Pres. Lupo Est. Marini Ric. Cogoni
Rifiuti. Materiale da demolizioni (recupero)
Il materiale proveniente da demolizioni edili è rifiuto che resta tale sino al completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali l'art. 183 lett. h) del d.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 indica la cernita o la selezione.. Deve poi essere provato in quali termini e con quali destinazioni detti materiali verranno integralmente riutilizzati così come la destinazione al totale reimpiego in tempi certi
Rileva
Il Tribunale di Cagliari con sentenza in data
29 novembre
Fatto accertato il 13 novembre 2003
Il Tribunale ha fondato la propria decisione
sulla circostanza che una ricognizione aerea ed un successivo
sopralluogo
avevano consentito di verificare che all’interno dell’intera area di
proprietà
della Snc Cogoni Luigi, area di circa mq 1.600, completamente recintata
e
accessibile solo tramite un cancello, si trovavano abbandonati rifiuti
eterogenei (materiali di demolizione; veicoli fuori uso, pneumatici,
materiali
ferrosi; accumulatori di piombo, imballaggi). Tali fatti sono stati
ritenuti
integrare gli estremi della realizzazione dì una discarica non
autorizzata.
Con unico motivo di appello il Sig. Cogoni ha
censurato la sentenza del Tribunale, affermando che la presenza di
materiale
vario, adeguatamente separato per categoria e accumulato in modo
ordinato,
poteva eventualmente integrare l’ipotesi di “deposito incontrollato”,
ai sensi
del comma secondo del contestato art. 51 d.lgs. n. 22 del 1997.
La Corte di Appello ha respinto
l’impugnazione, ritenendo che le caratteristiche dei materiali
depositati nell’area
non consentissero di accedere alla prospettazione dell’appellante. Il
fatto che
i materiali fossero raccolti altrove e quindi trasportati nell’area,
distante
dai luoghi di produzione dei rifiuti, ove venivano accumulati deve
essere
valutato, secondo la Corte territoriale, anche alla luce del d.lgs. n.
36 del
2003, ed in particolare degli artt. 1 e 2, lett. g). Secondo la Corte,
infatti,
risulta provato che i materiali depositati erano destinati a restarvi
per un
lasso di tempo incerto e non preventivato, in alcuni casi certamente
superiore
ad un anno. Infine, secondo la Corte territoriale, tale ricostruzione
dei fatti
ed i principi fissati dal d.lgs. n. 36 del 2003 restano validi anche
successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152,
posto
che la nozione di discarica abusiva, sanzionata dall’art. 256, resta
ancorata
al disposto del d.lgs. n. 36 del 2003.
Avverso tale decisione il Sig. Cogoni
presenta ricorso per cassazione lamentando i vizi di travisamento dei
fatti e
illogicità della motivazione, nonché di errata applicazione sia
dell’art. 192
c.p.p. sia della disposizione contenuta nell’art. 51 d.lgs. n. 22 del
1997.
Erroneamente i giudici di merito avrebbero
ritenuto provato che i veicoli ed altri materiali fossero stati
depositati
oltre un anno prima dell’accertamento, posto che nessuna prova sussiste
in tal
senso per i veicoli a motore e che per i materiali edili i testimoni
della
difesa hanno attestato che essi provenivano da attività svolte
nell’estate del
1993, e cioè pochi mesi prima del sopralluogo. Sarebbero, dunque, del
tutto
assenti le prove dell’esistenza di un deposito di materiali
riconducibili al
concetto di discarica in senso proprio, mentre avrebbe dovuto
ipotizzarsi
l’esistenza di un deposito controllato di rifiuti propri, come tale non
più
previsto come reato.
Osserva
Il ricorso risulta manifestamente infondato
per le ragioni di seguito illustrate.
1. Va osservato in via preliminare che le
doglianze relative all’errata applicazione dell’art. 192 c.p.p. si
caratterizzano
come motivo in fatto, come tale sottratto alla valutazione di questa
Corte. Ed
infatti, il giudizio avanti la Corte di cassazione risponde a logiche e
finalità sue proprie, che non ripetono quelle del giudizio nei gradi di
merito.
Sul punto, con riferimento anche alla modifica apportata dalla legge n.
46 del
2006 all’art. 606 c.p.p., si rinvia all’ampia motivazione, che viene
condivisa
da questo Giudice, della sentenza della Seconda Sezione Penale della
Corte, 5
maggio-7 giungo 2006, n. 19584, Capri ed altra (rv 233773, rv 233774,
rv
233775) e della sentenza della Sesta Sezione Penale, 24 marzo-20 aprile
2006,
n. 14054, Strazzanti (rv 233454).
Una dimostrazione della sostanziale
differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra
l’altro, dalla
motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale,
che
(punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla
legge n. 46
del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che
la
esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce
una
limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni
giudiziali in
quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è “rimedio (che) non
attinge
comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece)
dall’appello”.
Se, dunque, il controllo demandato alla Corte
di cassazione non ha “la pienezza del riesame di merito” che è propria
del
controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il
nuovo testo
dell’art. 606, lett. e) c.p.p. non autorizzi affatto il ricorso a
fondare la
richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice
di
legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda
oggetto di
giudizio.
Come fondatamente osservato dalla citata
sentenza Capri ed altra, il rapporto tra il disposto degli artt. 544 e
546
c.p.p., e cioè tra completezza e concisione della motivazione, comporta
che la
motivazione del giudice di merito non deve dare conto di tutti gli
elementi di
prova esaminati, ma concentrarsi su quelli che assumono valore decisivo
ai fini
della decisione, posto che la finalità della motivazione resta quello
di
rendere edotte le parti delle ragioni essenziali della decisione stessa
e del
percorso logico seguito. E’ all’interno di questa prospettiva di ordine
generale che deve essere inteso il riferimento agli specifici atti del
processo, con la conseguenza che il giudice di legittimità è chiamato a
valutare l’incidenza di eventuali violazioni commesse dalla decisione
impugnata
sul risultato finale. Restano pertanto escluse dal controllo della
Corte “non
soltanto le deduzioni che riguardano l’interpretazione e la specifica
consistenza degli elementi di prova, ma anche le incongruenze logiche
che non
siano assolutamente incompatibili con le conclusioni adottate in altri
passaggi
argomentativi adottati dal giudici; cosicché non possono trovare
ingresso in
sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa
prospettazione
dei fatti adottata dai ricorrenti né su altre spiegazioni fornite dalla
difesa
per quanto plausibili, ma comunque inidonee ad inficiare la decisione
di
merito. Al di là di questi limiti finirebbe per accreditarsi la Corte
di
cassazione di poteri rivalutativi che, come tali, appartengono alla
sola cognizione
del giudice di merito.”.
In altri e conclusivi termini, questa Corte
ritiene che il giudizio sulla completezza e correttezza della
motivazione della
sentenza impugnata non possa confondersi “con una rinnovata valutazione
delle
risultanze acquisite, da contrapporsi a quella fornita dal giudice di
merito”,
con la conseguenza che una motivazione esauriente nell’affrontare i
temi
essenziali e coerente nella valutazione degli elementi probatori si
sottrae al
sindacato di legittimità. Conservano, dunque, piena validità anche dopo
la
novella del 2006 i principi essenziali fissati dalla sentenza delle
Sezioni
Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini
(rv
203767).
2. Conformemente ai principi così affermati, la Corte ritiene che non possa dirsi illogica o contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata allorché, ribadendo e confermando il giudizio di prime cure, ha considerato che le modalità con cui i rifiuti erano accumulati, la loro provenienza e le loro caratteristiche ed eterogeneità siano elementi nel complesso indicativi della destinazione dell’area a discarica. Sul punto va ricordato che questa Corte ha affermato in modo convincente che quando le sentenza di primo e secondo grado “concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente” (Prima Sezione Penale, sentenza n. 8886 del 26 giugno-8 agosto 2000, Sangiorgi, rv 216906), con la conseguenza che i motivi di ricorso devono essere oggi esaminati alla luce della complessiva motivazione adottata da entrambe le decisioni di merito.
Quanto al consistente materiale proveniente da
demolizioni edili, non vi
è dubbio che si sia in presenza di rifiuti, che restano tali sino al
completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la
disciplina
in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento
delle
operazioni di recupero, tra le quali l’art. 183 lett. h) del d.lgs. 3
aprile
2006 n. 152 indica la cernita o la selezione. Né risulta provato da
parte della
difesa in quali termini e con quali destinazioni detti materiali
sarebbero
stati integralmente riutilizzati dalla ditta del ricorrente (cfr.
Sezione Terza
Penale, sentenza n. 33882 del 15 giugno-9 ottobre 2006, PM in proc.
Barbati e
altri, rv 235114).
Analoga incertezza sussiste circa la destinazione
al totale reimpiego in
tempi certi dei residui materiali rinvenuti, la cui quantità e la cui
eterogeneità e collocazione sono stati dai giudici di merito ritenuti
indicativi di uno stato di abbandono e di una permanenza superiore al
termine
di un anno (sul punto si rinvia alla sentenza di questa Sezione, n.
l5997 del
14 marzo-19 aprile 2007, Storace, rv
3. I motivi di ricorso risultano, pertanto,
manifestamente infondati ed
il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere
per il
ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte
costituzionale in data del
13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere
che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella
determinazione della
causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di Euro