Pres. Lupo Est. Petti Ric. Cumer
Rifiuti. Detenzione di rifiuti e proprietario del suolo
A norma dell'articolo 183 del decreto legislativo n. 152 del 2006, si considera detentore dei rifiuti non solo colui che li produce, ma anche chi materialmente li detiene.
Di conseguenza il proprietario di un suolo che deposita sul proprio terreno rifiuti suoi o consente che altri li depositano diventa detentore dei rifiuti e come tale destinatario delle norme che riguardano la loro gestione .
Il proprietario dell'area su cui altri depositano i propri rifiuti è esente da responsabilità solo se il deposito o l'abbandono sia stato effettuato a sua insaputa e non gli può essere mosso alcun rimprovero di negligenza.
Svolgimento
del
processo
Con sentenza del 3 febbraio del 2006, la corte d’appello di Trento, in parziale riforma di quella pronunciata dal tribunale di Rovereto del 10 marzo del 2005, rideterminava in mesi quattro e giorni uno di arresto (convertiti in € 4.598 di ammenda) ed € 2.050 di ammenda la pena inflitta a Cumer Alessandro, quale responsabile del reato di cui all’articolo 51 comma secondo decreto Ronchi, per avere, quale amministratore della società a responsabilità limitata T.R.M., con sede in Ala, depositato o comunque abbandonato su un suolo di proprietà della società anzidetta rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi provenienti da demolizioni di un manufatto. Fatto accertato il 21 ottobre del 2003.
A fondamento della decisione la corte osservava che il prevenuto era personalmente responsabile dell’abbandono, quale detentore dei rifiuti, a nulla rilevando che i lavori di demolizione e ristrutturazione fossero stati affidati alla ditta Tommasoni, perché non aveva dimostrato che l’appaltatore si era assunto l’obbligo dello smaltimento, anzi dalla presenza di quel materiale sul suolo della società da alcuni mesi si desumeva che nessun obbligo era stato assunto dall’impresa appaltatrice, altrimenti sarebbe stata premura del committente invitare la ditta appaltatrice a smaltire il materiale accantonato nella sua azienda; che in ogni caso, quand’anche l’obbligo dello smaltimento fosse stato assunto dall’appaltatore, il committente sarebbe ugualmente responsabile per avere consentito che i rifiuti fossero abbandonati sul suolo della società da lui amministrata.
Ricorre per cassazione il difensore denunciando:
la violazione della norma incriminatrice poiché il proprio assistito non era il detentore o il produttore del rifiuto: assume che il proprietario dell’area sulla quale i rifiuti vengono depositati non si identifica necessariamente con il detentore e che nella fattispecie detentore e produttore dei rifiuti era l’appaltatore e non il committente: la mera consapevolezza del deposito del rifiuto non è sufficiente a determinare la responsabilità penale;
la violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza: assume che la corte d’appello, prospettando una responsabilità del prevenuto anche nell’ipotesi che fosse stato provato un obbligo dell’appaltatore nello smaltimento, aveva affermato la responsabilità del proprio assistito per un fatto diverso da quello contestato, posto che nel capo d’imputazione il reato non gli era stato attribuito a titolo di concorso con l’appaltatore;
mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione emergente dagli atti del processo in quanto dalle deposizioni dei testimoni Scenico Alessio e Alessandro Bettini emergeva che nel contratto d’appalto era stata inserita la clausola in forza della quale il materiale proveniente dalla demolizione avrebbe dovuto essere smaltito dalla ditta appaltatrice.
In diritto
Il ricorso va respinto perché infondato. Per quanto concerne il primo ed il terzo motivo, che vanno esaminati congiuntamente perché logicamente connessi, si osserva che a norma dell’articolo 6 del decreto Ronchi, riprodotto nell’articolo 183 del decreto legislativo n. 152 del 2006, si considera detentore dei rifiuti non solo colui che li produce, ma anche chi materialmente li detiene. Di conseguenza il proprietario di un suolo che deposita sul proprio terreno rifiuti suoi o consente che altri li depositano diventa detentore dei rifiuti e come tale destinatario delle norme che riguardano la loro gestione. Il proprietario dell’area su cui altri depositano i propri rifiuti è esente da responsabilità solo se il deposito o l’abbandono sia stato effettuato a sua insaputa e non gli può essere mosso alcun rimprovero di negligenza. Nella fattispecie, trattandosi di demolizione di un fabbricato di proprietà dello stesso prevenuto, la consapevolezza del deposito o dell’abbandono era evidente e, quindi, era palese la responsabilità dell’imputato, occorrendo solo stabilire se dovesse rispondere a titolo personale o eventualmente in concorso con l’appaltatore che si sarebbe assunto l’onere dello smaltimento.
La corte territoriale ha affermato che il Cumer sarebbe ugualmente responsabile quand’anche l’onere dello smaltimento dei rifiuti fosse stato assunto dall’appaltatore per avere permesso e consentito che essi fossero depositati sul suolo di proprietà della società. Sotto tale profilo il vizio, dedotto con il terzo motivo, di mancanza e contraddittorietà della motivazione risultante dagli atti processuali e segnatamente dalle deposizioni testimoniali indicate dal ricorrente, non sussiste.
In proposito va anzitutto precisato che la deducibilità del vizio motivazionale per la cosiddetta “contraddittorietà processuale” conseguente alla mancata corrispondenza tra il ragionamento del giudice del merito e l’atto probatorio specificamente indicato dal ricorrente, introdotta con l’articolo 8 della legge n. 46 del 2006, presuppone che il dato probatorio omesso o travisato sia idoneo a disarticolare il ragionamento del giudice ed a rendere illogica la motivazione per la forza dimostrativa del dato processuale non valutato o travisato, fermi restando il limite del devolutum nella cosiddetta ipotesi di doppia conforme, e l’intangibilità della valutazione nel merito del dato probatorio (cfr. Cass. 25117 del 2006).
Nella fatti specie non esiste alcuna omissione valutativa o travisamento del dato processuale perché le deposizioni citate non contraddicono la valutazione operata dalla corte, la quale ha espressamente considerato anche l’ipotesi dell’assunzione dell’obbligo dello smaltimento da parte dell’appaltatore ed ha ritenuto ugualmente responsabile il committente, sia pure come concorrente dell’appaltatore, per avere consentito consapevolmente che questi abbandonasse i rifiuti sul suolo di proprietà della società. Tale affermazione di responsabilità non si fonda sulla mera qualità di committente o sulla sussistenza di un obbligo di garanzia a carico del committente (su tale punto gli orientamenti di questa sezione sono discordi: per l’insussistenza di una posizione di garanzia cfr. Cass. 15165 del 2003; per la sussistenza Cass. N. 4957 del 2000), ma sull’attiva compartecipazione nel reato, desumibile dal fatto che i rifiuti, provenienti da demolizione di un manufatto di proprietà della stessa società committente, al momento del sopralluogo, si trovavano depositati da diversi mesi sul suolo di proprietà della committente e, perciò, non potevano essere stati ivi collocati dall’appaltatore senza il consenso della committente per la ragione esposta dai giudici del merito prima evidenziata.
Ugualmente
infondato è il secondo
motivo. Invero l’affermazione di responsabilità
del ricorrente, quale possibile
concorrente dell’appaltatore, non viola il principio di
correlazione tra
imputazione e sentenza perché tale violazione si verifica
allorché si
modificano gli elementi essenziali del fatto condotta, nesso causale,
elemento
psicologico. In tema di correlazione tra fatto contestato e fatto
ritenuto in
sentenza, la modificazione che assume rilievo, ai fini della eventuale
applicabilità della norma dell’art. 521 c.p.p.,
è solo quella che modifica
radicalmente la struttura della contestazione, in quanto modifica o il
fatto
tipico o il nesso di causalità o l’elemento
psicologico del reato, e, per
effetto di tale modificazione, l’azione realizzata risulti
completamente
diversa da quella contestata, al punto da essere incompatibile con le
difese
apprestate dall’imputato per discolparsene. Mentre, non si ha
mutamento del
fatto allorché il “fatto tipico” sia
rimasto identico a quello contestato nei
suoi elementi essenziali e, come nel nostro caso, sia stato
riconosciuto solo
un diverso titolo giuridico della responsabilità (cfr. Cass.
3603 del
2004:12175 del 2004:46203 del 2004). In particolare in tema di concorso
di
persone nel reato la giurisprudenza di questa corte sostiene
l’intercambiabilità tra i ruoli di autore singolo
e di concorrente, ammettendo
che l’imputato di un fatto a lui solo attribuito possa essere
condannato per
concorso con altri (Cass.