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Cass. Sez. III sent.. 41598 del 18-11-2005 (ud. 27 ottobre 2005)

Pres. Postiglione Est. Fiale Ric. P.M. in proc. Vodafone

Inquinamento elettromagnetico – Impianti di telefonia cellulare e Codice delle comunicazioni elettroniche

Il provvedimento autorizzatorio e la procedura di denuncia dell’attività previsti dall’articolo 87 del D.Lv. 259-2003, hanno come contenuto imprescindibile anche la verifica della compatibilità urbanistico-edilizia dell’intervento e non è richiesta, pertanto, la necessità di un distinto titolo abilitativo a fini edilizi. Non risulta influenzato, in ogni caso, il regime sanzionatoria penale di cui all’articolo 44 del T.U. 380-2001 e le infrastrutture di comunicazione elettronica specificate al comma 1 dell’articolo 87 del D.Lv. 259-2003 restano sottoposte, pur sempre, alle sanzioni penali specifiche delle opere soggette a permesso di costruire.

I c.d. impianti mobili per telefonia cellulare non presentano alcun carattere di precarietà in quanto escluso dalle caratteristiche oggettive dell’impianto e dalla non contingenza della funzione, correlata alla soddisfazione di un bisogno permanente e non temporaneo

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Svolgimento del processo

La Giunta comunale di Civitella del Tronto - con delibera del 24 febbraio 2005 - autorizzava la "Vodafone Omnitel N.V." all'installazione di un impianto radio base di telefonia mobile in località Cimitero del Convento di S. Maria dei Lumi, concedendo l'area in oggetto per un periodo di "sei mesi rinnovabili per una sola volta e per uguale periodo".

La società "Vodafone", in data 14 marzo 2005, trasmetteva al Comune il progetto riportante le caratteristiche tecniche dell'intervento in oggetto che prevedeva: la collocazione di un carrello su ruote per il sostegno e l'allocazione dell'antenna e degli apparati di trasmissione, previo consolidamento della porzione di terreno (per un'area totale di 36 mq.) sulla quale posizionare la stazione mediante "spianamento e reinterro con misto cava"; la "posa di una platea prefabbricata"; la "realizzazione di una recinzione removibile per la protezione e la messa in sicurezza del carrello" e, infine, la "realizzazione di linea elettrica in cavidotto interrato".

La medesima società comunicava, quindi, al Comune l'inizio dei lavori ma l'ufficio tecnico comunale "diffidava" la stessa ad eseguirli "in attesa della definizione della richiesta di autorizzazione".

In data 13 aprile 2005 il G.I.P. del Tribunale di Teramo sottoponeva l'impianto a sequestro preventivo, ipotizzando le violazioni:

- dell’art. 44, lett. c), del D.P.R. n. 380/2001, per la mancanza del permesso di costruire;

- dell'art. 181 D.Lgs. n. 42/2004, per la mancanza dell'autorizzazione paesaggistica, in quanto l'impianto sarebbe stato realizzato in zona sottoposta a vincolo storico, artistico ed archeologico.

La società "Vodafone" proponeva istanza di riesame, deducendo la legittimità della installazione della stazione radio base per essere state rispettate le norme regolanti la materia come rinvenibili nel D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259 e nell'art. 15 della legge della Regione Abruzzo 13 dicembre 2004, n. 45.

Secondo l'assunto della società:

- la realizzazione di torri, di tralicci, di impianti radio trasmittenti, di ripetitori di servizi di comunicazione elettronica e di stazioni radio base, essendo disciplinata dal D.Lgs. n. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), deve ritenersi sottratta alla disciplina posta dal T.U. dell'edilizia (n. 380/2001), ponendosi il Codice delle comunicazioni elettroniche in rapporto di specialità con detto testo unico;

- l'art. 15 della legge della Regione Abruzzo 13 dicembre 2004, n. 45 (Norme per la tutela della salute e la salvaguardia dell'ambiente dall'inquinamento elettromagnetico) prevede, inoltre, un procedimento amministrativo ancora più semplificato, stabilendo, per l'installazione degli impianti mobili di telefonia mobile, la “mera comunicazione” al Comune, 45 giorni prima della loro collocazione, corredata dal parere favorevole dell'ARTA (Agenzia regionale per la tutela dell'ambiente) e dell'ASL".

Il Tribunale di Teramo, con ordinanza del 12 maggio 2005, accoglieva l'istanza di riesame ed annullava il decreto di sequestro preventivo, ritenendo insussistenti gli elementi indiziali evidenziati dal G.I.P. "non solo in relazione alla possibile diversa lettura che nello specifico è stata data al quadro normativo in esame anche dalla giurisprudenza amministrativa del Consiglio di Stato più recente (vedasi sentenza Sez. VI n. 100 del 3 febbraio 2005, che ha ritenuto l'assorbimento delle valutazioni urbanistico-edilizie nel procedimento delineato dall'art. 87 D.Lgs. n. 259/2003) ma soprattutto in relazione alla tipologia dell'impianto".

Secondo lo stesso Tribunale, infatti:

- trattasi di "opera caratterizzata da sicura precarietà, sia in relazione alla sua conformazione (costituita da elementi mobili di facile rimozione, ovvero da un carrello mobile su due ruote su cui è posizionato il palo dell'antenna, carrello ancorato al suolo solo per esigenze di sicurezza) e sia in relazione alla certa temporaneità dell'utilizzo, in quanto autorizzata con delibera di Giunta del 24 febbraio 2005 esclusivamente per la durata di mesi sei";

- l'opera, inoltre, "secondo la documentazione fotografica esibita in sede di riesame, appare ultimata nei suoi elementi essenziali, affettando comunque l'ulteriore presupposto del periculum in mora, non ravvisandosi la possibilità attuale e concreta di ulteriore lesione al bene giuridico, valutata la sua consistenza e l'incidenza dell'eventuale utilizzo sull'assetto territoriale".

Avverso l'anzidetta ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Teramo, il quale ha eccepito:

- l'erronea applicazione del D.Lgs., n. 259/2003 e del T.U. n. 380/2001, prospettando che l'autorizzazione prevista dagli artt. 86 e 87 del D.Lgs. n. 259/2003 non ha efficacia e valenza in materia urbanistica, ambito del tutto distinto in cui continua ad esplicare interamente i suoi effetti la normativa del T.U. n. 380/2001, destinata a preservare e garantire una corretta attività di pianificazione, gestione e controllo del territorio da parte degli enti locali preposti;

- l’erronea attribuzione del carattere di precarietà all'intervento in oggetto, anche per il travisamento dei suoi elementi oggettivi;

- l'erronea valutazione dell'avvenuta ultimazione dell'opera.

Il difensore della società "Vodafone OmniteJ N.V," ha depositato, in data 21 ottobre 2005, ampia memoria, con annessa documentazione.

Motivi della decisione

Il ricorso del P.M, è fondato e merita accoglimento nei limiti di seguito specificati.

1. La prima questione di diritto sottoposta all'esame del Collegio attiene al rapporto tra le discipline poste:

a) dal D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), che:

- all'art. 87, subordina l'installazione di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS al rilascio di apposita autorizzazione dell'ente locale territorialmente interessato;

- all'art. 86, comma 3, assimila "le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione di cui agli artt. 87 e 88 ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria", prevedendo che "ad esse si applica la normativa vigente in materia";

b) dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico dell'edilizia), che, all'art. 3, lett. e), ricomprende espressamente tra gli "interventi di nuova costruzione*', come tali assoggettati a permesso di costruire ai sensi del successivo art. 10, "gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal Comune" (e. 2), nonché l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione" (e. 4)

Deve valutarsi, in particolare, se l'autorizzazione prescritta dal Codice delle comunicazioni sia sufficiente a consentire, anche sotto il profilo urbanistico-edilizio, l'installazione di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili, ovvero sussista la necessità di autonomo titolo abitativo, secondo le procedure previste e disciplinate dal T.U. n. 380/2001.

2. Sulla questione - che coinvolge problematiche che attengono sia all'assetto ed allo sviluppo del territorio sia a fattori di inquinamento ambientale riflettentisi sulla salvaguardia della salute e dell'integrità fisica dei cittadini - sono state formulate, in giurisprudenza ed in dottrina, tesi contrapposte.

La materia è stata in precedenza disciplinata dal D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198 (c.d. decreto Gasparri), il cui art. 3 conteneva una "clausola di esclusività” laddove stabiliva, al 1° comma, che “le categorie di infrastrutture di comunicazioni sono opere realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite dal presente decreto".

La stessa norma, del resto, stabiliva (al comma 2) che le installazioni in questione dovessero ritenersi "compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica" (sicché non si poneva la necessità di alcuna verifica in concreto della compatibilità) e fossero realizzabili anche "in deroga" agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione regolamentare, con eccezione prevista solo per alcuni manufatti di particolare consistenza, quali torri e tralicci, relativi alle reti di televisione digitale terrestre.

Questa Corte Suprema, pertanto, aveva affermato che, dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 198/2002, l'installazione di impianti per telefonia cellulare non necessitava più della preventiva concessione edilizia (così Cass. Sez. III; 29 aprile 2003, n. 19795, P.M. in proc. Minervini, 6 maggio 2003, n. 20218, Cassisa).

La Corte Costituzionale , però, con la sentenza n. 303 dell’1 ottobre 2003, ha dichiarato l'incostituzionalità del D.Lgs. n. 198/2002, per eccesso di delega in rapporto alla legge n. 443/2001.

Lo stesso Giudice delle leggi, inoltre, con la sentenza n. 307 del 7 ottobre 2003, ha ribadito i parametri del riparto delle competenze operanti nella disciplina del settore, rilevando che rientra nella competenza esclusiva dello Stato la determinazione degli standards di protezione dall'inquinamento elettromagnetico, sotto il profilo della determinazione di valori-soglia non derogabili dalle Regioni, mentre è materia di legislazione concorrente il trasporto dell'energia e l'ordinamento della comunicazione. E' rimessa, infine, alle Regioni ed agli enti territoriali minori la localizzazione degli impianti, come questione attinente alla disciplina d'uso del territorio, purché le relative previsioni di pianificazione non siano tali "da impedire o da ostacolare ingiustificatamente l'insediamento degli impianti stessi".

Deve altresì ricordarsi, in proposito, che la legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) affida agli enti locali minori la determinazione di criteri di localizzazione ottimale degli impianti in oggetto, con finalità di massima restrizione dell'inquinamento elettromagnetico ma anche di "corretto insediamento urbanistico e territoriale" degli impianti stessi.

E' intervenuto, quindi, il D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche) che – all’art. 97 - prevede il rilascio di un'autorizzazione unitaria da parte dell'ente comunale con l'intervento, pero, anche delle Amministrazioni portatrici degli altri interessi pubblici coinvolti.

2.1. Secondo un orientamento interpretativo (condiviso dal Tar Veneto, sez. II 8 gennaio 2004, n. 1), anche a fronte delle disposizioni introdotte dal Codice delle comunicazioni elettroniche, persisterebbe la necessità di un distinto ed autonomo titolo abilitativo edilizio e ciò essenzialmente perché:

- l'art. 86 del D.Lgs n. 259/2003 assimila espressamente (come si è detto dianzi) le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione» di cui ai successivi artt. 87 e 88, alle opere di urbanizzazione primaria alle quali deve applicarsi "la normativa vigente in materia" e, quindi, anche l'art 3 del T.U n. 380/2001;

- lo stesso DLgs. n. 259/2003 (a differenza del D.Lgs. n, 198/2002) non contiene una "clausola di esclusività", rivolta a consentire la realizzabilità delle infrastrutture in esso contemplate sulla sola base delle procedure definite dallo stesso Codice; esso non contiene, inoltre, previsioni modificatrici del T.U, dell'edilizia.

2.2. Esclusa la teoria più radicale, secondo la quale la verifica edilizia dovrebbe considerarsi superflua, stante la mancata menzione espressa dei profili edilizi nel Codice delle comunicazioni, un altro orientamento, assolutamente prevalente nella giurisprudenza amministrativa, riconosce invece (sia pure con argomentazioni non sempre coincidenti) carattere omnicomprensivo all'autorizzazione prevista dal D.Lgs., n. 259/2003, esteso a tutti i profili connessi alla realizzazione ed all'attivazione degli impianti di telefonia cellulare, inclusi quelli urbanistici ed edilizi (vedi, ad esempio, Tar Puglia, Bari, sez. III, 13 maggio 2005, n. 2143; Tar Veneto, sez. II 13 settembre 2004, n. 3295; Tar Veneto, sez. II 30 luglio 2004, n. 2579; Tar Puglia, Bari, sez. III, 22 luglio 2004, n. 3217; Tar Piemonte, sez. I 23 giugno 2004, n. 1176; Tar Lazio, Roma, sez. IIbis, 20 maggio 2004, n. 2794; Tar Lombardia, Milano, sez. I 19 maggio 2004, n. 1353; Tar Campania, Napoli, sez. I, 5 aprile 2004, n. 4043; Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 30 gennaio 2004, n. 169).

3. Tale orientamento - fatto proprio dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con le recenti decisioni 5 agosto 2005, n. 4159, 11 gennaio 2005, n. 100 e 22 ottobre 2004, n. 6910 (dopo le contrarie decisioni 26 settembre 2003, n. 5502 e 18 maggio 2004, n. 3193) - è stato condiviso da Cass., Sez. III, 16 settembre 2005, n. 33735 e viene ribadito da questo Collegio sulla base delle seguenti considerazioni:

3.1 Il procedimento di autorizzazione disciplinato dal D.Lgs. n. 259/2003 risulta finalizzato all’esigenza di semplificazione e concentrazione dei procedimenti amministrativi, per la salvaguardia della tempestività degli stessi, in attuazione dei principi comunitari imposti dalle direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE e 2002/22/CE, recepite e ribadite nell'ordinamento italiano dall'art. 41 della legge 1 ottobre 2002, n. 166, che è la legge delega in base alla quale è stato emanato il D.Lgs. n. 259/2003.

Detto art. 41 richiama espressamente, ove compatibili, anche "i principi della legge 21 dicembre 2001, n. 443", tra i quali è ricompresa la "definizione delle procedure da seguire in sostituzione di quelle previste per il rilascio dei provvedimenti concessori o autorizzatori di ogni specie".

Tutti i principi anzidetti ed i criteri di delega fissati dalla legge n. 16672002 (previsione di procedure tempestive per la concessione del diritto di installazione, riduzione dei termini per la conclusione dei relativi procedimenti amministrativi; regolazione uniforme dei medesimi procedimenti) - ribaditi dall'art. 4 del D.Lgs n. 259/2003 - resterebbero vanificati qualora al procedimento di autorizzazione disciplinato dal D.Lgs. n. 259/2003 dovesse aggiungersi quello previsto dal T.U. dell'edilizia, peraltro non coordinato sotto il profilo temporale.

3.2 La procedura delineata dall’art. 87 del D.Lgs. n. 259/2003 ben si concilia con la valutazione anche della compatibilità urbanistico-edilizia dell'intervento, in quanto:

- può essere finalizzata ad approfondire tali aspetti la previsione del 5° comma, secondo la quale il responsabile del procedimento può richiedere, per una sola volta, entro 15 giorni dalla ricezione dell'istanza, l'integrazione della documentazione prodotta;

- i commi 6 e 7 prevedono il ricorso ad una "conferenza di servizi che deve essere convocata dal responsabile del procedimento in caso di motivato dissenso espresso da un'Amministrazione interessata e l'approvazione intervenuta all'esito della conferenza, adottata a maggioranza dei presenti, "sostituisce ad ogni effetto gli atti di competenza delle singole Amministrazioni e vale altresì come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori".

L'individuazione di un'autorizzazione unitaria, rilasciata dal Comune con l'intervento delle Amministrazioni portatrici degli altri interessi pubblici coinvolti, porta razionalmente a ritenere che nel procedimento di autorizzazione debbano confluire tutti i procedimenti, in precedenza autonomi, necessari per la compiuta valutazione degli interessi sottesi all'atto che autorizza già la "installazione", e non la sola attivazione, dell'impianto (una particolare disciplina è comunque prevista nel caso di motivato dissenso espresso da un'Amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico).

Le singole valutazioni, che in precedenza erano autonome, non sono eliminate ma unificate sul piano procedimentale e di esse deve essere dato conto in sede di motivazione del provvedimento finale.

Giova evidenziare, inoltre, che il comma 10 dell'art. 87 del D Lgs n, 259/2003 dispone che "le opere debbono essere realizzate, a pena di decadenza, nel termine perentorio di dodici mesi dalla ricezione del provvedimento autorizzatorio espresso ovvero dalla formazione del silenzio assenso".

Tale disposizione risulterebbe del tutto incompatibile con l’affermazione della necessità del permesso di costruire, che potrebbe intervenire in un tempo successivo ed al quale la legge (art. 15 del T.U. n. 380/2001) connette la previsione di un termine diverso per la conclusione dei lavori.

Deve ancora precisarsi che la denunzia di inizio dell'attività, prevista dall'art. 87, 3° comma - ultima parte, del D.Lgs. n. 259/2003 per la realizzazione di impianti "con potenza in singola antenna uguale od inferiore ai 20 Watt", non è quella disciplinata dagli artt. 22 e 23 del T.U. n. 380/2001, ma va ricondotta al modello generale di cui all'art. 19 della legge n. 241/1990, come modificato, da ultimo, dall'art. 3, comma 1, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella legge 14 maggio 2005, n. 80.

Nel relativo procedimento, tuttavia, dovranno essere pur sempre valutati i profili urbanistico-edilizi del realizzando intervento.

3.3 In una situazione siffatta non può riconoscersi, allora, rilevanza assorbente alla mancata riproduzione, nel testo del D.Lgs. n. 259/2003, di una "clausola di esclusività".

E' vero, altresì, che l’art 41, comma 2, lett. d) della legge delega n. 166/2002 impone formalmente la "abrogazione espressa" di tutte le norme incompatibili.

L'art. 87 del D.Lgs. n. 259/2003, però, non esclude che gli impianti in esso previsti debbano considerarsi "nuova costruzione", ai sensi dell'art, 3 (lettere e.2 ed e.4) del TU, n. 380/2001 e pone una deroga esclusivamente procedimentale alle generali previsioni dell'art. 10 dello stesso T.U., in quanto non mette in discussione la necessità di una valutazione dell'intervento alla stregua della vigente normativa urbanistico-edilizia e delle prescrizioni degli strumenti di pianificazione.

3.4 Non appaiono così violati i principi fondamentali in materia urbanistico-edilizia secondo i quali (vedi la sentenza n. 303/2003 della Corte Costituzionale):

- la legislazione regionale e le funzioni amministrative, in detta materia, non devono risultare inutilmente gravose per gli amministrati e devono essere dirette a semplificare le procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica Amministrazione;

- nella disciplina dei titoli abilitativi per l'edificazione deve ritenersi necessaria la compresenza di titoli abilitativi preventivi ed espressi (la concessione, il permesso di costruire, l'autorizzazione) e di procedure di semplificazione, quale è la D.I .A. (configurata quest'ultima come mera denuncia legittimante per interventi edilizi puntualmente identificati dalla legge), libero il legislatore regionale di ampliarne o ridurne l'ambito applicativo.

Né la sostituibilità del permesso di costruire con la decisione finale assunta in sede di conferenza di servizi è principio nuovo nel nostro ordinamento, allorché si consideri che il 9° comma dell'art. 14 ter della legge n. 241/1990, dopo le modifiche apportate dalla legge n. 340/2000, disponeva espressamente - con previsione generale - che "il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva favorevole della conferenza di servizi sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione, nulla-osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare, alla predetta conferenza". [La disposizione, attualmente, dopo le più recenti modifiche apportate dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, è formulata nel senso che "il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6 bis, sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla-osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza"].

Le relative previsioni del D.Lgs. n. 259/2003, comunque, sono state ritenute legittime dalla Corte Costituzionale - con la sentenza n. 336 del 14-27 luglio 2005 - in quanto "espressione di un principio fondamentale della legislazione".

Anche quanto alla previsione dell'assentimento per silenzio, di cui al comma 9 dell'art. 87 (ed al comma 7 dell'art. 88) del D.Lgs. n. 259/2003, infine, la Corte Costituzionale - con la citata sentenza n. 336 del 2005 - ha rilevato che essa costituisce "espressione di principi fondamentali”, in considerazione della "pluralità delle esigenze e dei valori dì rilevanza costituzionale sottesi alle materie nel cui ambito rientrano le disposizioni censurate, in una con la finalità complessiva di garantire un rapido sviluppo dell'intero sistema delle comunicazioni elettroniche secondo i dettami sanciti a livello comunitario".

4. Deve riaffermarsi, allora, il principio già enunciato da questa Sezione con la sentenza 16 settembre 2005, n. 33735, secondo il quale il provvedimento autorizzatorio e la procedura di denunzia di inizio dell'attività previsti dall'art. 87 del D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, per l'autorizzazione all'installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici, hanno come contenuto imprescindibile anche la verifica della compatibilità urbanistico-edilizia dell'intervento e non è richiesta, pertanto, la necessità di un distinto titolo abilitativi a fini edilizi.

Alla stregua del principio appena enunciato la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha presentato, in data 4 maggio 2005, ricorso nei confronti della Regione Veneto, per la dichiarazione (tra l'altro) dell'illegittimità costituzionale dell'art. 14 della legge regionale n. 8 del 25 febbraio 2005, che disciplina il procedimento di autorizzazione all'installazione, modifica ed adeguamento degli impianti di telefonia mobile, prevedendo che, per l'autorizzazione di detti impianti, il richiedente debba aggiungere al provvedimento previsto dall'art. 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche anche l'ulteriore rilascio del permesso di costruire ai sensi degli artt. 3 e 10 del T.U. dell'edilizia.

Secondo la Presidenza del Consiglio tale disposizione» determinando un aggravio delle procedure per l'installazione dei citati impianti fissi di telefonia mobile, si pone in contrasto con i principi fondamentali in materia di "ordinamento della comunicazione", in violazione dell'art. 117, comma 3, della Costituzione, dovendo considerarsi principi fondamentali di tale materia, come tali vincolanti la potestà legislativa regionale, le norme contenute nell'art. 41 della legge delega n. 166/2002 e nell'art. 4 dello stesso Codice delle comunicazioni, che promuovono la semplificazione e la tempestività dei provvedimenti autorizzatori e considerato anche che la disciplina delle comunicazioni avrebbe assorbito a tutti gli effetti la precedente disciplina edilizia interferente sulla materia (art. 3, comma 1, lett. e) del T.U. sull'edilizia).

5. Non resta influenzato, in ogni caso, il regime sanzionatorio penale di cui all’art. 44 del T.U. n. 380/2001 e le infrastrutture di comunicazione elettronica specificate al comma 1 dell'art. 87 del D.Lgs. n, 259/2003 restano sottoposte, pur sempre, alle sanzioni penali specifiche delle opere soggette a permesso di costruire.

Le disposizioni dell'art. 44 del T.U. n. 380/2001 si applicano altresì agli impianti "con potenza in singola antenna uguale od inferiore ai 20 Watt" (di cui al comma 3, ultima parte, del medesimo art. 87) - suscettibili di realizzazione mediante denunzia di inizio attività ai sensi dell'art. 19 della legge n. 241/1990, come successivamente modificato - allorché questi siano eseguiti in assenza o in difformità dalla denunzia medesima.

Il mutamento della disciplina per l'abilitazione all'intervento edilizio non incide, infatti, sulla disciplina sanzionatoria penale, che non viene correlata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla consistenza concreta dell'intervento.

6. Non trova applicazione, nella specie, l'art. 15 della legge della Regione Abruzzo 13 dicembre 2004, n. 45, poiché tale norma introduce una disciplina ulteriormente semplificata per i soli "impianti mobili" di telefonia mobile, prevedendo (al 1° comma) che la collocazione di tali impianti possa avvenire previa mera comunicazione al Comune, da effettuarsi 45 giorni prima (con la possibilità, per il Comune stesso, di chiedere al gestore una diversa collocazione nei successivi 30 giorni dalla comunicazione).

La vicenda che ci occupa, invece, non è caratterizzata dalla collocazione di un impianto mobile, essendo state effettuate - secondo la prospettazione accusatoria - opere di: sbancamento del terreno; costruzione di una piattaforma in cemento ed acciaio avente dimensioni di circa mt 6x8, posizionata nell'area dello sbancamento riempita con misto di cava; realizzazione di pozzetti prefabbricati per il passaggio dei cavi all'interno del anzidetto basamento, utilizzato quale supporto del quadro elettrico; fissazione sullo stesso basamento dello shelter, montato su carrello con ruote, e del palo porta-antenna, avente un'altezza di oltre 20 metri .

Opere siffatte integrano ad evidenza la realizzazione di un "impianto fisso", da autorizzarsi secondo i principi fissati dall'art. 87 del D.Lgs. n. 259/2003, come specificati dagli artt. 9 e 11 (non dall'art. 15) della legge n. 45/2004 della Regione Abruzzo.

7. Fondata è la doglianza svolta dal P.M. circa l'erronea attribuzione del carattere della precarietà all'impianto in oggetto.

La natura "precaria" di un manufatto, invero - secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema (vedi Cass., Sez. III: 12 luglio 1995, ric. Bottai; 2 luglio 1996, ric. De Marco; 4 ottobre 1996, ric. Di Meo; 28 gennaio 1997, ric. Arcucci; 18 febbraio 1999, ric. Bortolotti) - ai fini dell'esenzione dalla concessione edilizia (oggi permesso di costruire), non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati od tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, dovendo prescindersi dalle caratteristiche costruttive del manufatto e dai materiali utilizzati e non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e non infisso al suolo.

La stabilità non va confusa con l'inamovibilità della struttura o con la perpetuità della funzione ad essa assegnata dal costruttore, ma si estrinseca nell'aggettiva destinazione dell'opera a soddisfare un bisogno non provvisorio, cioè non temporaneo né contingente (vedi Cass. Sez. III: 10 dicembre 2002, Gro, 13 novembre 2002, Colao; 13 novembre 2002, Minervini).

Nella fattispecie in esame ogni carattere di precarietà, nel senso dianzi precisato, resta escluso dalle caratteristiche oggettive dell'impianto (dianzi descritte) e dalla non­contingenza della funzione, correlata alla soddisfazione di un bisogno permanente e non temporaneo.

8. Nessun riferimento contiene, infine, l'ordinanza impugnata in ordine all'ipotizzato reato di cui all'art. 181 del D.Lgs. n. 42/2004.

In proposito, invece, deve rilevarsi che, quanto alla necessità della valutazione anche dei profili paesaggistici (ove la relativa autorizzazione sia dovuta ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004) - in relazione ai provvedimenti autorizzatori ed alla procedura di denunzia di inizio dell'attività previsti dall'art. 87 del D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259 - valgono le considerazioni già svolte per i profili di tutela urbanistica del territorio ed il comma 8 dell'art. 87 del D.Lgs. n. 259/2003 prevede un meccanismo di operatività della conferenza di servizi nel caso di dissenso espresso da un'Amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico, con il coinvolgimento (dopo le modifiche apportate all'art. 14 quater della legge n. 241/1990 dall'art. 11 della legge n. 15/2005) della Conferenza Stato-Regioni nel caso in cui il dissenso verta tra un'Amministrazione statale ed una Amministrazione regionale.

9. L 'ordinanza medesima, conseguentemente, per tutte le argomentazioni dianzi svolte, deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Teramo, il quale, nella nuova deliberazione, si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati ed in particolare - escluso ogni profilo di "mobilità" e di "precarietà" dell'impianto in oggetto - valuterà:

- le effettive caratteristiche tecniche dell'impianto medesimo, anche al fine di riscontrare se esso abbia potenza inferiore ai 20 Watt;

- la sussistenza del fumus di entrambi i reati ipotizzati (quello urbanistico e quello paesaggistico);

- se l'autorizzazione in data 24 febbraio 2005 dalla Giunta comunale di Civitella di Tronto, sia stata rilasciata nel rispetto dell'art. 87 del D.Lgs. n. 259/2003 e degli artt. 9 e 11 della legge n. 45/2004 della Regione Abruzzo, nonché possa considerarsi "estesa a tutti i profili connessi alla realizzazione ed all'attivazione degli impianti di telefonia cellulare, inclusi quelli paesaggistici, urbanistici ed edilizi”;

- se, in relazione allo stato effettivo delle opere all'epoca dell'esecuzione del sequestro, sussistano esigenze di cautela (periculum in mora) correlate ad entrambi i reati ipotizzati ed ai diversi beni giuridici tutelati.