Pres. Onorato Est. Marmo Ric. Bonacorsi
Rifiuti. Esercizio di attività in luogo diverso dall’autorizzato
Il possesso di una autorizzazione per l'attività di recupero dei rifiuti non legittima l’esercizio, da parte dello stesso soggetto, della medesima attività in luogo diverso da quello in relazione al quale venne originariamente presentata istanza, atteso che le finalità di controllo perseguite in materia risultano soddisfatte solo se sussiste legame con le caratteristiche tecniche dell' impianto per il quale l'autorizzazione risulta inizialmente rilasciata
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 27/03/2007
Dott. MARMO Margherita - rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 00950
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 033678/2006
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) BONACORSI GABRIELE, N. IL 18/11/1963;
avverso SENTENZA del 28/04/2006 TRIB. SEZ. DIST. di FANO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. MARMO
MARGHERITA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dr. D'Angelo Giovanni, che ha concluso per
l'inammissibilità,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pronunciata il 28 aprile 2006 e depositata l'il maggio
2006 il Tribunale di Pesaro dichiarava Bonacorsi Gabriele responsabile
della contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma
2, per avere depositato in Orciano, fino al 12 settembre 2003, in
maniera incontrollata, rifiuti non pericolosi prodotti da terzi, in
attesa di trattamento per il recupero in area esterna al capannone
della ditta di cui era titolare, senza autorizzazione o comunicazione
di iscrizione ai sensi del citato decreto, artt. 31 e 33, poggiandoli
direttamente sul terreno esposti agli agenti atmosferici e lo
condannava alla pena di Euro 5.000,00 di ammenda.
Proponeva appello il Bonacorsi, riconvertito in ricorso per Cassazione,
trattandosi di condanna alla sola pena dell'ammenda. MOTIVI DELLA
DECISIONE
Il primo ed il secondo motivo, per la loro logica connessione, vanno
esaminati congiuntamente.
Con il primo motivo il Bonacorsi deduce che il giudice di primo grado
aveva valutato in modo inadeguato le deposizioni testimoniali raccolte
nel dibattimento ed aveva completamente omesso di valutare la ratio del
D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.
Era infatti evidente, dalle deposizioni raccolte e dalle fotografie
acquisite agli atti, che il deposito all'esterno del capannone poteva
sembrare esteticamente poco gradevole ma sicuramente era controllato ed
organizzato in maniera consapevole conformemente alla organizzazione
aziendale ed alle autorizzazioni concesse. Non si era quindi in
presenza di un deposito incontrollato e non autorizzato. Con il secondo
motivo il ricorrente deduce che non sussistevano gli elementi che
contraddistinguono la contravvenzione di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997,
n. 22, art. 51, n. 2 del in quanto tale norma intende impedire che i
rifiuti vengano abbandonati o depositati in modo incontrollato o
immessi nelle acque superficiali o sotterranee, o gestiti senza le
prescritte autorizzazioni, mentre, nel caso in esame, il deposito era
avvenuto esclusivamente nel recinto di pertinenza del fabbricato, e
dunque nei limiti di spazio regolarmente autorizzati dalla provincia e
dall'Arpam.
Inoltre il deposito era organizzato dentro cassoni e limitato allo
stretto tempo necessario per il successivo carico su camion e
spedizione.
Entrambi i motivi sono infondati.
Considerato che, come è specificato nella sentenza
impugnata, il titolo autorizzativo era costituito dalla Comunicazione
protocollata il 3 aprile 2001, nella quale il Buonaccorsi dava atto
della tipologia dei rifiuti stoccati costituiti da materiale
elettronico di vario genere, la cui messa in riserva e stoccaggio
sarebbe dovuta avvenire al coperto, in apposite zone e contenitori
specifici, mentre i rifiuti sono stati trovati nelle adiacenze del
capannone dell'azienda in area scoperta e alla rinfusa costituendo,
secondo la testimonianza del tecnico ambientale dell'Arpam, pericolo
per l'igiene ed il decoro, con parte di essi soggetti a putrefazione,
deve ritenersi congruamente motivata la sentenza impugnata che, alla
luce dei suddetti elementi probatori, confermati dalla documentazione
fotografica in atti proveniente dal Comando Carabinieri Tutela
Ambiente, ha ritenuto sussistente la responsabilità
dell'imputato in ordine alla contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 22 del
1997, art. 51, comma 2, per aver depositato in maniera incontrollata
rifiuti non pericolosi prodotti da terzi. Con il terzo motivo il
ricorrente deduce che il giudice di merito, ingiustificatamente, non
aveva ritenuto di concedere le attenuanti generiche e comunque non
aveva applicato la legge correttamente, dal momento che eventualmente
avrebbe dovuto applicare alla fattispecie il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n.
22, art. 51, n. 4, con conseguente riduzione alla metà delle
pene.
In ordine al motivo il Collegio rileva, in primo luogo, che i rifiuti
si trovavano al di fuori dell'area oggetto dell'autorizzazione,
sicché per essi non è applicabile l'ipotesi lieve
di cui alla citata legge, art. 51, n. 4. In proposito questa Corte ha
precisato che "il possesso di una autorizzazione per
l'attività di recupero dei rifiuti non legittima
l'esercizio, da parte dello stesso soggetto, della medesima
attività in luogo diverso da quello in relazione al quale
venne originariamente presentata istanza, atteso che le
finalità di controllo perseguite in materia risultano
soddisfatte solo se sussiste legame con le caratteristiche tecniche
dell'impianto per il quale l'autorizzazione risulta inizialmente
rilasciata (Cass. pen. sez. 3^, sent. 4 dicembre 2001, n. 554,
Francavilla).
Per quel che attiene all'entità della pena, considerato che
essa è stata comminata in misura prossima ai minimi
edittali, (in quanto l'art. 51 comma 1, a) richiamato dall'art. 51,
comma 2, prevede la pena di arresto da tre mesi ad un anno o l'ammenda
da Euro 2.582,00 ad Euro 25.822,00), deve ritenersi motivata la
sentenza, anche se essa si limita ad indicare come equa la pena
irrogata, richiamando i criteri di cui all'art. 133 c.p..
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nell'ipotesi in cui
la determinazione della pena non si discosta molto dai minimi edittali,
il giudice ottempera all'obbligo motivazionale di cui all'art. 125
c.p.p., comma 3, adoperando espressioni come pena congrua, pena equa e
congruo aumento, ovvero si richiami alla gravità del reato e
alla personalità del reo (v. per tutte Cass. pen. sez. 1^,
sent. 14 febbraio 1997, n. 1059).
Va quindi respinto anche il terzo motivo di impugnazione. Con il quarto
motivo il ricorrente deduce che il giudice non poteva esimersi da una
valutazione, seppure minimale, dell'elemento soggettivo del reato
mentre nel caso in esame non vi era stata alcuna volontà
ne', tanto meno, consapevolezza da parte dell'imputato di depositare in
modo incontrollato i rifiuti.
Anche questo motivo è infondato, atteso che l'elemento
soggettivo risulta evidenziato dall'inosservanza, da parte del
ricorrente, delle modalità di stoccaggio dei rifiuti
indicate nel titolo autorizzativo, sia in relazione alla loro
collocazione all'esterno dell'area, - che ha condotto alla
parificazione della fattispecie a quella di stoccaggio in assenza dello
stesso titolo autorizzativo,- sia in relazione alla modalità
della custodia che prevedeva la copertura e la protezione in apposite
zone e in contenitori appositi dei rifiuti.
Va quindi respinto il ricorso.
Consegue al rigetto dell'impugnazione l'obbligo del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2007.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2007