Cass. Sez. III sent. 46784 del 21 dicembre 2005 (Ud. 5
dicembre 2005)
Pres. Papadia Est. Grassi Imp. Boventi
Caccia e animali – Reato di maltrattamento in ipotesi di uso di richiami vivi
Il reato di maltrattamento di animali ha conservato natura
di illecito penale senza soluzione di continuità anche dopo l’introduzione
nel codice penale dell’articolo 544ter riguardante un delitto per il quale è
richiesto il dolo specifico per i fatti commessi “con crudeltà” ed il dolo
generico per quelli commessi “senza necessità”
Costituisce ipotesi di sevizia configurante maltrattamento l’utilizzazione
come richiamo per la caccia di una cesena viva, imbracata con una cordicella e
costretta mediante strattoni a levarsi in volo per poi ricadere pesantemente al
suolo o su un albero. Una tale utilizzazione di richiamo vivo ancorché non
espressamente vietata dalla legge 157-1992 deve ritenersi illecita
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 05/12/2005
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere - SENTENZA
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 2231
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 17394/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BOVENTI Giuseppe Eugenio, nato a Lumezzane il 17 Aprile 1963;
avverso la sentenza del Tribunale, in composizione monocratica, di Voghera in
data 17/01/2005;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
Udita la relazione fatta dal Cons. Dott. Grassi;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. GERACI V., il quale
ha chiesto il rigetto del ricorso, perché infondato;
Ascoltato l'Avv. ROMAGNOLI M., sostituto processuale dell'Avv. R. Bonari,
difensore del ricorrente;
OSSERVA
Con sentenza del Tribunale, in composizione monocratica, di Voghera datata
17/01/2005, Giuseppe Eugenio Boventi veniva condannato, previo riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di Euro 1.000,00 di ammenda
quale colpevole del reato previsto dall'art. 727 c.p., del quale era chiamato a
rispondere per avere, il 12/01/2003, utilizzato in Borgoratto Mormorolo, al fine
di richiamare a scopo di caccia gli uccelli, una cesena viva legata ad una
cordicella, strattonandola e facendole compiere continui decolli e conseguenti
ricadute.
Affermava, fra l'altro, il Giudice di merito:
- che la responsabilità penale dell'imputato, in ordine al reato ascrittogli,
era in atti provata dalle dichiarazioni del verbalizzante Sergio Carlissi,
agente venatorio, il quale aveva riferito d'aver sorpreso il Boventi in un
capanno da caccia e di avere accertato che lo stesso, al fine di attirare degli
uccelli in volo, dopo avere legato ad una fune una cordicella con la quale aveva
imbracato una cesena viva, dall'interno del detto capanno tirava detta fune così
inducendo l'animale a sollevarsi in volo, per poi subito dopo ricadere, in
quanto trattenuto dal legaccio;
- che tale fatto doveva ritenersi integrare un'ipotesi di sevizia dal momento
che la ripetitività ossessiva di esso aveva sicuramente inciso sull'istinto
naturale del volatile dandogli, dapprima, la sensazione di poter volare e
costringendolo, subito dopo, a ricadere a terra o su un albero.
Avverso tale decisione l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione onde
chiederne l'annullamento per violazione di legge e difetto ed illogicità di
motivazione.
Deduce, in particolare, il ricorrente:
a) che egli sarebbe stato condannato in applicazione di una norma di legge -
l'art. 727 c.p. - che al momento del giudizio era stata abrogata dalla L. 20
luglio, n. 189;
b) che non vi sarebbe continuità normativa fra l'art. 727 c.p., vigente al
momento del fatto e l'art. 544 ter c.p., inserito nel libro secondo del codice
penale dalla citata L. n. 189 del 2004, prevedendo, il primo, una
contravvenzione punibile a titolo di colpa ed, il secondo, un delitto punibile a
titolo di dolo;
c) che, in ogni caso, egli dal fatto ascrittogli avrebbe dovuto essere assolto,
a norma dello art. 51 c.p., avendolo commesso nell'esercizio di attività
venatoria da considerarsi legittima perché la cesena non era legata per le ali,
ma imbracata nel corpo;
d) che la norma di cui all'art. 544 ter c.p., non sarebbe a lui applicabile
perché l'art. 19 ter, delle disposizioni di coordinamento e transitorie del
codice penale prevede che le disposizioni di cui al titolo 9^ bis del libro
secondo del detto codice non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali
in materia di caccia;
e) che il Giudice di merito non avrebbe indicato per quali ragioni la condotta
di esso imputato avrebbe cagionato alla cesena ingiustificate sofferenze.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è destituito di fondamento e, come tale, deve essere rigettato, con
conseguente condanna del ricorrente - a mente dell'art. 616 c.p.p. - al
pagamento delle spese processuali. Il maltrattamento di animali, all'epoca del
fatto ascritto al Boventi previsto come reato dallo art. 727 c.p., ha conservato
carattere di illecito penale, senza soluzioni di continuo, anche dopo la entrata
in vigore della L. 20 luglio 2004, n. 189, la quale ha introdotto,
nell'ordinamento giuridico vigente, l'art. 544 ter c.p.. Ciò non solo per
l'identità della rubrica delle due norme "Maltrattamento di animali", ma
soprattutto perché le condotte punibili, previste, sono rimaste identiche -
sottoposizione a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili
per le caratteristiche etologiche dell'animale" ed analoghe sono le finalità o
modalità di tali condotte "per crudeltà o senza necessità".
Il delitto previsto dall'art. 544 ter c.p., è reato di dolo specifico solo se
commesso "per crudeltà", mentre per esso è sufficiente il dolo generico se posto
in essere "senza necessità". Nella fattispecie in esame il reato è stato
contestato all'imputato come commesso non per crudeltà, ma senza necessità,
sicché per la configurabilità di esso è sufficiente l'avere accertato che la
relativa condotta fu posta in essere con coscienza e volontà, ritenute esistenti
dai Giudici di merito, visto che consapevolmente il Boventi aveva legato ad una
fune una cesena viva, strattonandola, facendola alzare in volo e ricadere su un
albero, al fine di richiamare gli uccelli in volo.
Premessa, dunque, la illiceità penale del fatto anche sotto l'imperio della
nuova normativa (art. 544 ter c.p.), la legge da applicare al caso concreto,
anche ai fini dell'individuazione del trattamento sanzionatorio, è stata
legittimamente ritenuta essere quella dell'art. 727 c.p., vigente all'epoca del
fatto, in quanto certamente più favorevole all'imputato.
La circostanza che il Giudice di merito non abbia esplicato, nella motivazione
della decisione impugnata, lo "iter" logico testè evidenziato non è causa di
annullamento della sentenza, stante la correttezza giuridica della soluzione
adottata.
L'esimente dell'esercizio di un diritto, invocata dal ricorrente, non è
applicabile alla fattispecie in esame.
Invero, la L. 11 febbraio 1992, n. 157, consente l'uso, a scopo venatorio, di
richiami vivi, ma vieta che ad esseri viventi dotati di sensibilità
psico-fisica, quali sono gli uccelli, siano arrecate ingiustificate sofferenze,
con offesa al comune sentimento di pietà verso gli animali ed, a tal fine,
elenca - con carattere meramente esemplificativo - dei comportamenti da
considerarsi vietati, ma non legittima l'uso di richiami vivi con modalità
parimenti offensive. Detta legge, infatti, non esaurisce la tutela della fauna
in quanto limiti alle pratiche venatorie sono posti anche dal previgente art.
727 c.p. e dall'attuale art. 544 ter c.p., i quali hanno ampliato la sfera della
menzionata tutela attraverso il divieto di condotte atte a procurare agli
animali strazio, sevizie o, comunque, detenzione attraverso modalità
incompatibili con la loro natura. Da ciò deriva che la legittimità delle
pratiche venatorie consentite sulla base della L. n. 157 del 1992 deve essere
verificata anche alla luce delle norme del codice penale su richiamate (v. conf.
Cass. sez. 3^ pen, 25/06/1999, n. 8890; 19/05/1998, n. 5868 e 20/05/1997, n.
4703).
In virtù di tale principio di diritto, l'uso di richiami vivi deve ritenersi
vietato non solo nelle ipotesi previste espressamente dalla L. n. 157 del 1992,
art. 21, comma 1, lett. r), ma anche quando viene attuato con modalità
incompatibili con la natura dell'animale e non v'è dubbio che imbracare un
volatile, legarlo da una fune, strattonarlo ed indurlo a levarsi in volo, per
poi ricadere pesantemente a terra o su un albero, significa sottoporre lo
stesso, senza necessità, a comportamenti e fatiche insopportabili e non
compatibili con la natura ecologica di esso.
Per l'applicabilità dell'esimente di cui all'art. 51 c.p., non è sufficiente che
l'ordinamento attribuisca allo agente un diritto, ma è necessario che ne
consenta l'esercizio proprio con l'attività e le modalità che, per altri,
costituirebbero reato, sicché essa non ricorre nel caso in cui la pratica
venatoria, pur essendo consentita, sottopone l'animale - per le concrete
modalità della sua attuazione - a sofferenze non giustificate dall'esigenza
della caccia (v. conf. Cass. sez. 3^ pen., 95/203300 e sez. 5^ pen., 90/183403).
Vero è che l'art. 19 ter Disp. Trans. c.p., introdotto dalla L. n. 189 del 2004,
art. 3, stabilisce che "le disposizioni del titolo 9^ bis del libro 2^ del
codice penale - fra cui rientra l'art. 544 ter c.p. - non si applicano ai casi
previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, ...", ma è anche vero che,
come sopra evidenziato, l'uso a scopo venatorio di richiami vivi con modalità
che, se anche non vietate espressamente dalla L. n. 157 del 1992, debbono
ritenersi illecite, non costituisce alcun dei casi previsti dalla legge speciale
in materia.
L'uso della cesena, a fini di richiamo vivo di altri uccelli, con le modalità
attuate dal Boventi, ha comportato all'animale sofferenze non compatibili con la
natura etologica di esso, ben evidenziate nella motivazione della decisione
impugnata e che non avevano bisogno di essere ulteriormente esplicitate dal
Giudice di merito, essendo insite nel fatto che il volatile era stato
innaturalmente costretto a levarsi ripetute volte in volo ed a ricadere
pesantemente a terra o su un albero.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso proposto da Giuseppe Eugenio Boventi avverso la sentenza del
Tribunale, in composizione monocratica, di Voghera, datata 17/01/2005 e condanna
il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2005