Nuova pagina 2

PRIME BREVISSIME OSSERVAZIONI SULLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE "NORME IN MATERIA DI TUTELA RISARCITORIA CONTRO I DANNI ALL'AMBIENTE" (L.308/2004) : L'AZZERAMENTO DELL'ACCESSO ALLA GIUSTIZIA AMBIENTALE IN ITALIA

Avv. Maurizio BALLETTA

Nuova pagina 1



1. La disciplina vigente ( art. 18 L. 349/86 e art. 9,comma 3, D, Legs. 267/2000).
La vigente disciplina italiana del risarcimento del danno ambientale è contenuta nell'art. 18 della L. 349/86.
Tale norma è costruita, anche terminologicamente, sia pure con alcune differenze (tipicità dell'illecito), sul collaudatissimo schema della responsabilità aquiliana (neminem ledere) codificato dall'art.2043 del codice civile.
Essa prevede che lo Stato (Ministero dell'Ambiente), le Regioni e gli Enti locali possano agire dinanzi al giudice civile per ottenere il risarcimento del danno all'ambiente conseguente a qualsiasi fatto doloso o colposo commesso in violazione di legge o di provvedimenti amministrativi.
L'interpretazione giurisprudenziale della Corte Suprema di Cassazione ha chiarito che i commi 6 ed 8 della L. 349/86 finalizzano l'azione civile di danno pubblico ambientale innanzitutto al ripristino dello stato dell'ambiente danneggiato (risarcimento in forma specifica) e, solo ove ciò sia materialmente impossibile, alla quantizzazione e liquidazione monetaria del danno stesso secondo criteri predefiniti (gravità della colpa, costo per il ripristino, profitto conseguito dal trasgressore). Il giudice dovrà, quindi, di norma, ordinare il ripristino dell'ambiente danneggiato a spese del condannato.
E' importante sottolineare che l'art. 18 L. 349/86 deroga espressamente all'art. 2058 c.c. e, pertanto, il giudice deve ordinare il ripristino prescindendo dall'eventuale eccessiva onerosità per il trasgressore.
Fondamentale, anche per la conformità al principio comunitario di prevenzione del danno ambientale , è la possibilità, riconosciuta dalla Cassazione di agire ai sensi dell'art. 18 L. 349/86 per chiedere al giudice civile l'adozione di provvedimenti cautelari d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c. nei casi di pregiudizio imminente ( cioè non ancora attuale) ed irreparabile per l'ambiente in cui non vi sia il tempo per attendere la decisione del giudizio nel merito.
L'azione civile di danno pubblico ambientale, inoltre, può essere proposta in sede penale mediante costituzione di parte civile (art. 74 c.p.c.).
L'istituto giuridico così sommariamente delineato è stato senza dubbio il più studiato dalla dottrina giuridico-ambientale, ma, purtroppo, è stato anche il meno applicato. Infatti, per più di un decennio, rarissimi sono stati i casi in cui i soggetti pubblici legittimati (Ministero dell'Ambiente, Regioni ed Enti locali) hanno esercitato l'azione risarcitoria.
La situazione è radicalmente mutata con l'entrata in vigore dell'art.4, comma 3, della L. 266/99, poi riformulato nell'art. 9, comma 3, del D. Legs. 267/2000, che ha introdotto la c.d. azione popolare delle associazioni di protezione ambientale, prevedendo che tali enti esponenziali possano esercitare le azioni conseguenti a danno ambientale che spettino agli enti locali inerti. In sintesi, tale rivoluzionaria norma ha introdotto una innovativa ipotesi di sostituzione processuale dei Comuni e delle Province inerti, facendo uscire l'azione civile di danno ambientale dal mondo dall'astrattezza giuridica e facendo registrare innumerevoli applicazioni dell'istituto soprattutto dinanzi ai giudici penali. Si pensi al caso in cui il WWF ha agito in un giudizio penale in sostituzione della Provincia di Avellino, ottenendo il risarcimento del danno ambientale in forma specifica in favore dell'amministrazione mediante l'ordine - puntualmente eseguito- dai condannati di ripopolare un'oasi di protezione della fauna con capi uguali a quelli illegalmente abbattuti (Tribunale Sant'Angelo dei Lombardi, 29-11-2001 - Rel. Lignola - Montorio e altri, confermata da Corte d'Appello di Napoli). Gli stessi principi potrebbero essere attuati in qualsiasi altro caso, anche di più rilevante danno ambientale, sgravando l'erario, e quindi la collettività, dagli enormi costi di ripristino ambientale, così come, peraltro, impone il principio comunitario "chi inquina paga".
L'art. 18, comma 5, della L. 349/86, inoltre, riconosce alle associazioni nazionali di protezione ambientale la legittimazione ad agire dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale avverso gli atti amministrativi illegittimi lesivi dell'ambiente. Tale norma attua il principio comunitario della "prevenzione del danno ambientale", consentendo alle associazione di ottenere l'annullamento o la sospensione dell'efficacia, anche provvisoria mediante l'adozione di decreto presidenziale urgente inaudita altera parte ex L. 205/90, di atti lesivi dell'ambiente.

2. La Legge delega 15.12.2004, n. 308.
Con tale legge il Governo è stato delegato ad emanare entro 18 mesi decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione, anche mediante la redazione di Testi Unici, delle disposizioni legislative in alcuni settori, tra i quali quello della "tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente".
In tale settore il Governo deve esercitare la delega attenendosi ai seguenti principi e criteri direttivi specifici:
"e) conseguire l'effettività delle sanzioni amministrative per danno ambientale mediante l'adeguamento delle procedure di irrogazione e delle sanzioni medesime; rivedere le procedure relative agli obblighi di ripristino, al fine di garantire l'efficacia delle prescrizioni delle autorità competenti e il risarcimento del danno; definire le modalità di quantificazione del danno; prevedere, oltre a sanzioni a carico dei soggetti che danneggiano l'ambiente, anche meccanismi premiali per coloro che assumono comportamenti ed effettuano investimenti per il miglioramento della qualità dell'ambiente sul territorio nazionale".
L'oggetto della delega parlamentare non sembra essere tanto ampio da consentire al Governo di stravolgere totalmente la vigente legislazione in materia di danno ambientale e l'istituto civilistico di cui all'art. 18 L. 349/86.
La delega infatti è limitata al
-riordino;
- coordinamento;
- integrazione.
I criteri direttivi indicati dalla legge delega, inoltre, appaiono estremamente vaghi e tanto atecnici da non poter essere attuati in sede di legislazione delegata. Ad esempio, come si potrebbe conseguire l'effettività delle sanzioni amministrative per danno ambientale mediante l'adeguamento delle procedure di irrogazione e delle sanzioni medesime, se, come si è visto, il vigente ordinamento prevede in materia esclusivamente sanzioni civili ( art. 18 L. 349/86) e non certo sanzioni amministrative?
Lo stesso discorso vale per il criterio direttivo in base al quale il Governo deve "rivedere le procedure relative agli obblighi di ripristino, al fine di garantire l'efficacia delle prescrizioni delle autorità competenti e il risarcimento del danno". Autorità competente in materia di risarcimento del danno ambientale, secondo l'art. 18 L. 349/86, come si è visto, è il giudice ordinario ( civile o penale). Non esistono, allo stato della legislazione, procedure, cioè, procedimenti amministrativi relativi agli obblighi di ripristino, se non le c.d. bonifiche previste dalla disciplina delle acque ( D. Legs. 152/99) e dei rifiuti ( D. Legs. 22/97) che, peraltro, sono oggetto di separata delega ( art. 1 lett. a) e b) L. 308/2004) da attuarsi con altri decreti legislativi delegati.

3. Lo schema di decreto legislativo recante "Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente" : l'azzeramento dell'accesso alla giustizia ambientale in Italia.
Lo schema di decreto legislativo dichiara innanzitutto di voler attuare la direttiva comunitaria 2004/35/CE del Parlamento Europeo.
Tale direttiva, all'art. 12, prevede che determinati soggetti, tra cui le associazioni ambientali, sono titolari della c.d. "richiesta di azione", cioè di un potere di mera denuncia all'autorità nazionale competente dei casi di danno ambientale di cui siano a conoscenza, con conseguente diritto ad essere informate sulle determinazioni che l'autorità stessa intenda assumere al riguardo. Al successivo art. 13, la direttiva prevede che le associazioni possano adire un Tribunale o altra autorità pubblica avverso le determinazioni adottate dall'autorità.
Lo stesso art. 13 della direttiva prevede, però, un principio importantissimo: "la presente direttiva lascia impregiudicate le disposizioni nazionali che disciplinano l'accesso alla giustizia".
Lo schema di decreto legislativo in commento, non ha tenuto in alcuna considerazione tale ultima norma ed ha radicalmente mutato le attuali disposizioni legislative in materia di accesso alla giustizia.
Ciò in evidente eccesso di delega e, si ripete, non certo in attuazione della direttiva comunitaria.
Infatti, l'art. 18 L. 349/86 viene espressamente abrogato dall'art. 20 del decreto legislativo: scompare la legittimazione ad agire innanzi al giudice ordinario delle Regioni, delle Province e dei Comuni.
Scompare, altresì, il potere di intervento in giudizio delle associazioni di protezione ambientale.
Viene, altresì, implicitamente abrogato l'efficacissimo art. 9, comma 3, del Testo Unico degli Enti Locali, che, nell'introdurre l'azione surrogatoria delle associazioni in sostituzione degli enti locali inerti, aveva finalmente reso effettivo l'istituto del risarcimento del danno ambientale. E' evidente, infatti, che la norma del Testo Unico Enti Locali sarà inapplicabile nel momento in cui la totale abrogazione dell'art. 18 L. 349/86 cancellerà la legittimazione ad agire di Comuni e Province. Tale abrogazione implicita avverrà in palese contrasto con l'art. 1, comma 3, della legge delega che impone, invece, l'indicazione espressa delle norme abrogate.
Viene altresì limitata la legittimazione processuale eccezionale delle associazioni riconosciute ad impugnare innanzi al TAR gli atti amministrativi lesivi dell'ambiente, nonché quella di tutti gli altri soggetti pubblici e privati, mediante la previsione di un preventivo obbligatorio ricorso al Ministro.
Gli artt. 13 e ss. dello schema di decreto legislativo attribuiscono esclusivamente al Ministro dell'Ambiente la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno ambientale, anche in sede penale, peraltro, limitando l'oggetto dell'azione all'"equivalente patrimoniale" e non prevedendo più, come oggi è sancito dall'art. 18 L. 349/86, l'obbligo di ordinare il ripristino in forma specifica anche in deroga all'art. 2058 c.c. Ciò significa che il costo dell'inquinamento non sarà posto più integralmente a carico dell'inquinatore nei casi in cui dovesse apparire eccessivamente oneroso. Conseguirebbe, in palese contrasto con i principi della legge delega, la violazione del principio "chi inquina paga" e l'alterazione della concorrenza.
In alternativa all'azione giudiziaria, gli artt. 13 e ss. prevedono un complessissimo procedimento amministrativo, in contrasto con la dichiarata esigenza di semplificazione, culminante in un'ordinanza ingiunzione.
Il procedimento amministrativo può essere definito anche mediante la stipula, espressamente prevista di un accordo provvedimentale ai sensi dell'art. 11 L. 241/90 tra il Ministro e il danneggiante.
La definizione del procedimento amministrativo ( anche se la relativa ordinanza sia stata opposta dal trasgressore?) esclude il potere del Ministro di adire il giudice per il risarcimento del danno ambientale e vieta espressamente anche l'esercizio del potere ministeriale di costituzione di parte civile (art. 74 c.p.p.), limitando il ruolo del Ministro a quello dell'interveniente, di solito previsto, invece, per gli enti (privati) esponenziali degli interessi lesi dal reato dall'art. 91 c.p.p.
Al di là di ogni ovvia considerazione circa l'inefficacia dell'amministrativizzazione della disciplina del risarcimento del danno ambientale in uno Stato in cui notoriamente la Pubblica amministrazione non funziona (né il Ministero dell'ambiente, ancora troppo giovane, dispone di un apparato numericamente e qualitativamente adeguato), ciò che più colpisce è la totale abrogazione dell'attuale sistema di accesso alla giustizia che, ormai dopo una faticosissima evoluzione legislativa e giurisprudenziale aveva trovato un efficace assestamento. Tutto ciò, peraltro, avviene mediante la più totale statalizzazione della tutela dal danno ambientale in uno Stato che, dopo le recenti riforme costituzionali, dovrebbe, invece, ispirarsi al principio di sussidiarietà (orizzontale e verticale).
Non si comprende se mai il Ministro chiederà il risarcimento ad altri Ministeri o ad altri enti pubblici, non raramente autori di danni all'ambiente.
Lo schema di decreto legislativo in realtà ignora decenni di dibattito dottrinale e tutta l'evoluzione giurisprudenziale tendente al riconoscimento del diritto all'ambiente come diritto di ogni persona umana al quale era conseguito il potere di azione per il risarcimento del danno ambientale di tutti gli enti pubblici (Ministero, Regioni, Province e Comuni) e privati (associazioni) esponenziali della persona e della collettività.
Né, d'altra parte, sul fronte della prevenzione del danno ambientale mediante la tutela contro gli atti amministrativi illegittimi, si è tenuto conto di decenni di evoluzione giuridica che avevano radicato l'interesse diffuso alla tutela dell'ambiente in capo alle associazioni, così facendolo assurgere ad interesse collettivo, direttamente giustiziabile innanzi al giudice amministrativo attraverso le associazioni.
L'art. 12 dello schema di decreto legislativo limita fortemente la tutela dell'interesse ambientale innanzi al giudice amministrativo.
Non solo le persone fisiche e giuridiche che temano di subire pregiudizio dall'esecuzione di atti amministrativi illegittimi lesivi dell'ambiente, ma neanche le associazioni nazionali di protezione ambientale e addirittura neanche le Regioni, e gli Enti locali, anche associati, potranno più direttamente adire direttamente il Tribunale Amministrativo Regionale. La norma, infatti, prevede una preventiva opposizione al Ministro (anche se l'atto non è stato adottato dal Ministero dell'Ambiente) entro 30 giorni dalla conoscenza, nonché, in caso di inerzia del Ministro, analoga opposizione da proporre entro il suddetto termine decorrente dalla scadenza del trentesimo giorno successivo alla notificazione di apposita diffida a provvedere. Non si comprende di quale potere disponga il Ministro in caso di accoglimento dell'opposizione avverso l'atto illegittimo lesivo dell'ambiente adottato da un diverso Ministero o da altro Ente Pubblico. Infatti, lo schema di decreto legislativo non gli attribuisce alcun un potere di annullamento, né di sospensione dell'efficacia, degli atti amministrativi illegittimi. Né un tale potere è rinvenibile nelle norme della L. 349/86 non abrogate. Pertanto, non avendo il Ministro alcun potere, se non, a limite, quello di invitare l'amministrazione che ha adottato l'atto illegittimo ad esercitare l'autoannullamento d'ufficio, si avrà in ogni caso inerzia. Non si comprende, allora, la ratio dell'introduzione del ricorso in opposizione pregiudiziale al ricorso giurisdizionale che non può non essere identificata nell'evidente volontà di introdurre un evidente - e costituzionalmente illegittimo- ostacolo all'accesso alla giurisdizione. L'art. 12 dello schema di decreto legislativo aggiunge, infine, che "Il ricorso al giudice amministrativo è proponibile entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento della decisione di rigetto dell'opposizione oppure decorsi inutilmente trenta giorni dalla proposizione della stessa". Nei fatti, si ignora che il processo amministrativo, nella quasi totalità dei casi, garantisce la tutela dell'ambiente mediante la sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato in fase cautelare, o, addirittura, dopo la L. 205/2000, mediante la concessione di misure cautelari presidenziali urgenti inaudita altera parte. La previsione di un preventivo ricorso amministrativo impedisce che l'atto illegittimo lesivo dell'ambiente possa essere sospeso dal giudice amministrativo prima di essere portato ad esecuzione. Così, si potrà impugnare un'autorizzazione illegittima solo quando questa, nei fatti, ha esplicato i suoi effetti e, cioè, causato danno ambientale. Viene così vanificata la funzione preventiva del giudizio amministrativo e violato il principio comunitario di prevenzione del danno ambientale. Tutto ciò appare quantomeno sintomo di schizofrenia legislativa se si considera che, solo un anno addietro, il Governo con l'art. 146, comma 11, del D. Legs. 22.1.2004, n.42, recante il Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, ha ribadito il potere di impugnazione diretta dell'autorizzazione paesaggistico-ambientale da parte delle associazioni nazionali riconosciute e da parte di qualsiasi soggetto pubblico e privato interessato, attribuendo addirittura un rivoluzionario e, fino ad oggi sconosciuto, né giuridicamente concepibile, potere di impugnazione delle sentenze in tale materia anche in capo a chi non abbia proposto il ricorso di primo grado.
Nulla dice, infine, lo schema di decreto legislativo in commento circa la sorte della norma di cui all'art. 17, comma 46, della L. 127/97. Essa ha ribadito, semmai ve ne fosse stato bisogno, la legittimazione delle associazioni nazionali di protezione ambientale, ad impugnare, nei casi previsti dall'articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, gli atti di competenza delle regioni, delle province e dei comuni. Anche in questo caso, il richiamo all'art. 18 L. 349/86, espressamente abrogato dall'art. 20 dello schema di decreto legislativo, dovrebbe comportare l'inapplicabilità concreta della stessa. Consegue che scatterebbe una ulteriore ipotesi di abrogazione implicita in violazione dell'art. 1, comma 3, della Legge di delega.
Un'ultima considerazione va riservata all'invadente ruolo attribuito in tutte le norme dello schema di decreto legislativo al Ministro, e, cioè, all'organo politico del Ministero dell'Ambiente, rispetto all'esercizio di funzioni (non tanto la determinazione ad agire in sede civile quanto l'adozione dell'ordinanza ingiunzione, la decisione sul ricorso in opposizione pregiudiziale al ricorso giurisdizionale amministrativo) che non presentano alcun tasso di discrezionalità politica. Tali funzioni dovrebbero far capo, invece, al dirigente della direzione generale competente in materia di danno ambientale. Infatti, il principio generale di separazione della sfera politica da quella gestionale, codificato all'art. 4 del D. legs. 165/01, derogabile solo espressamente ad opera di specifiche disposizioni legislative - che, peraltro, la legge di delega 308/2004 non consente di emanare - sarebbe palesemente violato. Il Ministro dell'Ambiente tornerebbe ad essere, come in un ordinamento ormai superato, organo politico investito di funzioni di gestione amministrativa, mentre i dirigenti ministeriali, spogliati di competenze proprie, sarebbero irrimediabilmente frustrati dall'invadenza politica nell'esercizio di una funzione vincolata e caratterizzata, al massimo, da discrezionalità tecnica.
22.9.2005 Avv. Maurizio Balletta

* Il testo dello schema di decreto legislativo è leggibile da qui