Cass. Sez. III n. 45463 del 9 dicembre 2008 (Cc 29 ott. 2008)
Pres. De Maio Est. Gazzara Ric. Marinangeli
Rifiuti. Prodotti da attività estrattiva
La esclusione prevista dall\'art. 185, co. l, lett. d, d.Lvo 152/06, deve essere letta secondo una interpretazione di stretto diritto, trattandosi di una eccezione alla regola generale sulla gestione dei rifiuti; detta deroga è limitata ai prodotti derivanti dalla attività estrattiva, che rimangono disciplinati dalle leggi speciali in materia di miniere, cave e torbiere. Sono pertanto, esclusi dalla normativa in materia di rifiuti solo i materiali derivati dallo sfruttamento di cave, che restino, però, entro il ciclo produttivo della estrazione e della connessa pulitura, non potendosi confondere l\'attività della cava con la lavorazione successiva dei materiali; qualora si esuli dal ciclo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava, devono considerarsi rifiuti.
Pres. De Maio Est. Gazzara Ric. Marinangeli
Rifiuti. Prodotti da attività estrattiva
La esclusione prevista dall\'art. 185, co. l, lett. d, d.Lvo 152/06, deve essere letta secondo una interpretazione di stretto diritto, trattandosi di una eccezione alla regola generale sulla gestione dei rifiuti; detta deroga è limitata ai prodotti derivanti dalla attività estrattiva, che rimangono disciplinati dalle leggi speciali in materia di miniere, cave e torbiere. Sono pertanto, esclusi dalla normativa in materia di rifiuti solo i materiali derivati dallo sfruttamento di cave, che restino, però, entro il ciclo produttivo della estrazione e della connessa pulitura, non potendosi confondere l\'attività della cava con la lavorazione successiva dei materiali; qualora si esuli dal ciclo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava, devono considerarsi rifiuti.
Il Tribunale di Perugia, in sede di riesame, con ordinanza del 26 maggio 2008, ha respinto la istanza avanzata da Marinangeli Angelo, relativa al provvedimento di sequestro preventivo, emesso dal Gip di Perugia il 5 maggio 2008, avente ad oggetto un area destinata ad impianto di lavorazione inerti, sita in località Gaifana di Gualdo Tadino, di proprietà della COES Beton.
La misura cautelare reale era stata disposta sul presupposto della sussistenza del fumus in ordine ai reati di cui agli artt. 156, co. 1 e 3, 137, co. 1, D.L.vo 152/06, e 44, D.P.R. 380/01.
Propone ricorso per cassazione la difesa dell’indagato, con i seguenti motivi:
- illegittima acquisizione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata per mancanza della doverosa obiettività che deve presiedere allo svolgimento della funzione di indagine, rilevato che i dati contenuti nel rapporto del NOE, a cura e sotto la guida del cap. Giuseppe Schienalunga sono viziati da incompatibilità funzionale: tra il predetto ufficiale e l’indagato da anni intercorre una forte inimicizia ed esiste un grave conflitto di interessi;
- insussistenza del fumus commissi delicti - violazione di legge art. 321 c.p.p., contestando la classificazione di “rifiuti tossici”attribuita dal NOE al materiale rinvenuto presso l’impianto della COES Beton, in quanto esso è da qualificare come sottoprodotto, di cui era consentito il reimpiego e la commercializzazione. Peraltro, avendo il Tribunale affermato che gli argomenti proposti dalla difesa meritano approfondimento con ulteriori indagini, lo stesso decidente avrebbe dovuto escludere la sussistenza del fumus.
Per quanto attiene alla pretesa violazione urbanistica, rileva il ricorrente, che il TAR dell’Umbria, sul ricorso proposto nell’interesse del Marinangeli, ha sospeso la esecutorietà del provvedimento emesso dal Comune.
Anche la affermata necessità, da parte del Tribunale, di procedere ad ulteriori accertamenti in ordine al sistema di raccolta delle acque, esclude la sussistenza del fumus commissi delicti.
Con motivi aggiunti, corredati da produzione di nuovi documenti, il ricorrente evidenzia ulteriormente i vizi già denunciati in gravame, che inficiano l’impugnata ordinanza, e la insussistenza dei presupposti per la emissione della misura cautelare reale.
Rilevato in diritto
Il ricorso è infondato e va rigettato.
La ordinanza resa dal Tribunale di Perugia si appalesa sorretta da logica ed esaustiva motivazione. Il primo motivo di impugnazione è totalmente privo di pregio, in quanto la doglianza con esso estrinsecata appare inconferente al giudizio di legittimità.
Quanto alla censura mossa con il secondo motivo si evidenzia che il Tribunale del Riesame rileva come dalla informativa del NOE si evinca che presso l’impianto di lavaggio di inerti, situato in Gaifana, sono stati rinvenuti considerevoli quantitativi di fanghi accumulati, rinvenienti, secondo quanto si apprende dalla stessa informativa di reato, dal lavaggio degli inerti provenienti da attività estrattiva.
La eccezione formulata dalla difesa, tendente ad affermare che detti fanghi non siano da qualificare quali rifiuti, non è meritevole di accoglimento, in quanto la giurisprudenza, di questa Corte, richiamata dalla stessa difesa dell’indagato, sul punto ha precisato che la esclusione prevista dall’art. 185, cc. I, lett. d, D.L.vo 152/06, deve essere letta secondo una interpretazione di stretto diritto, trattandosi di una eccezione alla regola generale sulla gestione dei rifiuti; detta deroga è limitata ai prodotti derivanti dalla attività estrattiva, che rimangono disciplinati dalle leggi speciali in materia di miniere, cave e torbiere ( Cass. 11 ottobre 2006, n. 5315; Cass. 22 settembre 2005. n. 42966).
Sono, pertanto, esclusi dalla normativa in materia di rifiuti solo i materiali derivati dallo sfruttamento di cave, che restino, però, entro il ciclo produttivo della estrazione e della connessa pulitura, non potendosi confondere l’attività della cava con la lavorazione successiva dei materiali; qualora si esuli dal ciclo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava, devono considerarsi rifiuti.
Nel caso di specie, come rilevato dal Tribunale, le modalità di conservazione dei fanghi, in parte mescolati a terra e utilizzati per la realizzazione di bacini di decantazione delle acque di lavaggio, in difetto, peraltro, del necessario titolo abilitativo, inibiscono di ritenere, sotto il profilo del fumus, che essi, rinvenuti nello stato di fatto evidenziato, costituiscano diretta derivazione della attività estrattiva e che, comunque, siano destinati a rimanere nell’ambito di tale ciclo produttivo, ovvero ad essere utilizzati per reinterri e riempimenti, con finalità di recupero ambientale, di cave coltivate. Seguendo la indicata scansione logico-giustificativa il giudice di merito ha rilevato, del pari correttamente, che appare configurabile anche la violazione urbanistica, ipotizzata in riferimento ai bacini di decantazione delle acque di lavaggio, della consistenza di circa 2.000 mq di superficie e di circa 15 mt. di altezza, (per la cui realizzazione, come osservato, erano stati utilizzati i fanghi de quibus, in parte misti a terra), e che non può attribuirsi nessuna incidenza, nella sfera penale, al provvedimento di sospensione, reso dal T.A.R. Umbria, dell’ordine di demolizione di detti manufatti e di ripristino dello stato dei luoghi, emesso dall’ente territoriale competente ed impugnato dal ricorrente.
Esente da vizi risulta essere anche la argomentazione relativa alla esigenza preventiva, in quanto il decidente, sul punto, precisa che sussiste il concreto pericolo che la libera disponibilità dell’impianto di lavaggio degli inerti, (funzionalmente collegato alla realizzazione delle condotte illecite), possa consentire la reiterazione e la protrazione dei reati sia in riferimento alla gestione dei rifiuti sia alle violazioni urbanistiche, concretizzantesi, in particolare per queste ultime, con la ultimazione e il successivo utilizzo del manufatto illecitamente realizzato.
La misura cautelare reale era stata disposta sul presupposto della sussistenza del fumus in ordine ai reati di cui agli artt. 156, co. 1 e 3, 137, co. 1, D.L.vo 152/06, e 44, D.P.R. 380/01.
Propone ricorso per cassazione la difesa dell’indagato, con i seguenti motivi:
- illegittima acquisizione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata per mancanza della doverosa obiettività che deve presiedere allo svolgimento della funzione di indagine, rilevato che i dati contenuti nel rapporto del NOE, a cura e sotto la guida del cap. Giuseppe Schienalunga sono viziati da incompatibilità funzionale: tra il predetto ufficiale e l’indagato da anni intercorre una forte inimicizia ed esiste un grave conflitto di interessi;
- insussistenza del fumus commissi delicti - violazione di legge art. 321 c.p.p., contestando la classificazione di “rifiuti tossici”attribuita dal NOE al materiale rinvenuto presso l’impianto della COES Beton, in quanto esso è da qualificare come sottoprodotto, di cui era consentito il reimpiego e la commercializzazione. Peraltro, avendo il Tribunale affermato che gli argomenti proposti dalla difesa meritano approfondimento con ulteriori indagini, lo stesso decidente avrebbe dovuto escludere la sussistenza del fumus.
Per quanto attiene alla pretesa violazione urbanistica, rileva il ricorrente, che il TAR dell’Umbria, sul ricorso proposto nell’interesse del Marinangeli, ha sospeso la esecutorietà del provvedimento emesso dal Comune.
Anche la affermata necessità, da parte del Tribunale, di procedere ad ulteriori accertamenti in ordine al sistema di raccolta delle acque, esclude la sussistenza del fumus commissi delicti.
Con motivi aggiunti, corredati da produzione di nuovi documenti, il ricorrente evidenzia ulteriormente i vizi già denunciati in gravame, che inficiano l’impugnata ordinanza, e la insussistenza dei presupposti per la emissione della misura cautelare reale.
Rilevato in diritto
Il ricorso è infondato e va rigettato.
La ordinanza resa dal Tribunale di Perugia si appalesa sorretta da logica ed esaustiva motivazione. Il primo motivo di impugnazione è totalmente privo di pregio, in quanto la doglianza con esso estrinsecata appare inconferente al giudizio di legittimità.
Quanto alla censura mossa con il secondo motivo si evidenzia che il Tribunale del Riesame rileva come dalla informativa del NOE si evinca che presso l’impianto di lavaggio di inerti, situato in Gaifana, sono stati rinvenuti considerevoli quantitativi di fanghi accumulati, rinvenienti, secondo quanto si apprende dalla stessa informativa di reato, dal lavaggio degli inerti provenienti da attività estrattiva.
La eccezione formulata dalla difesa, tendente ad affermare che detti fanghi non siano da qualificare quali rifiuti, non è meritevole di accoglimento, in quanto la giurisprudenza, di questa Corte, richiamata dalla stessa difesa dell’indagato, sul punto ha precisato che la esclusione prevista dall’art. 185, cc. I, lett. d, D.L.vo 152/06, deve essere letta secondo una interpretazione di stretto diritto, trattandosi di una eccezione alla regola generale sulla gestione dei rifiuti; detta deroga è limitata ai prodotti derivanti dalla attività estrattiva, che rimangono disciplinati dalle leggi speciali in materia di miniere, cave e torbiere ( Cass. 11 ottobre 2006, n. 5315; Cass. 22 settembre 2005. n. 42966).
Sono, pertanto, esclusi dalla normativa in materia di rifiuti solo i materiali derivati dallo sfruttamento di cave, che restino, però, entro il ciclo produttivo della estrazione e della connessa pulitura, non potendosi confondere l’attività della cava con la lavorazione successiva dei materiali; qualora si esuli dal ciclo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava, devono considerarsi rifiuti.
Nel caso di specie, come rilevato dal Tribunale, le modalità di conservazione dei fanghi, in parte mescolati a terra e utilizzati per la realizzazione di bacini di decantazione delle acque di lavaggio, in difetto, peraltro, del necessario titolo abilitativo, inibiscono di ritenere, sotto il profilo del fumus, che essi, rinvenuti nello stato di fatto evidenziato, costituiscano diretta derivazione della attività estrattiva e che, comunque, siano destinati a rimanere nell’ambito di tale ciclo produttivo, ovvero ad essere utilizzati per reinterri e riempimenti, con finalità di recupero ambientale, di cave coltivate. Seguendo la indicata scansione logico-giustificativa il giudice di merito ha rilevato, del pari correttamente, che appare configurabile anche la violazione urbanistica, ipotizzata in riferimento ai bacini di decantazione delle acque di lavaggio, della consistenza di circa 2.000 mq di superficie e di circa 15 mt. di altezza, (per la cui realizzazione, come osservato, erano stati utilizzati i fanghi de quibus, in parte misti a terra), e che non può attribuirsi nessuna incidenza, nella sfera penale, al provvedimento di sospensione, reso dal T.A.R. Umbria, dell’ordine di demolizione di detti manufatti e di ripristino dello stato dei luoghi, emesso dall’ente territoriale competente ed impugnato dal ricorrente.
Esente da vizi risulta essere anche la argomentazione relativa alla esigenza preventiva, in quanto il decidente, sul punto, precisa che sussiste il concreto pericolo che la libera disponibilità dell’impianto di lavaggio degli inerti, (funzionalmente collegato alla realizzazione delle condotte illecite), possa consentire la reiterazione e la protrazione dei reati sia in riferimento alla gestione dei rifiuti sia alle violazioni urbanistiche, concretizzantesi, in particolare per queste ultime, con la ultimazione e il successivo utilizzo del manufatto illecitamente realizzato.