Pres. Vitalone Est. Franco Ric. PM in proc. Noto
Rifiuti. Ecopiazzole o isole ecologiche
La c.d. «ecopiazzola»è un luogo dove viene effettuata attività di gestione dei rifiuti, e precisamente un centro di stoccaggio ai sensi del citato art. 183, lett. l), nel quale i rifiuti vengono accumulati lontano da luogo di produzione in attesa dello smaltimento o del recupero definitivi. In tale luogo, pertanto, si effettua attività di smaltimento, consistente nel deposito preliminare in vista di altre operazioni di smaltimento definitive o di attività di recupero, di modo che la gestione della piazzola doveva essere preventivamente autorizzata. La sua gestione senza la necessaria autorizzazione, quindi, lede l'interesse tutelato dalla norma di un controllo preventivo della pubblica amministrazione sulla gestione dei rifiuti.
Svolgimento del processo
Con provvedimento del 14 agosto 2006 il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Sassari dispose il sequestro preventivo di un piazzale nel quale erano collocati gli scarrabili adibiti a deposito e stoccaggio di rifiuti speciali derivanti dalla raccolta differenziata, in relazione al reato di cui all’art. 256 comma 1, lett. a) e b), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per cui è indagato Noto La Diega Rosario Carlo, per avere effettuato lo stoccaggio di detti rifiuti senza autorizzazione.
Il tribunale del riesame di Sassari, con l’ordinanza in epigrafe, annullò il decreto di sequestro per mancanza del fumus del reato ipotizzato osservando: - che la società si era limitata ad esercitare il deposito temporaneo dei rifiuti provenienti dalla raccolta ed alla loro destinazione ai siti di smaltimento; - che questa attività, purché non superi il limite di 30 giorni, per indicazione regionale costituisce la parte terminale della procedura di raccolta dei rifiuti, sicché per essa è sufficiente la autorizzazione per la raccolta dei rifiuti che la ditta possedeva; - che non vi era prova che il deposito eccedesse il limite temporale; - che quindi non di stoccaggio si trattava ma di mero deposito temporaneo conseguente al raggruppamento dei rifiuti prima della loro destinazione presso i siti finali, e perciò non era necessaria una ulteriore autorizzazione.
Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Sassari propone ricorso per cassazione osservando che le c.d. ecopiazzole, come è in realtà quella adibita dal prevenuto per l’ammasso dei rifiuti, sono soggette ad autorizzazione, in quanto costituiscono una fase della gestione dei rifiuti. Né può ritenersi che l’amministrazione comunale abbia facoltà di derogare a norme di legge, sicché è incomprensibile il richiamo della ordinanza impugnata a «direttive della regione Sardegna». Nella specie, l’ecopiazzola deve qualificarsi come centro di stoccaggio in cui i rifiuti vengono accumulati lontano dal luogo di produzione in attesa di smaltimento e recupero definitivi. In esso si effettua perciò attività di smaltimento, consistente nel deposito preliminare in vista di altre operazioni di smaltimento definitive o attività di recupero, e quindi la gestione della piazzola deve essere preventivamente autorizzata. In ogni caso, trattandosi di attività imprenditoriale e quindi continuativa, non può sostenersi che l’attività di raccolta non abbia superato i 30 giorni.
Motivi della decisione
Il ricorso del pubblico ministero è fondato e va, quindi, accolto.
Il tribunale del riesame, invero, ha ritenuto che nella specie si trattasse di un semplice deposito temporaneo o controllato e che pertanto non vi fosse bisogno di una specifica autorizzazione. Questa tesi è infondata essendo evidente che nel caso in esame non ricorre l’ipotesi del deposito temporaneo di cui all’art. 183, primo comma, lett. m), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (in cui è stato trasfuso l’art. 6, primo comma, lett. m), d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22), se non altro perché - anche a prescindere dalla sussistenza o meno di tutte le altre condizioni previste da detta disposizione, ivi compresa quella della quantità e della durata - il deposito temporaneo è costituito comunque dal «raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima delta raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti» mentre nella specie è pacifico sia che i rifiuti non venivano depositati nel luogo di produzione, sia che il deposito avveniva non prima, bensì dopo la raccolta.
In realtà, come esattamente rileva il pubblico ministero ricorrente, dagli stessi elementi di fatto emergenti dalla ordinanza impugnata risulta che nella specie si tratta di una c.d. «ecopiazzola», ossia di un luogo dove viene effettuata attività di gestione dei rifiuti, e precisamente di un centro di stoccaggio ai sensi del citato art. 183, lett. l), nel quale i rifiuti vengono accumulati lontano da luogo di produzione in attesa dello smaltimento o del recupero definitivi. In tale luogo, pertanto, si effettua attività di smaltimento, consistente nel deposito preliminare in vista di altre operazioni di smaltimento definitive o di attività di recupero, di modo che la gestione della piazzola doveva essere preventivamente autorizzata. La sua gestione senza la necessaria autorizzazione, quindi, lede l’interesse tutelato dalla norma di un controllo preventivo della pubblica amministrazione sulla gestione dei rifiuti.
Sul punto, del resto, la giurisprudenza di questa Suprema Corte, ha più volte affermato che «in tema di gestione dei rifiuti, le piazzole comunali destinate alla raccolta differenziata dei rifiuti urbani, cosiddette piazzole ecologiche o ecopiazzole, hanno natura di centri di stoccaggio ai sensi dell’art. 6, comma primo, del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, atteso che nelle stesse si effettuano attività di smaltimento, consistente nel deposito preliminare in vista di altre operazioni di smaltimento definitive ex punto D15 dell’allegato B al citato decreto n. 22, o attività di recupero, consistente nella messa in riserva ex punto R13 dello stesso allegato B» (Sez. III, 21 aprile 2005, Zumino, m. 231.938» e che «conseguentemente si verte in tema di stoccaggio quale fase preliminare alle attività di smaltimento o recupero, e come tale necessitante la prevista autorizzazione» (Sez. III, 26 ottobre 2005, Marino, m. 232.353).
L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata. Conformemente alla richiesta del Procuratore generale, l’annullamento deve essere pronunciato senza rinvio in quanto il fatto è stato compiutamente accertato dal tribunale del riesame, il quale ha però errato nella sua qualificazione giuridica, ossia nel ritenere che esso non configuri il fumus del reato ipotizzato. Di conseguenza, a seguito della presente decisione, si determina la reviviscenza del provvedimento di sequestro preventivo del giudice per le indagini preliminari, erroneamente annullato dal tribunale del riesame.