Pres. Postiglione Est. Fiale Ric. Donvito
Rifiuti. Attività organizzate per il traffico illecito e sequestro azienda
Oggetto del sequestro preventivo può essere qualsiasi bene, anche appartenente a persona estranea al reato, purché esso sia, pure indirettamente, collegato al reato medesimo e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze dell\'illecito ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti; ne consegue che è legittimo il sequestro di un\'intera azienda allorché vi siano indizi che anche taluno soltanto dei beni aziendali sia, proprio per la sua collocazione strumentale, in qualche modo utilizzato per la commissione del reato, a nulla rilevando che l\'azienda in questione svolga anche normali attività imprenditoriali (fattispecie in tema di art. 260 D.Lv. 152-06)
Fatto e diritto
Il G.I.P. del Tribunale di Taranto, con decreto del 19 febbraio 2007, disponeva - in relazione ad ipotesi di reato qualificata come attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti ex art. 260 D.Lgs. n. 152/2006 (già art. 53 bis del D.Lgs. n. 22/1997) - il sequestro preventivo degli immobili e dell’intera area siti in Faggiano, via Avogardo, n. 15/17, nella disponibilità della srl “Sct”, legalmente rappresentata da Donvito Domenico.
Secondo la prospettazione accusatoria, nell’impianto della srl “Sct”, priva di titolo autorizzativo alla gestione ed al trattamenti di rifiuti, erano state addotte, a fare data dall’anno 2000 - attraverso l’intermediazione dello stabilimento di Taranto della s.p.a. “Sanac”, diretto da tale Etrusca Alessandro - decine di tonnellate di rifiuti speciali costituiti da “piastre e lance rottamate (contenenti materiale ferroso/metallico e materiale refrattario)”, prodotti dalla s.p.a. Ilva. Tali rifiuti la srl “Sct” faceva oggetto di recupero, con cernita e selezione, per poi smaltire ad altre società i residui privi di evidenti possibilità di riutilizzo.
Il Tribunale di Taranto, con ordinanza del 15 marzo 2007, rigettava l’istanza di riesame proposta nell’interesse del Donvito e, poiché era stata anche richiesta, in via subordinata, “l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di impresa in permanenza del sequestro” oppure “la restituzione di quanto sequestrato previa esecuzione dì specifiche prescrizioni”, rilevava di non essere “nelle condizioni di impartire le necessarie prescrizioni per l’esercizio dell’attività dì impresa nel rispetto di tutti gli obblighi di legge”, soggiungendo che tali richieste ben avrebbero potuto essere rivolte successivamente al G.I.P., “che può avvalersi, a tal fine, del custode già nominato e di altri eventuali ausiliari tecnici, per impartire le opportune prescrizioni”.
Il Donvito, con istanza del 30 marzo 2007, chiedeva quindi il dissequestro, previa eventuale fissazione di prescrizioni ai sensi degli artt. 85 e 104 disp. att. c.p.p. ed eventuale nomina di un soggetto terzo preposto ai controlli, eccependo inoltre che la misura di cautela reale sarebbe stata illegittimamente estesa anche a beni estranei alle violazioni contestate e non legati da un rapporto di pertinenza con il reato.
Il G.I.P. rigettava tale istanza, rilevando che non vi erano elementi di novità tali da consentire il dissequestro e che non vi sarebbe alcuna garanzia che l’azienda rispetti in futuro la normativa in materia di rifiuti, limitandosi ad espletare le lavorazioni consentite dalla legge per le quali è in possesso di autorizzazioni; riteneva poi non accoglibile la richiesta di nomina di un soggetto terzo preposto ai controlli, “dato che si realizzerebbe un’ipotesi di imprenditoria sotto tutela, estranea alla finalità della legge”.
L’indagato proponeva impugnazione, ex art. 322 bis c.p.p., ed il Tribunale di Taranto, con ordinanza del 22 maggio 2007, rigettava l’appello, osservando che esso si sostanziava nella mera e non consentita riproposizione di questioni già sollevate in sede di riesame. In ordine “all’eventuale fissazione di prescrizioni a cui subordinare il sequestro”, ribadiva che, “data la natura incidentale della sua cognizione e l’impossibilità di svolgere attività istruttoria, che richiederebbe tempi incompatibili con la brevità dei termini imposti in materia di impugnazioni dei provvedimenti cautelari, ... [non era nelle condizioni di impartire siffatte prescrizioni, non potendosi avvalere, per le ragioni anzidette, di ausiliari tecnici, né potendo verificare l’osservanza ditali prescrizioni nel corso del tempo”.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso il Donvito, il quale ha eccepito:
- che i rifiuti speciali oggetto di contestazione (ovvero le piastre e lance rottamate) non erano più nella disponibilità della srl “Sct” a partire dal 17 marzo 2006, data in cui essi erano stati sottoposti a sequestro probatorio dalla Guardia di Finanza, sicché la misura cautelare successivamente applicata (dell’impianto, dell’area, degli uffici, delle attrezzature, di documentazione e di materie prime ulteriori) non aveva alcuna giustificazione, in carenza del requisito della libera disponibilità della cosa oggetto di reato;
- la non pertinenza al reato contestato dell’area asservita all’impianto, degli uffici, delle attrezzature per la carpenteria e della documentazione, tenuto conto che la s.r.l. “Sct’ è iscritta alla Camera di commercio come società di carpenteria metallica e che da anni lavora in detto settore, ben distinto da quello della gestione dei rifiuti;
- la insussistenza di un “periculum in mora” concreto ed attuale, “perché il reato aveva espresso la sua potenzialità offensiva fino al luglio
- la illegittimità della mancata “individuazione di un soggetto sotto la cui tutela riprendere le attività o delle prescrizioni in materia ambientale”, tenuto conto che quello stesso Tribunale, già in sede di riesame, avrebbe “sostanzialmente delegato” il G.I.P. alla individuazione sia delle prescrizioni per la prosecuzione delle attività lavorative, sia dell’eventuale soggetto terzo come organo di controllo, fornendo persino l’indicazione di alcuni soggetti che avrebbero potuto ricoprire questo ruolo, individuati nel custode giudiziario già nominato ed in altri eventuali ausiliari tecnici.
Gli anzidetti motivi di ricorso sono stati ulteriormente specificati ed illustrati dal difensore dell’indagato con memoria del 31 ottobre 2007.
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1. Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema hanno affermato il principio di diritto secondo il quale, in sede di istanza di revoca di un provvedimento applicativo di una misura cautelare reale, non possono essere riproposti motivi che sono stati già dedotti in sede di riesame e, in assenza di un mutamento del quadro processuale di riferimento, è inammissibile la riproposizione di istanze fondate sui medesimi motivi rigettati con decisione definitiva. (Cass., Sez. Unite, 24 maggio 2004, Curatela del Fallimento della S.r.l. “C.G.P.” in proc. Romagnoli).
Ne consegue che, nel presente procedimento, esattamente il Tribunale di Taranto ha ritenuto che si fosse verificata una preclusione endoprocessuale, quanto alla configurabilità degli elementi costitutivi del delitto ipotizzato ed al “periculum in mora”, essendo la richiesta di revoca fondata sui medesimi motivi già rigettati con decisione definitiva. Anche dal ricorso, inoltre, non è dato evincere quali fossero gli elementi di novità addotti dall’indagato a sostegno dell’istanza revocatoria, ovvero quale mutamento fosse intervenuto nel quadro processuale di riferimento.
2. Quanto al “periculum in mora”, - secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio - oggetto del sequestro preventivo può essere qualsiasi bene, anche appartenente a persona estranea al reato, purché esso sia, pure indirettamente, collegato al reato medesimo e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze dell’illecito ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti; ne consegue che è legittimo il sequestro di un’intera azienda allorché vi siano indizi che anche taluno soltanto dei beni aziendali sia, proprio per la sua collocazione strumentale, in qualche modo utilizzato per la commissione del reato, a nulla rilevando che l’azienda in questione svolga anche normali attività imprenditoriali (così Cass., Sez. VI, 26 luglio 2001, n. 29797).
Nella fattispecie in esame, pertanto (in carenza di una specifica identificazione riguardante i documenti sequestrati dei quali si assume la “non pertinenza”), deve ritenersi sicuramente legittimo l’intervenuto sequestro dell’area, degli uffici e degli impianti produttivi, nonché della documentazione stessa, apparendo del tutto logiche e razionali le considerazioni secondo le quali il carattere continuativo e sistematico degli illeciti riscontrati, unitamente alla valutazione del carattere ingente dei quantitativi di rifiuti trattati e gestiti, inducono a ritenere che, qualora lo stabilimento sequestrato venisse rimesso nella libera disponibilità dell’avente diritto, all’interno di esso verrebbero commesse nuove violazioni della normativa in materia di rifiuti (si tenga presente, al riguardo, che i rifiuti vennero rinvenuti ancora a quattro mesi di distanza dalla morte di Giuseppe Donvito ed il di lui figlio non ha prospettato di avere intrapreso alcuna attività di bonifica o comunque di avere adottato iniziative indicative di resipiscenza).
3. Il Tribunale, invece, non ha addotto alcuna giustificazione quanto al mantenimento della misura di cautela sulle materie prime diverse da quelle costituenti “rifiuti”.
Non ha altresì valutato la questione dèlla configurabilità di una effettiva possibilità di restituzione del complesso aziendale previa esecuzione di specifiche prescrizioni, ai sensi degli artt. 85 e 104 disp. att. c.p.p., essendosi limitato ad evidenziare la difficoltà pratica, in sede di impugnazione incidentale, di impartire prescrizioni siffatte.
4. L’ordinanza impugnata, conseguentemente, deve essere annullata sui due punti anzidetti, con rinvio al Tribunale di Taranto per un nuovo esame riferito agli stessi.