Pres. Papa Est. Amoroso Ric. Mantini
Rifiuti. Differenze tra rifiuto e sottoprodotto
Ove i residui della produzione industriale siano ab origine classificati da chi li produce come rifiuti, ciò esprime già quella volontà di dismissione che la lett. a) dell' art. 183, comma l, D.Lv. 152-07 considera qualificante di una sostanza che sia riconducibile alla catalogazione dell' Allegato A al d.lgs. citato (nella specie, categoria di rifiuti Ql: residui di produzione). Tale volontà di dismissione vale poi di risulta ad escludere la configurabilità di un sottoprodotto, tanto più se la sostanza necessita di "trasformazione preliminare" per la sua utilizzabilità in un successivo processo produttivo. E tale è l'operazione di cernita e pulitura che modificano l'identità della sostanza considerato che lo stesso art. 183, comma I, lett. n), prevede la (sola) cernita come operazione che è di per sé qualificabile come di recupero dei rifiuti.
Svolgimento del processo
1. A seguito di segnalazione del responsabile del Consorzio POLIECO (per il riciclaggio dei rifiuti di beni in polietilene), pervenuta in data 7 marzo 2006 al Nucleo Operativo Ecologico (N.O.E.) di Reggio Calabria, con cui si comunicava che la ditta Mantini s.r.l. di Chieti Scalo stava effettuando una esportazione di rifiuti, sotto forma di materie prime secondarie, dal Porto di Gioia Tauro con destinazione verso i Paesi dell’Est, venivano eseguiti dalla polizia giudiziaria opportuni accertamenti presso il terminal container della società Media Center Container Terminal.
Nel
corso di detta attività,
eseguita dai militari del N.O.E. e da un funzionario
dell’Azienda Regionale per
la Protezione dell’Ambiente della Calabria (A.R.P.A.CA.L.) su
richiesta
dell’Agenzia delle Dogane, venivano sottoposti a verifica tre
contenitori,
contenti del Polivinbutirrale, spediti dalla citata ditta Mantini srl
alla
ditta 000 Pioner Bolshaya Ordynha di Mosca (Russia). Tale controllo
consentiva
di accertare che la spedizione in questione concerneva rifiuti e in
particolare, “scarti di produzione industriale consistenti in
ritagli di
materiale plastico di probabile uso nella produzione di parabrezza per
autoveicoli”. Le spedizioni, inoltre non erano accompagnate
dai formulari di
identificazione dei rifiuti (RIF), mentre alla bolletta di esportazione
risultava allegata una nota del
La spedizione in esame, pur riguardando un carico di rifiuti plastici in esportazione verso la Russia, era accompagnata solo da documentazione commerciale fiscale (fatture) e di trasporto interno (DDT), ma era priva della documentazione prevista per il trasporto e per la spedizione dei rifiuti all’interno dello Stato e verso l’estero. Detto materiale, nelle condizioni in cui era stato rinvenuto dalla polizia giudiziaria, rientrava nel concetto di rifiuto, e, alla stregua della normativa vigente (d.lgs. n. 22/97), doveva considerarsi come rifiuto speciale.
Pertanto,
in data
Il
successivo
Il
successivo
2.
Avverso detto provvedimento
proponeva istanza di riesame la difesa del Mantini deducendo, che
l’omonima
ditta, che gestiva in Chieti un impianto di recupero di rifiuti non
pericolosi,
aveva acquistato dalla ditta Pilkington (produttore di vetro e prodotti
vetrari) dei ritagli di PVB (classificabili con la sigla C.E.R.
I
ritagli in questione, pertanto,
non erano classificabili come rifiuti, bensì come
sottoprodotti e, in quanto
tali, non assoggettabili alla disciplina prevista per questi ultimi,
ancorché
la società Pilkington avesse classificato, per mero errore,
i ritagli PVB
venduti alla Mantini con il codice CER 20.01.39 (rifiuti di plastica)
che,
invece, quali scarti di produzione industriale costituiti da ritagli di
materiale plastico, andavano classificati con il suddetto codice CER
3. Con ordinanza del 3.2.2007 il tribunale per il riesame di Reggio Calabria rigettava il ricorso.
Osservava il collegio che dagli atti trasmessi dal P.M. procedente (ed in particolare dalle informative dell’Agenzia delle Dogane e del N.O.E. dei Carabinieri, nonché dai pareri tecnici espressi dai predetti organi) emergeva che le cose in sequestro, costituite da “scarti di produzione industriale consistenti in ritagli di materiale plastico verosimilmente utilizzato nella produzione di parabrezza”, dovevano essere classificate come rifiuto e non conte sottoprodotto.
La ditta Mantini, non risultando inserita nel processo industriale per la produzione del vetro stratificato, assumeva conseguentemente il ruolo di soggetto intermedio nella gestione del rifiuto, come tale qualificato dalla stessa azienda produttrice con attribuzione del relativo codice. Non avendo poi la ditta produttrice, cioè la Pilkington Italia S.p.a., manifestato l’intenzione di reimpiegare tali ritagli nella stessa produzione ovvero di immetterli al consumo, cioè commercializzarli, limitandosi a disfarsene, i ritagli in questione assumevano necessariamente la natura di rifiuto.
Con l’attribuzione del codice CER da parte della Piikington Italia S.p.a, produttore e generatore del rifiuto tale dalla stessa classificato, veniva a determinarsi la possibilità di gestione del rifiuto, ma mai del sottoprodotto e, tanto meno, della materia prima secondaria.
4. Avverso questa ordinanza il Mantini ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo.
Motivi
della decisione
1.
Il ricorso è articolato in un
unico motivo con cui denuncia la violazione dell’art. 183
d.lgs.
I ritagli di PVB oggetto di sequestro che, pur non costituendo l’oggetto sono il residuo del taglio di fogli di plastica di dimensioni maggiori, utilizzati nel processo industriale di preparazione di pellicole da applicare a parabrezza per autovetture. Essi sono stati commercializzati a prezzo vantaggioso per l’impresa, e sono destinati all’utilizzo in un identico processo produttivo.
2. Il ricorso è infondato.
L’art.
183, comma 1, lett. a),
d.lgs.
Quindi, in disparte la più complessa problematica afferente a queste due nozioni (di rifiuto e di sottoprodotto), è sufficiente considerare, per quanto rileva nella specie in sede di mero controllo di legittimità del sequestro preventivo a art. 325 c.p.p., che, ove i residui della produzione industriale siano ab origine classificati da chi li produce come rifiuti, ciò esprime già quella volontà di dismissione che la lett. a) dell’art. 183, comma 1, cit. considera qualificante di una sostanza che sia riconducibile alla catalogazione dell’Allegato A al d.lgs. n. 152/2006 cit. (nella specie, categoria di rifiuti Q1: residui di produzione). Tale volontà di dismissione vale poi di risulta ad escludere la configurabilità di un sottoprodotto, tanto più se la sostanza necessità di “trasformazione preliminare” per la sua utilizzabilità in un successivo processo produttivo. E tale è l’operazione di cernita e pulitura che modificano l’identità della sostanza considerato che lo stesso art. 183, comma I, lett. n), prevede la (sola) cernita come operazione che è di per sé qualificabile come di recupero dei rifiuti.
Nella
specie - come già dello in
narrativa - la società Pilkington aveva classificato i
ritagli PVB venduti alla
Mantini con il codice CER
Inoltre, anche a voler considerare tali sostanze come scarti di produzione industriale costituiti da ritagli di materiale plastico, c’è comunque da considerare che la lett. n) dell’art. 183 cit. prevede che i sottoprodotti non sono soggetti alla parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006 sempre che l’impresa che li produce non abbia deciso di disfarsene. Nella specie la operata classificazione ad opera del produttore dei rifiuti ditali scarti di produzione industriale come rifiuti di plastica esprime appunto la volontà di disfarsi degli stessi e quindi li sottrae alla normativa derogatoria prevista per i sottoprodotti. Disciplina questa che peraltro - come già rilevato - opera a condizione (ulteriore) che non vi sia - come invece vi è stata nella specie - un’operazione di trasformazione preliminare quale appunto è la cernita e la pulitura ditali sostanze che in tal modo acquistano una nuova identità merceologica.
Trovava quindi applicazione, ai fini della legittimità del sequestro preventivo, la disciplina dei rifiuti, e non già quella dei sottoprodotti, come correttamente ha ritenuto l’ordinanza impugnata.
3.
Pertanto il ricorso va
rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle
spese
processuali.