Cass. Sez. III n. 37548 del 13 settembre 2013 (Ud. 27 giu 2013)
Pres. Mannino Est. Ramacci Ric. Rattenuti
Rifiuti.  Disciplina dei rifiuti e materie fecali
L’esclusione dalla disciplina dei rifiuti materie fecali opera a condizione che le stesse provengano da attività agricola e che siano riutilizzate nella stessa attività agricola
  Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE    
 SEZIONE TERZA 
 Dott. MANNINO   Saverio Felice   - Presidente  - del 27/06/2013
 Dott. GENTILE   Mario            - Consigliere - SENTENZA
 Dott. AMORESANO Silvio           - Consigliere - N. 1987
 Dott. RAMACCI   Luca        - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. ANDRONIO  Alessandro M.    - Consigliere - N. 9847/2013
 ha pronunciato la seguente: 
 sul ricorso proposto da:
 RATTENUTI EDOARDO N. IL 24/11/1949;
 avverso la sentenza n. 2671/2010 CORTE APPELLO di PALERMO, del  03/12/2012;
 visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
 udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/06/2013 la relazione fatta dal  Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
 Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Policastro A. che  ha concluso per l'annullamento senza rinvio limitatamente alla  confisca che va eliminato. Rigetto nel resto;
 Udito il difensore Avv. Farina T..
 RITENUTO IN FATTO
 1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 3.12.2012 ha  riformato la sentenza in data 1.2.2010, del Tribunale di Termini  Imerese, appellata da Edoardo RATTENUTI, dichiarando non doversi  procedere nei suoi confronti per essere il reato contestatogli  (violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3) estinto  per intervenuta prescrizione, confermando nel resto l'impugnata  sentenza.
 Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.  2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il  vizio di motivazione, rilevando che il fatto contestato (l'aver  adibito a discarica di pollina proveniente da azienda avicola e  classificata come rifiuto con codice CER 020106), commesso fino al  7.4.2006, era stato qualificato come violazione del D.Lgs. n. 152  del 2006, art. 256 all'epoca non ancora in vigore, pur riferendosi la  motivazione della sentenza di primo grado al previgente D.Lgs. n. 22  del 1997.
 Aggiunge che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto delle  censure mosse con l'atto di appello e concernenti l'esclusione dal  novero dei rifiuti delle materie fecali contenuta tanto nel D.Lgs. n.  22 del 1997, art. 8 quanto nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185  poiché risulterebbe dimostrato che la pollina era stata accatastata  su terreni coltivati a mandorli ed ulivi e, pertanto, destinata alla  concimazione.
 3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge,  avendo la Corte di appello disposto la confisca dell'area nonostante  la declaratoria di estinzione del reato e ciò nonostante l'espressa  previsione di legge che la prevede solo in caso di sentenza di  condanna o di sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen..  Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.  CONSIDERATO IN DIRITTO
 4. Il ricorso è solo in parte fondato.
 Osserva in primo luogo il Collegio che è del tutto irrilevante il  riferimento, nel capo di imputazione, al D.Lgs. n. 152 del 2006, art.  256 non ancora vigente, trattandosi, come correttamente rilevato  dalla Corte territoriale, di mero errore materiale.  Invero, come pure osservato nella sentenza impugnata, la fattispecie  astratta già contenuta nel D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 3  è confluita, senza alcuna modificazione, nel D.Lgs. n. 152 del 2006,  art. 256 sussistendo, pertanto, una evidente continuità normativa  che la giurisprudenza di questa Corte ha già ritenuto sussistente,  per ciò che concerne la materia dei rifiuti, con riferimento alla  ipotesi contravvenzionale dell'illecita gestione di cui all'art. 51,  commi primo e secondo, D.Lgs. n. 22 del 1997 e quelle di cui al  D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, commi 1 e 2 proprio in ragione  dell'identità del contenuto (Sez. 3 n. 44289, 28 novembre 2007; Sez.  3 n. 17635, 8 maggio 2007), cosicché non vi è alcun motivo di  giungere a conclusioni diverse per quanto concerne anche il reato di  realizzazione o gestione di discarica abusiva.
 L'errore rilevato, inoltre, non ha in alcun modo inciso sul diritto  di difesa dell'imputato, in quanto la condotta, indipendentemente  dall'indicazione della norma che si assumeva violata, risultava  compiutamente descritta.
 5. Parimenti infondato risulta l'ulteriore rilievo concernente la  asserita esclusione della pollina dal novero dei rifiuti.  Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185, comma 1, lett. f), attualmente  vigente, esclude dal novero dei rifiuti le materie fecali, se non  contemplate dal comma 2, lett. b) (che richiama i sottoprodotti di  origine animale) oltre a paglia, sfalci e potature nonché altro  materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in  agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da  tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano  l'ambiente ne' mettono in pericolo la salute umana.
 Analogamente, l'art. 8, comma 1, lett. e), vigente all'epoca dei  fatti contestati, escludeva dal campo di applicazione della  disciplina dei rifiuti le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli:
 materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate  nell'attività agricola ed, in particolare, i materiali litoidi o  vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione  di fondi rustici e le terre da coltivazione provenienti dalla pulizia  dei prodotti vegetali eduli.
 Quanto alle materie fecali, dunque, le due disposizioni  sostanzialmente pongono l'accento sulla provenienza delle stesse da  attività agricola e sulla loro successiva utilizzazione sempre con  riguardo a detta attività.
 6. L'ambito di applicazione della disposizione è stato compiutamente  delineato dalla giurisprudenza di questa Corte proprio con  riferimento alle disposizioni previgenti e, richiamando il tenore  letterale della norma, si è rilevato che l'esclusione dalla  disciplina dei rifiuti opera a condizione che le materie fecali  provengano da attività agricola e che siano riutilizzate nella  stessa attività agricola (Sez. 3 n. 8890,10 febbraio 2005. Nello  stesso senso ed anche con riferimento alla disciplina attualmente in  vigore, v. Sez. 3 n. 37405, 14 ottobre 2005; Sez. 3 n. 20458, 25  maggio 2007, non massimata; Sez. 3 n. 37560, 3 ottobre 2008, non  massimata; Sez. 3 n. 41831, 7 novembre 2008, non massimata,  menzionata anche nella decisione di primo grado e riguardante la  pollina).
 Si era anche chiarito che l'esclusione è applicabile solo al letame  agricolo, poiché quello non agricolo è sicuramente un rifiuto e che  l'effettiva riutilizzazione nell'attività agricola deve essere  dimostrata dall'interessato (Sez. 3 n. 45974, 19 dicembre 2005, non  massimata).
 L'analisi effettuata con riferimento alla previgente disciplina  appare tuttora valida, considerato il preciso richiamo attualmente  rivolto alla provenienza, alle caratteristiche ed alla successiva  utilizzazione delle materie fecali.
 Pare opportuno ricordare che, con specifico riferimento alla pratica  della cd. fertirrigazione, si è avuto modo di precisare che la  stessa pratica, quale presupposto di sottrazione delle deiezioni  animali alla disciplina sui rifiuti, richiede, in primo luogo,  l'esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo  spandimento, nonché l'adeguatezza di quantità e qualità degli  effluenti e dei tempi e modalità di distribuzione al tipo e  fabbisogno delle colture e, in secondo luogo, l'assenza di dati  sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la  fertirrigazione, quali, ad esempio, lo spandimento di liquami  lasciati scorrere per caduta a fine ciclo vegetativo. (Sez. 3 n. 5039  del 9 febbraio 2012. Conf. Sez. 3, n. 5044 del 2012, non massimata).  7. Richiamati dunque i principi generali applicabili alla materia,  deve osservarsi che, nella fattispecie, correttamente i giudici del  merito hanno negato l'applicabilità dell'esclusione prevista ora dal  D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185 e, all'epoca dei fatti, dal D.Lgs.  n. 22 del 1997, art. 8 avendo accertato in fatto, con argomentazioni  prive di cedimenti logici o manifeste contraddizioni e, pertanto, non  censurabili in questa sede di legittimità, in primo luogo che la  pollina depositata non proveniva da attività agricola bensì da  quella di allevamento avicolo esercitato presso l'azienda del  ricorrente e, in secondo luogo, che, come espressamente ricorda il  giudice di primo grado, si trattava di rilevanti quantitativi (due  cumuli di 280 e 170 metri cubi) ammassati verosimilmente mediante  mezzi meccanici per fare spazio ad altri rifiuti e collocati, in  parte, in aree scoscese e prive di vegetazione.
 Dunque non solo il ricorrente non ha in alcun modo provato la  sussistenza dei presupposti per l'applicazione della deroga prevista  dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185 e dal previgente D.Lgs. n. 22  del 1997, art. 8 ma risulta pure dimostrato il contrario e, cioè,  che dette materie fecali non erano affatto destinate alla  concimazione dell'area ove erano state abbandonate.  Il primo motivo di ricorso è pertanto infondato.
 8. A differenti conclusioni deve invece pervenirsi per quanto attiene  al secondo motivo di ricorso.
 La questione concernente la non applicabilità della confisca  dell'area adibita a discarica in caso di estinzione del reato per  prescrizione è stata già affrontata, recentemente, in altra  occasione (Sez. 3 n. 13741, 22 marzo 2013, non massimata), cosicché  possono in questa sede riportarsi le medesime argomentazioni.  Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3 stabilisce che alla  sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'art. 444  c.p.p. consegue la confisca dell'area sulla quale è realizzata la  discarica abusiva se di proprietà dell'autore o del compartecipe al  reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello  stato dei luoghi.
 La confisca è, pacificamente, obbligatoria, come si desume  dall'inequivoco tenore della norma, che non ammette alcuna  alternativa, pur non indicando espressamente tale obbligatorietà  come invece avviene nell'art. 259, comma 2, dove viene utilizzata  l'espressione "consegue obbligatoriamente la confisca".  Tale obbligatorietà non è infatti mai stata posta in dubbio dalla  giurisprudenza di questa Corte che, anzi, ha evidenziato, con  riferimento alla sentenza di "patteggiamento", come non assuma  rilievo il fatto che il provvedimento di confisca non abbia formato  oggetto dell'accordo fra le parti, trattandosi di atto dovuto per il  giudice non suscettibile di valutazioni discrezionali e, pertanto,  sottratto alla disponibilità delle parti medesime (Sez. 3 n. 21640,  24 giugno 2001. Conf. Sez. 3 n. 22063, 20 maggio 2003).  Il tenore della disposizione richiamata è, però, estremamente  chiaro nello stabilire che la confisca è applicabile soltanto in  caso di condanna o applicazione pena ai sensi dell'art. 444 cod.  proc. pen., tanto che la sua perentorietà è stata indicata tra le  ragioni che consentono di escluderne l'applicabilità con il decreto  penale di condanna (Sez. 3 n. 26548, 2 luglio 2008. Conf. Sez. 3  24659, 15 giugno 2009).
 Nella medesima occasione si è ulteriormente affermato che un'area  adibita a discarica abusiva non rientra certamente tra le ipotesi di  cui all'art. 240 c.p., comma 2, sia perché la realizzazione e la  gestione di una discarica, se debitamente autorizzata, è lecita,  quanto per il fatto che la disposizione che la prevede consente la  soggezione a confisca obbligatoria solo se l'area appartiene  all'autore o al compartecipe al reato.
 Si è anche rilevata la natura obiettivamente sanzionatoria della  misura di sicurezza in esame, definita una forma di "rappresaglia  legale" nei confronti dell'autore del reato, finalizzata a colpirlo  nei suoi beni (sent. 24659/09, cit.).
 9. Non è pertanto corretta la conclusione cui perviene la Corte del  merito la quale, richiamando alcuni casi in cui, secondo la  giurisprudenza di questa Corte, il legislatore ha ritenuto  applicabile la misura di sicurezza patrimoniale pur in presenza della  prescrizione del reato (contrabbando e lottizzazione abusiva) ha  ritenuto di confermare la statuizione del primo giudice sul punto  sulla base del mero accertamento della sussistenza del fatto.  Dunque la declaratoria di improcedibilità per intervenuta  prescrizione del reato precludeva in ogni caso l'applicabilità della  misura di sicurezza, che deve pertanto essere revocata.
 Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla  			disposta confisca, che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.  			Così deciso in Roma, il 27 giugno 2013.
 Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2013
                    



