Cass. Sez. III n. 17256 del 7 maggio 2007 (ud. 14 mar. 2007)
Pres. Onorato Est. Franco Ric. Maroccoli
Rifiuti. Differenza tra raccolta e abbandono

Vi è una sostanziale differenza tra l'attività di «raccolta» e quella di «abbandono», che si differenziano sia sotto il profilo della volontà del soggetto agente (elemento soggettivo) sia in relazione alla condotta concreta posta in essere (elemento oggettivo). La volontà che sottende all'abbandono è invero sostanzialmente diretta a disfarsi ed a disinteressarsi completamente della cosa, mentre quella che sottende alla raccolta è diretta a conservare i materiali per poter poi compiere sugli stessi una attività successiva, sia di riutilizzo o di smaltimento.

Svolgimento del processo

Marroccoli Michele Pio Mario venne rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 51, commi 3 e 5, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, per avere, quale legale rappresentante della spa Cementi della Lucania, effettuato all’interno dello stabilimento una raccolta di rifiuti speciali non pericolosi (residui del processo produttivo) in assenza della prescritta autorizzazione ed una attività non consentita di miscelazione di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, nonché dei reati di cui agli artt. 632, 639 bis e 734 cod. pen.

Il giudice del tribunale di Potenza, con la sentenza in epigrafe, assolse l’imputato dai reato di cui agli artt. 632, 639 bis e 734 cod. pen. Per quanto concerne il capo a), lo ritenne invece responsabile limitatamente ai soli rifiuti non pericolosi di natura ferrosa, e per la sola attività di abbandono di tali rifiuti e non per la contestata attività di raccolta non autorizzata degli stessi. In particolare lo ritenne responsabile in relazione ai rifiuti di natura ferrosa che erano stati abbandonati al di fuori e nelle immediate vicinanze dello stabilimento, e precisamente sul terreno ad esso prospiciente (ossia in un luogo diverso da quello in cui erano stati prodotti), e che dovevano ritenersi residuati della attività produttiva. Lo dichiarò quindi responsabile del reato di cui all’art. 51, secondo comma (in relazione al comma 1, lett. a)) del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e lo condannò alla pena dell’ammenda.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. Osserva che il giudice lo ha condannato per avere effettuato un abbandono di rifiuti esterno allo stabilimento, mentre con il capo di imputazione era stato chiamato a rispondere per avere effettuato una attività di raccolta di rifiuti speciali all’interno dello stabilimento. Il giudice, quindi, non si è limitato ad una mera riqualificazione giuridica di un medesimo fatto, ma lo ha condannato per un fatto del tutto nuovo emerso nel corso del procedimento e mai contestato. Invero, fra la contestata attività di raccolta e quella di abbandono vi è una differenza sostanziale, sia sotto il profilo soggettivo sia sotto quello obiettivo, trattandosi di condotte che hanno ad oggetto beni differenti e svolte in luoghi diversi. L’art 521, secondo comma, cod. proc. pen. è stato violato anche perché il giudice, di fronte ad un fatto nuovo, avrebbe dovuto disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero.

2) inosservanza di norme giuridiche e del diritto di difesa perché l’imputato, di fronte alla originaria imputazione, chiese il giudizio abbreviato proprio perché mirava a chiarire lo stato dei luoghi all’interno dello stabilimento, come specificato nel capo di imputazione, mentre non ha prodotto alcuna prova in ordine ad eventuali discariche o raccolte esterne allo stabilimento che non erano oggetto della contestazione e che quindi non erano state prese in considerazione dalla difesa, trattandosi appunto di elemento ritenuto di nessuna valenza dall’accusa. La violazione del diritto di difesa è ancora più grave perché la modifica del capo di imputazione è stata operata solo in sede di pronuncia di primo grado.

3) vizio di motivazione per la totale carenza dell’apparato argomentativo sulla diversa qualificazione del fatto.

 

Motivi della decisione

I primi due motivi sono fondati. Con il capo di imputazione, infatti, all’imputato era stato contestato di avere effettuato «all’interno dello stabilimento una attività di raccolta di rifiuti speciali» mentre la sentenza impugnata lo ha condannato per avere effettuato un attività «di abbandono dei rifiuti all’esterno dello stabilimento».

Giustamente quindi il ricorrente lamenta che il giudice non si è limitato ad operare una mera riqualificazione giuridica del fatto, ma lo ha condannato per un fatto del tutto nuovo ed emerso nel corso del procedimento. Vi è infatti una sostanziale differenza tra l’attività di «raccolta» e quella di «abbandono», che si differenziano sia sotto il profilo della volontà del soggetto agente (elemento soggettivo) sia in relazione alla condotta concreta posta in essere (elemento oggettivo). La volontà che sottende all’abbandono è invero sostanzialmente diretta a disfarsi ed a disinteressarsi completamente della cosa, mentre quella che sottende alla raccolta è diretta a conservare i materiali per poter poi compiere sugli stessi una attività successiva, sia di riutilizzo o di smaltimento. Sotto il profilo oggettivo, poi, la condotta ritenuta ha ad oggetto beni diversi e si è svolta in luoghi differenti rispetto a quella contestata. I due fatti, quindi si trovano sostanzialmente in rapporto di alterità ed eterogeneità. Vi è dunque stata una variazione dei contenuti essenziali dell’addebito con violazione del principio di correlazione tra sentenza e accusa di cui all’art. 521 cod. proc. pen., che imponeva al giudice, una volta accertato che il fatto era diverso da quello contestato di disporre con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero.

Né nel caso in esame potrebbe ritenersi che non sia ravvisabile la violazione perché l’imputato sarebbe stato comunque messo in condizioni di difendersi, e si sarebbe difeso, in relazione al nuovo fatto diverso da quello contestato. Basta osservare, a questo proposito, da un lato, che la modifica del capo di imputazione è stata operata dal giudice solo al momento della pronuncia della sentenza, così che il diritto di difesa non è stata messo in condizione di esplicarsi in relazione al fatto nuovo, e, da un altro lato, che la difesa, di fronte alla originaria contestazione, aveva chiesto il giudizio abbreviato, mirando ad individuare e chiarire lo stato dei luoghi all’interno dello stabilimento, mentre, non essendo stata oggetto di contestazione una attività di abbandono di oggetti all’esterno dello stabilimento, la stessa non poteva essere valutata dalla difesa che ragionevolmente non ha prodotto o chiesto alcuna prova in relazione ad un elemento che, evidentemente, nel corso delle indagini non era stato ritenuto di rilevanza penale dall’organo preposto all’esercizio dell’azione penale.

Da ciò deriva la nullità, ai sensi dell’art. 522 cod. proc. pen., della sentenza impugnata, che va quindi annullata senza rinvio, limitatamente al reato di cui all’art. 51 d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Potenza per le sue determinazioni.