Sez. 3, Sentenza n. 14285 del 10/03/2005 Ud. (dep. 18/04/2005 ) Rv. 231081
Presidente: Teresi A. Estensore: Amoroso G. Relatore: Amoroso G. Imputato: Brizzi. P.M. Passacantando G. (Conf.)
(Rigetta, Trib. Grosseto, 6 Maggio 2004)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Gestione dei rifiuti - Abbandono incontrollato di rifiuti - Ad opera di dipendente di società di capitali - Legale rappresentante - Responsabilità - Culpa in vigilando - Configurabilità.
MASSIMA (Fonte CED Cassazione)
In tema di gestione dei rifiuti, in caso di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti ad opera dei dipendenti di una società di capitale, il legale rappresentante è responsabile, quantomeno per "culpa in vigilando", del reato di cui all'art. 51, comma secondo, del
D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (realizzazione e gestione di discarica abusiva), salva la dimostrazione di una specifica causa di esonero della responsabilità.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 10/03/2005
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - N. 522
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - N. 653/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BRIZZI Andrea, n. Grosseto il 27.11.1956;
avverso sentenza n. 4/444 del Tribunale di Grosseto, deliberata e pubblicata mediante lettura del dispositivo nell'udienza del 6/5/04;
Udita la relazione fatta in Pubblica udienza dal Consigliere Dott. Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. PASSACANTANDO Guglielmo che ha concluso per il rigetto ricorso;
la Corte osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. BRIZZI ANDREA, imputato del reato previsto e punito dall'art. 51, comma 1, d.lgs. n. 22 del 1997 per avere esercitato attività di recupero di rifiuti non pericolosi senza essere in possesso della prescritta autorizzazione rilasciata dalla Amministrazione Provinciale di Grosseto (fatto accertato in Grosseto il 14 settembre 2000) veniva condannato alla pena di euro 1.750,00 di ammenda con sentenza n. 4/444 del Tribunale di Grosseto, deliberata e pubblicata mediante lettura del dispositivo nell'udienza del 6 maggio 2004. Rilevava il tribunale che le prove raccolte in dibattimento avevano permesso di accertare le seguenti circostanze: a) all'interno dell'area detenuta dalla ditta Brizzi Calcestruzzi, alla data del sopralluogo effettuato dall'agente Marino Molinari, risultavano accumulati ingenti quantità di rifiuti (circa 100 metri cubi provenienti da attività di demolizione edile e stradale), che la ditta stessa triturava derivandone materiali da impiegare nella produzione di calcestruzzo; b) Il materiale era costituito da un consistente quantitativo di calcinacci ed altri materiali provenienti da demolizioni edili e stradali effettuate in altri siti, accumulati nell'area della ditta Brizzi; c) L'accumulo dei rifiuti non era affatto autorizzato; infatti, lo stesso imputato Brizzi Andrea, come riferito dall'agente Molinari. aveva avanzato richiesta di autorizzazione per l'attività di recupero dei suddetti rifiuti, ma non aveva ottenuto il provvedimento autorizzatorio. Ha ulteriormente osservato il tribunale che tali circostanze, oltre che dalle testimonianze degli ufficiali che avevano proceduto agli accertamenti, erano state documentate anche dalle rappresentazioni fotografiche eseguite dai suddetti al momento dei sopralluogo. 2. Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione il Brizzi senza articolarlo in distinti motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso, pur non articolato in motivi, contiene comunque tre distinti profili di doglianza, tutti non fondati.
1.1. Il ricorrente innanzi tutto ha dedotto che la sentenza impugnata sarebbe lacunosa e incompleta poiché il Tribunale non avrebbe chiarito l'attività ipoteticamente svolta e la sua riconducibilità a quelle vietate dall'art. 51 d.lgs. n. 22 del 1997.
In realtà la sentenza chiarisce bene quale è stata l'attività contestata ed accertata: ossia l'accumulo, senza autorizzazione, di ingenti quantità di rifiuti (circa 100 metri cubi provenienti da attività di demolizione edile e stradale). A tal proposito è sufficiente ribadire che questa Corte (Cass., Sez. 3, 12 luglio - 8 settembre 2004 n. 36062) ha già affermato che i materiali provenienti da demolizioni edilizie costituiscono rifiuti speciali, a norma dell'art. 2, quarto comma, n. 3 d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915; pertanto la destinazione di un area a centro di raccolta di tali rifiuti e lo scarico ripetuto di essi, senza la prescritta autorizzazione, anche in mancanza di una specifica organizzazione di persone e di mezzi, integra il reato di realizzazione e gestione di una discarica abusiva, previsto dalla fattispecie di cui all'art. 51 d.lgs. n. 22 del 1997, non essendo necessario il dolo specifico del fine di lucro o di guadagno. Cfr. anche Cass., Sez. 3, 27 maggio - 9 luglio 2004, n. 30127, secondo cui i materiali provenienti da demolizione edilizia sono rifiuti speciali non pericolosi e possono essere riutilizzati nello stesso od in diverso ciclo produttivo - ad esempio nelle opere di riempimento - previo preventivo "test di cessione" degli stessi, in conformità al D.M. 5 febbraio 1998, in modo da non recare pregiudizio all'ambiente; in assenza del menzionato test ogni recupero di tali materiali di risulta integra la contravvenzione di cui all'art. 51, comma primo, lett. a) d.lgs. n. 22 del 1997.
1.2. La difesa del ricorrente ha poi dedotto l'inadeguatezza della sentenza impugnata quanto alla riferibilità della condotta contestata all'imputato.
In diritto deve in proposito rilevarsi che - come affermato da questa Corte (Cass., Sez. 3, 26 giugno - 22 ottobre 2003 n. 39949 - il legale rappresentante di una società di capitale è responsabile del reato di cui all'art. 51, comma 2, d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, per avere effettuato il deposito incontrollato di rifiuti di demolizione, atteso che questi risponde, almeno per culpa in vigilando, delle operazioni di gestione dei rifiuti compiute dai dipendenti, salva la dimostrazione di una causa di esonero della responsabilità. Per il resto si tratta di una censura di fatto diretta a contestare una valutazione tipicamente di merito, quale quella fatta dal tribunale di Grosseto. Comunque dalla stessa visura dei registri presso la Camera di commercio, richiamata dalla difesa, risulta che l'imputato è stato consigliere delegato della società dal 6 aprile 1998 al 31 dicembre 2000, periodo questo che comprende quello della condotta come accertata dai giudici di merito.
1.3. Infine il ricorrente ha dedotto che la non punibilità del fatto risulterebbe dalla nuova definizione di rifiuto contenuta nell'art. 14 d.l. n. 138 del 2002, convertito in l. n. 178 del 2002, concernente l'interpretazione autentica della definizione di rifiuto di cui all'art. 6, 1 comma, lett. a), d.lgs. n. 22 del 1997, che comporta l'esclusione della normativa sulla gestione dei rifiuti di tutte le sostanze ed oggetti destinati alle operazioni di smaltimento e recupero non elencate agli allegati B e C del cit. d.lgs. n. 22/97. La censura - in disparte le problematiche di cui alla recente pronuncia della Corte di giustizia CE, 11 novembre 2004, c. 457/02 - è comunque del tutto generica perché richiama l'art. 14 cit. senza riferimenti al caso di specie; ossia non spiega perché nel caso di specie dall'art. 14 conseguirebbe che non si tratti di rifiuti. 3. Pertanto il ricorso rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 marzo 2005.
Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2005