Cass. Sez. III n. 22077 del 12 giugno 2025 (UP 14 mag 2025)
Pres. Ramacci Rel. Bucca Ric. Goddi
Rifiuti.Reato di illecita combustione

Il reato di combustione illecita di rifiuti di cui all'art. 256-bis del d.lgs n. 152 del 2006 si configura con l'appiccare il fuoco a rifiuti abbandonati, ovvero depositati in maniera incontrollata, non essendo richiesto, per l'integrazione del reato, la dimostrazione del danno all'ambiente e il pericolo per la pubblica incolumità. Inconferente è poi il confronto con l’art. 423 comma 2 cod. pen., risultando non equiparabile il dato normativo. L’incendio, che connota la fattispecie incriminatrice richiamata, richiede un evento di vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, sì da porre in pericolo l'incolumità di un numero indeterminato di persone. La norma speciale è, invece, incentrata sulla sola presa delle fiamme sui rifiuti indipendentemente  dal quantitativo e dal rischio di propagazione anche solo potenziale del fenomeno.

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza in data 19/9/2023 la Corte di appello di Firenze ha confermato la condanna alla pena di anni uno e mesi cinque di reclusione resa all’esito del primo grado di giudizio dal Tribunale di Grosseto nei confronti di Goddi Rita, ritenuta responsabile, in qualità di amministratrice dell’omonima azienda agricola, del reato di cui all’art. 256, comma 2 d. lgs. 152/2006 per abbandono incontrollato di rifiuti ferrosi in un’area di cui aveva la disponibilità e di quello di cui all’art. 256 bis d.lgs. 152/06 per aver, nella medesima area, appiccato il fuoco a rifiuti rappresentati da imballaggi di plastica, imballaggi di ferro e rifiuti prodotti dall’agricoltura.

2. Avverso la sentenza, l’imputata, per il tramite del proprio difensore, propone ricorso per cassazione articolando otto motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di legge e il difetto di motivazione con riferimento alla mancata dichiarazione di prescrizione, assumendo che il reato di cui all’art. 256 TUA si era prescritto il 10/4/2023.
2.2 Con il secondo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 256 comma 2 lett. a) d.lgs. 152/06 e il vizio di motivazione. In particolare, si contestata che non fosse rimasto provato che ricorrevano gli estremi del deposito temporaneo di rifiuti. Si deduce, infatti, che le deposizioni rese dai testi Taggia, Goddi Paolo, Pala, Piras e Miralli, che si assume dalla Corte non adeguatamente valutate, avevano provato che l’azienda agricola conferiva i rifiuti metallici alla Mar SID di Treggia Silvio che provvedeva a recuperarli al raggiungimento del quantitativo minimo di cinque/sei tonnellate, quantitativo che, al momento dell’accertamento originante il procedimento, non poteva dirsi raggiunto. Si confuta, poi, il rilievo dato dalla Corte territoriale all’assenza del registro relativo ai rifiuti, assumendo che il dato poteva comportare al massimo l’irrogazione di una sanzione amministra, e si contesta la sussistenza della condizione di incertezza circa l’origine dei rifiuti metallici, individuata dalla Corte territoriale come ulteriore elemento che concorreva ad escludere che sussistessero i requisiti per la configurazione del deposito temporaneo, richiamando la deposizione di Metrano, che nel corso del sopralluogo aveva rilevato “la presenza a destra di un capannone di materiale ferroso”, per sostenere che era “emerso dalle risultanze istruttorie che le lamiere fossero lo scarto della vecchia copertura rimossa del capannone dell’azienda”
2.3 Con il terzo motivo, si denuncia il vizio di motivazione con riferimento “alla necessaria ricorrenza del pericolo concreto ai fini della sussistenza del reato di cui al secondo capo di imputazione”. Si sostiene che nel caso di abbruciamento di rifiuti non pericolosi il pericolo deve essere concreto, ossia “deve aver messo a repentaglio la zona circostante”, presupposto non verificato dai giudici di merito, e si richiamano, a sostegno del risultato ermeneutico enunciato, precedenti giurisprudenziali relativi all’incendio di cosa propria.
2.4 Con il quarto motivo, si denuncia il vizio di motivazione in relazione all’”inesistenza dell’elemento soggettivo del reato e della colpevolezza dell’imputata”. Si sostiene che il passo della deposizione di Goddi Paolo, valorizzato dalla Corte territoriale ai fini della configurazione dell’elemento soggettivo, non permetteva di desumere un qualunque coinvolgimento dell’imputata nelle operazioni di smaltimento dei rifiuti.
2.5 Con il quinto motivo, si denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’omessa applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. Si deduce che la Corte territoriale non aveva tenuto in considerazione che: la condotta aveva interessato un’area situata nelle vicinanze del capannone, per cui ingiustificato era il rilievo dato dalla Corte territoriale al fatto che la condotta fosse stata posta in essere in un’azienda agricola; la condotta incriminata aveva avuto a oggetto quantitativi ridotti di rifiuti non pericolosi; era stato eseguito il ripristino dello stato dei luoghi; il danno derivato era stato di modesta entità, essendo stati i rifiuti ferrosi smaltiti tramite la Mar. Sid. e avendo l’abbruciamento avuto a oggetto “prevalentemente materiale organico”; non vi erano prove della colpevolezza dell’imputata.
2.6 Con il sesto motivo, si denuncia il vizio di motivazione in relazione all’omessa derubricazione del reato “contestato al capo b) nell’ipotesi di cui all’art. 256 comma 1 d.lgs. 152/2006”. Si deduce che la Corte territoriale non aveva risposto all’argomento difensivo secondo il quale le condotte di abbruciamento di rifiuti effettuate con le modalità e alle condizioni indicate dall’art. 182 comma 6-bis d.lgs citato non rientravano nelle operazioni di gestione dei rifiuti.
2.7 Con il settimo motivo, si lamenta che il vizio di motivazione in relazione ai “motivi di gravame relativamente ai diritto al silenzio”. Si deduce che il silenzio di Goddi era stata valutato come elemento a sfavore dell’imputata dal giudice di prime cure in palese violazione dei principi enunciati al riguardo “dai giudici di Strasburgo”.
2.8 Con ultimo motivo, si denuncia il vizio di motivazione in relazione al diniego di sostituzione della pena irrogata con i lavori di pubblica utilità. Si assume che l’omesso svolgimento del lavoro di pubblica utilità avrebbe avuto conseguenze pregiudizievoli per l’imputata per cui illogico risultava il ragionamento della Corte territoriale che aveva negato la sostituzione rilevando che l’imputata si era resa precedentemente “inadempiente al pagamento in via amministrativa cui era stata ammessa per l’estinzione del reato di cui al capo a)”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato in relazione solo al motivo prospettante la prescrizione della contravvenzione ascritta al capo a) risultando gli ulteriori motivi manifestamente infondati o non consentiti il sede di legittimità.
La sentenza di primo grado risulta resa il 20/10/2022 e previde un termine per il deposito della motivazione di giorno 90. Dal 18/1/2023 al 19/9/2023, quindi, il decorso della prescrizione risulta sospeso, ai sensi del comma 2 dell’art. 159 cod. pen. nel testo inserito dalla l. 29/6/2017 n. 103, applicabile ratione temporis, essendo stati commessi i reati nel periodo di vigenza della norma, come chiarito dalla Sezioni unite all’udienza del 12/12/2024, decisione di cui si conosce solo l’informazione provvisoria. La sentenza di appello previde il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. Dal 19/12/2023 al 13/5/2025, quindi il termine di prescrizione risulta sospeso. All’udienza del 29/9/2022, infine, il processo è stato rinviato al 20/10/2022 su richiesta della difesa, per cui complessivamente, il decorso del termine prescrizionale è rimasto sospeso per anni 2, mesi 1 e giorni 14.
Venendo, ancora, alla data di decorrenza del termine, il ricorso assume che per la contravvenzione contestata al capo a) il termine di prescrizione decorrerebbe dalla data di accertamento, ossia il 10/4/1018, avendo “la Corte di cassazione, con sentenza del 17/3/2016 n. 10960 stabilito che il reato di abbandono di rifiuti…ha natura istantanea se non è seguito da successive attività…”.
Sennonchè, l’ipotesi ricostruttiva contestata e ritenuta configura, in relazione alla condotta ascritta al capo a), è quella del deposito incontrollato che ha invece natura permanente (Sez. 3, n. 30910 del 10/06/2014, Ottonello, Rv. 260011 – 01), perché “la condotta riguarda un'ipotesi di deposito "controllabile" cui segue l'omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dalla norma citata, donde l'inosservanza di dette condizioni integra un'omissione a carattere permanente, la cui antigiuridicità cessa sino allo smaltimento o al recupero” ( Sez. 3, n. 6999 del 22/11/2017 (dep. 2018), Paglia). 
A rigore, pertanto, il dies ad quem dovrebbero coincidere con la data del sequestro, avvenuto il 18/4/2018.
In ogni caso, anche a far decorrere la prescrizione dal 10/4/2018, la contravvenzione non risulta prescritta, giungendo a compimento il termine il 24/6/2025.

2. Venendo agli altri motivi del ricorso, la sentenza impugnata, riprendendo gli argomenti del Tribunale, ha disatteso la tesi difensiva volta a configurare l’ammasso di rifiuti rinvenuti quale deposito temporaneo sottolineando: che i rifiuti erano accumulati alla rinfusa e non per categorie omogenee, come imposto dall’art. 183 comma 3 d.lgs. n. 152/2006, nel testo all’epoca dei fatti vigente; l’occasionalità  dei rapporti con la ditta Mar. Sid., desunta dal fatto che le operazioni di ritiro dei rifiuti effettuate da tale ditta presso l’azienda agricola dell’imputata erano tutte successive al sopralluogo originante il procedimento e dall’assenza di un registro di carico e scarico del materiale ferroso; che non era rimasto provato che i rifiuti fossero stati raggruppati in vista del futuro smaltimento nel rispetto delle cadenze temporali previste dal comma 1 lett. bb)) dell’art. 183, ora trasfuso nel comma 2 dell’art. 185 bis; l’incertezza in ordine alla provenienza dei rifiuti non essendo documentato il collegamento con l’attività agricola che aveva luogo nell’area e non risultando registrate le lastre di lamiera nel registro di carico e scarico dei rifiuti.
Si è, quindi, in presenza di un apparato motivazionale, risultante dalle sentenze di merito, che risulta aderente alle risultanze probatorie, non essendo stata denunciato il travisamento della prova, e che applica correttamente le previsioni normative richiamate.
Non ricorre, pertanto, la violazione di legge sostanziale denunciata.
Ai fini della corretta deduzione del vizio di cui all'art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., il motivo di ricorso, infatti, deve strutturarsi sulla contestazione della riconducibilità del fatto - come ricostruito dai giudici di merito - nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, è, come accade sovente ed anche nel caso di specie, sostenere che le emergenze istruttorie acquisite siano idonee o meno a consentire la ricostruzione della condotta di cui si discute in termini tali da ricondurla al paradigma legale. Nel primo caso, infatti, viene effettivamente in rilievo un profilo di violazione di legge laddove si deduce l'erroneità dell'opera di "sussunzione" del fatto rispetto alla fattispecie astratta; nel secondo caso, invece, la censura si risolve nella contestazione della possibilità di enucleare, dalle prove acquisite, una condotta corrispondente alla fattispecie tipica che è, invece, operazione prettamente riservata al giudice di merito.
2.1 Venendo al deficit argomentativo denunciato con il secondo motivo, a fronte del decritto apparato giustificativo, destituite di ogni fondamento paiono a questo Collegio le censure mosse dalla ricorrente con il motivo di ricorso in valutazione, costituendo in realtà espressione del tentativo, non consentito, di imporre a questa Corte una rilettura dei fatti processuali risultati nel corso dei due gradi di giudizio, qualificando come vizi di legittimità doglianze che esplicano, in effetti, un dissenso sulla valutazione da parte dei giudici di merito delle risultanze probatorie. Il motivo, infatti, non individua alcun vizio motivazionale nel ragionamento probatorio che sorregge la decisione ma valorizza prove dichiarative, di cui riporta frasi o fornisce sintesi, senza però mettere a disposizione le relative trascrizioni, così non ottemperando al principio di autosufficienza del ricorso, per accreditare una versione alternativa che entrami i giudici di merito hanno, in maniera del tutto condivisibile, respinto.
Gli argomenti difensivi esprimono valutazioni in punto di fatto, che offrono una lettura alternativa, e, peraltro, assai discutibile, del compendio probatorio rispetto a quella dei giudici di merito, con le quali la ricorrente deduce che è ingiustificato il valore significativo dato a questa o quella prova mentre invece maggior peso avrebbe dovuto essere assegnato ad altre deposizioni, ritenute ingiustamente obliterate, così implicando un giudizio valutativo della prova e, dunque, una considerazione in fatto che è preclusa al giudice della legittimità, in assenza di rilievi circa la sussistenza di alcuno dei vizi sindacabili in Cassazione.
 E’ stato in maniera condivisibile osservato che “in tema di ricorso per cassazione, invero, non basta prospettare una valutazione della prova diversa rispetto a quella del giudice del merito ovvero asserire l'eventuale erronea lettura di un dato fattuale per denunciare il vizio di illogicità manifesta, essendo altresì necessario spiegare perché -nel caso concreto- venga a configurarsi una illogicità, ossia un vizio che consegue «alla violazione di principi della logica formale diversi dalla contraddittorietà o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell'art. 192 cod. proc. pen. ovvero alla invalidità o alla scorrettezza dell'argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e le conclusioni», (Sez. 1, Sentenza n. 53600 del 24/11/2016, Sanfilippo)” ( Sez. 2, n. 38818 del 7/6/2019, M.). 
 Vizio che, per di più, deve essere qualcosa che collide con il modo di ragionare comune, quasi sorprendendo (ictu oculi) il lettore per la sua insensatezza. Per tale ragione, minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, sono irrilevanti, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l'esame del complesso probatorio, entro il quale ogni elemento sia contestualizzato, che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione (così, tra moltissime, Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227; Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Rv. 254988). 
2.2 Il motivo in valutazione lamenta la scarsa considerazione data alle deposizioni che provavano i rapporti fra l’azienda agricola e la Mar Sid di Treggia Silvio, ma non si confronta con la motivazione della Corte territoriale che proprio muovendo dalla deposizione di Treggia aveva rilevato come i rapporti fra le due aziende fossero tutti successivi al sopralluogo che aveva originato il procedimento, non essendovi traccia  di interventi precedenti, nonostante le operazioni eseguite dalla Mar Sid in favore dell’azienda agricola avrebbero imposto la predisposizione di documentazione relativa ai rifiuti movimentati. Va anche ricordato che il quantitativo di rifiuti non è l’unico parametro richiesto ai fini della configurabilità del deposito temporaneo, prevedendo la disciplina che il deposito non possa avere durata superiore a un anno. Ma anche sotto tale profilo nessun elemento di prova è stato indicato dalla difesa per confutare le conclusioni dei giudici di merito. I testi Pala, Miralli e Piras, ancora, non sono stati affatto ignorati dai giudici di merito i quali ne hanno segnalato l’inattendibilità non soltanto valorizzando i rapporti di amicizia con l’imputata ma anche la sporadicità della presenza in azienda e il contrasto con circostanze di fatto cadute sotto la diretta percezione degli operanti o rivelate dalla deposizione di Treggia. Si contesta, poi, il rilievo dato dalla Corte territoriale alla mancanza del registro di carico e scarico dei rifiuti e l’utilizzazione di tale mancanza al fine di ritenere non dimostrata la provenienza delle lastre di lamiera dall’attività agricola gestita da Goddi. Nel ricorso, però, l’assenza del registro di carico e scarico viene espunto dal ragionamento probatorio nel quale risulta inserito, per prospettarne, in una valutazione parcellizzata, l’assenza di rilievo penale mentre la prova della materiale produzione nell’area delle lastre è desunta dal fatto che erano collocate a poca distanza da un capannone, senza però precisare per quale legge di copertura tale vicinanza collegava le lastre al manufatto, così da integrare il requisito della produzione del rifiuto nel sito. Non è dato, ancora, comprendere, e il ricorso non spiega, come la deposizione di Goddi Paolo, che aveva sostento di aver “bruciato paglia e fieno” sia compatibile con i residui di rifiuti combusti di natura mista, occupante una superficie di 15 mq., rinvenuta dagli operanti nell’area.
2.3 Va a questo punto ricordato che ai fini della configurazione del deposito temporaneo di rifiuto devono sussistere gli specifici requisiti richiesti dall’art. 183 bb) d. lgs. 152/2006, così come sostituito dal d.lgs. n. 116 del 2020, che riprende, in sostanziale continuità, la definizione della normativa previgente, gravando sull’interessato, posto che il regime giuridico più favorevole invocato ha portata derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria, l’onere di fornirne la relativa dimostrazione (Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo e altro, Rv. 264121; Sez. 3, n. 35494 del 10/05/2016, Di Stefano, Rv. 267636 – 01; Sez. 3, n. 11167 del 14/12/2023 (dep. 2024 ), Parenti,  Rv. 286043 - 02).
Applicando tale principio al caso di specie, non possono che condividersi le conclusioni cui sono giunti i giudici di merito mancando, per la configurazione del deposito temporaneo, non soltanto la suddivisione per categorie omogenee dei rifiuti ma, ancor prima, la prova che il raggruppamento dei rifiuti fosse costituito da materiale prodotto nel sito e che la loro permanenza nell’area non si protraeva da più di un anno.

3. Non maggior fondamento ha il terzo motivo di impugnazione, avendo la Corte territoriale correttamente applicato il principio giurisprudenziale, espressione di un orientamento di legittimità consolidato cui il Collegio ritiene di dover dare continuità, secondo cui il reato di combustione illecita di rifiuti di cui all'art. 256-bis del d.lgs n. 152 del 2006 si configura con l'appiccare il fuoco a rifiuti abbandonati, ovvero depositati in maniera incontrollata, non essendo richiesto, per l'integrazione del reato, la dimostrazione del danno all'ambiente e il pericolo per la pubblica incolumità. (Sez. 3, n. 52610 del 4/10/2017,  Sancilles,  Rv. 271359; Sez. 2, n. 24302 del 19/5/2022, Salkanovic).
Inconferente è poi il confronto con l’art. 423 comma 2 cod. pen., risultando non equiparabile il dato normativo. L’incendio, che connota la fattispecie incriminatrice richiamata, richiede un evento di vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, sì da porre in pericolo l'incolumità di un numero indeterminato di persone (Sez. 1, n. 4417 del 14/01/2009, Rossetti, Rv. 242794 - 01 Sez. 1, n. 14263 del 23/02/2017, Ajmi, Rv. 269842 – 01). La norma speciale è, invece, incentrata sulla sola presa delle fiamme sui rifiuti indipendentemente  dal quantitativo e dal rischio di propagazione anche solo potenziale del fenomeno. Tale risultato ermeneutico trova riscontro nella previsione dell’art. 424 cod. pen. che, a fronte della medesima locuzione adoperata per descrivere la condotta ( “appicca il fuoco”), a differenza dell’art. 256 bis d.lgs. citato, richiede per la punibilità un ulteriore elemento, ossia che dal fatto sorga il pericolo di un incendio, così rendendo palese che tale elemento non è richiesto  per l’integrazione del reato di combustione illecita di rifiuti (Sez. 3, n. 17069 del 24/01/2019, Rv. 275905; Sez. 3, n. 52610 del 04/10/2017, Rv. 271359; Sez. 3, n. 16346 del 11/1/2021, Baldi).

4. Il quarto motivo ripropone il corrispondente motivo di appello senza confrontarsi con la motivazione della Corte territoriale, che aveva sottolineato che l’accumulo del materiale ferroso nell’area e l’utilizzo di paglia e fieno per pulire il terreno costituiva una prassi abituale e non l’iniziativa di dipendenti indisciplinati così da permetterne la riconduzione dall’imputata che, per la posizione apicale occupata, doveva avere contezza delle procedure aziendali e, quindi, non poteva ignorare che, alla data del sopralluogo, l’azienda non disponeva di canali leciti di smaltimento dei rifiuti.
Il ricorso contesta il valore dimostrativo dato dalla Corte territoriale alla frase di Goddi Paolo che aveva sostenuto che era “loro abitudine accumulare il materiale ferroso e di bruciare paglia e fieno per pulire l’area”  senza però spiegare perché l’uso del plurale non debba ricomprendere, in primo luogo, l’imputata, che quell’attività imprenditoriale gestiva individuando le strategie per la risoluzione delle problematiche connesse, prima fra tutte lo smaltimento dei rifiuti. 
Tale conclusione consente di disattendere anche la tesi della responsabilità colposa che già la Corte territoriale aveva respinto precisando non era quello il criterio di imputazione a Goddi dei reati.

5. Del pari inammissibile deve ritenersi il motivo relativo al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto.
 Va, preliminarmente,  ricordato che “ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo” (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushiaj, Rv. 266590 – 01).
L’indice criterio della particolare tenuità dell'offesa deve poi coesistere, per l’applicazione della causa di non punibilità, con la non abitualità del comportamento.
Quanto al primo degli indici criteri, le Sezioni Unite "Tushaj" hanno chiarito che si richiede una “valutazione complessa” che tenga conto “di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, non solo di quelle che attengono all'entità dell'aggressione del bene giuridico protetto”, non interessandosi la normativa “della condotta tipica, bensì…alle forme di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l'entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena” assumendo rilievo, in tale ambito, anche “l'intensità del dolo e il grado della colpa”.
Va, infine, precisato che il giudizio di particolare tenuità dell'offesa richiede un esito positivo della valutazione di tutte le componenti richieste per l'integrazione della fattispecie, sicché i criteri indicati nel primo comma dell'articolo 131-bis cod. pen. sono in realtà cumulativi per pervenire ad un giudizio di particolare tenuità dell'offesa ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità ed invece alternativi quanto al diniego, nel senso che l'applicazione della causa di non punibilità in questione è preclusa dalla valutazione negativa anche di uno solo di essi ( Sez. II, n. 8979 del 14/2/2024, Costanzo; Sez. V, n. 50171 del 30/9/ 2019, Sclip; C., Sez. II, n. 48555, del 10/9/2018,Bartoli).
L’esegesi della norma invocata rende evidente la manifesta infondatezza delle censure difensive.
  La sentenza impugnata ha escluso l’indice criterio della particolare tenuità dell’offesa valorizzando le modalità di deposito dei rifiuti, che avevano comportato il rischio di inquinamento del terreno, e l’abitualità delle condotte criminose. Tale argomento va a integrare quello del Tribunale che aveva anche valorizzato la quantità dei rifiuti che erano stati oggetto delle condotte illecite.
Si è in presenza di un’argomentazione stringente, priva di cedimenti logici o manifeste incongruenze che si sottrae alle censure difensive in quanto delinea una offesa non tenue che il successivo comportamento di Goddi, peraltro imposto dalla disciplina vigente, non è idoneo a ricondurre nell’ambito di applicazione della norma invocata (Sez. 3, n. 19637 del 1/2/2024, Aronne; Sez. 2, del 16/11/2023, n. 51264. Di Giovanni; Sez. 3, n. 18029 del 4/4/2023, Hu, Rv. 284497 - 01).

6. Manifestamente infondata risulta la doglianza che lamenta la mancata risposta della Corte territoriale al motivo che invocava la sussunzione della condotta contestata al capo b) nella previsione del comma 1 dell’art. 256 d.lgs. 152/06 d.lgs. 152/2006. 
La richiesta difensiva confligge con la ricostruzione cui sono pervenuti i giudici di merito che hanno ritenuto che il fuoco fosse stato appiccato a rifiuti abbandonati o depositati in maniera incontrollata. 
Va, quindi, ribadito che l'incenerimento a terra, costituendo una forma di gestione dei rifiuti, in caso di mancanza della necessaria autorizzazione, integra, fuori dalle deroghe previste in certi casi per il materiale vegetale, la contravvenzione di smaltimento non autorizzato ex art. 256 comma 1 d.lgs. citato se non commessa su rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato ( Sez. 3, n. 38021 del 30/5/2019, Viasu; Sez. 3, n. 16346 del 11/1/2021, Baldi) 
Di nessuna censura è, pertanto, passibile la sentenza impugnata in relazione alla richiesta difensiva: la non configurabilità del deposito temporaneo dà implicitamente risposta all’argomento difensivo tenuto conto che la qualificazione invocata non è riferibile alla combustione di rifiuti abbandonati o depositati in maniera incontrollata.
Invero, come ripetutamente affermato da questa Corte, nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e delle risultanze istruttorie, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le allegazioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 4, n. 1149 del 24/10/2005 - dep. 13/01/2006, Mirabilia, Rv. 233187; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018 - dep. 12/02/2019, Currò, Rv. 275500).

7. Le considerazioni appena svolte si attagliano anche agli ulteriori argomenti difensivi, proposti riproducendo nel ricorso una parte della motivazione della sentenza n. 38021/19, che denunciano l’inapplicabilità dell’art. 256 bis ai rifiuti di imballaggio o alle attività di raggruppamento e abbruciamento di cui all’art. 182 comma 6 bis relative ai piccoli cumuli di materiali vegetali di cui all’art. 185 comma 1 lett. f). Non è, infatti, dato comprendere come tali argomenti possano riferirsi al materiale eterogeno rinvenuti dagli agenti accertatori. 

8. Generico risulta il motivo che prospetta l’illegittima valorizzazione in chiave accusatoria del silenzio dell’imputata, non spiegando le doglianze difensive l’incidenza che l’elemento probatorio assume nella motivazione contestata.
Mutuando quanto da questa Corte sostenuto in ordine ai motivi prospettanti l’inutilizzabilità o la nullità dell’elemento probatorio (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, Rv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2/10/2014, dep. 2015, Rv. 262011), va osservato che  era onere del ricorrente illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l'espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento; gli elementi di prova illegittimamente valorizzati diventano infatti irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare  l'identico convincimento. Onere che non risulta adempiuto. 

9. Manifestamente infondato, infine, risulta l’ultimo dei motivi di ricorso, avendo la Corte ritenuto che l’omesso pagamento della somma determinata a titolo di oblazione amministrativa impedisse la formulazione di una prognosi positiva in ordine al rispetto del programma relativo al lavoro di pubblica utilità. Il ricorso sostiene che tale argomento sarebbe manifestamente illogico in quanto “l’eventuale mancato espletamento del lavoro di pubblica utilità andrebbe a esclusivo svantaggio della odierna ricorrente”. Sennonché l’argomento si attaglia perfettamente anche al mancato versamento della sanzione amministrativa in quanto l’inadempimento ha determinato l’instaurazione per la contravvenzione del procedimento penale e la condanna penale. Il motivo, quindi, non intacca la logicità del ragionamento dalle Corte territoriale che dal mancato versamento della sanzione amministrativa ha tratto elementi per ritenere di non poter configurare il requisito di cui all’art. 58 comma 1 ultimo periodo l. 689/81.

10. Segue all’esito del ricorso, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/5/2025