Cass. Sez. III n. 11595 del 26 marzo 2012 (Ud. 22 feb. 2012)
Pres. Petti Est. Gazzara Ric. Cosentino
Rifiuti. Abbandono e sanzioni amministrative e penali
L'illecito di cui al co. 2 dell'art. 256 d.lgs. 152\06 risulta strutturato come reato proprio e rappresenta il completamento ideale della fattispecie sanzionata in via amministrativa dall'art. 255 co. 1, il cui spettro applicativo abbraccia, invece, tutte le ipotesi in cui le medesime condotte delineate dal citato art. 256, co. 2, siano poste in essere da un qualunque soggetto privato. E' evidente, quindi, che le peculiari qualifiche soggettive ( art. 256 co. 2) rivestano nell'ambito della fattispecie in esame il ruolo di elemento specializzante rispetto alla ipotesi di cui al precedente art, 255, co, 1, che, peraltro, si apre proprio con la clausola di riserva "fatto salvo quanto disposto dall'art, 256, secondo comma". Di tal che, qualora la condotta tipizzata venga posta in essere da soggetto qualificato, il giudice dovrà procedere, in virtù del principio generale di cui all'art. 9, L. 689/81, alla applicazione della norma penale, avente carattere di specialità rispetto a quella che prevede l'illecito amministrativo, infliggendo la sanzione penale alternativa dell'ammenda o dell'arresto, se trattasi di rifiuti non pericolosi, o congiunta se pericolosi.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, con sentenza del 27/7/2011, ha dichiarato C.G. colpevole del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) e comma 2, e lo ha condannato alla pena di Euro 1.800,00 di ammenda, per avere illecitamente abbandonato rifiuti di macellazione animale.
La difesa dell'imputato ha proposto appello, che la Corte di Appello di Catanzaro ex art. 568 c.p.p., comma 5, ha rimesso a questa Corte, formulando i seguenti motivi:
- vizio di motivazione in relazione alla individuazione della penale responsabilità dell'imputato, nonchè alla corretta qualificazione della condotta e la conseguente individuazione del relativo inquadramento normativo della fattispecie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
La argomentazione motivazionale, adottata dal decidente per affermare la concretizzazione del reato contestato e la ascrivibilità dello stesso in capo al prevenuto, si palesa del tutto logica e corretta.
La difesa del C. eccepisce la nullità della sentenza, in quanto non sarebbero evincibili dal contesto della parte motiva i dati di fatto acquisiti e l'iter logico seguito dal Tribunale nella ricostruzione della vicenda processuale, nè dal tenore letterale della pronuncia sarebbe dato comprendere il ragionamento logico- giuridico adottato ai fini della individuazione della penale responsabilità dell'imputato, nonchè in ordine alla corretta qualificazione della condotta e la conseguente individuazione del relativo inquadramento normativo.
Orbene, si osserva che il giudice di merito, facendo puntuali richiami alle emergenze istruttorie (deposizione teste Cr.
G.), ha evidenziato che il prevenuto era stato sorpreso mentre buttava in un dirupo tre cassette; solo di una si poteva accertare che conteneva rifiuti organici, nella specie ali di pollo, qualificati rifiuti speciali non pericolosi, D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 184, comma 3, lett. e).
Il Tribunale, di poi, ha, a giusta ragione, osservato che la qualificazione della fattispecie in esame risulta corretta dal punto di vista della condotta, ma non perfettamente inquadrata solo nel dato normativo richiamato, che va individuato nell'art 256, comma 2, con riferimento, in punto di pena da infliggere, alla lett. a) e non lett. b), di cui al comma 1 dello stesso articolo.
Correttamente il decidente osserva che il sistema sanzionatorio per l'abbandono dei rifiuti è articolato nel seguente modo: per i privati che violano il divieto in esame è prevista una sanzione amministrativa, in base all'art. 255, comma 1; se, invece, la violazione viene commessa da titolari di imprese o enti scatta una sanzione penale, ex art. 256, comma 2, con duplicità di ipotesi a seconda che si tratti di rifiuti pericolosi o non (art. 256, comma 1, lett. a, o e b).
Ciò premesso, essendo stato accertato che l'imputato stava abbandonando rifiuti non pericolosi, senza autorizzazione, e che lo stesso è titolare di una attività di impresa per la vendita della carne (macelleria), si rivela indubbia sia la corretta qualificazione del fatto, sia la esatta indicazione della normativa violata.
Inoltre la fattispecie amministrativa e quella penale hanno in comune le condotte di abbandono, deposito e immissione di rifiuti e che la nota prevalente dell'abbandono e del deposito consiste nella occasionalità, posto che, altrimenti, in presenza delle caratteristiche di continuità e imprenditorialità, la condotta di ammasso dei rifiuti costituisce "discarica".
Va, altresì, considerato che l'illecito di cui all'art. 256, comma 2 risulta strutturato come reato proprio e rappresenta il completamento ideale della fattispecie sanzionata in via amministrativa dall'art. 255, comma 1, il cui spettro applicativo abbraccia, invece, tutte te ipotesi in cui le medesime condotte delineate dal citato art. 256, comma 2, siano poste in essere da un qualunque soggetto privato (ex multis Cass. 8/6/2004, Bono).
E'evidente, quindi, che le peculiari qualifiche soggettive (art. 256, comma 2) rivestano nell'ambito della fattispecie in esame il ruolo di elemento specializzante rispetto alla ipotesi di cui al precedente art. 255, comma 1, che, peraltro, si apre proprio con la clausola di riserva "fatto salvo quanto disposto dall'art. 256, comma 2".
Di tal che, qualora la condotta tipizzata venga posta in essere da soggetto qualificato, il giudice dovrà procedere, in virtù del principio generale di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 9, alla applicazione della norma penale, avente carattere di specialità rispetto a quella che prevede l'illecito amministrativo (Cass, 3/7/2002, Bue), infliggendo la sanzione penale alternativa dell'ammenda o dell'arresto, se trattasi di rifiuti non pericolosi, o congiunta se pericolosi.
Le superiori osservazioni permettono di considerare manifestamente infondate le doglianze mosse in impugnazione, con conseguente declaratoria di inammissibilità della stessa.
Tenuto conto poi della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il C. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell'art. 616 c.p.p., deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2012.