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La scomoda eredità dell’atomo
di Stefano Ciafani

tratto da Rifiuti Oggi, trimestrale di Legambiente, gennaio - febbraio - marzo 2004

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«Il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi si farà a Scanzano Jonico, perché dopo lunghi e rigorosi studi è risultato il miglior sito geologico disponibile sul territorio italiano». «Anzi no, non lo facciamo più in Basilicata ma istituiamo una commissione di esperti che avrà tempo un anno per scegliere dove localizzare la discarica nucleare». Due frasi assolutamente contraddittorie con le quali si è aperta e chiusa momentaneamente la vicenda a dir poco paradossale del deposito nazionale per i rifiuti nucleari. Una scelta che ha scatenato una ribellione popolare, a cui ha partecipato anche Legambiente, che ha di fatto bloccato la Basilicata per diversi giorni. E che ha portato a un repentino quanto inaspettato dietrofront da parte del governo e del commissario incaricato alla scelta del sito, l’ormai noto presidente della Sogin, generale Carlo Jean.

Tutto inizia il 13 novembre 2003, quando il Consiglio dei ministri vara il decreto che indica il comune in provincia di Matera come, per dirla con le parole del Commissario Jean, «la soluzione migliore sulla base delle indicazioni e degli studi degli scienziati» per realizzare la discarica nucleare. Il sito di Scanzano scelto dalla Sogin è in una zona dove nel passato era prevista una miniera per lo sfruttamento di un rilevante giacimento di sale, che poi non è stata mai realizzata perché il progetto fu ritenuto troppo costoso. La lente salina, a circa 800 metri di profondità, è spessa circa 200 metri ed è circondata da strati argillosi impermeabili.

In Basilicata, come del resto in Sardegna qualche mese prima, si scatena immediatamente la sollevazione di tutti: cittadini, agricoltori, operatori turistici, industriali, fino ad arrivare ai politici locali e nazionali di entrambi gli schieramenti. Contemporaneamente alle proteste locali cominciano a sorgere i primi dubbi sulla scelta del sito e sulla tipologia dell’impianto. Tra i dimostranti alcuni ricordavano come nei decenni passati quella zona fosse stata colpita da eventi alluvionali. Altri ricordavano che l'area è a rischio sismico. Altri ancora, tra questi soprattutto gli imprenditori, che erano stati fatti investimenti immobiliari nel turismo proprio in quelle zone. A queste critiche la Sogin replicava rassicurando tutti che il sito è «stato giudicato il più idoneo sulla base della conformazione geologica e delle caratteristiche sismo-tettoniche» e ricordando come l’area «adotta in modo combinato diverse caratteristiche di sicurezza quali quella di un deposito profondo racchiuso da una duplice barriera geologica costituita da una formazione di argilla e da una di salgemma, soluzione analoga a quella già sperimentata nel deposito Wipp nel New Mexico (Usa)».

Alle feroci critiche del popolo della Basilicata nel frattempo si sono sommate anche quelle della comunità scientifica. La prima in ordine di tempo è stata quella di Carlo Rubbia, Nobel per la fisica e presidente dell’Enea, che all’uscita dall’audizione in commissione Ambiente della Camera dei deputati ha sostanzialmente stroncato lo studio della Sogin. «Non esiste oggi la certezza ­– ha affermato Rubbia – che il sito di Scanzano Jonico sia adeguato alla sistemazione definitiva, specialmente dei residui di alta attività e a vita medio lunga». E ancora: «Le attività della Sogin (…) sono state svolte in un arco di tempo che non è confrontabile con quello impiegato in altri paesi per arrivare a conclusioni di tale importanza». E per finire: «La scelta è basata esclusivamente su indagini bibliografiche». Per dirla in breve una bocciatura senza mezzi termini.

Non da meno sono state le parole di Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e di vulcanologia (Ingv): «Nessuno ci ha consultati». Lasciando allibiti tutti gli attori coinvolti nella vicenda considerando che uno dei requisiti dell’area scelta deve essere la bassissima possibilità di un evento sismico e che l’ente preposto al monitoraggio di tali eventi nel nostro Paese è proprio l’Istituto presieduto da Boschi.

Sulla fretta eccessiva della Sogin nella scelta del sito è intervenuto invece Corrado Fidelibus, ricercatore del Politecnico federale di Zurigo, un tecnico meno famoso dei presidenti di Enea e Ingv ma esperto di discariche per rifiuti radioattivi, visto che sta lavorando alla valutazione tecnico scientifica di un deposito di argilla dove la Svizzera vorrebbe realizzare un deposito profondo di rifiuti ad alta attività. In un'intervista rilasciata a www.lanuovaecologia.it nei “giorni caldi” di Scanzano, l’esperto italo-svizzero ricordava come «in Svizzera il processo di individuazione del sito per le scorie ad alta attività è iniziato nel 1978 con indagini scientifiche prima su formazioni granitiche e poi su argillite e a tutt’oggi il processo non può dirsi concluso», aggiungendo inoltre che la decisione del governo in merito non verrà presa prima del 2010. Ribadendo il fatto che oltre a Scanzano non esistono altri progetti del genere al mondo concepiti in così poco tempo e senza indagini dettagliate compiute sul campo (anche le indagini sul sito che ospita il deposito statunitense nel New Mexico sono durate oltre un ventennio). A tal proposito vale la pena ricordare come in Europa i rifiuti a più alto livello di radioattività sono depositati in superficie o in prossimità della superficie, in attesa di una soluzione definitiva, mentre solo la Finlandia e la Svezia hanno avviato programmi per lo stoccaggio definitivo in profondità.

Non sono mancate ovviamente neanche le critiche sul merito, oltre che sul metodo adottato, anche da parte di Legambiente. Basti pensare alla stima fatta sugli 8.000 vagoni ferroviari per i circa 80.000 metri cubi di rifiuti, a bassa, media e alta attività, che percorrono in lungo e largo lo Stivale d’Italia, o alla mancata previsione di un'agenzia nazionale preposta alla custodia tecnica del deposito e alla ricerca applicata nel settore. Senza trascurare il fatto che il sito è solo qualche metro al di sopra il livello marino e questo potrebbe essere un serio problema, visto che l’erosione delle coste potrebbe “portare” tra qualche migliaia di anni il deposito in mezzo al mare, con ovvi problemi di tenuta della lente salina tanto decantata dalla Sogin.

Il 17 dicembre 2004 il Senato ha convertito definitivamente in legge il decreto varato dal Consiglio dei ministri un mese e quattro giorni prima. Dal testo scompare il nome di Scanzano Jonico e si dà mandato a una commissione di 19 esperti (ma non lo erano anche quelli che avevano scelto il piccolo comune della Basilicata?) di scegliere il sito. Inoltre non viene più prevista la sistemazione definitiva delle scorie a media attività (e queste dove rimarranno? Forse nei siti assolutamente fatiscenti dove sono stoccati “provvisoriamente” da quasi vent’anni?) mentre viene ribadita la caratteristica di opera di difesa militare del deposito nazionale, a discapito ovviamente di trasparenza e di partecipazione nella scelta del sito.

Nel frattempo in Europa si fa sempre più strada la soluzione “oltre confine” prospettata da Legambiente per le scorie italiane ad alta attività. In particolar modo dopo l’approvazione dello scorso 13 gennaio da parte del Parlamento europeo del “pacchetto sicurezza nucleare” proposto dalla Commissione Ue, all’interno del quale è contenuta la direttiva sulla gestione delle scorie radioattive (ogni anno nei Paesi dell’Unione europea ne vengono prodotti circa 40mila metri cubi). Secondo questa direttiva infatti è possibile prevedere uno o più siti comuni tra paesi Ue o a paesi extracomunitari, purché siano rispettati gli standard internazionali di sicurezza, e diviene possibile esportare le scorie soprattutto per quegli Stati come l’Italia che non hanno più un programma nucleare e che hanno una quantità assolutamente limitata di rifiuti da smaltire. Ora la parola passa al Consiglio dei ministri dell’energia per la definitiva approvazione della direttiva. Che solleverebbe l’Italia dal peso di quei pochi rifiuti ad alta radioattività lasciati in eredità dai quattro “mostri” nucleari costruiti nel nostro paese.

(Per le informazioni di carattere geologico, idrologico e sismico sul sito di Scanzano ha collaborato Stefano Donati, del Comitato scientifico di Legambiente)