Primi appunti su una legge che salva poco il mare

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su unaltroambiente.it. Si ringraziano Autore ed Editore

Premessa

Le note che seguono vogliono fornire un primo quadro delle disposizioni più rilevanti contenute nella cd “legge salvamare” appena approvata anche se ancora non pubblicata al momento della loro stesura (Nota 1).

La legge si compone di 16 articoli eterogenei (Nota 2) che, in sostanza, riguardano: a) la gestione dei rifiuti pescati accidentalmente nelle acque (dalle reti durante la pesca e occasionalmente con qualunque altro mezzo) o volontariamente raccolti anche tramite apposite campagne di pulizia; b) norme in materia di gestione delle biomasse vegetali spiaggiate; c) misure sperimentali per la cattura dei rifiuti galleggianti nei fiumi; d) campagne di sensibilizzazione per la salvaguardia del mare; e) educazione ambientale nelle scuole per la salvaguardia dell’ambiente; f) un riconoscimento ambientale per imprenditori ittici “virtuosi”; g) criteri generali per la disciplina degli impianti di desalinizzazione; h) previsione di un decreto governativo per disciplinare acquacultura e piscicoltura; i) istituzione di un tavolo interministeriale di consultazione permanente per il contrasto all’inquinamento marino e il monitoraggio della situazione.

In realtà, si tratta in gran parte di buoni propositi, spesso molto generici, la cui attuazione è rimessa a futuri atti, sempre che non ne derivino nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (art. 16). A livello operativo, i punti più importanti immediatamente rilevanti sono la equiparazione dei rifiuti in oggetto a quelli prodotti dalle navi, la loro qualificazione come rifiuti urbani, l’obbligo di conferimento agli impianti portuali di raccolta, la applicazione al loro conferimento delle condizioni stabilite per il deposito temporaneo, e l’assenza di maggiori oneri per la finanza pubblica.

Limitiamoci, quindi, per ora, alle disposizioni immediatamente esecutive strettamente collegate al primo intento perseguito dalla legge e cioè a quelle finalizzate alla pulizia delle acque attraverso il recupero dei rifiuti accidentalmente pescati, cui più volte fa cenno anche la normativa comunitaria (Nota 3).

La qualificazione come urbani dei rifiuti accidentalmente pescati o volontariamente raccolti

L’art. 2, comma 1 della legge afferma che “i rifiuti accidentalmente pescati sono equiparati ai rifiuti delle navi ai sensi dell’art. 2, primo comma, punto 3, della direttiva 2019/883 “, il quale, come fedelmente riportato dal D. Lgs. 8 novembre 2021, n. 197 (che recepisce la direttiva) ricomprende sia i residui del carico sia quelli in esame (Nota 4). E, quindi, come tali, devono essere conferiti, previa pesatura, agli impianti portuali di raccolta ovvero, come aggiunge l’art. 2, comma 3 della nuova legge ad apposite strutture di raccolta, anche temporanee, allestite dai Comuni in prossimità degli ormeggi (Nota 5).

Quanto alla natura di questi rifiuti, la legge in esame (art. 2, comma 6) li inserisce tra gli urbani, aggiungendo alla elencazione dell’art. 183, comma 1, lett. b-ter del TUA, “i rifiuti accidentalmente pescati o volontariamente raccolti, anche attraverso campagne di pulizia, in mare, nei laghi, nei fiumi e nelle lagune” (nuovo n. 6-bis). (Nota 6)

A nostro sommesso avviso, a questa conclusione già si sarebbe potuti giungere in via interpretativa leggendo estensivamente la categoria di rifiuti urbani elencati al n. 4 dell’articolo citato che considera urbani tutti i rifiuti “di qualunque natura o provenienza”, giacenti in aree pubbliche, spiagge ecc. (Nota 7) la cui ratio evidente è di fornire immediata e particolare tutela dall’inquinamento da rifiuti alle zone di territorio pubbliche o, comunque, destinate ad uso pubblico al fine di stabilire la competenza dei Comuni (art. 198, comma 1 TUA) per la loro corretta gestione (Nota 8); e, in particolare del sindaco il quale, ai sensi dell’art. 192, comma 3 D. Lgs 152/06, in ogni caso è obbligato a gestire questi rifiuti illecitamente depositati in aree pubbliche, garantendo il loro smaltimento-recupero secondo legge anche quando siano ignoti gli autori dell’abbandono.

Comunque, trattasi di qualificazione del tutto condivisibile, da noi peraltro proposta già quattro anni fa, e fortunatamente inserita, anche se con diversa formulazione, nelle ultime stesure del DDl salvamare.

La raccolta ed il trasporto a terra senza autorizzazione di rifiuti accidentalmente pescati non sono mai stati illeciti

Se, a questo punto, andiamo ad esaminare le disposizioni relative alla gestione dei rifiuti accidentalmente pescati, si verifica subito che esse si basano sul presupposto che, prima della legge, i pescatori erano costretti a ributtare in mare i rifiuti accidentalmente pescati per non incorrere nelle sanzioni penali previste dal testo unico ambientale per chi li raccoglie e li trasporta senza autorizzazione o iscrizione all’Albo dei trasportatori. Circostanza data per certa in primo luogo da Sergio Costa, Ministro dell’ambiente proponente, il quale, tra l’altro, nella sua audizione dinanzi alla Commissione ecomafia del 31 gennaio 2019, evidenziava i “profili sanzionatori penali per i pescatori che effettuino la cosiddetta “raccolta accidentale” (articolo 256 del codice dell’ambiente, gestione illecita di rifiuti) durante l’attività di pesca ” (Nota 9); e ribadita da numerose associazioni secondo cui, con la nuova legge, “finalmente il nostro Paese disporrà di uno strumento efficace e concreto, richiesto anche dall’Unione europea, che consentirà ai pescatori di portare a terra la plastica recuperata con le reti invece di scaricarla in mare, azione che prima costituiva il reato di trasporto illecito di rifiuti” (Nota 10).

Con tutto il rispetto, ci sembra che si tratti di tesi ed affermazioni totalmente infondate derivanti da una carente conoscenza della normativa penale ambientale e platealmente smentite dalla realtà.

In tutti questi anni, mai vi sono state (e nessuno l’ha neanche minacciato) denunzie, procedimenti penali o sanzioni per gestione abusiva o traffico illecito di rifiuti a carico di pescatori o di chi, accidentalmente o volutamente, riportava a terra rifiuti giacenti in mare; e in tutti questi anni sono state promosse in tutta Italia, senza bisogno di alcuna legge ed alcuna regolamentazione burocratica, numerose giornate di pulizia del mare da parte di associazioni ambientaliste insieme ai Comuni rivieraschi cui sono stati consegnati i rifiuti recuperati in mare. Né si è mai verificato che qualcuno abbia chiesto alle barche utilizzate per queste campagne o che riportavano a terra i rifiuti recuperati se fossero iscritte all’Albo od avessero un formulario di trasporto.

Del resto, -così come già avevamo evidenziato ben prima dell’approvazione della legge, nel maggio 2019 (Nota 11) – basta leggere la normativa penale (con relativa giurisprudenza) del TUA (Nota 12) attinente alla gestione non autorizzata di rifiuti per capire che essa non riguarda affatto la raccolta accidentale di rifiuti dal mare da parte di pescatori o quella programmata da qualche benemerita associazione con giornate di pulizia dei fondali.

Se, infatti, è vero che raccolta e trasporto rientrano tra le attività di gestione dei rifiuti per le quali esiste l’obbligo, penalmente sanzionato, di preventiva autorizzazione o iscrizione, è anche pacifico che tale obbligo non riguarda in alcun modo il caso di rifiuti raccolti del tutto accidentalmente e che, al contrario, l’illecito si concreta se questi rifiuti vengono ributtati in mare.

Iniziamo dalla “raccolta”, definita dalla legge “il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare alla raccolta, ivi compresa la gestione dei centri di raccolta di cui alla lettera “mm”, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento” (art. 183, comma 1, lett. o); dove appare di tutta evidenza che ci si riferisce ad una attività finalizzata a prelevare i rifiuti per trasportarli in un impianto e di certo non riguarda la “pesca” del tutto involontaria ed occasionale di rifiuti (Nota 13). E, pertanto, non vi è alcun obbligo di autorizzazione o iscrizione all’Albo dei gestori ambientali.

Ad analoga conclusione si giunge se si legge la normativa sul trasporto di rifiuti, dove, come costantemente evidenziato dalla Cassazione (Nota 14), l’obbligo, penalmente sanzionato, di iscrizione all’Albo non è ipotizzabile in caso di trasporto occasionale. Appare, infatti, di tutta evidenza che il trasporto di rifiuti accidentalmente “pescati” da parte di un peschereccio che non voleva affatto raccoglierli è assolutamente occasionale; e pertanto non può trattarsi certamente di trasporto illecito, ed è del tutto superfluo specificare che per queste attività “non è necessaria l’iscrizione all’albo nazionale gestori ambientali” (art. 2, comma 2 legge salvamare).

Conclusione che, secondo la Suprema Corte, è valida per tutte le ipotesi di gestione abusiva di rifiuti di cui all’art. 256, comma 1, TUA, la quale deve essere sempre esclusa quando si tratti di condotte caratterizzate da assoluta occasionalità, in base al <<tenore della fattispecie penale, che, punendo la “attività” di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione, concentra il disvalore d’azione su un complesso di azioni, che, dunque, non può coincidere con la condotta assolutamente occasionale>> (Nota 15). E, pertanto, è valida anche in caso di raccolta e trasporto di rifiuti ripescati in mare tramite apposite iniziative straordinarie di pulizia subacquea ad opera di associazioni ambientaliste, Comuni ecc. Se, infatti, in questi casi l’iniziativa è certamente mirata alla raccolta ed al trasporto a terra di questi rifiuti, trattasi pur sempre di attività caratterizzate da “assoluta occasionalità”, in quanto esulanti dalla normale attività del soggetto.

Resta solo da aggiungere che, come abbiamo anticipato, il trasporto a terra di rifiuti accidentalmente “pescati” è addirittura un dovere. Se, infatti, si considera che l’art. 192, comma 2, del TUA vieta “l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee”, appare evidente che il pescatore non può riimmettere lecitamente in mare i rifiuti da lui accidentalmente pescati (anche se da lui non prodotti); e non ha altra alternativa “lecita” se non quella di trasportarli a terra per il loro smaltimento o recupero secondo legge (Nota 16).

Il deposito temporaneo negli impianti portuali dei rifiuti pescati accidentalmente

Ma andiamo avanti. Perché, secondo la legge, il pescatore, dopo averli portati a terra, deve conferire questi rifiuti, previa pesatura, all’impianto portuale di raccolta o ad altre strutture di raccolta comunali per rifiuti urbani (art. 2, commi 3, 4 e 5); conferimento che viene configurato dalla legge come “deposito temporaneo” ai sensi degli artt. 183, comma 1, lett. bb (Nota 17) e 185-bis del TUA.

Ci si riferisce, quindi, al raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero e/o smaltimento, effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti (da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti…) alle seguenti condizioni:

“a) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, sono depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;

b) i rifiuti sono raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;

c) i rifiuti sono raggruppati per categorie omogenee, nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;

d) nel rispetto delle norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose” (Nota 18).

Appare confermato, quindi, in primo luogo, che le attività di “raccolta” e “trasporto” (con relativi obblighi e sanzioni), previste dal TUA, si possono ipotizzare solo dopo il conferimento a terra da parte del pescatore ed il loro raggruppamento (che precede raccolta e trasporto) nell’impianto portuale. In secondo luogo, trattasi, evidentemente di un conferimento di rifiuti che prescinde dal luogo di produzione degli stessi e che, comunque, a nostro sommesso avviso, non appare, anche tecnicamente, agevolmente assimilabile ad un “normale” deposito temporaneo prima della raccolta nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti, dove, peraltro, non vi sono dubbi sulla figura del produttore. Probabilmente la legge ha voluto richiamare l’istituto del deposito temporaneo per escludere, come ribadisce l’art. 185-bis, comma 3, l’obbligo di autorizzazione (che sarebbe necessario se si configurasse uno stoccaggio) (Nota 19), imponendo, comunque, al titolare dell’impianto portuale alcune condizioni (Nota 20). A nostro sommesso avviso, tuttavia, non ce ne era alcun bisogno e, in tal modo, non si incoraggia di certo la pulizia delle nostre acque che dovrebbe essere, invece, semplificata, incoraggiata e favorita al massimo, restando nell’ambito del “normale” conferimento di rifiuti agli impianti portuali. Ma su questo torneremo.

Alcune considerazioni

Se, quindi, in questi primi appunti, ci limitiamo alle disposizioni che hanno dato origine alla legge salvamare, appare del tutto evidente che esse sono, in buona parte, superflue in quanto basate su un errato presupposto di illiceità. Ed anche la qualificazione di questi rifiuti come urbani era, come abbiamo detto, già desumibile in via interpretativa dalla definizione del TUA; e, comunque, era già stata anticipata dal D. Lgs. 197/2021 sui rifiuti delle navi.

Tuttavia, costituisce, comunque, un fatto positivo perché, così come per i rifiuti urbani “per giacenza” già previsti nel TUA, in tal modo si attua, senza alcun dubbio, una opportuna valorizzazione del ruolo dei Comuni e dei sindaci nella gestione dei rifiuti “ripescati” accidentalmente o volontariamente. Anche perché, nel caso di esistenza di impianti portuali di raccolta cui devono essere conferiti questi rifiuti, il conferimento dovrà avvenire (art. 7 D. Lgs. 197/2021) attraverso la predisposizione di un Piano di raccolta e gestione con la partecipazione (anche) del Comune e della Regione nel cui ambito potrà essere attuato un opportuno coordinamento.

E qui ci fermiamo. Perché tutto il resto deve ancora venire. Ed è proprio questo, a nostro sommesso avviso, il vero limite di questa legge che si preoccupa di illeciti inesistenti dimenticando gli obiettivi da raggiungere.

A qualsiasi persona di media intelligenza, infatti, è chiaro che i pescatori ributtano in mare i rifiuti accidentalmente pescati non perché temono di essere sanzionati in caso di loro recupero ma, più semplicemente, perché per loro recuperarli e trasportarli a terra sarebbe solo un notevole intralcio alla normale attività di pesca, senza ricavarne alcun beneficio.

E allora una legge veramente salvamare dovrebbe preoccuparsi, in primo luogo, di prevedere adeguati incentivi immediati e di stabilire poche regole semplici per il recupero ed il conferimento di questi rifiuti, tenendo conto che si tratta di pescatori e che i rifiuti non sono un carico voluto; evitando, quindi, al massimo ogni appesantimento burocratico ed agevolando la immediata ricezione dei rifiuti stessi. Esattamente quello che non fa la legge salvamare quando, con il comma 9 dell’art. 2, stabilisce che “con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro della transizione ecologica, da adottare entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuate misure premiali, ad esclusione di provvidenze economiche, nei confronti del comandante del peschereccio soggetto al rispetto degli obblighi di conferimento disposti dal presente articolo, che non pregiudichino la tutela dell’ecosistema marino e il rispetto delle norme sulla sicurezza.”: disposizione del tutto generica dove l’unica cosa certa è la esclusione di provvidenze economiche, in una legge che, peraltro, vieta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (art. 16). Né ci sembra che possa rimediare l’ineffabile (Nota 21) art. 11, comma 1, secondo cui in questi casi ai pescatori virtuosi può essere attribuito un “riconoscimento ambientale attestante l’impegno per il rispetto dell’ambiente e la sostenibilità dell’attività di pesca da essi svolta”.

Nello stesso quadro, spaventa anche l’iter burocratico previsto per le campagne di pulizia dall’art. 3 che presuppongono l’intervento di “autorità competenti”, decreti ministeriali e pareri vari, dove l’unica disposizione accettabile ed operativa appare il secondo comma, a norma del quale “nelle more dell’adozione del decreto di cui al comma 1, l’attività oggetto dell’istanza può essere iniziata trascorsi trenta giorni dalla data di presentazione della stessa, fatta salva, per l’autorità competente, la possibilità di adottare motivati provvedimenti di divieto dell’inizio o della prosecuzione dell’attività medesima ovvero prescrizioni concernenti i soggetti abilitati a partecipare alle campagne di pulizia, le aree interessate dalle stesse nonché le modalità di raccolta dei rifiuti.”

Conclusione

Ci sarà tempo e modo per analizzare nella sua interezza la legge salvamare, che contiene anche altre disposizioni eterogenee in buona parte condivisibili anche se, in sostanza, generalmente ufficializzano iniziative che già potevano o dovevano essere attivate ovvero sono puramente programmatiche. Non sembra, ad esempio, vi sia bisogno di richiamare la “promozione dell’economia circolare” (art. 4) per ripetere quanto già sancito sin dal 2010 dall’art. 184-ter D. Lgs 152/06 a carico del Ministero dell’Ambiente per la definizione dei criteri EoW in tema di cessazione della qualifica di rifiuto. E non c’è bisogno di una legge per disciplinare le attività di monitoraggio e controllo dell’ambiente marino (art. 7) o per stabilire che possono essere effettuate campagne di sensibilizzazione o di informazione (da attuare, peraltro senza oneri a carico della finanza pubblica: art. 8).

Di certo meritano consenso, sperando che vengano attuati presto e senza troppe complicazioni formali, l’art. 9 che introduce nelle scuole l’educazione ambientale e l’art. 6 che demanda alle Autorità di bacino di introdurre misure per la raccolta dei rifiuti galleggianti nei fiumi; così come merita una menzione la norma programmatica (art. 12) sui criteri generali per la disciplina degli impianti di desalinizzazione che, tuttavia, avrà bisogno di numerosi atti esecutivi per diventare operativa. Tutte disposizioni di cui sarà necessario aspettare l’attuazione per formulare un giudizio definitivo.

Infine, la legge, con un lungo articolo (art. 5), torna per la terza volta in pochi mesi (Nota 22) sulla disciplina per la posidonia spiaggiata su cui ci riserviamo un prossimo approfondimento; di certo, comunque, non ci sembra il modo migliore di favorire la comprensione e l’applicazione di una normativa così delicata.

In conclusione, se da un lato la legge contiene certamente alcune novità positive, dall’altro si deve rilevare che le disposizioni immediatamente operative sono ben poche e che la legge sembra più attenta ad esigenze burocratiche e formalistiche che ad ottenere risultati.

Di sicuro, comunque non sarà questa, purtroppo, la legge che salverà il nostro povero mare.

NOTE:

Nota 1.

Ci siamo basati, quindi, sul testo del DDL n. 1571-B trasmesso al Senato per l’approvazione definitiva l’11 aprile 2022

Nota 2.

Il doppio di quelli previsti nel ddl iniziale

Nota 3.

Per alcune prime considerazioni sulla problematica, prima della proposta del DDL (e, ovviamente, con riferimento alla normativa all’epoca vigente), si rinvia al nostro Rifiuti recuperati in mare da pescherecci durante l’attività di pesca. Problematica giuridica, in www.lexambiente 5 ottobre 2018

Nota 4.

Si noti che, ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge, le disposizioni dell’art. 2 relative ai rifiuti accidentalmente pescati si applicano anche ai rifiuti volontariamente raccolti con campagne di pulizia.

Nota 5.

Ai sensi dell’art. 2, comma 4, della nuova legge “il comandante della nave o il conducente del natante che approda in un piccolo porto non commerciale, che è caratterizzato soltanto da un traffico sporadico o scarso di imbarcazioni da diporto, conferisce i rifiuti accidentalmente pescati agli impianti portuali di raccolta integrati nel sistema comunale di gestione dei rifiuti”.

Nota 6.

In realtà la inclusione tra gli urbani era già avvenuta ad opera dell’art. 2, comma 2 del citato D. Lgs 197/2021, secondo cui “i rifiuti delle navi sono considerati rifiuti ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. In particolare, i rifiuti delle navi sono considerati rifiuti speciali ai sensi dell’articolo 184, comma 3, lettera f) del decreto legislativo n. 152 del 2006, ad eccezione dei rifiuti prodotti dai passeggeri e dall’equipaggio e dei rifiuti accidentalmente pescati che sono considerati rifiuti urbani ai sensi dell’articolo 183, comma 1 lettera b-ter), del medesimo decreto legislativo.”

Nota 7.

“i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua”

Nota 8.

Per approfondimenti e richiami, si rinvia al nostro “L’anomala categoria italiana dei rifiuti urbani «per giacenza» su aree pubbliche” in www.osservatorioagromafie.it , 2022

Nota 9.

Ribadendo, peraltro, pochi giorni fa, dopo l’approvazione della legge, che essa sarà “uno strumento prezioso per la lotta all’inquinamento e per la salvaguardia dell’ecosistema marino in quanto da adesso non sarà più reato per i pescatori e i cittadini rimuovere i rifiuti finiti nelle acque del mare, ma anche nei fiumi e nei laghi del nostro Paese”

Nota 10.

La Repubblica, 17 maggio 2022. Cfr. anche, in particolare, tra gli altri, il comunicato Legambiente 11 maggio 2022 in cui il direttore generale Giorgio Zampetti afferma che “fino ad oggi i pescatori si vedevano costretti a ributtare in acqua il materiale plastico pescato, per non incorrere in denunce penali per trasporto illegale di rifiuti”

Nota 11.

AMENDOLA, Salviamo la legge salvamare, in www.lexambiente.it , 17 maggio 2019.

Nota 12.

Testo unico ambientale (D. Lgs 152/06)

Nota 13.

Ad abundantiam, cfr. per tutti Cass. Pen., sez. 3, 2 ott 2014- 23 gennaio 2015 n. 3204, secondo cui “ la raccolta, che costituisce una delle attività concernenti il ciclo di gestione dei rifiuti, consiste nell’operazione di prelievo, di cernita o di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto, dovendosi ribadire quanto già affermato da questa Corte circa il fatto che la nozione normativa di raccolta dei rifiuti, secondo la definizione ora data dall’art. 183 lett. o) d.lgs. n. 152 del 2006 ampliata con l’espresso riferimento anche alla gestione dei centri di raccolta dei rifiuti, presenta natura complessa, comprensiva di ogni comportamento univoco ed idoneo a culminare nell’accorpamento e nel trasporto dei rifiuti stessi, risultando così estesa anche alla cernita ed alla preparazione dei materiali in vista del successivo prelevamento”.

Nota 14.

v. appresso

Nota 15.

Cass. Pen., Sez. 3, 28 marzo-16 maggio 2017, n. 24115, Rinella, in ww.lexambiente.it, 6 giugno 2017. Giurisprudenza costante della Cassazione. Cfr. tra le ultime, Cass. Pen., sez. 3, 8 febbraio – 12 marzo 2018, n. 10799, secondo cui il trasporto di rifiuti senza titolo abilitativo è illecito “purché costituisca una “attività” e non sia assolutamente occasionale, laddove è la stessa descrizione normativa ad escludere dall’area di rilevanza penale le condotte di assoluta occasionalità”, nonché ID. 21 gennaio-28 aprile 2020, n. 13105, Caldararu, in www.lexambiente.it, 18 maggio 2020 secondo cui “la configurabilità del reato dovrebbe essere esclusa quando la condotta oltre ad essere unica, sia anche assolutamente occasionale”. Cfr. altresì, in precedenza, ID., 23 marzo- 14 luglio 2016, n. 29975, Bottazzi secondo cui “il tratto della “non occasionalità” rappresenta l’autentica cifra di riconoscimento della fattispecie di reato”. In dottrina, cfr. per tutti PAONE, Gestione abusiva di rifiuti e occasionalità della condotta: quando si configura il reato, in Ambiente e sviluppo, 2017, n. 2, pag. 98 e segg.

Nota 16.

In questo quadro, del tutto fuori luogo appare l’affermazione del presidente di Legambiente Stefano Ciafani (comunicato Legambiente 5 aprile 2019), quando, con riferimento al DDL, plaude al “cambiamento di prospettiva a 180 gradi poiché finora i pescatori rischiavano di essere accusati di traffico di rifiuti e si vedevano quindi costretti a ributtare in mare la spazzatura tirata su con le reti”. Tanto più se si considera che il delitto di traffico illecito di rifiuti punisce “chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti”; quando, come è evidente, non ricorre alcuno di questi elementi qualora il pescatore trasporti a terra rifiuti accidentalmente rimasti impigliati nelle sue reti.

Nota 17.

il quale, in verità, oggi lo chiama “deposito temporaneo prima della raccolta”; confermando pienamente, quindi, che, per i rifiuti accidentalmente pescati, non può configurarsi alcuna raccolta da parte del pescatore. Ma su questo torneremo.

Nota 18.

per approfondimenti e richiami, si rinvia al nostro D.lgs. n. 116/2020. Si restringe l’ambito del deposito temporaneo di rifiuti. Il pastrocchio italiano del «deposito preliminare alla raccolta» e di una nota che c’è e non c’è, in www.osservatorioagromafie.it

Nota 19.

Si consideri che, comunque, ai sensi dell’art. 208, comma 17 TUA, per il deposito temporaneo vige l’obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico ed il divieto di miscelazione di cui all’articolo 187.

Nota 20.

vale la pena, in proposito, di ricordare che, in base alla normativa comunitaria ed italiana sulle discariche, “qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno” rientra, ex lege, nella definizione di “discarica” (art. 2, comma 1, lett. g), D. Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36). Per approfondimenti e richiami di giurisprudenza, ci permettiamo rinviare, da ultimo, al nostro Diritto penale ambientale, Pisa 2022, pag. 174 e segg.

Nota 21.

nel senso di beffa

Nota 22.

Per approfondimenti, citazioni e richiami sulle due prime modifiche, si rinvia a AMENDOLA, Corte costituzionale: la posidonia spiaggiata, rifiuto e risorsa in www.osservatorioagromafie.it , maggio 2021 e Ultime notizie sulla posidonia: il decreto sostegni, ivi, luglio 2021