Cass. Sez. III n. 33087 del 7 settembre 2021 (CC 15 lug 2021)
Pres. Di Nicola Est. Reynaud Ric. Leo
Ecodelitti.Caratteristiche del delitto di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen.

 Il delitto di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. sanziona comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della illecita gestione dei rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva attività, per cui per perfezionare il reato è necessaria una, seppure rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e capitali) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, ossia con pluralità di operazioni condotte in continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale: alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge, e perciò il reato è abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria le realizzazione di più comportamenti della stessa specie



RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 5 febbraio 2021, il Tribunale di Lecce, per quanto qui interessa, ha respinto l’istanza di riesame proposta nell’interesse dell’odierno ricorrente avverso il provvedimento applicativo della misura cautelare degli arresti domiciliari per i delitti di cui agli artt. 416 e 452 quaterdecies cod. pen. Nei confronti dell’indagato è stata ipotizzata la partecipazione ad un’associazione per delinquere (promossa da Fabio Leo e Gianfranco Mingolla e di cui erano partecipi anche Annnuziata Gioffredi e Vitantonio Turrisi), finalizzata alla commissione di  una serie indeterminata di reati di traffico illecito di ingenti quantitativi di rifiuti, in particolare di sangue di origine animale.

2. Avverso l’ordinanza, a mezzo del difensore fiduciario, l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo, la violazione delle disposizioni incriminatrici sopra richiamate e dell’art. 273 cod. proc. pen., nonché l’illogicità della  motivazione, per essere stata ritenuta la gravità indiziaria dei reati ipotizzati. Il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies cod. pen. non è nella specie configurabile – si allega – sia perché non ci si trova innanzi a rifiuti (essendo il sangue animale un sottoprodotto ai sensi del regolamento comunitario n. 1069/2009) sia perché l’attività di gestione non era abusivamente svolta, posto che la ORM Ambiente Srl (di cui Leo Omar era amministratore unico) era autorizzata a commercializzare il sangue animale e intratteneva rapporti commerciali con società che si occupano della lavorazione e trasformazione di sottoprodotti di origine animale. Aveva dunque errato il tribunale nel ritenere che il sangue animale non fosse sottoprodotto, ma rifiuto, sul rilievo che sarebbe stato illegalmente smaltito nella proprietà della madre di Omar Leo, immettendolo nel sottosuolo o nelle fogne. Inoltre, non solo non vi era certezza sul quantum, quando e quomodo dell’illecito sversamento ipotizzato – rispetto al quale non sussistevano oggettivi riscontri – ma si sarebbe al più potuto qualificare il fatto come violazione dell’art. 256, comma 2, d.lgs. 152 del 2006, ipotesi contravvenzionale che peraltro non consente il ricorso alle intercettazioni come nella specie invece avvenuto.
Si lamenta, ancora, che sia stata riconosciuta la gravità indiziaria anche del reato associativo senza individuare le differenze e gli autonomi elementi costitutivi della fattispecie rispetto al delitto di traffico illecito di rifiuti, con conseguente sovrapposizione delle condotte ed indicando peraltro in modo del tutto presuntivo che il ricorrente sarebbe stato inserito nel gruppo associativo.

3. Con il secondo motivo di ricorso si deducono violazione dell’art. 274, lett. c), cod. proc. pen. e vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, non essendosi tenuto che: ci si trovava di fronte a persona incensurata; la condotta era risalente e non più attuale; era contestualmente intervenuto sequestro (con nomina di custode giudiziario) dell’immobile di proprietà di Annunziata Gioffredi dove sarebbero avvenuti gli illeciti sversamenti, del compendio aziendale della O.R.M. Ambiente Srl, di alcuni automezzi e della cisterna in uso alla stessa. Non era dunque ipotizzabile la reiterazione delle condotte contestate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Secondo quanto accertato dal Tribunale cautelare – che ha recepito integralmente la minuziosa ed analitica ricostruzione operata dal g.i.p. – a seguito di indagini tecniche, condotte mediante monitoraggio GPS della autocisterna utilizzata per il trasporto del liquido ematico, videoriprese dell’ingresso della O.R.M. Ambiente s.r.l.  e della villa di proprietà di Annunziata Gioffredi, madre di Omar Leo, e intercettazioni telefoniche, è emerso che nel periodo monitorato (dal 28 febbraio 2019 al 21 gennaio 2020), l’autocisterna, dopo aver prelevato sangue di origine animale da aziende della zona che si occupano della macellazione di animali e che quindi intendevano disfarsene, aveva fatto accesso per ben settantasei volte all’interno della villa della Gioffredi (cfr. tabella riepilogativa riportata a p. 12 dell’ordinanza impugnata), in alcune circostanze anche due volte al giorno. Il Tribunale distrettuale ha accertato, inoltre, che, in relazione al solo anno 2019, l’azienda amministrata dal ricorrente ha trasportato nella proprietà della madre (dove anche lui abitava) un totale di 424.680 kg. di liquido ematico.
Secondo quanto ritenuto dal Tribunale, il motivo di quegli accessi della cisterna presso la proprietà intestata alla donna - moglie di Fabio Leo, ritenuto al vertice del sodalizio criminoso unitamente a Gianfranco Mingolla - è da ricercarsi nel fatto che il sangue animale, che avrebbe dovuto essere conferito a strutture autorizzate per lo smaltimento e/o il reimpiego, fu sversato nel giardino della villa.
Ciò è stato desunto, in maniera non certo illogica, da una serie di indizi indubbiamente gravi: il contenuto di alcune intercettazioni telefoniche (analiticamente analizzate alle p. 21-24 dell’ordinanza impugnata) intercorse tra Vitantonio Turrisi, il conducente della cisterna, e Annunziata Gioffredi, in cui si fa riferimento a un “tubo” da controllare (tel. n. 303 dell’11 novembre 2019), ovvero al “coso” da levare (tel. n. 2673 del 22 dicembre 2019); dalla verifica effettuata dagli operanti il 18 dicembre 2019, allorquando, dopo aver prelevato il sangue di origine animale ed essere entrata all’interno della villa, la cisterna fu sottoposta a controllo all’uscita e, sebbene, secondo la documentazione, avrebbe dovuto contenere circa 6.600 kg. di liquido ematico prelevato da tre mattatoi, essa era vuota; dall’esame dei documenti di trasporto acquisiti presso la società I.L.S.A.P. e i mattatoi serviti dalla O.R.M. Ambiente s.r.l. I giudici del merito cautelare hanno dunque ritenuto irrilevante che, allo stato delle indagini, non si sia accertato con precisione il luogo dove il liquido veniva smaltito all’interno della villa, in quanto la prova logica che ciò sia effettivamente avvenuto si desume proprio dal controllo dal 18 dicembre 2019, allorquando si appurò che la cisterna, controllata all’uscita della proprietà, non conteneva, come avrebbe dovuto, i circa 6.600 kg. di liquido ematico prelevati in precedenza da tre mattatoi, il che si giustifica logicamente solo assumendo che detto liquido fosse ivi stato illecitamente smaltito, indipendentemente dell’esatta individuazione del punto di sversamento.

2. A fronte di questa ricostruzione, non certo illogica, reputa il Collegio che sia destituita di fondamento l’argomentazione difensiva, secondo cui il liquido ematico in tal modo trattato dalla O.R.M. Ambiente s.r.l.  non sarebbe soggetto alla disciplina prevista per i rifiuti.
2.1. Questa Corte ha già affermato che gli scarti di origine animale sono sottratti all'applicazione della normativa in materia di rifiuti, e soggetti esclusivamente al Regolamento CE n. 1774/2002, solo se qualificabili come sottoprodotti ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. n), d.lgs. n. 152 del 2006; diversamente, in ogni altro caso in cui il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento, restano soggetti alla disciplina generale sui rifiuti (tra le altre, Sez. 3, n. 2710 del 15/12/2011, Lombardo, Rv. 251900; Sez. 3, n. 12844 del 5/2/2009, De Angelis, Rv. 243114).
2.2. Tale conclusione va ribadita anche alla luce dell’invocato Regolamento 1069/2009/CE recante “Norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano e che abroga il regolamento (CE) n. 1774/2002 (regolamento sui sottoprodotti di origine animale)”
Invero, tra i sottoprodotti di origine animale, l’art. 10 dell’indicato Regolamento, alla lett. d), annovera, nella categoria 3, il “sangue di animali che non presentavano sintomi clinici di malattie trasmissibili all'uomo o agli animali attraverso il sangue, ottenuto dai seguenti animali macellati in un macello, dopo essere stati ritenuti atti alla macellazione per il consumo umano dopo un esame ante mortem nel rispetto della legislazione comunitaria”.
Il successivo art. 14 prevede che “i materiali di categoria 3 sono: a) smaltiti come rifiuti mediante incenerimento, dopo la trasformazione o senza trasformazione preliminare; b)   recuperati o smaltiti mediante coincenerimento con o senza trasformazione preliminare, qualora i materiali di categoria 3 siano rifiuti; c)   smaltiti in una discarica autorizzata, dopo la trasformazione; d) trasformati, eccetto se si tratta di materiali di categoria 3 che hanno subito un processo di decomposizione o deterioramento tale da presentare rischi inaccettabili per la salute pubblica o degli animali, attraverso tali prodotti, e usati i)   per la fabbricazione di mangimi per animali d'allevamento diversi dagli animali da pelliccia, da immettere sul mercato conformemente all'articolo 31, eccetto se si tratta di materiali di cui all'articolo 10, lettere n), o) e p); ii)   per la fabbricazione di mangimi per animali da pelliccia, da immettere sul mercato conformemente all'articolo 36; iii)   per la fabbricazione di alimenti per animali da compagnia, da immettere sul mercato conformemente all'articolo 35; o iv)   per la fabbricazione di fertilizzanti organici o ammendanti, da immettere sul mercato conformemente all'articolo 32; e)   utilizzati per la produzione di alimenti crudi per animali da compagnia da immettere sul mercato conformemente all'articolo 35; f)   compostati o trasformati in biogas; g) insilati, compostati o trasformati in biogas, se si tratta di materiali derivanti da animali acquatici; h)   utilizzati in condizioni, determinate dall'autorità competente, atte a prevenire i rischi per la salute pubblica e degli animali, se si tratta di gusci, conchiglie o carapaci di crostacei e molluschi diversi da quelli di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera f) e di gusci d'uovo; i)   utilizzati come combustibile dopo la trasformazione o senza trasformazione preliminare; o j)   utilizzati per la fabbricazione di prodotti derivati di cui agli articoli 33, 34 e 36 e immessi sul mercato conformemente a tali articoli; k)   trasformati per sterilizzazione sotto pressione o mediante i metodi di cui all'articolo 15, paragrafo 1, primo comma, lettera b), o compostati o trasformati in biogas, se si tratta di rifiuti di cucina e ristorazione di cui all'articolo 10, lettera p); o l)   applicati sul terreno senza trasformazione preliminare, se si tratta di latte crudo, colostro e prodotti da essi derivati, qualora l'autorità competente ritenga che non presentino rischi di diffusione di malattie trasmissibili gravi all'uomo o ad animali attraverso tali prodotti”.
Orbene, anche alla luce della nuova disciplina contemplata nell’indicato Regolamento, ai fini qui di interesse, è evidente che il sangue degli animali, ove non reimpiegato in altri processi produttivi – e non è questo certamente il caso, posto che, da un lato, veniva ritirato dai mattatoi proprio per essere smaltito e, d’altro lato, di fatto lo era nell’illecito modo descritto - deve essere conferito alle strutture  all’uopo autorizzate, il che, nella specie, pacificamente non è avvenuto.

3. Del tutto generica, poi, è la doglianza circa l’errata qualificazione giuridica dei fatti come violazione dell’art. 452-quaterdecies cod. pen., piuttosto che quale contravvenzione riconducibile all’art. 256, comma 2, d.lgs. 152/2006.
Ed invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte – e val la pena qui richiamare la motivazione della sentenza Sez. 3, n. 44449 del 15/10/2013, Ghidoli, confermata dalla successiva giurisprudenza, come Sez. 3, n. 21030 del 10/03/2015, Furfaro – il delitto in esame, già previsto dall’art. 260, comma 1, d.lgs. 152/2006  e, ancor prima, dall’art. 53-bis,  d.lgs. n. 22 del 1997, come introdotto dalla legge 23 marzo 2001, n. 93) punisce chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, allestisce una organizzazione di traffico di rifiuti, volta a gestire continuativamente, in modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti. Tale gestione dei rifiuti deve concretizzarsi in una pluralità di operazioni con allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio (cfr. Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, Rv. 232348) e tale attività deve essere "abusiva", ossia effettuata o senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione stesse (ad esempio, la condotta avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, ed anche tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui sono esplicate, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorità amministrativa) (cfr. Sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005, Fradella, Rv. 232350). Quindi il delitto in esame sanziona comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della illecita gestione dei rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva attività, per cui per perfezionare il reato è necessaria una, seppure rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e capitali) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, ossia con pluralità di operazioni condotte in continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale: alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge, e perciò il reato è abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria le realizzazione di più comportamenti della stessa specie (cfr. Sez. 3, n. 46705 del 3/11/2009, Caserta, Rv. 245605, confermata anche da Sez. 3, n. 29619 dell'8/7/2010, Leorati, Rv. 248145).
Nel caso in esame, contrariamente a quanto opina il ricorrente con argomentazioni astratte e avulse dalla ricostruzione fattuale operata dai giudici del merito cautelare, è del tutto evidente l’abusività della abituale condotta di illecito sversamento più sopra descritta, stante la sistematica, grossolana, violazione delle autorizzazioni di cui la società amministrata dall’indagato era in possesso.
 
4. Con riguardo, poi, ai rapporti con il delitto di associazione per delinquere, va rammentato come, secondo il consolidato orientamento, per l’integrazione di tale delitto è necessaria la predisposizione di un'organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi, funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nella consapevolezza, da parte di singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad operare nel tempo per l'attuazione del programma criminoso comune (Sez. 2, n. 20451 del 03/04/2013, Ciaramitaro e aa., Rv. 256054; Sez. 6, n. 3886 del 07/11/2011, dep. 2012, Papa e aa., Rv. 251562). L'associazione per delinquere si caratterizza perciò per tre fondamentali elementi, costituiti: a) da un vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati; b) dalla tendenziale indeterminatezza del programma criminoso; c) dall'esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira (Sez. 1, n. 10107 del 14/07/1998, Rossi e aa., Rv. 211403). Va, altresì, precisato che la realizzazione di una sola tipologia di delitti, quale scopo dell’associazione, non si pone in contrasto con il carattere indeterminato del programma criminoso, giacché esso attiene al numero, alle modalità, ai tempi e agli obiettivi dei delitti progettati, che possono perciò anche integrare violazioni di un'unica disposizione di legge, senza che ciò incida sulla configurabilità del delitto associativo.
Ciò posto, è pur vero che, sul piano fattuale e descrittivo, vi può essere un’interferenza tra il delitto associativo e il delitto di gestione illecita di rifiuti, il quale – come già si è detto - è reato abituale, che si perfeziona soltanto attraverso la realizzazione di più comportamenti non occasionali della stessa specie, finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto, con la necessaria predisposizione di una, pur rudimentale, organizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo (Sez. 3, n. 52838 del 14/07/2016, dep. 14/12/2016, Serrao, Rv. 268920).
La differenza tra le due fattispecie criminose, tuttavia, si coglie laddove si ponga mente al fatto che il delitto associativo trascende la realizzazione del singolo delitto scopo, ancorché di natura abituale, in quanto l’accordo tra i sodali ha carattere tendenzialmente permanente, come è stato accertato nel caso in esame con riferimento al rilevantissimo numero di sversamenti illeciti di liquido ematico, avvenuto in un significativo lasso temporale, pari a poco meno di un anno.
Va ribadito, pertanto, che è certamente configurabile il concorso tra i reati di associazione per delinquere e di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, in quanto tra le rispettive fattispecie non sussiste un rapporto di specialità, trattandosi di reati che presentano oggettività giuridiche ed elementi costitutivi diversi, caratterizzandosi il primo per una organizzazione anche minima di uomini e mezzi funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti in modo da turbare l'ordine pubblico, e il secondo per l'allestimento di mezzi e attività continuative e per il compimento di più operazioni finalizzate alla gestione abusiva di rifiuti così da esporre a pericolo la pubblica incolumità e la tutela dell'ambiente (Sez. 3, n. 5773 del 17/01/2014, Napolitano, Rv. 258906).
Quanto al fatto che non sarebbe stato dimostrato il ruolo di Omar Leo quale partecipe del sodalizio, la doglianza è assolutamente generica e non si confronta con le argomentate deduzioni che, alle pagg. 25 ss. dell’ordinanza, ricostruiscono il ruolo del medesimo nell’ambito dell’organizzazione.

5. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
5.1. Il ricorrente trascura di considerare che, con riferimento al delitto di cui l’art. 452-quaterdecies cod. pen., il legislatore ha previsto una doppia presunzione cautelare, sia pure relativa, avente ad oggetto la sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura custodiale carceraria; ciò in forza dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., a tenore del quale “quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis (…), del presente codice (…) è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure”,  e l’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. contempla, tra gli altri, anche il delitto di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen.
5.2. Nel caso di specie, non solo il Tribunale cautelare – senza peraltro riferirsi alla riportata disciplina – ha non illogicamente ravvisato il pericolo di reiterazione, concreto e attuale, sulla base della ripetizione delle condotte per un lungo arco temporale, ma il ricorrente non ha indicato alcun elemento in grado di vincere l’indicata presunzione posta dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
5.3. Né le esigenze cautelari possono ritenersi venute meno per effetto dell’intervenuto sequestro dei beni aziendali, dovendosi osservare che oggetto del pericolo ex art. 274, lett. c), cod. proc. pen. è la reiterazione non dello stesso identico fatto di reato oggetto di contestazione, bensì di delitti della stessa specie, tra cui quelli che offendono il medesimo bene giuridico e quelli che presentano uguaglianza di natura in relazione al bene tutelato e alle modalità esecutive (cfr. Sez. 6, n. 47887 del 25/09/2019, I., Rv. 277392).

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15 luglio 2021.