Trga Trento n. n. 86 del 13 aprile 2018
Ambiente in genere.Comunicazioni relative alla modificazione delle sostanze immesse nell'ambiente che il titolare dell’AIA è tenuto ad effettuare

Ai fini dell'autorizzazione integrata ambientale è sufficiente segnalare all'Ente titolare del potere autorizzatorio – e non anche al Comune – la modificazione delle sostanze immesse nell'ambiente,  senza distinzione tra "materia prima" e "sostanza", rilevando soltanto gli effetti dell'immissione

Pubblicato il 13/04/2018

N. 00086/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00234/2017 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 234 del 2017, proposto dalla società Fedrigoni S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Federico Peres e Alessandro Kiniger, con domicilio in Trento, via Calepina n. 50, presso la Segreteria di questo Tribunale;

contro

- la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Nicolò Pedrazzoli, Fernando Spinelli e Sabrina Azzolini dell’Avvocatura della Provincia, con domicilio eletto presso l’avvocato Sabrina Azzolini in Trento, piazza Dante n. 15, nella sede dell’Avvocatura provinciale;
- l’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente ed il Comune Di Arco non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

del provvedimento del Servizio autorizzazioni e valutazioni ambientali prot. n. S158/2017/471682/17.1 in data 31 agosto 2017 avente il seguente oggetto «Criteri per l’individuazione delle modifiche sostanziali ai fini del riesame o dell’aggiornamento dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA)», con particolare riferimento alla parte in cui dispone come segue: «precisiamo che il gestore è tenuto a comunicare preventivamente al Servizio Autorizzazioni e Valutazioni Ambientali ed al comune territorialmente competente l’utilizzo di nuove materie prime nel ciclo produttivo soltanto qualora queste possano comportare potenziali variazioni quali-quantitative delle emissioni in aria ed in acqua rispetto a quanto autorizzato. In particolare deve essere comunicato l’utilizzo di materie prime diverse per composizione e utilizzo rispetto a quelle fino ad allora utilizzate presso l’installazione, o relative alla produzione di nuovi prodotti, secondo i seguenti criteri: 1. contengono sostanze il cui utilizzo sia oggetto di specifiche disposizioni nelle BAT di settore; 2. le schede tecniche di sicurezza evidenziano che l’utilizzo di detti prodotti (in relazione alle modalità di utilizzo) possa comportare la formazione degli inquinanti indicati nell’allegato X alla parte seconda del D.Lgs. 152/2006 per i quali non sia già previsto un monitoraggio periodico; 3. sussistono le condizioni di cui al punto i) del paragrafo “Modifiche sostanziali per il riesame dell’A.I.A.”; 4. le schede di sicurezza evidenzino presenza di sostanze PBT (sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche) o vPvB (sostanze molto persistenti e molto bioaccumulabili). ... Qualora le materie prime che si intendano utilizzare, anche nel caso in cui avessero le caratteristiche riportate ai punti 1, 2 e 3 sopra individuati, siano, per caratteristiche e modalità di utilizzo, equivalenti a materie prime già in uso presso lo stabilimento, la comunicazione non deve essere effettuata»; nonché di ogni altro provvedimento, atto, comportamento presupposto, connesso e consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia autonoma di Trento;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 aprile 2018 il dott. Carlo Polidori e uditi, per le parti, gli avvocati Alessandro Kiniger e Sabrina Azzolini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La società Fedrigoni è titolare di un’autorizzazione integrata ambientale (di seguito denominata AIA) per la fabbricazione della carta in uno stabilimento sito nel Comune di Arco, rilasciata con la determinazione del Servizio autorizzazioni e valutazioni ambientali (di seguito denominato “SAVA”) n. 188 del 7 aprile 2016 ed aggiornata con la determinazione n. 472 del 16 settembre 2016. Il rapporto istruttorio allegato a detta autorizzazione descrive le materie prime e le materie ulteriori utilizzate nell’impianto, nonché le emissioni derivanti dalle operazioni svolte all’interno dello stabilimento.

In considerazione delle sostanze impiegate nel processo produttivo e delle relative emissioni l’AIA descrive le modalità di applicazione delle migliori tecniche disponibili (c.d. BAT - “best available techniques”) ai sensi della direttiva 2010/75/UE, nonché le modalità di rilevazione delle emissioni in atmosfera e nelle acque (lo scarico dell’impianto convoglia nel fiume Sarca), fissando i termini per la trasmissione dei risultati dei controlli effettuati e prescrivendo l’obbligo di comunicare al SAVA le eventuali modifiche rispetto a quanto autorizzato.

A seguito di un sopralluogo eseguito dagli ispettori dell’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente è stato rilevato che, per molti prodotti utilizzati nelle fasi di impasto e patinatura, la società Fedrigoni non aveva trasmesso al SAVA la relativa scheda di sicurezza. Gli ispettori concludevano che, trattandosi di uno stabilimento soggetto ad AIA, l’utilizzo di materie prime nuove, non dichiarate in sede di rilascio dell’autorizzazione, integrava una “modifica non sostanziale” della medesima, come tale soggetta a preventiva comunicazione ai sensi dell’art. 29-nonies, comma 1, del codice dell’ambiente, approvato con il decreto legislativo n. 152/2006 (di seguito denominato anche solo “codice”). È stata, quindi, adottata dal SAVA la determinazione 26 gennaio 2017, n. 52, recante una diffida ad adempiere, impugnata dalla società Fedrigoni innanzi a questo Tribunale con il ricorso n. 99/2017.

Nelle more della definizione del giudizio promosso con tale ricorso, il SAVA ha adottato la circolare recante «Criteri per l’individuazione delle modifiche sostanziali ai fini del riesame o dell’aggiornamento dell’autorizzazione integrata ambientale» (oggetto del presente giudizio) al dichiarato fine di definire «un quadro generale di regole omogenee, note a tutti i gestori, che consentano a questi ultimi di essere coscienti degli oneri istruttori che una modifica all’installazione potrebbe comportare». Nella circolare, indirizzata ai c.d. gestori IPPC (acronimo di “Integrated Pollution Prevention and Control”), si premette che «Le modifiche ad un’installazione si possono suddividere in quattro macro-categorie: 1. modifiche sostanziali ai fini del riesame dell’AIA; 2. modifiche non sostanziali che comunque richiedono un aggiornamento dell’AIA; 3. modifiche non sostanziali per le quali è comunque necessaria la comunicazione all’Autorità competente; 4. modifiche non sostanziali per le quali non è necessaria la comunicazione». In particolare, secondo la circolare, tra le modifiche non sostanziali che comunque richiedono un aggiornamento dell’AIA rientrano sia le «modifiche considerate sostanziali dalle normative ambientali di settore (ad esempio emissioni in atmosfera, scarichi idrici, ...) che non risultano però sostanziali ai fini del riesame dell’autorizzazione integrata ambientale» (lett. b), sia le «modifiche qualitative delle emissioni a cui devono essere associati dei valori limite e che devono essere soggette a monitoraggio periodico» (lett. d). Riguardo a tali modifiche si prevede che: «il gestore è tenuto a comunicare preventivamente al Servizio Autorizzazioni e valutazioni ambientali ed al comune territorialmente competente l’utilizzo di nuove materie prime nel ciclo produttivo soltanto qualora queste possano comportare potenziali variazioni quali-quantitative delle emissioni in aria ed in acqua rispetto a quanto autorizzato. In particolare deve essere comunicato l’utilizzo di materie prime diverse per composizione e utilizzo rispetto a quelle fino ad allora utilizzate presso l’installazione, o relative alla produzione di nuovi prodotti, secondo i seguenti criteri: 1. contengono sostanze il cui utilizzo sia oggetto di specifiche disposizioni nelle BAT di settore; 2. le schede tecniche di sicurezza evidenziano che l’utilizzo di detti prodotti (in relazione alle modalità di utilizzo) possa comportare la formazione degli inquinanti indicati nell’allegato X alla parte seconda del D.Lgs. 152/2006 per i quali non sia già previsto un monitoraggio periodico; 3. sussistono le condizioni di cui al punto i) del paragrafo “Modifiche sostanziali per il riesame dell’A.I.A.”; 4. le schede di sicurezza evidenzino presenza di sostanze PBT (sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche) o vPvB (sostanze molto persistenti e molto bioaccumulabili)». La circolare comunque esclude l’obbligo della comunicazione nella seguente situazione: “Qualora le materie prime che si intendano utilizzare, anche nel caso in cui avessero le caratteristiche riportate ai punti 1, 2 e 3 sopra individuati, siano, per caratteristiche e modalità di utilizzo, equivalenti a materie prime già in uso presso lo stabilimento».

Questo Tribunale con la sentenza n. 300 del 10 novembre 2017, anche considerando quanto affermato nella circolare, ha accolto, per difetto di motivazione, il ricorso proposto dalla società Fedrigoni avverso la determinazione n. 52 del 2017, osservando che nella stessa «non è stato specificato perché le materie prime utilizzate nel ciclo produttivo, rinvenute nel corso del sopralluogo e non contemplate nell’AIA, possano comportare una variazione significativa delle caratteristiche qualitative delle emissioni».

2. La società Fedrigoni con il presente ricorso - premesso che il provvedimento impugnato, pur essendo qualificato dal SAVA come una circolare, ha un contenuto immediatamente lesivo perché impone obblighi di autorizzazione o comunicazione che, se non rispettati, determinano l’irrogazione delle sanzioni previste dalla normativa in tema di AIA - deduce le seguenti censure:

I) violazione dell’art. 29-ter, comma 1, lett. b), del decreto legislativo n. 152/2006, dell’art. 12, lett. b), della direttiva 2010/75/UE, e delle BAT per la produzione di pasta per carta, carta e cartone, ai sensi della direttiva 2010/75/UE; eccesso di potere per ingiustizia manifesta, illogicità, contraddittorietà, travisamento dei fatti e difetto di motivazione.

Posto che nella circolare alle materie prime sono equiparate le sostanze utilizzate nel ciclo produttivo, estendendo a queste ultime la disciplina relativa alla comunicazione delle modifiche delle materie prime, il SAVA è incorso nell’errore di confondere le materie prime e le sostanze, che sia nella normativa europea (art. 12, comma 1, lett. b), della direttiva 2010/75/UE) che in quella nazionale (art. 29-ter, comma 1, lett. b), del codice dell’ambiente) sono invece mantenute sempre distinte. In particolare, le materie prime sono un limitato numero di materiali, l’utilizzo dei quali ha «carattere essenziale e principale nel processo produttivo», anche dal punto di vista dei quantitativi lavorati, tale da caratterizzarlo rispetto a produzioni diverse; invece le sostanze sono «materiali molto più numerosi, utilizzati nella lavorazione delle materie prime per le loro proprietà chimiche e fisiche, ma non caratterizzanti un determinato processo produttivo». Nel caso poi dello stabilimento di Arco le materie prime utilizzate sono ben specificate nell’AIA e sono numericamente limitate, trattandosi per lo più di acqua, cellulosa, fogliacci e cariche minerali; invece le sostanze sono molto più numerose, tanto da non essere riportate specificamente. Ciononostante il SAVA sia nella suddetta diffida, sia nella circolare ha equiparato le due categorie prevedendo obblighi gestionali tanto indistinti quanto gravosi, senza addurre alcuna motivazione e senza considerare il notevole impatto pratico della nuova disciplina. È cosa ben diversa, infatti, dover effettuare la comunicazione (e attendere i relativi tempi) nel caso di modifiche delle materie prime utilizzate (fattispecie piuttosto rara ed infrequente) e nel caso di ogni minima modifica delle singole sostanze introdotte nel processo produttivo, perché in quest’ultimo caso un gestore come la società ricorrente sarebbe tenuto ad interrompere continuamente la produzione in attesa che decorrano i termini di legge, con conseguente paralisi dell’attività produttiva.

II) violazione degli articoli 5, comma 1, lett. l), e 29-nonies del decreto legislativo n. 152/2006; eccesso di potere nelle forme dell’ingiustizia manifesta, dell’illogicità, della contraddittorietà, del travisamento dei fatti.

Erra l’impugnata circolare anche nella parte in cui include tra le modifiche non sostanziali che richiedono un aggiornamento dell’AIA qualunque modifica delle materie prime utilizzate nel ciclo produttivo che possa comportare «potenziali variazioni quali-quantitative delle emissioni in aria ed in acqua rispetto a quanto autorizzato». In primo luogo è errata la nozione di modifica da cui muove la circolare. Secondo il SAVA qualunque minima variazione, a qualsiasi livello della produzione, costituirebbe una modifica all’impianto e, in quanto tale, dovrebbe essere comunicata; invece, ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. l), del codice, per modifica non sostanziale deve intendersi solamente “la variazione di un piano, programma, impianto o progetto approvato, compresi, nel caso degli impianti e dei progetti, le variazioni delle loro caratteristiche o del loro funzionamento, ovvero un loro potenziamento, che possano produrre effetti sull’ambiente”. Il legislatore nazionale ha, quindi, inteso qualificare come “modifica non sostanziale” e sottoporre al procedimento di cui all’art. 29-nonies, comma 1, del codice soltanto le variazioni rilevanti del quadro autorizzato (e non ogni variazione minimale), sì da bilanciare le esigenze di controllo con le esigenze della produzione, evitando che modifiche minime - come quelle relative alle materie prime (e viepiù alle sostanze) - debbano essere oggetto di preventiva comunicazione. Inoltre il SAVA invoca la circolare del Ministero dell’ambiente prot. 2/AMB/2007, recante “linee guida per l’individuazione delle modifiche sostanziali”, senza però considerare che tale circolare tra le modifiche non sostanziali che, pur non comportando l’aggiornamento dell’AIA, sono comunque oggetto di comunicazione all’autorità competente, include soltanto la «variazione delle categorie di materie prime utilizzate».

III) violazione di legge in relazione agli artt. 5 comma 1, lett. l) e p), e 29-nonies del decreto legislativo n. 152/2006; eccesso di potere nelle forme dell’ingiustizia manifesta, dell’illogicità, della contraddittorietà, del travisamento dei fatti, del difetto di istruttoria e della carenza motivazionale.

Parimenti illegittima è la previsione secondo la quale la comunicazione deve essere inviata anche al Comune territorialmente competente perché, ai sensi dall’art. 29-nonies, comma 1, del codice, nel caso dell’impianto di Arco l’Autorità competente all’aggiornamento dell’AIA e destinataria delle relative comunicazioni è solo la Provincia autonoma di Trento. Pertanto viene posto a carico della ricorrente un adempimento non previsto e comunque inutile, non potendo il Comune intervenire nella procedura di aggiornamento dell’AIA.

IV) violazione dell’art. 97 Cost.; eccesso di potere per ingiustizia manifesta, illogicità, contraddittorietà, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e carenza di motivazione.

L’obbligo di comunicazione relativo all’utilizzo delle nuove materie prime che «comportino potenziali variazioni quali-quantitative delle emissioni in aria ed in acqua» risulta contraddittorio ed eccessivamente gravoso dal punto di vista organizzativo, oltre che non motivato. Innanzi tutto non è possibile correlare l’utilizzo nel processo produttivo di una specifica materia prima o di una sostanza (viepiù se in quantitativi limitati) alle emissioni dell’installazione. Nemmeno le schede tecniche o di sicurezza, menzionate dal SAVA, forniscono informazioni utili (se non in casi veramente limitati) e sufficienti per effettuare una valutazione del genere. Dunque il gestore, in via prudenziale, per evitare eventuali sanzioni amministrative sarebbe costretto a comunicare ogni minima modifica alle materie prime utilizzate. Inoltre l’obbligo di inviare la comunicazione ogniqualvolta si apporti una variazione, anche minima, alle materie prime utilizzate nel ciclo produttivo e di attendere i 60 giorni previsti per la pronuncia dell’Amministrazione comporterebbe un impatto insostenibile sull’attività produttiva.

V) eccesso di potere per ingiustizia manifesta, illogicità, contraddittorietà, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e carenza di motivazione.

I quattro criteri enucleati per l’individuazione delle materie prime soggette a comunicazione preventiva, oltre a non essere motivati, risultano di difficile applicazione e comunque sono di fatto inutili ai fini dell’individuazione della diversa incidenza delle nuove materie prime introdotte nel ciclo produttivo (rispetto a quelle già utilizzate) sulle emissioni prodotte dall’impianto. Il primo criterio riguarda le fattispecie nelle quali le nuove materie prime «contengono sostanze il cui utilizzo sia oggetto di specifiche disposizioni nelle BAT di settore». Tuttavia le sostanze citate nelle BAT del settore della produzione cartaria (epicloridrine, AOX e sostanze fluorurate) non rientrano tra i parametri soggetti a monitoraggio nelle acque di scarico o in atmosfera; non si comprende, quindi, come si possa monitorare l’eventuale presenza di dette sostanze nelle materie prime e valutare se siano conformi ai limiti di legge. Il secondo criterio riguarda le fattispecie nelle quali «le schede tecniche di sicurezza evidenziano che l’utilizzo di detti prodotti (in relazione alle modalità di utilizzo) possa comportare la formazione degli inquinanti indicati nell’allegato X alla parte seconda del decreto legislativo n. 152/2006 per i quali non sia già previsto un monitoraggio periodico». Tuttavia, ferma restando la genericità di alcuni tra gli inquinanti citati nell’Allegato X (es. biocidi), nel caso dello stabilimento di Arco alcuni degli inquinanti (ossidi di azoto, monossido di carbonio, COV, polveri, materie in sospensione, nitrati, fosfati, BOD e COD) sono già sottoposti a monitoraggio e, per quanto si desume dalle schede di sicurezza, non vengono generati altri inquinanti. Il terzo criterio riguarda le fattispecie nelle quali «sussistono le condizioni di cui al punto i) del paragrafo “Modifiche sostanziali per il riesame dell’A.I.A.», laddove il punto i) del citato paragrafo (ossia il paragrafo 1 della circolare) si riferisce alle «modifiche che comportano l’emissione di nuove tipologie di sostanze pericolose (tabelle A1 e A2 dell’Allegato I alla parte quinta del D.Lgs. 152/2006; tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del D.Lgs. 152/2006) e degli inquinanti richiamati dall’art. 78, comma 13, del D.Lgs. 152/2006». Tuttavia, con riferimento allo stabilimento di Arco, ad oggi non esiste la possibilità che si verifichi il rilascio delle sostanze chimiche pericolose in questione, sia con riferimento a quelle indicate nelle tabelle A1 e A2 dell’Allegato I alla Parte V del codice (si tratta di sostanze estremamente pericolose, non generabili nel processo produttivo cartario), sia con riferimento alla tabella 5 dell’Allegato 5 alla Parte III del medesimo codice. L’ultimo criterio riguarda le fattispecie nelle quali «le schede di sicurezza evidenzino presenza di sostanze PBT (sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche) o vPvB (sostanze molto persistenti e molto bioaccumulabili)». Ad oggi nessuna delle schede di sicurezza delle materie prime utilizzate nello stabilimento di Arco evidenzia la presenza delle predette sostanze. Parimenti illegittima risulta la previsione secondo la quale non è necessaria la comunicazione nel caso in cui le nuove materie prime «siano, per caratteristiche e modalità di utilizzo, equivalenti a materie prime già in uso presso lo stabilimento», perché nella circolare non è specificato come debba essere effettuata la valutazione di equivalenza.

4. La società Fedrigoni con memoria depositata in data 5 marzo 2018 ha insistito per l’accoglimento del ricorso osservando, con particolare riferimento al quarto motivo, che ad oggi nello stabilimento di Arco vengono utilizzati, in media, oltre 120 prodotti, tra i quali circa 60 sarebbero qualificabili, secondo l’interpretazione del SAVA, come materie prime e, quindi, posto che la produzione varia in funzione delle richieste di mercato, richiedere una comunicazione per ogni variazione delle materie prime sarebbe assolutamente incompatibile con le esigenze della produzione, oltre che ingiustamente gravoso e praticamente inattuabile.

5. La Provincia autonoma di Trento si è costituita in giudizio per resistere al ricorso e con memoria depositata in data 5 marzo 2018 ha replicato alle suesposte censure osservando quanto segue.

La nozione di “sostanze” di cui all’art. 5, comma 2, lett. i-bis), del codice sta ad indicare “gli elementi chimici ed i loro composti”; invece la nozione di materie prime è tratta dal linguaggio comune ed identifica i materiali impiegati in un processo produttivo per ottenere un prodotto finale. Il gestore è tenuto a indicare nella domanda di rilascio dell’AIA la descrizione “delle materie prime e ausiliarie, delle sostanze e dell’energia usate o prodotte dall’installazione”, “delle fonti di emissione dell’installazione”, “dello stato del sito di ubicazione dell’installazione” e “del tipo e dell’entità delle prevedibili emissioni dell’installazione” (art. 29-ter, comma 1, lettere da b) ad e), del codice), nonché le misure di prevenzione e riduzione delle emissioni applicate (art. 29-ter, comma 1, lettere da f) a m), del codice). Questa puntuale descrizione dell’oggetto della domanda segue la regola per cui deve essere valutata - per ogni materia prima o ausiliaria e ogni sostanza impiegata nel ciclo produttivo - la potenziale induzione di effetti sull’ambiente, a fronte dei quali devono essere previste misure di prevenzione e riduzione delle emissioni. Posto che il legislatore chiede di indicare nella domanda sia le materie prime, sia le materie ausiliarie, sia in generale le sostanze e l’energia utilizzate nell’impianto, equiparandone il trattamento normativo, è lo stesso legislatore che ha espresso un giudizio di equivalenza delle materie prime ed ausiliarie e delle sostanze impiegate nel ciclo produttivo rispetto alla determinazione delle emissioni prodotte dall’installazione. Pertanto - posto che, anche ai fini della modifica dell’AIA, ciò che rileva sono solo gli effetti sull’ambiente, e non il modo in cui il gestore attraverso le proprie scelte imprenditoriali provoca questi effetti - non è possibile ritenere che la modifica delle materie ausiliarie e delle sostanze impiegate nel ciclo produttivo, qualora comporti effetti sull’ambiente, non integri una modifica rilevante ai sensi dell’art. 29-nonies, comma 1, del codice; di converso risultano «evanescenti» le distinzioni prospettate con il primo motivo di ricorso, basate sul criterio discretivo della maggiore o numerosità dei materiali utilizzati nel ciclo produttivo. Del resto il criterio applicativo fatto proprio dal SAVA trova conferma nelle analoghe circolari adottate nelle Regioni Emilia Romagna, Basilicata e Lombardia.

Le considerazioni che precedono, incentrate sul contenuto della domanda di rilascio dell’AIA, imposto dall’art. 29-ter, comma 1, del codice, valgono a dimostrare anche l’infondatezza del secondo motivo di ricorso, fermo restando che l’obbligo generale di comunicazione relativo all’impiego di nuove materie prime nel ciclo produttivo si rinviene anche nella circolare del Ministero dell’ambiente prot. 2/AMB/2007.

Quanto alla comunicazione al Comune territorialmente competente, essa si concretizza in un mero onere collaborativo per il Gestore, e non come un vero e proprio obbligo, che consente al Comune stesso, in qualità di ente esponenziale della collettività insediata sul territorio, di disporre del tempo necessario all’espressione del parere di competenza in materia di emissioni in atmosfera di cui all’art. 8-bis del testo unico provinciale sulla tutela dell’ambiente dagli inquinamenti (approvato con il D.P.G.P. 26 gennaio 1987, n. 1-41/Leg). Inoltre, ai sensi dell’art. 29-quater, commi 6 e 7, del codice dell’ambiente, il sindaco del comune non solo è chiamato a rendere un parere nel procedimento di rilascio dell’AIA circa le prescrizioni atte a tutelare la salute pubblica in caso di esalazioni e scarichi ai sensi degli articoli 216 e 217 del R.D. n. 1265/1934, ma può anche chiedere al SAVA di riesaminare l’autorizzazione già rilasciata a fronte di circostanze sopravvenute, oltre che proporre il riesame nelle diverse fattispecie previste dall’art. 29-octies, comma 4, del codice.

Quanto all’impossibilità (dedotta con il quarto motivo) di correlare l’utilizzo nel processo produttivo di una specifica materia prima o di una sostanza alle emissioni dell’installazione, si deve considerare che - in ossequio ai principi di precauzione e prevenzione, sanciti dall’art. 3-ter del codice - il gestore è tenuto a valutare gli effetti sull’ambiente delle proprie scelte imprenditoriali prima di attuarle. Del resto ai sensi dell’art. 31 del regolamento (CE) n. 1907/2006 del 18 dicembre 2006 concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (c.d. regolamento REACH - “Registration, Evaluation, Authorisation and restriction of Chemicals”), costituisce onere di ciascun attore della catena di approvvigionamento di sostanze chimiche o miscele di esse l’acquisizione della scheda di sicurezza dal proprio fornitore, al fine di disporre di tutte le informazioni necessarie ad assicurare un elevato livello di protezione della salute umana e dell’ambiente. La scheda di sicurezza deve riportare non solo la composizione chimica della materia, ma anche le proprietà fisiche e chimiche di essa, la stabilità e la reattività, le informazioni tossicologiche ed ecologiche, e tra le informazioni relative alle proprietà fisiche e chimiche è previsto che siano specificati il punto di infiammabilità, il punto di ebollizione, la solubilità, la temperatura di decomposizione, le proprietà esplosive e ossidanti; inoltre nella sezione dedicata alle informazioni tossicologiche, deve essere specificata l’eventuale mutagenicità delle cellule germinali, la cancerogenicità, la tossicità per la riproduzione, mentre nella sezione dedicata alle informazioni ecologiche, è previsto che siano fornite le informazioni relative alla tossicità, alla persistenza e biodebradabilità, al potenziale di bioaccumulo, alla mobilità nel suolo, alla valutazione PBT e vPvB. Tenuto conto di queste informazioni, l’utilizzatore finale può ben valutare i potenziali effetti sulle emissioni prodotte dall’installazione, derivanti dall’introduzione di una nuova materia prima nel ciclo produttivo. Inoltre il principio “no data, no market”, cristallizzato all’art. 5 del regolamento REACH esclude che possa essere immessa sul mercato una sostanza che non sia stata previamente registrata e, quindi, sottoposta a valutazione della sicurezza chimica ai sensi dell’art. 14 del medesimo regolamento. Pertanto, considerato che la scheda di sicurezza è redatta per le sostanze considerate pericolose per la salute e l’ambiente (cfr. l’art. 31, comma 1, del regolamento REACH), qualora dal contenuto della scheda stessa non sia consentito all’utilizzatore finale di svolgere le valutazioni di sicurezza che gli competono, questi non avrà assolto gli obblighi sullo stesso gravanti. In definitiva - posto che ai sensi dell’art. 29-ter, comma 1, del codice la domanda di rilascio dell’AIA deve specificare le materie prime ed ausiliarie, le sostanze e le energie usate o prodotte nell’impianto nonché le conseguenti emissioni ed i rifiuti prodotti, e dovendo il gestore svolgere, ai sensi delle BAT di settore, monitoraggi periodici delle emissioni dell’installazione, gli esiti dei quali devono essere comunicati all’autorità competente, chiamata a valutare l’efficacia delle BAT - è ragionevole che, costituendo le sostanze e le materie prime ed ausiliarie i vettori che introducono nell’impianto le sostanze poi immesse nell’ambiente attraverso il ciclo produttivo, ogni variazione delle materie prime ed ausiliarie o delle sostanze impiegate vada preventivamente comunicata qualora comporti effetti sull’ambiente, affinché l’autorità competente possa valutare, nel prescritto termine di 60 giorni, se rilasciare un aggiornamento dell’AIA o procedere ad un riesame della stessa.

La censura dedotta con il quarto motivo, incentrata sull’eccessiva gravosità dell’adempimento della comunicazione preventiva e della conseguente necessità di attendere il decorso del predetto termine 60 giorni, prima di dare attuazione alla modifica comunicata, è smentita dall’esenzione prevista dall’impugnata circolare per il caso in cui si introducano nel ciclo produttivo materie equivalenti (per caratteristiche e modalità di utilizzo) a quelle già in uso, salvo si tratti di sostanze PBT o vPvB. Inoltre, se non vi è variazione potenziale delle emissioni autorizzate (nel qual caso s’impone l’aggiornamento dell’AIA), la circolare limita il perimetro applicativo della previa comunicazione all’utilizzo di materie contenenti sostanze classificate pericolose ai sensi del regolamento CE 1272/2008 (richiamato dal D.M. n. 272/2014, richiamato nel paragrafo 3 della circolare, dedicato alle modifiche che non comportano aggiornamento dell’AIA), qualora l’utilizzo delle stesse comporti il superamento delle soglie previste dal D.M. n. 272/2014. Pertanto la gravosità dell’adempimento deve essere valutata considerando che lo stesso è prescritto solo a fronte della previsione degli effetti sull’ambiente innanzi richiamati, mentre per quanto riguarda la sospensione dell’attuazione della modifica oggetto della comunicazione l’Amministrazione non può applicare regole procedimentali diverse da quelle previste dall’art. 29-nonies, commi 1 e 2. Del resto anche le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili per la produzione di pasta per carta, carta e cartone di cui alla decisione di esecuzione della Commissione 2014/687/UE, del 26 settembre 2014, confermano che il gestore è chiamato ad una valutazione preventiva degli effetti delle proprie scelte imprenditoriali.

Le censure dedotte con il quinto motivo, ancor prima che infondate, risultano inammissibili per carenza di interesse. Difatti riguardo al primo criterio indicato nella circolare - relativo all’utilizzo di materie prime che «contengono sostanze il cui utilizzo sia oggetto di specifiche disposizioni nelle BAT di settore» - si deve considerare che, se una sostanza è oggetto delle BAT di settore, allora l’utilizzo di quella sostanza è sicuramente rilevante in termini di incidenza sull’ambiente; se le sostanze citate nelle BAT di settore non sono comprese tra i parametri soggetti a misura nelle acque di scarico o in atmosfera, come afferma la ricorrente, la censura risulta inammissibile, ancor prima che infondata, perché la circolare riguarda ogni settore economico e non il solo il settore della produzione della carta. Analoghe considerazioni valgono anche per gli altri criteri. Il secondo criterio - relativo al caso in cui «le schede tecniche o di sicurezza evidenziano che l’utilizzo di detti prodotti (in relazione alle modalità di utilizzo) possa comportare la formazione degli inquinanti indicati nell’allegato X alla parte seconda del D.Lgs.152/2006 per i quali non sia già previsto un monitoraggio periodico» - si riferisce all’impiego di una nuova materia prima idonea a comportare l’emissione di una delle sostanze inquinanti per le quali l’AIA, in virtù dell’espressa previsione legislativa (Allegato X alla parte II del codice dell’ambiente), deve prevedere un limite di emissione che non è stato fino a quel momento previsto; tuttavia anche in questo caso la ricorrente censura la circolare facendo leva sulla propria peculiare situazione, senza però considerare che la circolare riguarda ogni settore economico. Il terzo criterio - relativo al caso in cui «sussistono le condizioni di cui al punto i) del paragrafo Modifiche sostanziali per il riesame dell’AIA» - si riferisce all’impiego di una nuova materia prima che comporta l’emissione delle sostanze pericolose cancerogene e/o tossiche per la riproduzione e/o mutagene e delle sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate, riportate nelle tabelle A1 e A2 dell’Allegato I alla parte V, oppure l’emissione delle sostanze soggette a limiti di concentrazione o a divieto di scarico nei corpi idrici ai sensi della tabella 5 dell’Allegato 5 alla Parte terza, oppure l’emissione delle sostanze inquinanti classificate come pericolose prioritarie (PP) o prioritarie (P) nell’elenco delle priorità al fine della loro eliminazione o riduzione nei corpi idrici al fine del raggiungimento del “buono stato chimico” (richiamate dall’art. 78, comma 13, del codice); tuttavia anche in questo caso la ricorrente afferma che per lo stabilimento di Arco non c’è rischio che si verifichi l’emissione delle citate sostanze. Infine, anche con riferimento al quarto criterio - relativo al caso in cui «le schede di sicurezza evidenzino presenza di sostanze PBT (sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche) o vPvB (sostanze molto persistenti e molto bioaccumulabili)» - controparte lamenta l’illogicità dei criterio, ma nel contempo afferma che nello stabilimento di Arco non sono utilizzate queste sostanze. Le censure sono quindi inammissibili per carenza di interesse.

Da ultimo del tutto infondata è la censura incentrata sulla mancanza di indicazioni sulle modalità di valutazione dell’equivalenza tra materie prime: la circolare specifica che l’equivalenza deve essere valutata con riferimento «alle caratteristiche ed alle modalità di utilizzo»; pertanto una nuova materia prima impiegata allo stesso modo di una materia prima già utilizzata, ma di cui varia ad esempio solo il produttore, va considerata equivalente a quella in uso e, quindi, non sarebbe soggetta all’obbligo di comunicazione.

6. Le parti con memorie depositate in data 15 marzo 2018 hanno diffusamente replicato, insistendo per l’accoglimento delle rispettive tesi.

7. Alla pubblica udienza del 5 aprile 2018 il ricorso è stato chiamato e trattenuto per la decisione.

DIRITTO

1. Ai fini della disamina delle complesse questioni sottoposte all’attenzione del Tribunale giova ricostruire il quadro normativo in cui si innesta il potere di indirizzo esercitato dal SAVA con l’impugnata circolare.

Innanzi tutto l’art. 4, comma 4, lettera c), del codice dell’ambiente dispone che l’AIA “ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente dalle attività di cui all’allegato VIII e prevede misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell’aria, nell’acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente salve le disposizioni sulla valutazione di impatto ambientale”.

Al fine di consentire all’Amministrazione di individuare tali misure, la domanda di autorizzazione deve riportare tutte le informazioni necessarie per conoscere le emissioni provenienti dall’installazione, nonché le misure di prevenzione e riduzione delle emissioni applicate. In particolare l’art. 29-ter, comma 1, del codice prescrive che la domanda “deve contenere le seguenti informazioni: a) descrizione dell’installazione e delle sue attività, specificandone tipo e portata; b) descrizione delle materie prime e ausiliarie, delle sostanze e dell’energia usate o prodotte dall’installazione; c) descrizione delle fonti di emissione dell’installazione; d) descrizione dello stato del sito di ubicazione dell’installazione; e) descrizione del tipo e dell’entità delle prevedibili emissioni dell’installazione in ogni comparto ambientale nonché un’identificazione degli effetti significativi delle emissioni sull’ambiente; f) descrizione della tecnologia e delle altre tecniche di cui si prevede l’uso per prevenire le emissioni dall’installazione oppure, qualora ciò non fosse possibile, per ridurle; g) descrizione delle misure di prevenzione, di preparazione per il riutilizzo, di riciclaggio e di recupero dei rifiuti prodotti dall’installazione; h) descrizione delle misure previste per controllare le emissioni nell’ambiente nonché le attività di autocontrollo e di controllo programmato che richiedono l’intervento dell’ente responsabile degli accertamenti di cui all’articolo 29-decies, comma 3; i) descrizione delle principali alternative alla tecnologia, alle tecniche e alle misure proposte, prese in esame dal gestore in forma sommaria; l) descrizione delle altre misure previste per ottemperare ai principi di cui all’articolo 6, comma 16; m) se l’attività comporta l’utilizzo, la produzione o lo scarico di sostanze pericolose e, tenuto conto della possibilità di contaminazione del suolo e delle acque sotterrane nel sito dell’installazione, una relazione di riferimento elaborata dal gestore prima della messa in esercizio dell’installazione o prima del primo aggiornamento dell’autorizzazione rilasciata, per la quale l’istanza costituisce richiesta di validazione”.

La disciplina delle modifiche dell’installazione oggetto dell’AIA si rinviene nell’art. 5, comma 1, lett. l) e lett. l-bis), nonché nell’art. 29-nonies, commi 1 e 2 del codice. In particolare l’art. 5, comma 1, lett. l), definisce modifica “la variazione di un piano, programma, impianto o progetto approvato, compresi, nel caso degli impianti e dei progetti, le variazioni delle loro caratteristiche o del loro funzionamento, ovvero un loro potenziamento, che possano produrre effetti sull’ambiente”, mentre la successiva lett. l-bis) definisce “modifica sostanziale” di un progetto, di un’opera o di un impianto “la variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell’impianto, dell’opera o dell’infrastruttura o del progetto che, secondo l’autorità competente, producano effetti negativi e significativi sull’ambiente. In particolare, con riferimento alla disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale, per ciascuna attività per la quale l’allegato VIII indica valori di soglia, è sostanziale una modifica all’installazione che dia luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa”.

L’art. 29-nonies, comma 1, dispone poi che “Il gestore comunica all’autorità competente le modifiche progettate dell’impianto, come definite dall’articolo 5, comma 1, lettera l). L’autorità competente, ove lo ritenga necessario, aggiorna l’autorizzazione integrata ambientale o le relative condizioni, ovvero, se rileva che le modifiche progettate sono sostanziali ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera l-bis), ne dà notizia al gestore entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione ai fini degli adempimenti di cui al comma 2 del presente articolo. Decorso tale termine, il gestore può procedere alla realizzazione delle modifiche comunicate”, mentre il successivo comma 2 prescrive che “Nel caso in cui le modifiche progettate, ad avviso del gestore o a seguito della comunicazione di cui al comma 1, risultino sostanziali, il gestore invia all’autorità competente una nuova domanda di autorizzazione corredata da una relazione contenente un aggiornamento delle informazioni di cui all’articolo 29-ter, commi 1 e 2. Si applica quanto previsto dagli articoli 29-ter e 29-quater in quanto compatibile”. In definitiva ogni variazione nel funzionamento dell’impianto (quale risultante dall’AIA), idonea a produrre “effetti sull’ambiente”, integra una modifica e comporta un obbligo di comunicazione in capo al gestore, mentre ogni variazione idonea a produrre “effetti negativi e significativi sull’ambiente” integra una modifica sostanziale e comporta l’obbligo di presentare una nuova domanda di autorizzazione.

2. Al fine di valutare la portata degli obblighi di comunicazione imposti ai gestori con la circolare oggetto del presente giudizio, giova poi evidenziare che, secondo l’art. 3-ter del codice, la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale “deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio ‘chi inquina paga’ che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale”, e che tali principi sono riaffermati nell’art. 1, comma 3, del regolamento REACH, secondo il quale il regolamento stesso “si basa sul principio che ai fabbricanti, agli importatori e agli utilizzatori a valle spetta l’obbligo di fabbricare, immettere sul mercato o utilizzare sostanze che non arrecano danno alla salute umana o all’ambiente. Le sue disposizioni si fondano sul principio di precauzione”. Il medesimo regolamento REACH all’art. 5 sancisce la regola “no data, no market”, in base alla quale non può essere immessa sul mercato una sostanza che non sia stata previamente registrata, previa valutazione della sicurezza chimica ai sensi dell’art. 14 del medesimo regolamento, e all’art. 31 pone in capo: A) al fornitore di una sostanza o di una miscela, l’obbligo di trasmettere al destinatario della sostanza o della miscela “una scheda di dati di sicurezza compilata a norma dell’allegato II: a) se una sostanza o una miscela rispondono ai criteri di classificazione come pericolosa secondo il regolamento (CE) n. 1272/2008; oppure b) quando una sostanza è persistente, bioaccumulabile e tossica ovvero molto persistente e molto bioaccumulabile in base ai criteri di cui all’allegato XIII; o c) quando una sostanza è inclusa nell’elenco stabilito a norma dell’articolo 59, paragrafo 1, per ragioni diverse da quelle di cui alle lettere a) e b)”; B) ad ogni soggetto della catena d’approvvigionamento che ha l’obbligo, in forza degli articoli 14 o 37 del medesimo regolamento, di effettuare una valutazione della sicurezza chimica per una sostanza, l’obbligo di accertarsi che le informazioni contenute nella scheda di dati di sicurezza siano coerenti con quelle contenute in tale valutazione.

3. Nella fattispecie in esame, con l’impugnata circolare del 31 agosto 2017 sono stati precisati i casi nei quali le variazioni delle materie prime utilizzate nel ciclo produttivo devono essere preventivamente comunicate dai gestori e, se necessario, autorizzate. In particolare il SAVA ha evidenziato che «Le modifiche ad un’installazione si possono suddividere in quattro macro-categorie: 1.modifiche sostanziali ai fini del riesame dell’AIA; 2. modifiche non sostanziali che comunque richiedono un aggiornamento dell’AIA; 3. modifiche non sostanziali per le quali è comunque necessaria la comunicazione all’Autorità competente; 4. modifiche non sostanziali per le quali non è necessaria la comunicazione».

Tra le modifiche non sostanziali che comunque richiedono un aggiornamento dell’AIA sono state espressamente ricomprese sia «le modifiche considerate sostanziali dalle normative ambientali di settore (ad esempio emissioni in atmosfera, scarichi idrici, ...) che non risultano però sostanziali ai fini del riesame dell’autorizzazione integrata ambientale» (lett. b), sia «le modifiche qualitative delle emissioni a cui devono essere associati dei valori limite e che devono essere soggette a monitoraggio periodico» (lett. d). Con particolare riferimento a tali modifiche è stato precisato che «il gestore è tenuto a comunicare preventivamente al Servizio autorizzazioni e valutazioni ambientali ed al comune territorialmente competente l’utilizzo di nuove materie prime nel ciclo produttivo soltanto qualora queste possano comportare potenziali variazioni quali-quantitative delle emissioni in aria ed in acqua rispetto a quanto autorizzato. In particolare deve essere comunicato l’utilizzo di materie prime diverse per composizione e utilizzo rispetto a quelle fino ad allora utilizzate presso l’installazione, o relative alla produzione di nuovi prodotti, secondo i seguenti criteri: 1. contengono sostanze il cui utilizzo sia oggetto di specifiche disposizioni nelle BAT di settore; 2. le schede tecniche o di sicurezza evidenziano che l’utilizzo di detti prodotti (in relazione alle modalità di utilizzo) possa comportare la formazione degli inquinanti indicati nell’allegato X alla parte seconda del D.Lgs.152/2006 per i quali non sia già previsto un monitoraggio periodico; 3. sussistono le condizioni di cui al punto i) del paragrafo ‘Modifiche sostanziali per il riesame dell’AIA’; 4. le schede di sicurezza evidenzino presenza di sostanze PBT (sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche) o vPvB (sostanze molto persistenti e molto bioaccumulabili)».

Nel contempo è stato circoscritto tale obbligo di comunicazione preventiva come segue: «Qualora le materie prime che si intendano utilizzare, anche nel caso in cui avessero le caratteristiche riportate ai punti 1, 2 e 3 sopra individuati, siano, per caratteristiche e modalità di utilizzo, equivalenti a materie prime già in uso presso lo stabilimento, la comunicazione non deve essere effettuata».

4. Poste tali premesse, giova preliminarmente rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 dicembre 2002, n. 8252; T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 30 agosto 2012, n. 7395), mentre le circolari interpretative non sono in grado di produrre alcuna lesione concreta ed attuale nei riguardi dei terzi estranei agli uffici destinatari delle stesse e, quindi, non sono immediatamente impugnabili, diverse considerazioni valgono per le circolari volte alla fissazione di regole caratterizzate da una chiara incidenza sulla sfera giuridica dei destinatari, per le quali si deve ammettere la possibilità di immediata impugnazione proprio in quanto presentano il crisma dell’autonoma lesività.

Non può, quindi, dubitarsi, nel caso in esame, dell’attualità dell’interesse ad agire della ricorrente in quanto l’impugnata circolare impone a tutti i gestori IPPC (ivi compresa la ricorrente medesima) obblighi diretti ed immediati di autorizzazione o comunicazione che, se non rispettati, determinano l’irrogazione delle sanzioni previste dall’art. 29-quaterdecies del codice in tema di AIA. Del resto, la stessa circolare specifica il proprio scopo nella definizione di «un quadro generale di regole omogenee, note a tutti i gestori, che consentano a questi ultimi di essere coscienti degli oneri istruttori che una modifica all’installazione potrebbe comportare».

5. Passando al merito, con il primo motivo viene dedotto che i criteri fissati dal SAVA per la classificazione delle modifiche degli impianti sarebbero viziati innanzi tutto in ragione della mancata distinzione tra i concetti di materie prime e di sostanze, il primo dei quali sarebbe volto a identificare i materiali che assumono «carattere essenziale e principale nel processo produttivo», mentre il secondo identificherebbe «materiali molto più numerosi, utilizzati nella lavorazione delle materie prime per le loro proprietà chimiche e fisiche, ma non caratterizzanti un determinato processo produttivo», sicché soltanto le modifiche delle materie prime (e non delle sostanze) rileverebbero ai fini dell’insorgenza degli obblighi di cui all’art. 29-nonies del codice.

Al riguardo il Collegio ritiene che - sebbene la definizione di materie prime diverga da quella di sostanze, come sostiene la ricorrente - tuttavia tale affermazione non può indurre a ritenere che l’ambito applicativo dell’impugnata circolare avrebbe dovuto essere limitato alle sole materie prime impiegate nel ciclo produttivo. Al riguardo è condivisibile quanto osserva l’Amministrazione resistente laddove - dopo aver precisato che le “sostanze” sono definite dall’art. 5, comma 2, lett. i-bis), del codice come “gli elementi chimici ed i loro composti”, mentre non si rinviene nel codice stesso una definizione normativa delle “materie prime” alle quali si riferisce l’art. 29-ter, comma 1, lett. b), del medesimo codice, sicché la definizione delle stesse deve essere tratta dal linguaggio comune ed identifica i materiali impiegati in un processo produttivo per ottenere un prodotto finale - replica che l’espressa previsione dell’art. 29-ter, comma 1, lett. b), secondo il quale il gestore deve indicare nella domanda di autorizzazione anche la “descrizione delle materie prime e ausiliarie, delle sostanze e dell’energia usate o prodotte dall’installazione”, ha per effetto l’equiparazione del trattamento normativo delle “materie prime” e delle “sostanze”, sicché, ai fini dell’insorgenza degli obblighi di cui all’art. 29-nonies, occorre tener conto non soltanto delle modifiche delle materie prime. Ne consegue che legittimamente nell’impugnata circolare l’insorgenza degli obblighi di comunicazione di cui all’art. 29-nonies è correlata alle «potenziali variazioni quali-quantitative delle emissioni in aria ed in acqua rispetto a quanto autorizzato», senza alcuna distinzione tra nuove “materie prime”, nuove “materie ausiliarie” e nuove “sostanze” impiegate nel ciclo produttivo.

6. Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo del ricorso, con il quale viene dedotto che, ai fini dell’insorgenza degli obblighi di cui all’art. 29-nonies, rileverebbero soltanto le variazioni significative del quadro autorizzato (e non ogni variazione minimale), sì da bilanciare le esigenze di controllo con le esigenze della produzione.

É ben vero che la circolare ministeriale prot. 2/AMB/2007 (espressamente richiamata nell’impugnata circolare) nella categoria delle «modifiche non sostanziali che non comportano l’aggiornamento dell’AIA (oggetto di sola comunicazione)» include la «variazione delle categorie di materie prime utilizzate». Tuttavia questo Tribunale nella sentenza n. 300/2017 ha già chiarito che «l’indicazione delle materie prime “per macrocategorie” non è sufficiente per ritenere adempiuto l’obbligo di cui all’art. 29-ter, comma 1, lett. b), del codice dell’ambiente perché tale disposizione richiede, al fine del rilascio dell’AIA, che nell’istanza siano puntualmente descritte le materie prime ed ausiliarie utilizzate nell’installazione». Inoltre, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, T.A.R. Lazio Roma, Sez. III-bis, 8 giugno 2012, n. 5201), per gli organi e gli uffici destinatari delle circolari, queste ultime sono vincolanti soltanto se legittime, di talché è doverosa, da parte degli stessi, la disapplicazione delle circolari che risultino contra legem. Resta allora solo da precisare che la tesi della ricorrente, che fa leva sulla predetta circolare ministeriale prot. 2/AMB/2007, si pone in contrasto con la previsione dell’art. 5, comma 1, lett. l), del codice dell’ambiente, che - nel definire il concetto di “modifica”, rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 29-nonies, comma 1 - vi include le variazioni delle caratteristiche o del funzionamento degli impianti, “che possano produrre effetti sull’ambiente”, senza operare distinzioni di sorta, sì da far ritenere che ogni genere di variazione delle materie prime utilizzate nel ciclo produttivo rilevi ai fini dell’applicazione dell’art. 29-nonies, comma 1, laddove possa produrre effetti sull’ambiente.

7. Il quarto e il quinto motivo possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi. Con il quarto motivo viene dedotto che l’obbligo di comunicazione relativo all’utilizzo delle nuove materie prime che «comportino potenziali variazioni quali-quantitative delle emissioni in aria ed in acqua», avendo ad oggetto tutte le materie prime utilizzate nel ciclo produttivo, si rivelerebbe eccessivamente gravoso dal punto di vista organizzativo - oltre che non motivato - sia perché il gestore, in via prudenziale e per evitare eventuali sanzioni amministrative, sarebbe costretto a comunicare preventivamente ogni minima modifica delle materie prime utilizzate nel ciclo produttivo, sia perché l’obbligo di attendere il decorso del termine di 60 giorni previsto dall’art. 29-nonies comporterebbe un impatto insostenibile sull’attività produttiva. Con il successivo motivo viene approfondita la censura incentrata sull’eccessiva gravosità degli obblighi imposti ai gestori, contestando l’illogicità - oltre che la carenza di un’adeguata motivazione - dei quattro criteri indicati nella circolare per discernere i casi nei quali insorge l’obbligo di comunicare la modifica delle materie prime utilizzate.

8. Quanto alle censure incentrate sul difetto di motivazione, si deve rammentare che, ai sensi dell’art. 3, comma 2, della legge n. 241/1990 (il cui testo è riprodotto nell’art. 4, comma 2, della legge provinciale n. 23/1992), la motivazione non è richiesta per gli atti a contenuto generale, tra i quali evidentemente rientra l’impugnata circolare. Inoltre, anche a voler ritenere applicabile alla fattispecie in esame l’orientamento giurisprudenziale (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 17 novembre 2016, n. 4794) invocato dalla ricorrente nella memoria di replica, secondo il quale l’obbligo di motivazione si estende anche agli atti generali qualora siano idonei a incidere su una specifica situazione soggettiva qualificata, resta comunque il fatto che: A), l’obbligo di comunicazione relativo all’utilizzo delle nuove materie prime che «comportino potenziali variazioni quali-quantitative delle emissioni in aria ed in acqua» discende direttamente - come già evidenziato - dal combinato disposto dell’art. 29-nonies, comma 1, con gli articoli 5, comma 1, lett. l), e 29-ter, comma 1, sicché non necessitava di un’autonoma motivazione da parte dell’Amministrazione; B) neppure i quattro criteri indicati nella circolare necessitavano di un’autonoma motivazione in quanto si riferiscono - come si avrà modo di evidenziare - a fattispecie nelle quali emerge con chiarezza che l’utilizzo di una nuova materia prima nel ciclo produttivo può comportare «potenziali variazioni quali-quantitative delle emissioni in aria ed in acqua».

9. Tenuto conto delle considerazioni appena svolte, le censure incentrate sull’eccessiva gravosità degli obblighi imposti dalla circolare per il caso di introduzione di nuove materie prime nel ciclo produttivo risultano - a ben vedere - mirate non tanto a censurare una scelta discrezionale dell’Amministrazione, quanto piuttosto a denunciare l’illogicità della disciplina di cui al combinato disposto dell’art. 29-nonies, comma 1, con gli articoli 5, comma 1, lett. l), e 29-ter, comma 1.

Tuttavia il Collegio ritiene che tale disciplina legislativa - alla luce delle articolate considerazioni svolte dall’Amministrazione resistente nella memoria depositata in data 5 marzo 2018 in ordine alla portata applicativa del principio di precauzione, sancito dall’art. 3-ter del codice e riaffermato nell’art. 1, comma 3, del regolamento REACH - sia immune dai vizi denunciati. Coglie infatti nel segno l’Amministrazione quando afferma che il gestore, da un lato, attraverso le BAT di settore e le schede di sicurezza di cui all’art. 31 del predetto regolamento (nonché attraverso le tabelle relative alle sostanze pericolose richiamate nel terzo criterio previsto dalla circolare) può ben valutare i potenziali effetti sulle emissioni prodotte dall’impianto, derivanti dall’introduzione di una nuova materia prima nel ciclo produttivo; dall’altro, in ossequio al principio “no data, no market”, di cui all’art. 5 del predetto regolamento, qualora non sia in grado di svolgere le valutazioni che gli competono, non può procedere all’introduzione della nuova materia prima nel ciclo produttivo.

Né risultano condivisibili le ulteriori osservazioni svolte dalla ricorrente nella memoria di replica per dimostrare che nel caso dello stabilimento di Arco sarebbe tecnicamente impossibile correlare preventivamente l’utilizzo di una specifica materia prima nel processo produttivo alle emissioni dell’installazione, basandosi sui meri dati riportati nelle schede di sicurezza, perché il contenuto delle schede di sicurezza non fornisce alcuna informazione utile (se non in casi veramente limitati). In particolare la ricorrente sostiene che nel caso di installazioni assai complesse - come lo stabilimento di Arco, ove viene utilizzato un elevato numero di materie prime - l’utilizzo di una determinata materia prima (nell’ampia accezione adottata dal SAVA) nel ciclo produttivo non potrebbe comunque essere correlata a priori con le emissioni prodotte dall’installazione, come si evince dalla sentenza di questo Tribunale n. 300/2017, con cui è stata annullata la diffida adottata con la determinazione del 26 gennaio 2017 proprio perché non era stata dimostrata dal SAVA l’incidenza sull’ambiente delle nuove materie prime utilizzate.

Tuttavia, come ha evidenziato l’Amministrazione resistente nella propria memoria di replica, i criteri indicati nell’impugnata circolare sono stati predisposti in conformità alla normativa di settore e proprio al fine di circoscrivere, nell’interesse dei gestori, le ipotesi nelle quali costoro debbono procedere alla comunicazione delle nuove materie impiegate nel ciclo produttivo.

In particolare il primo criterio - relativo alle ipotesi nelle quali le nuove materie prime «contengono sostanze il cui utilizzo sia oggetto di specifiche disposizioni nelle BAT di settore» - è correlato all’art. 29-sexies, comma 4-bis, del codice, ove si prevede che l’autorità competente “fissa valori limite di emissione che garantiscono che, in condizioni di esercizio normali, le emissioni non superino i livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili (BAT-AEL) di cui all’articolo 5, comma 1, lettera l-ter.4)”, e per il settore della produzione della carta (nel quale opera la ricorrente) la BAT 10 (relativa al monitoraggio delle emissioni in acqua) della decisione di esecuzione della Commissione 2014/687/UE, del 26 settembre 2014 prevede espressamente che l’imposizione del monitoraggio degli inquinanti AOX (composti organici alogenati assorbibili) è limitata agli impianti il cui utilizzo di materie prime o additivi chimici possa produrre tali inquinanti. Pertanto, qualora venga introdotta nel ciclo produttivo una materia prima che rilasci detti inquinanti, incombe senz’altro sul gestore l’obbligo della comunicazione preventiva.

Quanto al secondo criterio - relativo alle ipotesi nelle quali «le schede tecniche o di sicurezza evidenziano che l’utilizzo di detti prodotti (in relazione alle modalità di utilizzo) possa comportare la formazione degli inquinanti indicati nell’allegato X alla parte seconda del D.Lgs.152/2006 per i quali non sia già previsto un monitoraggio periodico» - esso è formulato in base all’elenco delle sostanze inquinanti di cui all’allegato X alla Parte II del codice, sostanze delle quali il gestore deve tener conto, se pertinenti, per stabilire i valori limite di emissione. Pertanto, qualora per queste sostanze non sia stato stabilito un limite di emissione (in atmosfera o negli scarichi idrici), l’eventuale formazione delle stesse a seguito dell’introduzione di nuove materie nel ciclo produttivo impone una previa valutazione da parte dell’autorità competente, possibile soltanto in presenza della comunicazione del gestore, e proprio per tale ragione le schede di sicurezza di cui all’art. 31 del regolamento REACH (alle quali si riferisce il criterio stesso) debbono contenere gli elementi atti a caratterizzare la composizione dei prodotti, nonché le informazioni sulla stabilità e reattività del prodotto e le informazioni ecologiche, che possono evidenziare, congiuntamente all’analisi sulle modalità di utilizzo del prodotto, se sussista o meno la possibilità di emissione di inquinanti non già considerati nell’atto autorizzativo. Ad esempio, nel settore della produzione della carta, l’introduzione nel ciclo produttivo di una materia ausiliaria caratterizzata da una degradabilità limitata (profilo descritto al paragrafo 12 della scheda di sicurezza) e da un COD (acronimo di Chemical Oxygen Demand) abbastanza elevato, non comporterà l’obbligo di comunicazione laddove non siano presenti nuovi inquinanti, essendo generalmente già oggetto di monitoraggio il COD allo scarico.

Il terzo criterio - relativo al caso in cui «sussistono le condizioni di cui al punto i) del paragrafo Modifiche sostanziali per il riesame dell’AIA», e quindi attinente alle modifiche «che comportano l’emissione di nuove tipologie di sostanze pericolose (tabelle A1 e A2 dell’Allegato I alla parte quinta del D.Lgs. 152/2006; tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del D.Lgs. 152/2006) e degli inquinanti richiamati dall’art. 78, comma 13, del D.Lgs. 152/2006» (ossia alle modifiche che comportano l’emissione di sostanze pericolose come cadmio, diossine e policlorobifenili, tipicamente riconducibili a specifiche attività come, ad esempio, la combustione di rifiuti o la fusione di metalli) - corrisponde ad una fattispecie espressamente inclusa dalla circolare ministeriale 2/AMB/2007 tra le modifiche sostanziali di cui all’art. 5, comma 1, lett. l-bis) (cioè tra quelle che, secondo l’autorità competente, possono produrre “effetti negativi e significativi sull’ambiente o sulla salute umana” con conseguente applicazione dell’art. 29-nonies, comma 2, che impone al gestore di presentare una nuova domanda di AIA). Pertanto il criterio riguarda i casi in cui la comunicazione delle modifiche concernenti le materie prime è finalizzata a consentire all’autorità competente di svolgere la valutazione prevista dall’art. 29-nonies, comma 1, ossia di valutare se sussistano le condizioni (ossia il carattere sostanziale della modifica) per richiedere al gestore di presentare una nuova domanda di AIA, come previsto dal comma 2 del medesimo articolo.

Il quarto criterio - relativo alle ipotesi nelle quali «le schede di sicurezza evidenzino presenza di sostanze PBT (sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche) o vPvB (sostanze molto persistenti e molto bioaccumulabili)» - risulta di facile applicazione, perché le schede di sicurezza contengono una voce specifica relativa alla presenza delle predette sostanze.

Le censure svolte dalla ricorrente sui singoli criteri sono pertanto infondate. Analoghe considerazioni valgono poi per l’ulteriore previsione della circolare secondo la quale: «Qualora le materie prime che si intendano utilizzare, anche nel caso in cui avessero le caratteristiche riportate ai punti 1, 2 e 3 sopra individuati, siano, per caratteristiche e modalità di utilizzo, equivalenti a materie prime già in uso presso lo stabilimento». Difatti, dovendo l’equivalenza essere valutata con riferimento «alle caratteristiche ed alle modalità di utilizzo», non insorge l’obbligo di comunicazione laddove si tratti, ad esempio, di una materia prima già utilizzata e cambi solo il produttore della stessa.

In definitiva, alla luce di tali precisazioni il Collegio ritiene che i suddetti criteri effettivamente valgono ad agevolare i gestori nell’individuare i casi nei quali è necessario comunicare, in ossequio alla previsione normativa dell’art. 29-nonies, comma 1 del codice, le nuove materie prime utilizzate nel ciclo produttivo. Del resto la ricorrente stessa nel quinto motivo riconosce che presso lo stabilimento di Arco non ricorre alcuna delle fattispecie oggetto dei suddetti criteri, e tale circostanza trova conferma nel fatto che questo Tribunale con la sentenza n. 300/2017 ha annullato per difetto di motivazione la diffida in ragione della mancata specificazione, da parte del SAVA, del perché le materie prime rinvenute nel corso del sopralluogo e non contemplate nell’AIA comportassero una variazione significativa delle emissioni. Pertanto, la ricorrente non ha motivo di dolersi dell’eccessiva gravosità dell’obbligo della preventiva comunicazione delle nuove materie prime utilizzate nel ciclo produttivo, né tantomeno del conseguente obbligo di attendere il decorso del suddetto termine di 60 giorni, anch’esso sancito dall’art. 29-nonies, comma 1 (e quindi non rientrante nella disponibilità dell’Amministrazione), dato che di tali obblighi asserisce la non applicabilità nei propri confronti.

10. La censura di cui al quinto motivo, alla luce delle considerazioni appena svolte, risulta - ancor prima che infondata - radicalmente inammissibile per carenza di interesse, come eccepito dall’Amministrazione: i criteri indicati nella circolare riguardano, infatti, ogni settore economico, e non già il solo il settore della produzione della carta. Pertanto, posto che la ricorrente afferma che presso lo stabilimento di Arco non ricorre alcuna delle fattispecie costituente oggetto dei suddetti criteri, così implicitamente dimostra di non avere alcun interesse a contestarne la legittimità.

11. Diverse considerazioni valgono, invece, per il terzo motivo, con il quale viene censurata la prescrizione di inviare la comunicazione della modifica delle materie utilizzate nel ciclo produttivo anche al Comune territorialmente competente.

Preliminarmente giova ribadire che, ai sensi dell’art. 29-quattuordecies, comma 5, del codice dell’ambiente, “Ferma restando l’applicazione del comma 3, nel caso in cui per l’esercizio dell’impianto modificato è necessario l’aggiornamento del provvedimento autorizzativo, colui il quale sottopone una installazione ad una modifica non sostanziale senza aver effettuato le previste comunicazioni o senza avere atteso il termine di cui all’articolo 29-nonies, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 euro a 15.000 euro”. Ciò posto, nonostante l’Amministrazione nella memoria depositata in data 5 marzo 2018 abbia precisato che la comunicazione al Comune non si configura come un vero e proprio obbligo, bensì come un mero onere collaborativo, la ricorrente ha interesse a contestarne la legittimità, in quanto tra “le previste comunicazioni” alle quali si riferisce il predetto art. 29-quattuordecies, comma 5, ben potrebbe essere ricompresa anche quella diretta al Comune, con conseguente applicabilità della sanzione ivi prevista.

Nel merito la censura risulta fondata. Pur essendo apprezzabile il dichiarato intento dell’Amministrazione di garantire la trasparenza, la celerità e la ragionevole prevedibilità dei processi decisionali del SAVA, tuttavia nella disciplina dell’AIA non si rinvengono ragioni che possano giustificare un aggravamento del procedimento, derivante dalla comunicazione in questione. L’art. 29-nonies, commi 1, del codice individua chiaramente nella “autorità competente” - che nella fattispecie in esame va individuata nel SAVA - il solo soggetto al quale devono essere comunicate le modifiche di cui all’art. 5, comma 1, lettera l), precisando che spetta a tale soggetto stabilire, nel termine di sessanta giorni, se sia necessario o meno procedere all’aggiornamento dell’AIA o delle relative condizioni ovvero, qualora si tratti di modifiche sostanziali ai sensi dell’art. 5, comma 1, lettera l-bis), comunicare al gestore che occorre presentare una nuova domanda di autorizzazione, con conseguente coinvolgimento del Comune nei modi e nei termini previsti, per tali casi, dal codice.

12. Stante quanto precede il ricorso deve essere accolto limitatamente a quest’ultima parte e, per l’effetto, si deve disporre l’annullamento dell’impugnata circolare nella parte relativa all’obbligo del gestore di comunicare al Comune territorialmente competente le nuove materie prime utilizzate nel ciclo produttivo.

13. Tenuto conto dell’esito del giudizio, nonché della novità e della complessità delle questioni trattate, sussistono i presupposti per compensare le spese di lite tra le parti costituite. Nulla si deve disporre con riferimento alle parti non costituite, evocate in giudizio per mero tuziorismo.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino - Alto Adige/Südtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 234/2017 lo accoglie in parte e, per l’effetto, annulla l’impugnata circolare in data 31 agosto 2017 nei limiti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:

Roberta Vigotti, Presidente

Carlo Polidori, Consigliere, Estensore

Antonia Tassinari, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Carlo Polidori        Roberta Vigotti