TAR Piemonte Sez. I n. 893 del 18 luglio 2018
Caccia e animali. Diniego della licenza di caccia

La custodia e l’uso di un arma esigono una diligenza particolare idonea ad evitare ogni tipo di possibile incidente, tra i quali quello cagionato dal ricorrente occasionato da un comportamento non rispettoso di elementari regole di prudenza, imposte proprio per evitare conseguenze tragiche, quale quello di procedere verso la postazione del compagno di caccia in zona umida e impervia (dove è altamente prevedibile il rischio di scivolare), tenendo il fucile carico e senza inserimento della sicura, cosa che ha reso possibile la partenza accidentale del colpo. L’uso non corretto dell’arma equivale ad abuso, in quanto può costituire pericolo per la pubblica e privata incolumità, come confermano le circostanze di fattispecie, di talché non appare viziato da eccesso di potere il giudizio espresso dalla Questura in ordine alla perdita nel ricorrente dei requisiti soggettivi necessari per conservare la titolarità delle relative licenze.


Pubblicato il 18/07/2018
N. 00893/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00122/2015 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale -OMISSIS-, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Rabino e Serenella Nicola, nonché in forza di atto di costituzione depositato in data 13 novembre 2017 dagli avv.ti Alberto Mazzarello e Marcella Fasciolo, con domicilio fissato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del T.A.R. per il Piemonte in Torino, via Confienza, 10;
contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Torino, via Arsenale, 21;
per l’annullamento

- del provvedimento -OMISSIS-dal Questore della Provincia di Asti, con il quale è stata revocata al ricorrente la licenza di porto di fucile per uso di caccia -OMISSIS- rilasciatagli dalla Questura di Asti in data -OMISSIS-;

- degli atti tutti antecedenti (in particolare, la nota Div. P.A.S.I. -OMISSIS-, con la quale è stato comunicato dalla Questura di Asti l’avvio del procedimento finalizzato alla revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia sopra indicata), preordinati, consequenziali e comunque connessi del procedimento; e per ogni ulteriore consequenziale statuizione


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 20 giugno 2018 il Pres.. Domenico Giordano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1) Con ricorso depositato in data -OMISSIS-il ricorrente chiede l’annullamento del provvedimento del Questore di Asti con il quale gli è stata revocata della licenza di porto di fucile per uso caccia. Il provvedimento è stato adottato a seguito dell’episodio verificatosi in data 6 luglio 2014, allorché il ricorrente, nel corso di una battuta di caccia alla volpe, scivolava sul terreno accidentato e cadendo lasciava partire accidentalmente dall’arma, carica e non posta in sicura, un colpo che attingeva un compagno di battuta causandogli lesioni in regione cranica, toracica e al braccio destro giudicate guaribili in venti giorni. Tale condotta veniva giudicata dalle autorità procedenti indice di scarsa affidabilità nell’uso delle armi e incompatibile con il mantenimento della licenza di polizia.

Il ricorrente contesta il decreto impugnato, deducendo con unico motivo censure per violazione di legge e per vari profili di eccesso di potere. In particolare il ricorrente espone che, nella fattispecie, non vi sono elementi che lascino presumere la perdita del requisito dell’affidabilità nell’uso delle armi o un uso illecito delle stesse; che le caratteristiche dell’episodio, concretatosi in un lieve e fortuito ferimento, reso meno grave dall’uso prudenziale di pallini con diametro inferiore rispetto a quelli usati nella caccia alla volpe, rendono sproporzionata la misura adottata rispetto al pericolo di abuso; che è errata la ricostruzione dell’episodio assunto dall’amministrazione a presupposto del proprio operare, in quanto non è provato che il ricorrente conoscesse l’esatta posizione del compagno, né che fosse consapevole di avere il ferito sulla linea di tiro e a distanza inferiore a quella di sicurezza, trovandosi entrambi in una zona di fitta boscaglia che occultava la vista.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio depositando documentazione e memoria difensiva.

All’udienza il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2) Le censure esposte non meritano condivisione.

Osserva preliminarmente il Collegio come la giurisprudenza prevalente concordi nel ritenere che la legislazione in materia di titoli di polizia - quali quelli inerenti alla licenza di porto di fucile per uso caccia e al permesso di detenzione di armi e munizioni - affida certamente all’autorità di pubblica sicurezza il compito di valutare, con il massimo rigore, le eccezioni al divieto di circolare armati e qualsiasi circostanza che consigli l’adozione di provvedimenti negativi in ordine al porto e all’uso delle armi, onde prevenire la commissione di reati e, in genere, di fatti lesivi della pubblica sicurezza.

Con riferimento al decreto impugnato con il quale è stata revocata la licenza di porto di fucile uso caccia, per l’imperizia dimostrata nell’uso delle armi, il Collegio non ritiene che gli elementi di valutazione offerti dal ricorrente possano incidere nel processo motivazionale del provvedimento tanto da connotare l’azione amministrativo in termini di illogicità o di insufficiente istruttoria.

Ed infatti:

- il comportamento di vita del soggetto e il fatto che egli sia incensurato, per quanto indicatori di una condotta irreprensibile, integrano tuttavia caratteristiche o qualità personali che ben possono coesistere con l’imperizia nel maneggio e uso delle armi;

- la maggiore o minore gravità delle lesioni procurate accidentalmente con l’arma ad un essere umano, e in generale le circostanze di fatto legate al concreto verificarsi dell’episodio (ferimento avvenuto con pallini di piccolo calibro, comportamento virtuoso del ricorrente che ha prontamente soccorso il ferito) sono elementi che possono trovare utile ingresso in un giudizio penale per graduare le relative responsabilità, o in un processo civile risarcitorio, ma restano del tutto neutrali e irrilevanti nell’ipotesi di verifica del corretto esercizio, da parte dell’amministrazione, della propria discrezionalità finalizzata a prevenire l’ulteriore pericolo per l’incolumità pubblica.

Sotto questo profilo il fatto che nel lungo periodo di possesso della licenza di porto d’armi il ricorrente non sia incorso in altri incidenti è anch’esso irrilevante, perché il compito dell’Autorità di P.S. non è sanzionatorio o punitivo, ma è quello cautelare di prevenire abusi nell’uso delle armi a tutela della privata e pubblica incolumità; sicché, una volta attinta una persona umana con un’arma da fuoco, sia pure accidentalmente, non appare affatto irragionevole o arbitrario ritenere che l’affidabilità del titolare della licenza di porto d’armi sia perciò stesso compromessa - essendo necessaria la completa sicurezza circa il buon uso delle armi - non potendo certo pretendersi che il relativo giudizio dell’Amministrazione debba essere condizionato dalla necessaria esistenza di un comportamento recidivo dell’interessato, o dalla gravità o levità delle lesioni riportate dalla vittima, o dalle concrete circostanze del verificarsi dell’evento.

L’aver esploso (come ovvio non intenzionalmente, ma solo) accidentalmente un colpo che ha provocato il ferimento di una persona è fatto di per sé stesso idoneo a generare e dubbi sulla diligenza e perizia nell’utilizzo delle armi; l’episodio dimostra in modo palese l’inaffidabilità all’uso delle armi da parte del ricorrente senza che occorra aggiungere considerazione alcuna.

Né può utilmente invocarsi, quale causa di giustificazione del comportamento, l’evento accidentale o il caso fortuito.

Come è noto, secondo la giurisprudenza in tema, il caso fortuito idoneo ad interrompere il nesso causale si riconnette ad un evento non prevedibile, nemmeno con l’uso dell’ordinaria diligenza, tale da rendere la condotta dell’autore non ricollegabile all’omissione delle normali cautele esigibili in situazioni analoghe (Cass. civ. sez. III, 20 novembre 2009, n. 24529).

Ora è evidente che la custodia e l’uso di un arma esigono una diligenza particolare idonea ad evitare ogni tipo di possibile incidente, tra i quali quello cagionato dal ricorrente occasionato da un comportamento non rispettoso di elementari regole di prudenza, imposte proprio per evitare conseguenze tragiche, quale quello di procedere verso la postazione del compagno di caccia in zona umida e impervia (dove è altamente prevedibile il rischio di scivolare), tenendo il fucile carico e senza inserimento della sicura, cosa che ha reso possibile la partenza accidentale del colpo.

L’uso non corretto dell’arma equivale ad abuso, in quanto può costituire pericolo per la pubblica e privata incolumità, come confermano le circostanze di fattispecie, di talché non appare viziato da eccesso di potere il giudizio espresso dalla Questura in ordine alla perdita nel ricorrente dei requisiti soggettivi necessari per conservare la titolarità delle relative licenze.

È indubbio, infatti, che il TULPS riconosca all’Autorità competente il potere di negare e di revocare la menzionata autorizzazione ogni qualvolta si possa ritenere che l’interessato, anche sulla base di semplici indizi di inaffidabilità, sia potenzialmente capace di utilizzare le armi in modo poco prudente, essendo il diritto del cittadino alla propria incolumità certamente prevalente e prioritario rispetto a quello, del tutto eccezionale, di possedere armi (Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 2010, n. 379; T.A.R. Marche, 22 dicembre 2009, n. 1461).

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza come da liquidazione fattane in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando

respinge il ricorso, come in epigrafe proposto,

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida complessivamente in € 1.000,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti comunque citate nel provvedimento.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2018 con l’intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente, Estensore

Roberta Ravasio, Consigliere

Antonino Masaracchia, Consigliere



IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Domenico Giordano