Alcune riflessioni sulla nuova disciplina
a cura del Dott. Gemino Cipriani

Con il D.Lgs. 3 Aprile 2006 n. 152, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14.04.2006, è stato definitivamente approvato il c.d. “Codice dell’ambiente”, che ha il compito di riunire i numerosi testi legislativi emanati nel corso di questi anni. Il nuovo Testo Unico ha il compito di riordinare gran parte della normativa ambientale e dare un ordine sistematico ad una serie di norme vincolanti tutti i soggetti pubblici o privati che a diverso titolo si trovano a dover operare nel settore ambientale. Da tempo si auspicava non solo il riordino, ma anche una vera e propria opera di coordinamento fra le diverse norme dettate in tema di protezione dell’ambiente e il D.Lgs 152/2006 si fa carico di dare un “corpus” unitario a varie disposizioni di legge.
Per quanto ci riguarda, interessante è la Parte VI del Codice dell’ambiente che detta norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente; essa prende in esame l’istituto del danno ambientale e i mezzi predisposti dall’ordinamento giuridico che risultano idonei a prevenire e riparare il danno al bene ambiente. Alla base di tutto c’è la volontà di creare una cultura positiva che porta a percepire la gestione dell’ambiente non come un costo imposto dalla legislazione, bensì come opportunità per lo sviluppo sostenibile e la crescita intelligente. Non solo organi di governo, ma anche persone giuridiche private, società industrie, assicurazioni, enti vari elaborano ed applicano procedure idonee ad evitare o ridurre al minimo i danni derivanti dalle molteplici attività della moderna società.
In precedenza, la responsabilità per danno ambientale era regolata dall’art. 18 della Legge 8 Luglio 1986 n. 349, in base al quale “qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato”. I successivi commi dell’art. 18 regolavano una serie di situazioni rilevanti che andavano dalla titolarità dell’azione per ottenere il risarcimento del danno ambientale, ai criteri cui il giudice doveva fare riferimento nel caso in cui si fosse stato necessario procedere alla determinazione dei danni arrecati.
La previgente disciplina sull’istituto del danno ambientale era contenuta in un solo articolo, che da solo riusciva a dare un quadro abbastanza chiaro, ma non del tutto esauriente della materia trattata. Nel Codice dell’ambiente, il legislatore dedica all’istituto un’apposita Parte al fine di sottolinearne non solo l’importanza ma anche la complessità..
Con il codice dell’ambiente, viene modificata la definizione di danno ambientale, inteso come “qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima” (art. 300, comma 1). La riformulazione della disciplina del danno arrecato all’ambiente si è resa necessaria alla luce della Direttiva CEE n.35/2004 che ha come fine quello di istituire in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea un sistema uniforme di responsabilità per i danni cagionati all’ambiente. La direttiva, infatti, parte dalla considerazione che la prevenzione e la riparazione del danno ambientale dovrebbero essere attuate applicando il principio “chi inquina paga”, con particolare riferimento ai principi dello sviluppo sostenibile. L’operatore che con la sua attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno sarà considerato finanziariamente responsabile in modo da indurre gli altri operatori ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale.
Dopo aver dato la definizione di ciò che deve essere considerato come danno ambientale , il Codice dell’ambiente definisce al comma 2 dell’art. 300 una serie di circostanze in cui il deterioramento configura un’ipotesi di danno ambientale: ad esempio costituisce danno ambientale il deterioramento provocato alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa comunitaria e nazionale; il deterioramento nei confronti delle acque interne, alle acque costiere e a quelle comprese nel mare territoriale, al terreno.
Una prima questione che nasce nell’interprete che si trova a dover applicare una simile disposizione riguarda il fatto se l’elenco ivi indicato sia da ritenere tassativo ed esclusivo; una simile considerazione, infatti, avrebbe come conseguenza diretta la possibilità di escludere dal campo di applicazione della normativa situazioni di danno o di minaccia all’ambiente attualmente non prevedibili.
In realtà, sembra più ragionevole ritenere che l’elencazione di cui all’art. 300 comma 2 abbia natura meramente esemplificativa, per cui può essere possibile comprendervi anche altre situazioni non espressamente indicate. Una tale considerazione si conforma alla finalità perseguita dal legislatore, ossia la necessità di garantire e assicurare un alto livello di protezione in caso di pericoli, anche solo potenziali, sia per la salute umana, sia per l’ambiente. Pertanto, alla luce di ciò il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio ha la facoltà di poter adottare in qualsiasi momento misure di prevenzione che presentino determinati requisiti: 1) siano proporzionali rispetto al livello di protezione che si vuole raggiungere; 2) siano misure non discriminatorie nella loro applicazione e coerenti con misure analoghe già adottate; 3) basate sull’esame dei potenziali vantaggi ed oneri; da ultimo, aggiornabili in relazione ai nuovi dati scientifici.
Il legislatore si preoccupa di offrire anche una definizione di alcuni elementi che caratterizzano il danno ambientale: viene pertanto stabilito che ad esempio per operatore si intende qualsiasi persona, fisica, giuridica, pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale avente rilevanza ambientale oppure chi comunque eserciti un potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività; si chiarisce che per minaccia imminente di danno si intende il rischio sufficientemente probabile che stia per verificarsi uno specifico danno ambientale.
Questo obiettivo viene realizzato attribuendo l’esercizio delle funzioni in materia di tutela, prevenzione, riparazione dei danni cagionati all’ambiente alla competenza statale e più in particolare al Ministero dell’ambiente e della Tutela del Territorio. Tuttavia un tale compito non può essere svolto esclusivamente a livello di legislazione statale: la tutela e la protezione dell’ambiente mediante strumenti all’uopo idonei costituisce un compito di grande rilevanza che lo Stato non può svolgere da solo, ma deve avvalersi della preziosa collaborazione delle Regioni, degli Enti locali e di qualsiasi altro soggetto pubblico ritenuto idoneo.
Nel Titolo II, Parte VI, del Codice sono previste due tipi di azioni per la protezione dell’ambiente: l’azione di prevenzione (art. 304) e l’azione di ripristino ambientale ( art. 305).
L’azione di prevenzione viene esercitata dall’operatore quando un deterioramento all’ambiente ancora non si è vorticato, ma esiste un rischio sufficientemente probabile che stia per verificarsi un danno; in questo caso l’operatore ha l’obbligo di intervenire mediante l’adozione, entro un termine brevissimo (24 ore), di provvedimenti contingibili ed urgenti per la prevenzione e messa in sicurezza. Successivamente, nell’ottica della collaborazione, l’operatore provvede a comunicare i provvedimenti adottati al Comune, alla Provincia, alla Regione, nonché al Prefetto e al Ministero dell’ambiente e tutela del territorio.
Se gli interventi di messa in sicurezza e la comunicazione prescritta non vengono effettuati l’operatore è destinatario di una sanzione amministrativa non inferiore a 1.000,00 € e non superiore a 3.000,00 € per ogni giorno di ritardo.
Nel caso in cui, l’operatore rimanga inadempiente, il Ministero si riserva la facoltà di adottare egli stesso le misure necessarie per la prevenzione del danno con diritto di rivalsa nei confronti di chi abbia causato o concorso a causare le spese stesse.
L’altra azione prevista dall’art. 305 è esperibile laddove un danno ambientale si sia verificato e venga quindi ad essere mutata la precedente situazione. In questo caso, l’operatore deve comunicare senza indugio tutti gli aspetti della vicenda alle autorità indicate ex art. 304 comma 1, ma al tempo stesso ha l’obbligo di adottare immediatamente alcuni provvedimenti senza che vi sia stata la comunicazione al Comune di cui all’art. 304, comma I.
Mentre nel caso dell’azione di prevenzione, è la comunicazione giunta al Comune che abilita l’operatore ad adottare gli interventi necessari, nel caso di azioni di ripristino ambientale, l’operatore deve adottare immediatamente tutte le iniziative necessarie a controllare, circoscrivere ed eliminare qualsiasi altro fattore di danno per prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi sulla salute.
Tuttavia, vi è da sottolineare come in entrambi i casi, l’operatore sostiene i costi delle iniziative statali di prevenzione e ripristino ambientali, salvi particolari casi indicati specificamente nella Parte VI del D.lgs. 152/2006.
Numerosi sono i cambiamenti che il legislatore ha ritenuto di dover effettuare nella materia della prevenzione del danno ambientale, fra cui non si può non menzionare il diverso ruolo delle associazioni ambientaliste in rapporto alla precedente disciplina e l’intervento del Ministero dell’ambiente che può intervenire direttamente mediante l’emanazione di ordinanze nei confronti di operatori professionali che cagionino un danno ambientale o la minaccia imminente di danno. Tali novità si conciliano con il rinnovato vincolo diretto ad impegnarsi concretamente nella tutela di una situazione giuridica avvertita oramai come diritto fondamentale non solo a livello italiano ed europeo, ma anche a livello internazionale.