero errore interpretativo: che può avere valore giustificativo solo quando è determinato da un atto della P.A., o da un orientamento giurisprudenziale univoco e costante, da cui l'agente tragga la convinzione della correttezza di una certa interpretazione normativa;
e, perciò, della liceità della propria condotta. In sostanza, la c.d. buona fede è giuridicamente rilevante quando comporta, per la sovrapposizione di elementi estranei all'agente, uno stato soggettivo di assoluta incertezza che esclude anche la colpa.
P.T.M.
annulla la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Pordenone. Così deciso in Roma, il 8 novembre 2006.