Sez. 3, Sentenza n. 8303 del 09/02/2006 Ud. (dep. 09/03/2006 ) Rv. 233563
Presidente: Lupo E. Estensore: Sarno G. Relatore: Sarno G. Imputato: Nardini ed
altro. P.M. Di Popolo A. (Conf.)
(Annulla in parte con rinvio, App. Firenze, 14 Febbraio 2005)
EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - Varianti in corso d'opera - Non incidenza
sulla sagoma dell'edificio - Necessità - Concetto di sagoma - Individuazione.
In tema di disciplina edilizia, rientrano nel concetto di sagoma di una
costruzione tutte le strutture perimetrali come gli aggetti e gli sporti,
restandone escluse le sole aperture che non prevedono superfici sporgenti,
soltanto per le quali è consentita la procedura della denunzia di inizio
attività per varianti in corso d'opera.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 09/02/2006
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 00249
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 000767/2006
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) NARDINI STEFANIA, N. IL 13/07/1963;
2) CARUBINI DORIANO, N. IL 08/07/1950;
avverso SENTENZA del 14/02/2005 CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. SARNO GIULIO;
udito il P.M. in persona del Dr. DI POPOLO Angelo, che ha concluso:
annullamento sentenza limitatamente alla posizione di Carubini con rinvio alla
Corte di Appello di Firenze; rigetto del ricorso Carubini nel resto;
annullamento senza rinvio per la posizione Nardini con eliminazione della pena
relativamente al reato sub B), dichiarato estinto nella sentenza impugnata.
Rigetto nel resto del ricorso Nardini. Udito il difensore Avv. Pameriti Benito
di Roma.
IN FATTO
A seguito dei sopralluoghi effettuati in data 30 luglio 2001 e 17 settembre 2001
in Vaiano, loc. Grisciavola, strada vicinale della Collina, dalla Polizia
Municipale dello stesso Comune di Vaiano, si accertava che Padrini Paolo,
Nardini Stefania e Carubini Doriano, il primo in qualità di proprietario
committente, la seconda di direttore dei lavori e il terzo di materiale
esecutore dei lavori stessi, avevano realizzato opere in totale difformità della
concessione 71/00 del 15 marzo 2001 sull'edificio denominato "Limonaia". In
particolare veniva rappresentato che il porticato non era previsto dalla
concessione comportando così un aumento della superficie coperta, mentre dalla
tecnica usata per l'edificazione, si comprendeva che non di ristrutturazione si
era trattato, bensì di una demolizione e di una successiva ricostruzione. Erano
state altresì costruite ex novo due finestre di considerevoli dimensioni sulla
parte laterale destra dell'edificio nonché altre due più piccole sulla facciata
laterale sinistra. Anche il tetto era stato modificato non in conformità, mentre
risultava essere stata realizzata all'esterno una scala non concessionata.
Difformemente dal titolo abilitativo all'interno era stato realizzato un unico
ambiente, mentre risultava edificata una scala che raggiungeva il seminterrato
dove, anziché essere stato realizzato un unico locale adibito ad autorimessa,
era stato ottenuto un vano da adibire ad autorimessa e un bagno risultato già
piastrellato.
Venivano, inoltre, segnalati abusi anche per un altro edificio, un'autorimessa,
un tempo destinato a ricovero attrezzi con previsione di cambio di destinazione,
giusta l'autorizzazione n. 26/99, di destinazione appunto ad autorimessa.
Gli abusi in questo caso erano consistiti nella diversa conformazione del tetto
realizzato a due falde, anziché essere a falda unica, nella diversa dislocazione
di una scala esterna e nella costruzione di un bagno non concessionato. Di qui
la contestazione ai tre interessati del reato di cui all'art. 110 c.p. e L. n.
47 del 1985, art. 20, lett. B) (capo A).
Venivano, infine, accertate dai verbalizzanti su un terzo edificio, denominato
"Cinesino", difformità comportanti violazione delle prescrizioni di cui all'art.
32 della normativa dell'area protetta del Monteferrato, nonché dell'art. 35
delle NTA e del PRG del Comune di Vaiano, in relazione alle quali, veniva
elevata imputazione nei confronti dei tre imputati per il reato di cui all'art.
110 c.p. e L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. a) (capo B).
Padrini e Nardini venivano, inoltre, chiamati a rispondere in concorso tra di
loro, del reato di cui all'art. 81 cpv. c.p. e art. 481 c.p. in relazione alla
falsa attestazione dell'avvenuta deruralizzazione dei due edifici indicati al
capo B) della rubrica (capo C) e la sola Nardini, infine, del medesimo reato per
avere, in qualità di direttore dei lavori delle concessioni n. 7/99 e 71/00,
nonché dell'autorizzazione n. 26/99, attestato falsamente la conformità degli
interventi edilizi nelle certificazioni presentate al Comune di Vaiano (capo D).
Il Tribunale di Prato, con sentenza pronunciata in data 21 marzo 2003,
depositata in cancelleria il successivo 3 luglio 2003, dichiarava Padrini Paolo,
Nardini Stefania e Carubini Doriano responsabili dei reati loro ascritti, con
esclusione, quanto al Padrini, del reato di cui al capo C) (art. 481 c.p.) per
il quale veniva assolto perché il fatto non costituisce reato, e condannava
Nardini Stefania, concesse le attenuanti generiche, riconosciuto l'aumento per
la continuazione, ritenuto più grave il reato di cui all'art. 481 c.p., alla
pena di mesi tre di reclusione ed Euro 500,00 di multa convertendo la pena
detentiva nella corrispondente pena pecuniaria di Euro 3420,00 di multa per una
pena finale e complessiva di Euro 3920,00 di multa.
Padrini Paolo e Carubini Doriano, previa concessione delle attenuanti generiche
al solo Padrini, con l'aumento per la continuazione, ritenuto più grave il reato
sub A), venivano condannati, invece, rispettivamente - il Padrini - alla pena di
giorni quaranta di arresto ed Euro 10.000,00 di ammenda e - il Carubini Doriano
- alla pena di giorni sessanta di arresto e Euro 15.000,00 di ammenda. Veniva
altresì concesso al solo Padrini Paolo il beneficio della sospensione
condizionale della pena.
Successivamente la Corte di Appello di Firenze, investita del gravame dai tre
imputati, in parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale di Prato
dichiarava non doversi procedere nei confronti degli stessi in relazione al capo
B) essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione ed assolveva anche
Nardini Stefania dal reato di cui al capo C) perché il fatto non sussiste. Per
l'effetto riduceva la pena inflitta a Padrini Paolo a mesi uno di arresto ed
Euro 8.000,00 di ammenda; a Nardini Stefania a mesi due e giorni venti di
reclusione ed Euro 1.220,00 di multa, pena detentiva sostituita ai sensi del L.
n. 689 del 1981, art. 53, nella corrispondente pena pecuniaria di Euro 3.040,00
di multa (e, pertanto, complessivamente, alla pena di Euro 4.240,00 di multa);
- a Carubini Doriano, infine, alla pena di mesi uno e giorni venti di arresto ed
Euro 12.000,00 di ammenda.
Avverso la citata sentenza propongono ricorso per Cassazione Carubini e Nardini
i quali eccepiscono:
entrambi:
1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme
giuridiche (art. 606 c.p.p., comma 1., lett. b), omessa e/o carente motivazione
(art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), relativamente al capo A) di imputazione.
Essi rilevano, infatti, che:
A) Dall'esame degli atti emerge come la quasi totalità degli interventi
descritti nel capo di imputazione (salvo lo spostamento di alcune luci e
finestre, attività pacificamente esclusa dal novero delle penalmente rilevanti)
sia rappresentata da "opere interne", categoria prevista dalla L. n. 47 del
1985, art. 26 (implicitamente abrogato e sostituito dalla D.L. n. 398/1993, art.
4, comma 7, lett. e), convertito con modificazioni dalla L. n. 493 del 1993,
come sostituito dalla L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 60). Peraltro, rispetto
alla vecchia definizione della L. n. 47 del 1985, art. 26, si è eliminato ogni
riferimento all'aumento di unità immobiliari. Tali opere quindi non necessitano,
per essere poste in essere, di concessione edilizia, e la condotta posta in
essere sarebbe penalmente irrilevante.
B) La categoria della "ristrutturazione" - L. n. 431 del 1978, art. 31, lett. d)
- comprende un insieme sistematico di opere che incidono sulla totalità o gran
parte dell'edificio, trasformandolo radicalmente sotto l'aspetto strutturale,
formale o tipologico (mutamento radicale).
Riguardo agli interventi in esame - ove qualificati come ristrutturazione -
osservano i ricorrenti che:
B1) L.R. Toscana n. 52 del 1999, art. 4, comma 2, lett. d), sottopone ad
attestazione di conformità - e quindi sottrae alle sanzioni penali - gli
interventi di ristrutturazione edilizia. Recentemente, inoltre, la Regione
Toscana ha nuovamente legiferato in materia, introducendo con la L. n. 43 del
2003 modifiche alla L. n. 52. All'art. 4, comma 2, lett. d) n. 1) e 2)
ricomprende tra gli interventi sottoposti a D.I.A.: "le demolizioni con fedele
ricostruzione degli edifici, intendendo per fedele ricostruzione quella
realizzata con gli stessi materiali o con materiali analoghi prescritti dagli
strumenti urbanistici comunali, nonché nella stessa collocazione, ...La
demolizione di volumi secondari, facenti parte di un medesimo organismo
edilizio, e la loro ricostruzione nella stessa quantità ... ancorché in diversa
collocazione sul lotto di pertinenza." B2) La L. n. 443 del 2001, art. 1, comma
6, prevede che possono essere realizzate in base a semplice D.I.A. ai sensi del
D.L. n. 398 del 1993, art. 4, convertito con modificazioni dalla L. n. 493 del
1993, come sostituito dalla L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 69 e successive
modificazioni; "b) le ristrutturazioni edilizie, comprensive delle demolizioni e
ricostruzioni con la stessa volumetria e sagoma";
Nel caso di specie, si rientrerebbe, dunque, - ove demolizione ci sia stata -
nelle ipotesi di omogeneità di materiali, di sagoma e di volumetria previste
dalle norme.
Del resto, sulla reale demolizione e ricostruzione perimetrale niente di preciso
avrebbero saputo dire nemmeno gli Organi Accertatori. C) Alcune o tutte le opere
descritte nei vari punti del capo A) di imputazione possono essere considerate
quali "varianti in corso d'opera", previste dalla L. n. 47 del 1985, art. 15,
ovverosia quegli interventi edilizi in lieve difformità dal progetto che si
rendono necessari per ragioni tecniche non previste e non prevedibili al momento
della redazione dello stesso, e che non modificano sagoma, superfici utili e
destinazione d'uso. Per costante Giurisprudenza, qualora l'approvazione delle
varianti non sia richiesta prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori,
si verte comunque in ipotesi non penalmente rilevanti.
Pertanto privo di valore ovvero illogico potrebbe essere il ragionamento della
Corte di Appello, ove dice che la variante in corso d'opera non è rilevante in
quanto "tale procedura non è stata attivata".
D) I testi escussi avrebbero confermato la natura pertinenziale delle opere
realizzate.
Peraltro, come ammesso dalla stessa teste dell'Ufficio tecnico comunale, il
Comune aveva dato inizialmente parere favorevole alla realizzazione del
porticato, parere bloccato dalla Sovrintendenza per l'erronea convinzione della
presenza di un vincolo. E) La L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. "b" della
prevede la sanzione penale solamente nei casi di "esecuzione dei lavori in
totale difformità o assenza della concessione o di prosecuzione degli stessi
nonostante l'ordine di sospensione".
Nei tre casi (tassativi) contemplati dalla suddetta norma penale non è
menzionata l'esecuzione dei lavori "in parziale difformità" ovvero "con
variazioni essenziali" per cui, stante il principio di tassatività della norma
penale, le fattispecie giuridiche in esame non appaiono penalmente rilevanti, se
non residualmente sub lett. a) L. n. 47 del 1985.
E) La corposa istruttoria dibattimentale (escussione dei testi, dichiarazioni
orali e scritte degli imputati e rilievi del CTP) avrebbe, infine, evidenziato
una assoluta mancanza di prova relativamente al periodo di commissione dei reati
contestati. Carubini, eccepisce inoltre:
2) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme
giuridiche (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), omessa e/o carente motivazione
(art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Relativamente alla mancata sostituzione
della pena nella corrispondente pena pecuniaria la Corte di Appello di Firenze
riteneva "motivo nuovo" la richiesta avanzata dal difensore del ricorrente di
sostituire la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria (stante la
cancellazione delle esclusioni oggettive previste dalla L. n. 689 del 1981). In
realtà tale richiesta non sarebbe sanzionata da decadenza, ove non proposta
precedentemente nei motivi di appello, stante anche il potere autonomo della
Corte di Appello di applicarla di ufficio ove ne ricorrano i presupposti.
Nardini, eccepisce inoltre:
3) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme
giuridiche (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), omessa e/o carente motivazione
(art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Relativamente al capo D) di imputazione,
richiamate le argomentazioni svolte relativamente al tempus commissi delicti,
rappresenta l'insussistenza dell'elemento materiale e psicologico del reato di
cui all'art. 481 c.p..
4) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme
giuridiche (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), omessa e/o carente motivazione
(art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Relativamente alla quantificazione della
pena si duole la ricorrente, infine, che, nonostante abbia pronunciato sentenza
assolutoria per due dei reati originariamente contestati, la Corte di appello,
in violazione del divieto di reformatio inpejus, sia pervenuta ad una nuova
determinazione della pena, ai sensi della L. n. 689 del 1981, di Euro 4.240,00
di multa, laddove il giudice di primo grado aveva comminato la pena complessiva
di Euro 3920.00 di multa. MOTIVI DELLA DECISIONE
Appare certamente fondato il ricorso della Nardini in ordine alla errata
determinazione della pena da parte dei giudici di appello. Non era evidentemente
possibile per i giudici di secondo grado, a seguito di ricorso dell'imputato,
irrogare una pena addirittura superiore a quella inflitta in primo grado e, ciò,
dopo avere anche dichiarato prescritto il reato di cui al capo B) - L. n. 47 del
1985, art. 20, lett. a) - e l'insussistenza del reato di cui all'art. 481 c.p.
contestato al capo C).
Di conseguenza la sentenza va sul punto annullata con rinvio per consentire una
nuova determinazione della pena.
La mancata indicazione degli aumenti di pena in relazione ai singoli reati
ritenuti nella continuazione nelle precedenti sentenze non consente, infatti, di
procedere alla semplice decurtazione di quanto erroneamente conteggiato.
Sono, invece, infondati i restanti motivi di ricorso. Per quanto concerne il
reato di cui agli art. 110 c.p., art. 81 cpv. c.p., art. 20, lett. B) L. n. 47
del 1985, contestato ad entrambi i ricorrenti, la motivazione della corte di
merito - che richiama anche tutte le argomentazioni già sviluppate, sul punto,
dal giudice di prima istanza - si sottrae certamente a censure in sede di
legittimità.
Al riguardo osserva il Collegio che i giudici di appello hanno anzitutto
sottolineato la natura esterna della maggioranza delle opere abusive realizzate
rilevando che, in effetti, esse si sostanziano nella costruzione di una scala,
nella modifica dei tetti, nella costruzione di un porticato, nella chiusura di
una porta e nella realizzazione in sua vece di una finestra, nella costruzione
di quattro finestre ex novo.
Inoltre, con valutazione logica e congruente, hanno evidenziato la ricaduta
diretta delle stesse sulla sagoma volumetrica e sulla visione prospettica dei
manufatti e, di conseguenza, la sussistenza di palesi difformità rispetto alla
concessione.
Appaiono, dunque, prive di fondamento le doglianze dei ricorrenti circa la
natura "interna" dei lavori realizzati.
Parimenti è da escludere che nella specie le opere stesse possano essere
considerate varianti in corso d'opera, penalmente irrilevanti. Analogamente a
quanto già previsto nella L. n. 47 del 1985, art. 15 e L. n. 662 del 1999, art.
2, comma 60, art. 7, lett. g), anche il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma
2, continua a prevedere l'assoggettabilità a DIA unicamente per le varianti che
non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la
destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio
e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ciò
posto questa Corte ha già affermato che la sagoma di una costruzione concerne il
contorno che viene ad assumere l'edificio ivi comprese le strutture perimetrali
con gli aggetti e gli sporti, sicché solo le aperture che non prevedano
superfici sporgenti non rientrano nella nozione di sagoma e sono sottoposte al
regime c.d. varianti in corso d'opera. Di conseguenza, si è escluso, ad esempio,
che possano rientrare nella categoria delle c.d. varianti di opera, la
realizzazione di una scala esterna di accesso al primo piano, di una mensola su
entrambi i lati con riguardo ai solai di calpestio, di sottotetto del primo
piano, di uno sporto al solaio del sottotetto, (Sez. 3^, Sentenza n. 3849 del
09/02/1998 Rv. 210647).
Procedendo oltre occorre ora affrontare le tematiche poste dai ricorrenti in
merito alla eventualità che i lavori effettuati possano essere inquadrati nella
attività di ristrutturazione edilizia.
Si sostiene, come detto, da parte di entrambi, che, sia con riferimento alla
normativa statale che regionale, la ritenuta - da parte della corte di appello -
attività di demolizione e ricostruzione dei manufatti sarebbe inquadrabile nel
concetto di ristrutturazione edilizia, che, in quanto tale, necessita unicamente
di DIA e non assume, conseguentemente, rilievo sotto il profilo penale. Ciò
posto si impongono anzitutto alcune puntualizzazioni. Il D.P.R. n. 380 del 2001,
art. 3, lett. d), come modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002, ribadisce che sono
ricompresi nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia quelli
consistenti nella demolizione e ricostruzione (di un edificio) con la stessa
volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le innovazioni
necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica. In questo caso è,
quindi, certamente sufficiente la DIA. La Corte di merito assume, tuttavia, con
valutazione di merito evidentemente insindacabile in questa sede, in quanto
adeguatamente e logicamente motivata, che l'edificio denominato "Limonaia"
sarebbe stato non solo demolito ed edificato di nuovo ma, all'esito della
ricostruzione, per ampiezza, portata, quantità e qualità delle modifiche
apportate, il nuovo edificio realizzato avrebbe comportato un organismo
sostanzialmente diverso da quello originario, dando luogo, in realtà, ad una
nuova struttura.
Occorre anche aggiungere, richiamando quanto detto in precedenza, che la
motivazione del provvedimento impugnato specificamente sottolinea l'incidenza
delle modifiche sulla sagoma dell'edificio. E, dunque, non appare configurarle
nella specie l'invocata ristrutturazione edilizia che, si ribadisce, implica la
demolizione e la ricostruzione dell'edificio senza variazioni volumetriche o di
sagoma.
Nè sembra utilmente invocabile al riguardo la normativa regionale. La L.R.
Toscana n. 52 del 1999, art. 4, comma 2, come successivamente modificata dalla
L. n. 43 del 2003, ricomprende, infatti, nella nozione di ristrutturazione
edilizia separatamente le demolizioni con fedele ricostruzione degli edifici,
intendendo per fedele ricostruzione quella realizzata con identici materiali e
con medesimo ingombro planovolumetrico, fatte salve esclusivamente le
innovazioni per la normativa antisismica (lett. d 1) e le demolizioni dei volumi
secondari e la loro ricostruzione in diversa collocazione sul lotto di
pertinenza (lett. d 2).
Essa appare, pertanto, semmai più restrittiva rispetto alla normativa statale
che, per effetto delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 301 del 2002, ha
eliminato proprio il riferimento alla "fedele" ricostruzione - originariamente
incluso nella formulazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, lett. d) del
limitandosi, come visto, a richiedere la coincidenza di volumetria e sagoma del
nuovo edificio.
Ciò posto, va aggiunto che nella nozione di ristrutturazione rientrano ora non
solo gli interventi di demolizione e ricostruzione - a condizione che, come
detto, siano rispettati i limiti di volumetria e sagoma - ma anche gli
interventi che - prescindendo dalla demolizione del pregresso manufatto -
comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei
prospetti o delle superfici "se portino ad un organismo edilizio in tutto o in
parte diverso dal precedente".
Mette conto in questa sede esaminare anche questo profilo contestando, comunque,
i ricorrenti che nella specie vi sia stata preventiva demolizione del manufatto
esistente come sostenuto dalla corte d'appello.
Il D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301, ha, come noto, modificato sia il D.P.R. n.
380 del 2001, art. 10 comma 1 lett. c), che l'art. 22, che al comma 3 richiama
ora l'art. 10 citato.
Si prevede ora, per questi interventi, la possibilità di procedere con DIA, in
alternativa al permesso di costruire.
Ciononostante, questa tipologia di interventi continua evidentemente ad avere
rilevanza sul piano penale in presenza di difformità dai titoli abilitativi.
Contestualmente alle modiche citate, il D.Lgs. ha provveduto, infatti, a
modificare anche il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 che, come noto, prevede le
sanzioni penali, inserendo il comma 2 bis che recita: "Le disposizioni del
presente articolo si applicano anche agli interventi suscettibili di
realizzazione mediante denuncia di inizio di attività ai sensi dell'art. 22,
comma 3, eseguiti in assenza o in totale difformità della stessa". E, dunque,
neanche sotto questo profilo possono i ricorrenti sostenere l'irrilevanza penale
dei fatti contestati i quali, comunque, va ribadito, attengono a difformità
riscontrate rispetto ai provvedimenti concessori. Corretta, in quanto in linea
con i principi più volte affermati da questa Corte, ed adeguatamente supportata
sul piano della logica e della completezza motivazionale è anche la valutazione
negativa espressa dal giudice di appello sulla natura pertinenziale delle opere
in esame.
Sottolinea, infatti, al riguardo la corte di merito che, nella specie "è stato
del tutto interrotto quel vincolo di funzionalità con l'edificio principale che
salvaguarderebbe il concetto di pertinenza. In altre parole è venuta a mancare
la prova che le opere in questione siano state preordinate ad un'oggettiva
esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al
servizio dello stesso, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata
di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle
caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e
diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede. Anzi l'istruttoria svolta
ha comprovato la frattura di questa funzionalità e la sussistenza di una valenza
autonoma ditali edifici anche in termini di valore di mercato il che configge
apertamente con il concetto sovraesteso di pertinenza". Certamente adeguata
appare anche la motivazione del provvedimento impugnato in relazione alla
determinazione del tempus commissi delicti facendosi carico il giudice di
merito, ancora una volta, di evidenziare con motivazione logica e congruente,
gli elementi di prova al riguardo.
Peraltro, a fronte dei rilievi dei ricorrenti, incentrati sulla diversa
valutazione degli elementi probatori, va in questa sede ribadito che l'indagine
di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere
limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di
un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice
di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro
rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della
Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al
giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione
delle risultanze processuali. (Sez. 2^, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997 Rv.
207944).
Per quanto concerne il capo D) relativo alla contestazione dell'art. 481 c.p.
alla Nardini, questa Corte ha già affermato, in tema del reato di falsità
ideologica in certificato commesso da persona esercente in servizio di pubblica
necessità, che, l'ingegnere e, comunque, il tecnico tenuto a disporre gli atti
necessari per il rilascio di una concessione edilizia, devono considerarsi
esercenti. Un servizio di pubblica necessità. Infatti sia il progetto quanto la
relazione sono atti professionali che per legge richiedono un titolo di
abilitazione e che sono vietati a chi non sia autorizzato allo esercizio della
professione specifica (sez. 5^, sentenza n. 9821 del 07/05/1986 rv. 173807).
Avuto riguardo alla tipologia degli atti si è talora esclusa la natura di
"certificato" nel caso della relazione tecnica allegata alla comunicazione
prevista dalla Legge 28 febbraio 1985 n. 47, art. 26, sul rilievo che la sua
funzione è quella di rendere nota alla P.A. l'intenzione di realizzare le opere
in essa descritta, al momento ancora inesistenti. (Sez. 5^, Sentenza n. 24562
del 03/05/2005 Rv. 231505; Sez. 5^, Sentenza n. 23668 del 26/04/2005 Rv.
231906).
Si è ritenuta, per contro, la sussistenza del reato in esame nei casi in cui le
relazioni dei tecnici riguardavano, invece, opere già eseguite (così Sez. 5^,
Sentenza n. 21639 del 24/02/2004 Rv. 229184 che ha ravvisato il reato in
relazione alla presentazione di DIA, pur essendo le opere previste già
materialmente eseguite). Ciò posto, osserva il Collegio che, nel caso di specie,
la contestazione attiene alla attestazione di conformità alla concessione di
opere già eseguite e che appare indiscutibile la natura di certificato
dell'atto, tenuto conto che esso assolve alla funzione di fornire alla pubblica
amministrazione una esatta informazione dello stato dei luoghi per le
determinazioni che le competono (ad esempio in tema di agibilità dell'edificio).
Quanto all'elemento psicologico del reato è costante l'affermazione secondo cui
l'art. 481 c.p. richiede il dolo generico. Per quanto concerne, infine, l'ultimo
motivo di ricorso proposto dal Carubini, prevale nettamente nella giurisprudenza
della Corte l'orientamento per cui, in tema di sanzioni sostitutive delle pene
detentive brevi, il Giudice di appello, non investito con i motivi di
impugnazione della censura relativa alla mancata applicazione della pena
sostitutiva, non può concedere d'ufficio la pena sostitutiva, pur se richiesta
dalla parte in sede di giudizio d'appello; a nulla rileva il fatto che trattasi
di un beneficio meno consistente della sospensione condizionale della pena che,
ai sensi dell'art. 597 c.p.p., comma 5, il giudice di appello può concedere
d'ufficio in quanto l'espressa previsione delle facoltà attribuite
tassativamente ex officio al giudice di appello preclude un'applicazione
estensiva o analogica della norma in questione e, quindi, un ampliamento,
tramite l'interpretazione giurisprudenziale, dei poteri discrezionali
specificamente conferiti al medesimo giudice. A ciò si aggiunge la natura
eccezionale della disposizione in esame, costituente deroga al principio
generale dell'effetto devolutivo dell'appello stabilito dall'art. 597 c.p.p.,
comma 1, con conseguente sua inapplicabilità, ai sensi dell'art. 14 preleggi, al
di fuori dei casi espressamente consentiti (Sez. 4^, Ord. n. 31024 del
10/01/2002 Rv. 222313). Nella specie non vi sono ragioni per discostarsi da tale
orientamento. Vero è, infatti, che la L. n. 689 del 1981, art. 60, è stato
abrogato dalla L. 2 giugno 2003, n. 134, art. 4, lett. c).
Tuttavia, quest'ultima, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 136 del
14/06/2003, è entrata in vigore, secondo le regole generali, ben prima della
presentazione dei motivi di appello avvenuta nei primi giorni di gennaio 2004.
Nè appare utilmente richiamabile per il ricorrente la recente sentenza di questa
Sezione con la quale si è ritenuto che nel caso in cui l'appello sia stato
proposto unicamente dal P.M., il giudice, benché non investito della censura
relativa alla mancata concessione della sanzione sostitutiva, può ugualmente
procedere d'ufficio alla sua applicazione (n. 9496 del 08/02/2005 Rv. 231122).
Nella specie, infatti, la questione affrontata dalla Corte era circoscritta alla
possibilità per il giudice di appello, in sede di rinvio, di esaminare la
richiesta formulata all'atto delle conclusioni da parte dell'imputato di
applicazione delle nuove disposizioni in materia di sanzioni sostitutive
intervenute in epoca successiva alla decisione della Cassazione.
E, dunque, nel caso citato l'elemento fondante della decisione era rinvenibile,
evidentemente, unicamente nell'intento di consentire, in linea con i principi
enunciati dalla norma transitoria, l'applicazione del beneficio nei casi in cui
l'imputato - a differenza del caso di specie - si era trovato nell'impossibilità
di formulare la richiesta con i motivi di ricorso non essendo in quel momento
ancora intervenuta la nuova disciplina.
Appare, pertanto, ineccepibile la motivazione della Corte di merito che ha
rigettato sul punto il ricorso ritenendo l'inammissibilità della richiesta
formulata per tardività.
P.Q.M.
LA CORTE DI SUPREMA DI CASSAZIONE
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Nardini Stefania limitatamente
alla determinazione della pena con rinvio ad altra sezione della Corte di
Appello di Firenze.
Rigetta nel resto il ricorso della Nardini.
Rigetta il ricorso di Carubini Doriano che condanna al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2006.
Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2006