Cass. Sez. III n. 23483 del 3 agosto 2020 (UP 1 lug 2020)
Pres. Aceto Scarcella Ric. Vitiello
Rifiuti.Attività di recupero ed AUA
L’unica possibilità di non avvalersi dell’AUA si verifica qualora “si tratti di attività soggette solo a comunicazione, ovvero ad autorizzazione di carattere generale”, come prevede espressamente il richiamato co. 3 dell’art. 3, d.P.R. 59 del 2013. Questo significa che, una volta ottenuto – con il decorso del termine di gg. 90, il titolo abilitativo ambientale (comunicazione ex artt. 214/216 TUA) – legittimamente può iniziarsi a svolgere un’attività di recupero di rifiuti non pericolosi in regime semplificato.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 9.09.2019, la Corte d’appello di Lecce , in riforma della sentenza del tribunale di Brindisi del 17.11.2017, appellata dal Vitiello, eliminava la subordinazione della sospensione condizionale della pena all’obbligo di demolizione delle opere abusive, confermando, nel resto, l’appellata sentenza che lo aveva riconosciuto colpevole del reato di gestione non autorizzata di rifiuti speciali non pericolosi (capo a) e del reato edilizio contestato al capo b), contestati come commessi secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nelle imputazioni, in relazione a fatti contestati dal 26.09.2014 al 21.07.2015 (capo a) e in data precedente e prossima al 26.09.2014 (capo b), condannandolo alla pena di 4 mesi di arresto ed € 9.000,00 di ammenda, con il concorso di attenuanti generiche e ritenuta la continuazione tra i reati ascritti, disponendo la demolizione delle opere edilizie abusive; con la medesima decisione di primo grado, peraltro, il Vitiello veniva assolto dai reati di cui agli artt. 44, lett. c), TU Edilizia e 181, D.lgs. n. 42 del 2004, contestati al capo b), per insussistenza del fatto.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 216, co. 1, TUA, 3, co. 3, DPR 59/2013 con riferimento al reato di cui all’art. 256, co. 1, lett. a), TUA, contestato al capo a) della rubrica.
In sintesi, il ricorrente sostiene che erroneamente i giudici di merito avrebbero ritenuto sussistere il reato sub a), muovendo dall’assunto che la società di cui il ricorrente è legale rappresentante avrebbe dovuto attendere il provvedimento SUAP di Francavilla Fontana per avviare l’attività di recupero di rifiuti, nonostante fosse già dotata di rituale comunicazione di inizio attività del 9.10.2013, ex artt. 214/216 TUA, utile al trattamento dei rifiuti in procedura semplificata. Due circostanze sorreggerebbero la tesi difensiva: a) anzitutto, il fatto che in sede di merito si sarebbe erroneamente dato atto dell’inesistenza della comunicazione ex artt. 214/216 TUA per il recupero in forma semplificata dei rifiuti non pericolosi, nonostante la stessa costituisse l’all. 2 alla memoria difensiva 28.09.2017 depositata al primo giudice; b) in secondo luogo, la fallace applicazione delle norme in tema di obbligatorietà dell’AUA i cui contenuti devono essere oggetto di valutazione officiosa ex lege, in particolare richiamando l’art. 3, co. 3, DPR 59 del 2013 come interpretato dalla Circolare MinAmbiente 7.11.2013, allorquando vi è in essere idoneo titolo assentivo, ossia la comunicazione di inizio attività ex artt. 214/216 TUA.
In relazione al punto sub a), la difesa del ricorrente evidenzia come la società fosse già dotata di valido titolo ambientale al recupero dei rifiuti pericolosi in procedura semplificata giusta la comunicazione di inizio attività ex artt. 214/216 TUA che, in base alla previsione dell’art. 216, co. 1, TUA, rendeva la fattispecie autorizzativa debitamente consolidata in data 7.01.2014, essendo decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio attività pervenuta alla provincia di Brindisi tramite il SUAP di Francavilla Fontana in data 9.10.2013. Né assumerebbe alcuna rilevanza giuridica la richiesta di integrazione – chiarimenti della Provincia di Brindisi, in quanto pervenuta alla società tramite il SUAP di Francavilla Fontana in data 15.05.2014, dunque con un ritardo di cinque mesi, quando ormai il titolo abilitativo al recupero dei rifiuti non pericolosi si era già ampiamente consolidato, ciò che sarebbe confermato anche dal fatto che né la Provincia di Brindisi né il SUAP di Francavilla Fontana mai avevano promosso nei confronti della predetta comunicazione di inizio attività ex artt. 214/216 TUA procedimenti di riesame o di annullamento in autotutela ex art. 21-nonies, legge n. 241 del 1990.
In relazione, poi, al punto sub b), prosegue la difesa del ricorrente, il possesso di idoneo titolo ambientale al recupero di rifiuti non pericolosi in capo alla società amministrata dal ricorrente, renderebbe quindi evidente l’errore giuridico commesso dai giudici di merito, laddove gli stessi hanno affermato che essendo intervenuta la nota della provincia di Brindisi in data 24.12.2013, la società medesima avrebbe dovuto attendere il provvedimento di AUA del SUAP di Francavilla Fontana per avviare l’attività di recupero rifiuti non pericolosi in regime semplificato. Tale affermazione colliderebbe sia con l’art. 3, co. 3, DPR 59 del 2013 che con l’interpretazione fattane dal MinAmbiente con la circolare 7.11.2013, prot. 49801 che, al punto 5, chiarisce che il gestore possa non avvalersi dell’AUA ove l’impianto sia soggetto esclusivamente a comunicazioni anziché alle autorizzazioni generali alle emissioni. A tal fine, precisa il ricorrente, che all’attività di recupero rifiuti non pericolosi in forma semplificata effettuata dalla società del ricorrente non occorresse alcuna autorizzazione ambientale in senso stretto ex DPR 59 del 2013, ma solo mere comunicazioni, ossia la comunicazione recupero rifiuti in forma semplificata ex art. 216 TUA, troverebbe piena conferma nell’indebito (in quanto facoltativo) provvedimento di AUA n. 98 del 8.08.2014, adottato dalla Provincia di Brindisi, successivo rispetto alla rituale comunicazione di inizio attività ex art. 214 TUA. Quand’anche, tuttavia, si volesse ritenere legittima l’imposizione della procedura di AUA per la sola comunicazione di recupero rifiuti nei confronti della società, non sussisterebbe comunque alcun reato di gestione non autorizzata di rifiuti, ciò in base al disposto dell’art. 10, co. 2, regolamento AUA, interpretato dalla circolare MinAmbiente 7.11.2013 citata, che, al punto 6, prescrive che una volta presentata la prima domanda di AUA per il rinnovo di titoli ambientali già in essere, l’azienda può continuare a svolgere l’attività industriale anche in caso di mancata e/o intempestiva risposta prima della data di scadenza degli stessi. In definitiva, quindi, il ricorrente, avendo presentato e conseguito una legittima comunicazione inizio attività per il recupero dei rifiuti ex art. 214 TUA, mai annullata dalla PA, non avrebbe avuto alcun obbligo di attendere il rilascio dell’AUA da parte del SUAP del Comune di Francavilla Fontana, beneficiando della possibilità di continuare a svolgere l’attività in forza della predetta comunicazione.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 157, co. 1, c.p. e 129, c.p.p. quanto al reato di cui al capo b) della rubrica.
Richiamato il contenuto di alcune pagine della sentenza di primo grado, e, per sintesi, dei motivi di appello, la difesa del ricorrente sostiene che la condanna per il reato edilizio sarebbe illegittima per intervenuta estinzione per prescrizione del reato alla data di emissione del dispositivo della sentenza di appello in data 9.09.2019, atteso che l’utilizzazione o gli atti di disposizione dei manufatti già realizzati in modo difforme o in assenza di concessione, rientrando nella sfera del post factum non punibile, non costituirebbero nuova autonoma manifestazione antigiuridica di mutamento di destinazione penalmente rilevante, citando a sostegno Cass. 4179 del 1985.
In sostanza, essendo collocabile al 3.10.2013 la data di ultimazione delle opere indicate nel capo b), e atteso che, secondo la richiamata giurisprudenza, non costituirebbero nuova autonoma manifestazione antigiuridica di mutamento di destinazione penalmente rilevante l’utilizzazione o gli atti di disposizione dei manufatti già realizzati in modo difforme o in assenza di concessione, la prescrizione del reato sub b) si sarebbe ampiamente maturata in data antecedente alla sentenza di appello.
3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta in data 1 giugno 2020, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso per manifesta infondatezza di entrambi i motivi.
4. In data 10 giugno 2020, infine, la difesa del ricorrente ha dedotto un motivo aggiunto, deducendo la violazione di legge in relazione all’ art. 131-bis, c.p.
In sintesi, premesso che il giudice di primo grado ha applicato – previa concessione delle attenuanti generiche e della continuazione – una pena pari al minimo edittale, e quindi ha considerato il fatto particolarmente tenue, stante la formalità della violazione e stante, soprattutto, l’assenza di messa in pericolo dei beni ambientali, la difesa ha sostenuto che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis, c.p., nel giudizio di legittimità, può essere rilevata d’ufficio, in presenza di un ricorso ammissibile, anche se non dedotta nel giudizio di appello pendente alla data di entrata in vigore della norma, a condizione che i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano necessari ulteriori accertamenti fattuali.
Nel caso in esame non sarebbero necessarie ulteriori valutazioni di merito, avendo i giudici di merito irrogato la pena minima edittale, e quindi ritenuto il fatto di particolare tenuità, revocando, altresì, anche la subordinazione della pena sospesa alla demolizione delle opere realizzate. Gli stessi “indici in concreto” utilizzati per determinare nel minimo edittale la pena irrogata devono essere impiegati per valutare la dimensione offensiva in relazione al disvalore “penale” del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Deve, tuttavia, premettersi l’inammissibilità del motivo aggiunto, dedotto in data 10 giugno 2020, e relativo all’applicazione dell’art. 131-bis, cod. pen., per un duplice ordine di ragioni.
2.1. In primo luogo, perché questa Corte ritiene di dover aderire alla giurisprudenza assolutamente maggioritaria secondo cui la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, se tale disposizione era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza di appello, ostandovi la previsione di cui all'art. 606, comma 3, cod. proc. pen. (da ultimo: Sez. 2, n. 21465 del 20/03/2019 - dep. 16/05/2019, Semmah Ayoub, Rv. 275782). Nel caso di specie, la sentenza d’appello è stata emessa in data 9.09.2019 (e quella di primo grado, si noti, in data 17.11.2017), dunque in data successiva rispetto all’introduzione nel nostro codice penale dell’art. 131-bis, cod. pen., donde la deduzione è inammissibile ex art. 606, comma terzo, cod. proc. pen.
2.2. In secondo luogo – circostanza, peraltro, dirimente – perché è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che, in materia di termini per l'impugnazione, la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi trova il limite del necessario riferimento ai motivi principali dei quali, i motivi aggiunti, devono rappresentare soltanto uno sviluppo o una migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate ma sempre collegabili ai capi e ai punti già dedotti. Sono pertanto ammissibili motivi nuovi con i quali, a fondamento del "petitum" dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere giuridiche diverse o ulteriori (per tutte: Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998 - dep. 20/04/1998, Bono ed altri, Rv. 210259).
Nella specie, con i motivi originari, come anticipato, il ricorrente si era limitato a dedurre, da un lato, la violazione di legge in relazione agli artt. 216, co. 1, TUA, 3, co. 3, DPR 59/2013 con riferimento al reato di cui all’art. 256, co. 1, lett. a), TUA, contestato al capo a) della rubrica e, dall’altro, la violazione di legge in relazione all’art. 157, co. 1, c.p. e 129, c.p.p. in relazione al reato di cui al capo b) della rubrica. Non può dunque ritenersi che il motivo aggiunto – con cui il ricorrente ha dedotto la violazione di legge in relazione all’ art. 131-bis, c.p. - rappresenti uno sviluppo o una migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate ma sempre collegabili ai capi e ai punti già dedotti.
3. Può, quindi, procedersi all’esame del primo motivo, che il Collegio reputa fondato.
Ed invero, deve premettersi che il reato sub a), per il quale il ricorrente è stato riconosciuto colpevole, ha imputato al medesimo, quale legale rappresentante e gestore della società a r.l. Nuova Agri Cultura, l’effettuazione di un’attività illecita di gestione di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da fanghi prodotti dal trattamenti in loco degli affluenti (Codice CER 08.05.02), e da rifiuti biodegradabili di cucine e mense (codice CER 20.01.08), in quanto non muniti di valido ed efficace titolo abilitativo, poiché sprovvisto di A.U.A., mai rilasciata da parte del Suap di Francavilla Fontana. Il ricorrente ha sostenuto che la società da lui amministrata aveva inteso avvalersi dalla presentazione della comunicazione ex artt. 214/216 TUA senza richiedere l’AUA, optando per la procedura semplificata in luogo della procedura ordinaria, donde ne sarebbe derivata l’anomala trasformazione del procedimento da parte della Provincia di Brindisi in procedura ordinaria di rilascio dell’AUA, ciò che non poteva comportare l’insorgenza di alcuna responsabilità penale. Diversamente i giudici di appello, seguendo il primo giudice, avevano ritenuto che non vi fosse stato il perfezionamento dell’iter amministrativo, che invece avrebbe consentito legittimamente alla società, una volta ottenuta l’AUA, di intraprendere l’attività di gestione di rifiuti non pericolosi. In sostanza, una volta scelta dalla Provincia di Brindisi la procedura ordinaria – quale che fosse l’intendimento iniziale dell’istanza, che operava per conto della società interessata – la società avrebbe dovuto attendere il provvedimento finale (AUA), per avviare l’attività di recupero rifiuti non pericolosi, soprattutto laddove il primo giudice aveva dato contezza del fatto che il ricorrente era pienamente consapevole che comunque era stato imboccato l’iter della procedura ordinaria.
4. Osserva il Collegio come gli argomenti sviluppati dai giudici di merito non si appalesano corretti in diritto, in quanto dall’intervenuto decorso dei novanta giorni dalla data di comunicazione di inizio delle attività in forma semplificata, derivava effettivamente il consolidamento del titolo abilitativo.
Ciò significa, dunque, che, una volta intervenuta la nota della provincia di Brindisi in data 15.05.2014 con richiesta di chiarimenti – integrazioni, la società del ricorrente ben avrebbe potuto proseguire nello svolgimento dell’attività di recupero dei rifiuti non pericolosi in forma semplificata, non dovendo attendere infatti il rilascio dell’AUA, che nell’ottica accusatoria seguita dai giudici di merito costituiva l’unico titolo abilitativo legittimante lo svolgimento di tale attività. A ciò va aggiunto, peraltro, che, come correttamente ha osservato la difesa del ricorrente, il successivo provvedimento di rilascio dell’AUA, intervenuto in data 8.08.2014 – pur non potendosi ritenere “indebito”, era tuttavia non necessario per l’esercizio dell’attività di recupero in forma semplificata dei rifiuti non pericolosi, già oggetto di comunicazione ex artt. 214/216 TUA.
5. Al fine di comprendere le ragioni di tale approdo, è necessario un sintetico, ma quanto mai opportuno, inquadramento normativo.
5.1. L'autorizzazione unica ambientale (AUA), come è noto, è il provvedimento istituito dal d.P.R. 13 marzo 2013, n. 59, e rilasciato su istanza di parte, che incorpora in un unico titolo diverse autorizzazioni ambientali previste dalla normativa di settore (come, appunto, il D.lgs. 152 del 2006). Il decreto individua un nucleo base di sette autorizzazioni che possono essere assorbite dall'A.u.a., alle quali si aggiungono gli altri permessi eventualmente individuati da fonti normative di Regioni e Province autonome. L’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) nasce sulla scia di un processo di semplificazione amministrativa iniziato con il D.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 “Regolamento per la semplificazione e il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’art. 38, co. 3 del D.L. 25 giugno 2008. n. 112, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133”.
Tale decreto è importante anche ai fini dell’AUA, in quanto tale autorizzazione per definizione è rilasciata dallo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP).
Proceduralmente, il D.P.R. 160/2010 prevede due differenti modalità: 1) un procedimento automatizzato in caso di segnalazioni certificate di inizio attività (SCIA), previste dall’art. 19 della L. 241/1990 come sostituito dall’art. 49, co. 4-bis, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010 n. 122; 2) un procedimento ordinario.
Nel caso del procedimento automatizzato (art. 5 del D.P.R. 160/2010) la SCIA è presentata al SUAP, che, con modalità telematica ne verifica la completezza; se tutta la documentazione prodotta soddisfa i requisiti richiesti, il SUAP rilascia automaticamente la ricevuta e invia la SCIA alle amministrazioni ed agli uffici competenti, ed il richiedente può avviare l’intervento. Nel caso di procedura ordinaria, comportante una risposta espressa, l’iter è invece più articolato ed è regolamentato dall’art. 7 del D.P.R. 160/2010. Naturalmente l’istanza deve essere presentata al SUAP il quale può chiedere “integrazioni” finalizzate al completamento della domanda entro 30 giorni, salvi termini più brevi stabiliti dalle Regioni. Decorsi tali 30 giorni l’istanza si intende correttamente presentata, dopodiché il SUAP deve adottare il provvedimento conclusivo entro 30 giorni (anche in tal caso, salvi termini più brevi indicati dalle Regioni) dalla verifica di completezza, quindi al più entro 60 giorni dalla presentazione della domanda, ovvero indice apposita conferenza dei servizi qualora sia necessario acquisire intese, nulla osta, concerti o assensi di diverse amministrazioni pubbliche. Scaduto il termine per la conclusione del procedimento (ossia i 30+30 giorni massimi), ovvero in caso di mancato ricorso alla conferenza di servizi, si applica l’art. 38, co. 3, lettera h), del D.L. 112/08 convertito con L. 133/08 (“in caso di mancato ricorso alla conferenza di servizi, scaduto il termine previsto per le altre amministrazioni per pronunciarsi sulle questioni di loro competenza, l’amministrazione procedente conclude in ogni caso il procedimento prescindendo dal loro avviso; in tal caso, salvo il caso di omessa richiesta dell’avviso, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata emissione degli avvisi medesimi”).
5.2. Tanto premesso, non può dubitarsi che la società di cui il ricorrente all’epoca del fatto era legale rappresentante, una volta presentata la comunicazione di inizio attività ex artt. 214/216 TUA, fosse legittimata a svolgere l’esercizio dell’attività di recupero rifiuti non pericolosi, senza necessità di attendere il perfezionamento dell’iter amministrativo, conclusosi con il rilascio dell’AUA in data 8.08.2014.
L’art. 3, comma terzo, d.P.R. 59 del 2013 fa infatti “comunque salva la facoltà dei gestori degli impianti di non avvalersi dell'autorizzazione unica ambientale nel caso in cui si tratti di attività soggette solo a comunicazione (come nel caso di specie – n.d.r.), ovvero ad autorizzazione di carattere generale, ferma restando la presentazione della comunicazione o dell'istanza per il tramite del SUAP”.
Il titolo abilitativo, costituito dalla comunicazione ex artt. 214/216 TUA, si era in effetti consolidato decorso il termine di gg. 90 dalla data in cui era pervenuta al SUAP del comune di Francavilla Fontana in data 9.10.2013.
Come, infatti, prevede l’art. 3, d.P.R. n. 59 del 2013, tra i titoli ambientali sostituiti dall’AUA vi sono le “comunicazioni in materia di autosmaltimento e recupero di rifiuti (artt. 215 e 216 del D.lgs. n. 152/1006)”. Il vantaggio di ricondurre tutte le autorizzazioni e gli atti di assenso elencati nell’art. 3 citato in un unico provvedimento è indubbiamente garantito dall’unicità della procedura abilitativa e dall’unicità della scadenza fissata in quindici anni, che, di fatto, viene a coincidere con il lasso di tempo più lungo previsto dalle norme ambientali di settore, ossia quello riferito all’autorizzazione ad effettuare le emissioni in atmosfera ex art. 269 del D.lgs. n. 152/2006. Con riferimento al titolo ambientale sostituito (comunicazione ex artt. 215/216 TUA), la cui validità è quinquennale, deve ricordarsi che l’autorità competente individuata dalla normativa statale di settore è la Provincia e che il tempo previsto per la relativa istruttoria è quello di 90 giorni di preavviso. Si tratta di una precisazione importante per comprendere quali siano i tempi istruttori per l’ottenimento dell’AUA in funzione dei titoli necessari allo stabilimento da autorizzare ed i soggetti competenti in materia ambientale coinvolti nell’istruttoria.
Nel caso in esame, in cui si discute di un titolo abilitativo ambientale per il quale la conclusione del procedimento è fissata in un termine pari a novanta giorni (art. 216, co. 1, TUA), l’art. 4, co. 4, d.P.R. n. 59 del 2013, prevede espressamente che “Se l'autorizzazione unica ambientale sostituisce i titoli abilitativi per i quali la conclusione del procedimento è fissata in un termine inferiore o pari a novanta giorni, l'autorità competente adotta il provvedimento nel termine di novanta giorni dalla presentazione della domanda e lo trasmette immediatamente al SUAP che, rilascia il titolo. La conferenza di servizi è sempre indetta dal SUAP nei casi previsti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e nei casi previsti dalle normative regionali e di settore che disciplinano il rilascio, la formazione, il rinnovo o l'aggiornamento dei titoli abilitativi di cui all'articolo 3, commi 1 e 2, del presente regolamento compresi nell'autorizzazione unica ambientale”. Si sarebbe quindi orientati a ritenere che l’AUA non sia facoltativa, bensì obbligatoria nei casi individuati dal co. 1 dell’art. 3 del D.P.R. 59/2013, quindi ogni qualvolta un gestore di un impianto sia assoggettato, ai sensi della normativa ambientale vigente, a: a) rilascio; b) formazione; c) rinnovo; d) aggiornamento di uno dei titoli abilitativi sostituiti. L’obbligatorietà dell’AUA è del resto resa evidente dal fatto che il legislatore utilizza la locuzione “i gestori … presentano” e non “possono presentare”, quindi il “presentano” non può che essere inteso come “devono presentare”. In tal senso, la circolare MinAmbiente 7 novembre 2013 ha fornito, seppur con ritardo, una interpretazione ufficiale in merito al co. 2 dell’art. 10 del D.P.R. 59/2013, precisando che il verbo servile (“può”) ivi riportato sta ad indicare “il discrimine temporale a partire dal quale deve ritenersi vigente il nuovo regime”.
5.3. Tuttavia, ed è questo l’aspetto dirimente nella presente vicenda processuale, deve essere sottolineato che l’unica possibilità di non avvalersi dell’AUA si verifica qualora “si tratti di attività soggette solo a comunicazione, ovvero ad autorizzazione di carattere generale”, come prevede espressamente il richiamato co. 3 dell’art. 3, d.P.R. 59 del 2013.
Questo significa che, una volta ottenuto – con il decorso del termine di gg. 90, il titolo abilitativo ambientale (comunicazione ex artt. 214/216 TUA) – il ricorrente legittimamente aveva iniziato a svolgere l’attività di recupero di rifiuti non pericolosi in regime semplificato, senza che vi fosse alcuna necessità di attendere il rilascio dell’AUA (poi successivamente intervenuto, prot. 98 dell’8.08.2014).
Ciò per almeno quattro ragioni:
a) anzitutto, perché l’attività può essere iniziata o proseguita a meno che intervenga ex art. 216, co. 4, TUA un provvedimento motivato della provincia – qualora accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1 dell’art. 216 – che vieti l’inizio ovvero la prosecuzione dell'attività (salvo che l'interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dall'amministrazione). Dalla lettura della disposizione, infatti, è pacifico che chi intende svolgere una attività di raccolta di rifiuti non pericolosi deve darne comunicazione alla competente Provincia e deve attendere il decorso di 90 giorni e che, quindi, può iniziare l'attività rispettando le norme tecniche e le prescrizioni di cui all'art. 214, commi 1, 2 e 3. Spetta alla provincia l'onere di verificare d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti (anche sulla base delle indicazioni e dei dati risultanti dalla relazione allegata alla comunicazione) e, nel caso accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui all'art. 1, disporre, con provvedimento motivato, il mancato inizio ovvero il divieto di prosecuzione dell'attività, salvo che l'interessato provveda a conformarsi alla normativa nel termine ed alle condizioni stabilite dalla amministrazione (T.A.R. Campania sez. II - Napoli n. 4433/2019). La procedura semplificata integra una procedura per silenzio-assenso, come espressamente ricordato più volte dal Consiglio di Stato (cfr. fra le tante: Cons. St., sez. V, n. 2707/07). Ciò significa che l’imprenditore comunica alla provincia che intende iniziare una attività, la quale può essere iniziata se entro novanta giorni non interviene un espresso divieto della Provincia stessa;
b) in secondo luogo, perché, proprio il co. 3 dell’art. 3, d.P.R. 59 del 2013 fa comunque salva la facoltà dei gestori degli impianti di non avvalersi dell'autorizzazione unica ambientale nel caso in cui si tratti di attività soggette solo a comunicazione, ovvero ad autorizzazione di carattere generale, ferma restando la presentazione della comunicazione o dell'istanza per il tramite del SUAP;
c) in terzo luogo, perché l’art. 5, d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160, nel disciplinare il procedimento automatizzato, prevede espressamente (co. 4) che il SUAP, al momento della presentazione della SCIA, verifica, con modalità informatica, la completezza formale della segnalazione e dei relativi allegati e che, ove tale verifica sia positiva, rilascia automaticamente la ricevuta e trasmette immediatamente in via telematica la segnalazione e i relativi allegati alle amministrazioni e agli uffici competenti. Ed è lo stesso art. 5, co. 5, a prevedere espressamente che “A seguito di tale rilascio, il richiedente, ai sensi dell'articolo 19, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, può avviare immediatamente l'intervento o l’attività”, aggiungendo, poi, al co. 7 che “la ricevuta di cui al comma 4, costituisce titolo autorizzatorio ai fini del ricorso agli ordinari rimedi di tutela dei terzi e di autotutela dell'amministrazione”;
d) infine, e conclusivamente, che non fosse necessario attendere il rilascio del provvedimento di AUA da parte dell’Amministrazione, discende dalla stessa previsione dell’art. 10, comma 2, d.P.R. n. 59 del 2013, a termini del quale “L'autorizzazione unica ambientale può essere richiesta alla scadenza del primo titolo abilitativo da essa sostituito”, norma interpretata dalla citata Circolare MinAmbiente 7 novembre 2013 n. 49801, punto 6, nel senso che, una volta presentata la prima domanda di AUA per il rinnovo di titoli ambientali già in essere, come nel caso in esame, l’azienda può “continuare l'attività anche in caso di mancata risposta, nei termini di legge, sulla richiesta di primo rilascio dell'Aua”.
A ciò, del resto, va aggiunto, quale ulteriore elemento a sostegno della corretta tesi difensiva del “consolidamento” del titolo abilitativo ambientale, costituito dalla comunicazione ex artt. 214/216 TUA, non solo il rilievo che nessun provvedimento inibitorio ex art. 216, co. 4, TUA è mai intervenuto (o, quantomeno ciò non risulta dagli atti valutabili da parte di questa Corte), ma anche – e soprattutto – che nessun esercizio del potere di autotutela risulta essere intervenuto da parte dell’Amministrazione nei termini di cui all’art. 21-nonies, legge n. 241 del 1990, ciò che rende ragione della liceità dello svolgimento dell’attività svolta dalla società amministrata dal ricorrente secondo la procedura in forma semplificata ex artt. 214/216 TUA.
6. Quanto, infine, al secondo motivo, deve rilevarsi la fondatezza della tesi difensiva circa l’intervenuto, integrale, decorso del termine di prescrizione del reato edilizio in data antecedente la sentenza di appello.
Ed invero, la tesi difensiva, secondo cui la data di ultimazione delle opere abusive sarebbe collocabile in data 3 ottobre 2013, donde alla data della sentenza di appello (9.09.2019) il reato di cui al capo b) era ampiamente prescritto, merita di essere accolta, non solo e non tanto perché fondata su una decisione, pur remota, di questa Corte (Sez. 3, n. 4179 del 20/02/1985 - dep. 06/05/1985, Sciacca, Rv. 168965), il cui principio, peraltro, risulta ribadito da Sez. 3, n. 6060 del 13/01/2017 - dep. 09/02/2017, Caturano, Rv. 269941 (cfr. § 9, pag. 8, non massimata sul punto), secondo cui non costituiscono nuova autonoma manifestazione antigiuridica di mutamento di destinazione, penalmente rilevante, l’utilizzazione o gli atti di disposizione del manufatto già realizzato in modo difforme o in assenza di concessione, in quanto tali atti rientrerebbero nella sfera del "post factum" impunibile e degli effetti permanenti di una condotta antigiuridica o consumazione conclusa.
Ed invero, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che la permanenza del reato urbanistico cessa con l'ultimazione dei lavori del manufatto, in essa comprese le rifiniture, ovvero al momento della desistenza definitiva dagli stessi, da dimostrare in base a dati obiettivi ed univoci (da ultimo: Sez. 3, n. 13607 del 08/02/2019 - dep. 28/03/2019, Martina, Rv. 275900).
Nel caso di specie, quindi, per poter ritenere che le attività dell’impianto di recupero costituissero un “post factum” non punibile rispetto ad una condotta antigiuridica a consumazione già conclusa, il ricorrente era tenuto ad allegare gli elementi in suo possesso dai quali desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti. Pacifico è infatti in giurisprudenza, il principio per cui in tema di prescrizione, grava sull'imputato, che voglia giovarsi di tale causa estintiva del reato, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti (da ultimo: Sez. 3, n. 19082 del 24/03/2009 - dep. 07/05/2009, Cusati, Rv. 243765).
6.1. E tale onere di allegazione, si noti, è stato puntualmente assolto nel caso di specie, essendo invero rilevabile dalla lettura della sentenza di primo grado che l’intervento edilizio per il quale è intervenuta condanna “in concreto veniva realizzato, così come acclarato in occasione del sopralluogo del 21/07/2015 (ma, come detto, lo stato dei luoghi era sostanzialmente identico a quello rinvenibile nelle ortofoto del 2013)” (v. pag. 12).
E’ peraltro la stessa sentenza di primo grado, ad affermare che “fino all’anno 2013 sul sito non era stato avviato alcun intervento edilizio, mentre da quella data risulta realizzato l’impianto nella consistenza poi riscontrata in sede di sopralluogo in data 21/07/2015, nonché dalla relazione dello stato dei luoghi in data 3/10/2013 allegata alla richiesta di proroga del termine di validità del permesso di costruire”.
In definitiva, quindi, il riferimento inequivoco alle “ortofoto” allegate alla richiesta di proroga del permesso di costruire n. 273/2009 del 3.10.2013, da cui risultava – per espressa affermazione del primo giudice – che sul terreno della società amministrata dal ricorrente erano state effettuate ed ultimate, al più tardi alla data del 3.10.2013, le attività edilizie per le quali è intervenuta condanna, rende palese la correttezza della tesi difensiva, che ha individuato la data di ultimazione delle opere indicate nel capo b) al 3 ottobre 2013, con conseguente decorso integrale del termine di prescrizione massima alla data del 3.10.2018, dunque in data antecedente di circa un anno alla sentenza di appello (9.09.2019).
Alla stregua di quanto sopra, il giudice di appello avrebbe dovuto fare applicazione del principio per il quale, in tema di costruzione abusiva, qualora l'imputato adduca che l'opera sia stata eseguita in una specifica data ed il giudice non sia in grado - in base ad elementi specifici - di stabilire la prosecuzione dei lavori oltre tale data, l'affermazione, in virtù del principio del "favor rei", non può essere disattesa.
Ne deriva che il reato deve essere dichiarato estinto per prescrizione, quando sia trascorso il tempo massimo all'uopo necessario (tra le tante: Sez. 3, n. 12783 del 06/12/1991 - dep. 18/12/1991, Porrello ed altro, Rv. 188746).
7. Segue, conclusivamente, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste, quanto al reato di cui al capo a), e perché il reato è estinto per prescrizione, quanto al reato di cui al capo b). Alla predetta declaratoria relativa al reato di cui al capo b), segue, infine, anche la revoca dell’ordine di demolizione (tra le tante: Sez. 3, n. 37836 del 29/03/2017 Ud. - dep. 28/07/2017, P.G. in proc. Catanzaro, Rv. 270907 – 01).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto di cui al capo a) non sussiste e perché il reato di cui al capo b) è estinto per prescrizione.
Revoca l'ordine di demolizione.
Così deciso, il 1 luglio 2020