Cass. Sez. III n. 19423 del 9 maggio 2023 (CC 9 gen 2023)
Pres. Rosi Rel. Gentili Ric. Marzano
Urbanistica.Regioni a statuto speciale e sanatoria

Anche per le regioni a statuto speciale (come la la Regione Sardegna), dotate di particolare autonomia legislativa in tema di edilizia ed urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi. Deve, pertanto, escludersi che sia consentito, per effetto della legislazione locale, nel territorio delle Regione Sardegna ciò che permesso non è sull’intero restante territorio nazionale, cioè che la sanatoria ex art. 36 del dPR n. 380 del 2001 sia soggetta a legittimo rilascio anche in relazione ad opere che - non soltanto non risultavano dotate di regolare assenso amministrativo al momento della loro realizzazione, ma - neppure erano originariamente conformi agli strumenti edilizi, divenendo tali solo nel corso del procedimento volto al rilascio della concessione in sanatoria.

RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Sassari, agendo in qualità di giudice dell’appello cautelare, ha rigettato la impugnazione che era stata proposta da Marzano Vittorio e da Marzano Loredana, indagati in ordine alla violazione della normativa urbanistica e paesaggistica per avere proceduto, secondo la accusa in assenza di un valido strumento autorizzatorio, alla realizzazione, previo abbattimento di un preesistente edificio, di un nuovo manufatto, avverso il provvedimento con il quale il Gip del Tribunale di Tempio Pausania aveva rigettato, su conforme parere del locale Pm, la istanza di revoca del provvedimento di sequestro preventivo dell’immobile in questione.
Il Tribunale, pur avendo rilevato che doveva intendersi decaduta la provvisoria imputazione avente ad oggetto la commissione del reato paesaggistico per effetto della intervenuta verifica di compatibilità paesaggistica rilasciata in data 29 novembre 2021, ha, tuttavia, osservato che non poteva, viceversa, ritenersi legittima la avvenuta sanatoria ai sensi dell’art. 36 del dPR n. 380 del 2001, in quanto il rilascio del relativo atto non era stato preceduto, ai fini della verifica della originaria conformità agli strumenti urbanistici dell’immobile in questione, frutto della riedificazione di un preesistente edificio oggetto di demolizione quasi integrale, della valutazione di minor impatto ambientale che avrebbe dovuto caratterizzare, per essere legittima, la nuova edificazione, atteso che la stessa, realizzata in fascia costiera ed in zona H (cioè di assoluta inedificabilità), presentava una originaria difformità di sagoma rispetto alla precedente costruzione.
Hanno interposto ricorso per cassazione i due precedenti istanti, deducendo due motivi di impugnazione.
Il primo, riguardante la violazione di legge, per avere il Tribunale ritenuto che la normativa relativa alla necessaria valutazione di impatto ambientale debba riguardare anche le opere di integrale ristrutturazione e non le sole opere del tutto nuove ricadenti entro i 300 metri dal litorale.
La ordinanza impugnata sarebbe, altresì, viziata nella parte in cui in essa è esclusa la legittimità della sanatoria, collegata ad opere di ripristino; operazione che, invece, sarebbe, ad avviso del ricorrente, consentita nella Regione Sardegna.
In ogni caso la valutazione di minor impatto ambientale sarebbe stata implicitamente fatta allorchè era stata imposta agli indagati la modifica della costruzione rispetto a come era stata originariamente realizzata (si tratta della avvenuta rimozione del tetto a falda).
Con il secondo motivo di ricorso è stata censurata la ordinanza per l’omessa motivazione in relazione alla avvenuta cessazione delle irregolarità amministrative connesse all’edificazione che, seppure non avesse cagionato il venire meno della contravvenzione, avrebbe comunque dovuto fare venire meno il sequestro.

CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono risultati infondati e, pertanto, gli stessi debbono essere rigettati.
Con riferimento al primo motivo di impugnazione, con il quale la ricorrente difesa lamenta la violazione dell’art. 36 del dPR n. 380 del 2001, per non essere stata presa in considerazione la sanatoria edilizia emessa dal Comune Olbia ai sensi del combinato disposto degli artt. 16 della legge della Regione Sardegna n. 23 del 1985 e 36 del dPR n. 380 del 2001, si osserva che tali disposizioni, la cui concreta applicazione è soggetta al sindacato del giudice penale ai fini della estinzione del reato urbanistico (e, pertanto, anche ai fini della valutazione, rilevante nella presente fase procedimentale, della ricorrenza del fumus delicti), presuppongono, ai fini del rilascio della autorizzazione in sanatoria, che l’opera realizzata sia caratterizzata dalla cosiddetta “doppia conforme”, cioè alla conformità agli strumenti edilizi vigenti del manufatto edificato sia al momento della sua realizzazione sia al momento in cui la autorizzazione, postumamente richiesta, venga rilasciata (in tale senso, cfr.: Corte di cassazione, Sezione III penale, 12 novembre 2019, n. 45845).
Nel caso di specie siffatta situazione non è stata considerata ravvisabile, tanto che, come evidenziato nella ordinanza impugnata, l’autorizzazione in sanatoria era stata subordinata alla esecuzione di taluni interventi atti ad, apparentemente, ricondurre a legittimità le opere; una tale operazione è, però, fonte di vizio del provvedimento autorizzatorio, come segnalato dalla costante giurisprudenza di questa Corte, la quale ha evidenziato come sia illegittimo, e non tale da determina l'estinzione del reato edilizio di cui all'art. 44, lett. b), del dPR n. 380 del 2001, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica (Corte di cassazione, Sezione III penale 15 ottobre 2020, n. 28666).
Né vale sostenere, come invece ritenuto dalla difesa dei ricorrenti, che un tale principio non sarebbe applicabile sul territorio della Regione Sarda, trattandosi di Regione a statuto speciale, dotata di un particolare autonomia legislativa in tema di edilizia ed urbanistica; infatti, anche per tal genere di Regioni la giurisprudenza di questa Corte di è espressa nel senso che in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (fra le altre: Corte di cassazione, Sezione feriale, 12 ottobre 2018, n. 46500; Corte di cassazione, Sezione III penale, 20 giugno 2017, n. 30657).
Deve, pertanto, escludersi che, come invece fallacemente postulato dalla ricorrente difesa, sia consentito, per effetto della legislazione locale, nel territorio delle Regione Sardegna ciò che permesso non è sull’intero restante territorio nazionale, cioè che la sanatoria ex art. 36 del dPR n. 380 del 2001 sia soggetta a legittimo rilascio anche in relazione ad opere che - non soltanto non risultavano dotate di regolare assenso amministrativo al momento della loro realizzazione, ma - neppure erano originariamente conformi agli strumenti edilizi, divenendo tali solo nel corso del procedimento volto al rilascio della concessione in sanatoria.
Al rigetto del primo motivo di impugnazione fa seguito, per logica conseguenza, anche la inammissibilità, per la sua manifesta infondatezza, del secondo motivo.
Questo, infatti, poggia le sue basi sulla esistenza di un provvedimento di sanatoria edilizia che, come detto, non appare, quanto meno in relazione agli ambiti conoscitivi propri della presente fase cautelare, dotato di alcuna efficacia scriminante della condotta dei ricorrenti proprio perché privo di legittimità – valutata incidentalmente nel procedimento ora in esame dal giudice penale - sotto il profilo della azione amministrativa con esso esercitata in evidente violazione di legge.
Al rigetto del ricorso fa seguito, visto l’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei due ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

PQM
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
      Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2023