Pres. Lupo Est. Petti Ric. Castiglione
Rifiuti. Inerti provenienti da demolizioni
Il decreto legislativo n 152 del 2006,con l'articolo 264 comma l lettera l ha abrogato l'articolo 14 della legge n 178 del 2002 ma continua a considerare rifiuti gli inerti provenienti da demolizione (art 184 comma terzo lettera b) . E' stata, invece, ribadita con l'articolo 186 decreto legislativo citato l'esclusione dall'ambito della disciplina dei rifiuti delle terre e rocce da scavo, a condizione però che siano effettivamente impiegate per reinterri, riempimenti ecc.., con l'osservanza delle prescrizioni previste dalla citata norma.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 21 giugno del 2006, la corte
d’appello di Milano
confermava quella pronunciata il 2 maggio del 2005 dal tribunale della
medesima
città, con cui Castiglione Stefano era stato condannato alla
pena di mesi tre
di arresto con i doppi benefici, quale responsabile del reato di cui al
Decreto
Legislativo n. 22 del 1997, articolo 51 comma 2, per avere, senza
autorizzazione, depositato rifiuti (materiale inerte proveniente da
scavi) su
un suolo del quale aveva la disponibilità, così
modificata l’originaria
imputazione di gestione di una discarica. Fatto accertato il 5 gennaio
del
2002.
Ricorre per cassazione il difensore
dell’imputato sulla base di due
motivi.
Motivi
della decisione
Con il primo motivo il difensore, dopo avere
ribadito che il proprio
cliente, imprenditore edile, aveva rinvenuto quel materiale in
occasione di uno
scavo e lo aveva depositato temporaneamente su un suolo condotto in
affitto
nell’attesa di riutilizzarlo, deduceva la violazione della
norma incriminatrice
perché il fatto non configurava il reato contestato, sia dal
punto di vista
oggettivo che soggettivo: dal punto di visto oggettivo
perché si trattava di
deposito temporaneo, che era consentito se posto in essere nei limiti e
con le
modalità di cui all’articolo 6, lettera m) del
Decreto Ronchi: nella
fattispecie il proprio assistito non aveva avuto il tempo di smaltirlo
perché
sorpreso prima della scadenza del trimestre; dal punto di vista
soggettivo
perché mancava la volontà di abbandonarlo:
infatti, il prevenuto dopo il
rinvenimento di quel materiale si era recato negli uffici della
provincia per
assumere informazioni sugli adempimenti del caso e gli era stato
comunicato che
aveva solo l’obbligo di smaltirlo entro tre mesi. In ogni
caso quel materiale
non costituiva rifiuto a norma del Decreto Legge 8 luglio del 2002,
articolo 14
convertito con modificazioni nella Legge n. 178 del 2002; proprio
perché
destinato ad essere riutilizzato.
Con il secondo motivo eccepisce la prescrizione del
reato.
Il ricorso è inammissibile per
l’aspecificità del primo motivo e comunque
per la manifesta infondatezza dello stesso.
L’articolo 581 c.p.p., lettera c) dispone
che i motivi d’impugnazione
debbano contenere: “l’indicazione specifica delle
ragioni di diritto e degli
elementi di fatto che sorreggono ogni singola richiesta”. Il
legislatore del
1988 ha ribadito l’esigenza di specificazione delle doglianze
per garantire un
minimo di serietà all’impugnazione pretendendo che
i motivi siano correlati a
ciascuna richiesta mediante l’indicazione chiara e precisa
delle censure che si
intendono muovere ai capi o ai punti della sentenza impugnata
nonché delle
ragioni di diritto e degli elementi fattuali che sorreggono ogni
singola
richiesta. Secondo l’orientamento di questa corte, si
considerano aspecifici i
motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e
ritenute infondate dai
giudici del merito. La mancanza di specificità del motivo
invero deve essere
apprezzata, non solo per la sua genericità, come
indeterminatezza, ma anche per
la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione
impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione,
questa non potendo
ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel
vizio di
aspecificità conducente a mente dell’articolo 591
c.p.p., comma 1, lettera c)
all’inammissibilità (Cass.
Nella fattispecie il ricorrente si limita a
riproporre censure già
avanzate nel giudizio di merito e puntualmente disattese dalla corte
territoriale senza l’indicazione dei vizi del ragionamento
dei giudici
censurati.
Il motivo è in ogni caso manifestamente
infondato perché non ricorrono le
condizioni per qualificare quel raggruppamento di rifiuti come deposito
temporaneo, come già precisato dalla corte territoriale.
In proposito è opportuno premettere che
gli inerti provenienti da
demolizioni edili o da scavi costituivano, all’epoca del
fatto, rifiuti
speciali ex articolo 7 Decreto Ronchi, salvo che fossero destinati ad
essere
riutilizzati secondo le previsioni di cui al Decreto Legge
Il Decreto Legislativo n. 152 del 2006 con
l’articolo 264, comma 1,
lettera I) ha abrogato la Legge n. 178 del 2002, articolo 14 ma
continua a
considerare rifiuti gli inerti provenienti da demolizione (articolo
184, comma
3, lettera b). E’ stata, invece, ribadita con
l’articolo 186 Decreto
Legislativo citato l’esclusione dall’ambito della
disciplina dei rifiuti delle
terre e rocce da scavo, a condizione però che siano
effettivamente impiegate
per reinterri, riempimenti ecc, con l’osservanza delle
prescrizioni previste
dalla citata norma.
Nella fattispecie l’effettivo riutilizzo
non è stato in alcun modo
provato. Secondo l’orientamento di questa corte il materiale
proveniente da
scavo di strade non è assimilabile alle terre e rocce da
scavo in quanto non è
costituito esclusivamente da terriccio e ghiaia ma anche da pezzi di
asfalto e
calcestruzzo qualificabili pacificamente come rifiuti (Cass. n. 12851
del 2003,
Favale; n. 8936 del 2003; n. 39568 del 2005, Francucci).
L’assunto del ricorrente sulla
configurabilità del deposito temporaneo è
palesemente infondato. Invero, a norma del Decreto Ronchi, articolo 28,
comma 5
(ora sostituito dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 208
comma
17), fatti comunque salvi l’obbligo della tenuta del registro
di carico e
scarico ed il divieto di miscelazione, non era richiesta alcuna
autorizzazione
per il deposito temporaneo se venivano rispettate le condizioni
previste dal
Decreto Ronchi, articolo 6, lettera m), ora sostituito dal Decreto
Legislativo
n. 152 del 2006, articolo 183 comma 1, lettera m). Il deposito
temporaneo,
secondo la definizione contenuta nel Decreto Legislativo n. 22 del
1997,
articolo 6 lettera m), ribadita con il Decreto Legislativo n. 152 del
2006,
articolo 183 lettera m), è costituito da un raggruppamento
di rifiuti prima
della raccolta effettuato sul luogo di produzione, nel rispetto delle
condizioni qualitative, quantitative e temporali previste dalla citata
norma.
Non si può quindi parlare di deposito temporaneo se i
rifiuti provengono da
luogo diverso da quello di produzione. Il mancato rispetto anche di una
sola
delle condizioni previste dalla norma da luogo ad
un’attività di gestione dei
rifiuti non autorizzata e quindi penalmente sanzionata (cfr. Cass. n.
3333 del
2004; 42212 del 2004).
Il deposito effettuato in luogo diverso da quello
in cui i rifiuti
vengono prodotti può dare luogo o ad un abbandono che, se
effettuato da
imprenditori o responsabili di enti, è sanzionato con la
stessa pena prevista
per la gestione non autorizzata dei rifiuti, o ad un deposito
preliminare o
stoccaggio nell’attesa dello smaltimento o del recupero.
Anche lo stoccaggio
come attività gestionale dei rifiuti deve essere
autorizzato.
Ciò premesso, nella fattispecie,
contrariamente all’assunto del
ricorrente, non si può parlare di deposito temporaneo
perché il raggruppamento
degli inerti, secondo le ammissioni dello stesso prevenuto (ed
è questa la
ragione della manifesta infondatezza del motivo), non era stato
effettuato nel
luogo di produzione dei rifiuti, ma in altro sito del quale
l’imputato aveva la
disponibilità. Quindi, quand’anche quel materiale
fosse stato depositato per
essere successivamente reimpiegato, come assume il prevenuto, il fatto
sarebbe
ugualmente penalmente rilevante perché le
attività di raccolta e riutilizzo dei
rifiuti per il successivo recupero dovevano essere autorizzate.
Sotto il profilo psicologico si osserva che il
prevenuto non può invocare
a propria discolpa l’ignoranza inevitabile della legge penale
o comunque la
buona fede perché, quale imprenditore edile, abituato a
gestire il materiale
proveniente da scavi, aveva l’obbligo d’informarsi
sulla normativa che
disciplinava la materia.
L’inammissibilità del ricorso
per la manifesta infondatezza del primo
motivo impedisce, in base all’orientamento espresso dalla
Sezioni unite di
questa corte con la sentenza n. 32 del 2000, de Luca nonché
con la sentenza del
In definitiva il ricorso è stato
proposto con un motivo manifestamente
infondato al solo scopo di fare dichiarare la prescrizione maturata
dopo la
decisione impugnata.