Cass. Sez. III n. 22081 del 12 giugno 2025 (UP 15 mag 2025)
Pres. Ramacci Rel. Galanti Ric. Sofia
Rifiuti.Abbandono dei rifiuti urbani al di fuori dagli appositi contenitori

L'abbandono dei rifiuti urbani al di fuori dagli appositi contenitori è vietato e sussiste l'onere, per le imprese addette alla raccolta dei rifiuti, di controllare la corretta attività di smaltimento rivolgendosi ad altro luogo di conferimento nel caso in cui siano saturi i contenitori ai quali vengano destinati i rifiuti. In caso di inottemperanza, si verifica una ipotesi di abbandono incontrollato di rifiuti.


PREMESSO IN FATTO 

1. Con sentenza dell’8/07/2024, il Tribunale di Catania condannava Massimo Sofia in ordine al reato di cui agli articoli 192 e 256, comma 2, d. lgs. 152/2006 e, per l’effetto, condannava lo stesso alla pena di euro 5.000,00 di ammenda.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, lamentando violazione dell’articolo 606, comma 1, lettere b), c) ed e), in relazione agli artt. 125, 192, 533 e 546 cod. proc. pen.; erronea applicazione della legge penale, inosservanza di norme processuali, mancanza di motivazione, motivazione illogica e contraddittoria, travisamento della prova e mancata correlazione tra accusa e sentenza.
La sentenza è contraria alle prove acquisite, le dichiarazioni degli operanti sono travisate.
Inoltre, avere depositato i rifiuti sulla pubblica via non costituisce abbandono.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. In primo luogo, questa Corte (Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Rv. 263541 - 01; Sez. 1, n. 39122 del 22/09/2015, Rv. 264535 - 01) ha reiteratamente chiarito che il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., ha l’onere - sanzionato a pena di a-specificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso - di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l’impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dai motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio. 
La tipizzazione dei possibili motivi di ricorso indicati dall’art. 606, comma 1, c.p.p. (i quali costituiscono, a differenza di quelli di appello, un numerus clausus, a presidio del quale l’art. 606, comma 3, c.p.p. commina la sanzione della inammissibilità per i « motivi diversi da quelli consentiti dalla legge ») comporta che il generale requisito della specificità si moduli, in relazione alla impugnazione di legittimità, in un senso particolarmente rigoroso e pregnante, sintetizzabile attraverso il già adoperato riferimento alla «duplice specificità» (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 - 01), essendo onere del ricorrente argomentare anche la sussunzione della censura formulata nella specifica previsione normativa alla stregua della tipologia dei motivi di ricorso tassativamente stabiliti dalla legge. 
I motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, ed in quanto tali, non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento a un medesimo segmento dello sviluppo argomentativo che sorregge la decisione impugnata: i vizi della motivazione si pongono, infatti, in rapporto di alternatività, ovvero di reciproca esclusione, posto che — all’evidenza — la motivazione se manca, non può essere, al tempo stesso, né contraddittoria, né manifestamente illogica e, per converso, la motivazione viziata non è motivazione mancante; infine, il vizio della contraddittorietà della motivazione (introdotto dall’art. 8 I. n. 46 del 2006, che ha novellato l’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p.) è specificamente connotato rispetto alla manifesta illogicità. 
Ciò premesso, la promiscua mescolanza dei motivi di ricorso, se cumulati e rubricati indistintamente (come nel caso in esame, in cui il ricorrente deduce, indistintamente, inosservanza di norme processuali, neppure specificate, nonché mancanza di motivazione, motivazione illogica e contraddittoria, travisamento della prova e mancata correlazione tra accusa e sentenza), rende l’impugnazione assolutamente aspecifica e quindi inammissibile.
Peraltro, non potrebbe oggi ritenersi del tutto irrilevante l’aspetto grafico e formale dell’articolazione dell’atto di ricorso in paragrafi ed altre sottopartizioni, atteso che il «Protocollo d’intesa tra Corte di cassazione e Consiglio Nazionale Forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale», sottoscritto il 17 dicembre 2015, prevede che «i vizi di legittimità devono essere esposti distinguendo le singole doglianze con riferimento ai casi dell’art. 606 c.p.p.». 
Detto Protocollo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, va considerato quale strumento esplicativo del dato normativo di cui all’art. 606 c.p.p. (Sez. 2, n. 57737 del 20/09/2018, Rv. 274471 - 01; Sez. 6, n. 57224 del 09/11/2017, Rv. 271725), e la sua violazione può confermare la valutazione d’inammissibilità per difetto di specificità del ricorso.
Le censure relative al vizio di motivazione, alla mancata correlazione tra accusa e sentenza e alla violazione di legge processuale sono pertanto generiche e inammissibili.

3. Quanto alla dedotta violazione di legge, la doglianza è manifestamente infondata.
3.1. Questa Corte ha in passato ritenuto (Sez. 3, n. 8275 del 25/11/2009, dep. 2010, Ricci, n.m.), con principio che il Collegio ribadisce, che l'abbandono dei rifiuti urbani al di fuori dagli appositi contenitori è vietato e sussiste l'onere, per le imprese addette alla raccolta dei rifiuti, di controllare la corretta attività di smaltimento rivolgendosi ad altro luogo di conferimento nel caso in cui siano saturi i contenitori ai quali vengano destinati i rifiuti.
In caso di inottemperanza, si verifica una ipotesi di abbandono incontrollato di rifiuti.
Giova rappresentare che l’imputato, in qualità di legale rappresentante della società «Il Tocco», gestrice anche dell’Hotel Santa Caterina di Acireale, è per ciò solo gravato da posizione di garanzia, che impone allo stesso di vigilare – come correttamente evidenziato in sentenza - sull’attività dei propri dipendenti, incorrendo in caso negativo in culpa in vigilando.
Va in proposito rammentato che, secondo la piana giurisprudenza della Corte, «in materia ambientale, i titolari e i responsabili di enti ed imprese rispondono del reato di abbandono incontrollato di rifiuti non solo a titolo commissivo, ma anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che abbiano posto in essere la condotta di abbandono (Sez. 3, n. 40530 del 11/06/2014 – dep. 01/10/2014, Mangone, Rv. 261383 – 01; Sez. 3, n. 23971 del 25/05/2011, Graniero, Rv. 250485 – 01; Sez. 3, n. 45974 del 27/10/2011, Spagnuolo, Rv. 251340 – 01; più di recente: Sez. 3, n. 24080 del 29/05/2024, Putortì; Sez. 3, n. 2234 del 09/07/2021, dep. 2022, Losardo; Sez. 3, n. 32744 del 03/07/2023, Passiante, non massimate).
Coglie, inoltre, nel segno il Procuratore generale laddove evidenzia che la circostanza, come risulta per stessa allegazione difensiva, che l’attività di raccolta differenziata svolta da parte della impresa alberghiera non era ben coordinata con il servizio di raccolta comunale (per asserita carenza di contenitori a disposizione) a cui avrebbe fatto seguito la scelta di accatastare sulla strada i rifiuti sovrabbondanti rispetto ai contenitori disponibili, ponendoli vicino ai masselli pieni. 
Si evidenzia che tale deduzione, già di per sé, denota un profilo di negligenza a cui il ricorrente ritiene, nelle argomentazioni difensive, di aver dato risposta allegando una missiva in cui viene contestato la insufficienza dei mastelli di raccolta dati in dotazione, ma rispetto a cui pare del tutto incoerente aver trovato come soluzione quella di accatastare sulla strada in modo incontrollato i rifiuti. Tale missiva costituisce, al contrario, il riscontro documentale alla riferibilità della condotta di abbandono alla attività di impresa e a una condotta imprenditoriale quanto meno negligente nella gestione dei rifiuti prodotti, tradottasi in una prassi consolidata di abbandono sulla strada di rifiuti non meglio classificati in prossimità del luogo di raccolta prestabilito. 
3.2. Ancora, la presenza di un delegato a seguire le fasi di conferimento dei rifiuti, circostanza riferita dai dipendenti Mauro e Maestri, non è che labialmente rappresentata, essendo pacifico che, in materia ambientale, affinché la delega di funzioni sia valida (v. Sez. 3, n. 6420 del 07/11/2007, dep. 2008, Girolimetto, Rv. 238980 - 01), è necessaria la compresenza di precisi requisiti: a) la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale; b) il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli; c) il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell'impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa; d) la delega deve riguardare non solo le funzioni ma anche i correlativi poteri decisionali di spesa; e) l'esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo.
Si è poi aggiunto che il trasferimento delle funzioni deve essere giustificato dalle dimensioni o dalle esigenze organizzative dell'impresa, ferma restando la persistenza di un obbligo di vigilanza del delegante in ordine al corretto espletamento, da parte del delegato, delle funzioni trasferite (Sez. 3, n. 15941 del 12/02/2020, Fissolo, Rv. 278879 - 01).
Circostanze tutte non comprovate dal ricorrente che, in base al principio di «vicinanza della prova», aveva interesse a dedurre.
Infine, Il reato di cui all'art. 256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile nei confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell'esercizio, anche di fatto, di una attività economica, indipendentemente dalla qualifica formale dell'agente o della natura dell'attività medesima (Sez. 3, n. 56275 del 24/10/2017, Marcolini, Rv. 272356 - 01).
3.3. Quanto poi al numero degli abbandoni ripresi dalle videocamere e alla riconducibilità della condotta ivi rappresentata alla attività alberghiera, riferita dagli operanti di polizia giudiziaria (isp. Foti, il quale riferisce che i rifiuti, per la loro quantità, andavano ad ingombrare perfino la sede stradale), trattasi di questione di fatto insuscettibile di rivalutazione in sede di legittimità e contraddetta, peraltro, dalla nota di cui in narrativa.
Ad ogni buon conto, il Collegio rammenta che, secondo la giurisprudenza della Corte (Sez. n. 33423 del 01/06/2023, Hagiu, Rv. 284999 – 01), «integra la contravvenzione di cui all'art. 256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, la condotta del titolare di un'impresa o del responsabile di un ente che abbandoni o depositi in modo incontrollato rifiuti derivanti dallo svolgimento di attività comunque riconducibili all'impresa o all'ente, in quanto dagli stessi esercitabili anche in maniera occasionale ed illegale, essendo esclusa la configurabilità dell'illecito penale nel solo caso in cui i rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato siano estranei a qualunque attività che, anche episodicamente, potrebbe svolgere l'impresa o l'ente», circostanza, questa, non dedotta se non labialmente. 

4. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile, ciò che esenta il Collegio dal valutare la sussistenza di cause di prescrizione del reato maturate dopo la sentenza di appello (la cui sussistenza non era peraltro stata dedotta con i motivi di ricorso).
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15/05/2025.