Cass. Sez. III n. 23845 del 21 giugno 2022 (CC 5 apr 2022)
Pres. Liberati Est. Corbo Ric. Martino
Rifiuti.Oli esausti e liquidi di batterie

Per quanto attiene alla individuazione della natura dei rifiuti, rilevante anche ai fini dell’individuazione dei presidi di sicurezza da assicurare, è fuori discussione che oli esausti e liquidi di batterie costituiscono rifiuti pericolosi

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 5 novembre 2021, e depositata in data 11 novembre 2021, il Tribunale di Crotone, pronunciando in sede di riesame, ha confermato il decreto di sequestro probatorio di un locale in cui erano depositati rifiuti nonché il materiale presente, emesso nei confronti di Luigi Martino.
Il reato per il quale è stato effettuato il sequestro è quello di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti pericolosi in qualità di titolare di impresa, ex art. 256, commi 1, lett. b), e 2, e 256-bis, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe Luigi Martino, con atto sottoscritto dall'avvocato Domenico Grande Aracri, munito di procura speciale, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 324, comma 7, 309, commi 9 e 10, e 125 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta esclusione dell’inefficacia del decreto di sequestro.
Si deduce che l’ordinanza impugnata è inefficace per la violazione del termine di uno o cinque giorni per la trasmissione degli atti dall’autorità giudiziaria procedente al tribunale per il riesame. Si osserva che la perentorietà del termine per la trasmissione degli atti dall’autorità giudiziaria procedente al tribunale per il riesame è desumibile sia dall’esigenza, normativamente prevista dall’art. 16 della legge n. 332 del 1995, di rendere certo e contenuto il termine di conclusione del procedimento, il quale, secondo la Corte costituzionale (si cita Corte cost. n. 232 del 1998), non può superare i quindici giorni complessivi, sia dall’esigenza di un’interpretazione sistematica dell’art. 324 cod. proc. pen., anche alla luce di quanto stabilito dal vigente art. 309, comma 10, cod. proc. pen. Si rappresenta che la tesi escludente la perentorietà del termine per la trasmissione degli atti è incongruente con la sicura perentorietà del termine per la decisione a decorrere dalla ricezione degli atti, ed è manifestamente illogica perché rimette i tempi della decisione alla insindacabile scelta della parte controinteressata alla caducazione del provvedimento impugnato. Si aggiunge che, nella specie, le parti non sono state poste nella condizione di visionare ed estrarre copia degli atti in relazione all’udienza per i tre giorni antecedenti, in coerenza con la disposizione che prevede la comunicazione dell’avviso di udienza alle parti almeno tre giorni prima di questa.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 324 e 125 cod. proc. pen. e 256, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 152 del 2006, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avendo riguardo ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti.
Si deduce che la motivazione del provvedimento impugnato è meramente apparente. Si segnala che il Tribunale ha omesso di considerare che il materiale rinvenuto era semplicemente materiale di scarto proveniente dall’attività lavorativa dell’indagato in attesa di smaltimento, sicché lo stesso era presente in mero deposito temporaneo. Si osserva che questa conclusione è confermata dall’assenza di un significativo impatto della condotta contestata sull’ambiente, e dall’ubicazione dei rifiuti presso la stessa azienda dell’indagato, una officina meccanica. Si aggiunge che, nella specie, manca qualunque organizzazione dell’attività di deposito dei rifiuti e qualunque indicazione quantitativa in ordine agli stessi, per cui la condotta assume i connotati dell’assoluta occasionalità, penalmente irrilevante (si citano: Sez. 3, n. 3573 del 14/12/2020; Sez. 3, n. 13817 del 05/02/2021 e Sez. 3, n. 4770 del 26/01/2021).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.

2. Manifestamente infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano la mancata dichiarazione di inefficacia del decreto di sequestro, deducendo che detto provvedimento di vincolo deve ritenersi aver perduto efficacia per la violazione del termine di uno o cinque giorni per la trasmissione degli atti dall’autorità giudiziaria procedente al tribunale per il riesame.
Invero, costituisce principio assolutamente consolidato, e in relazione al quale non vi sono ragioni per dissentire, quello secondo cui, in tema di riesame di provvedimenti di sequestro, anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 47 del 2015, che ha novellato l'art. 324, comma 7, cod. proc. pen., non è applicabile il termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale, previsto dall'art. 309, comma 5, cod. proc. pen., con conseguente perdita di efficacia della misura cautelare impugnata in caso di trasmissione tardiva, bensì il diverso termine indicato dall'art. 324, comma 3, cod. proc. pen., che ha natura meramente ordinatoria, per cui, nel caso di trasmissione frazionata degli atti, il termine perentorio di dieci giorni, entro cui deve intervenire la decisione a pena di inefficacia della misura, decorre dal momento in cui il tribunale ritiene completa l'acquisizione degli atti (cfr., per tutte, Sez. 6, n. 47883 del 25/09/2019, Yzeiraj, Rv. 277566-01, e Sez. 3, n. 44640 del 29/09/2015, Zullo, Rv. 265571-01).
Del resto, questo principio trova una precisa conferma anche nella elaborazione della giurisprudenza delle Sezioni Unite successiva alla legge 16 aprile 2015, n. 47.
In particolare, Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, Capasso, Rv. 266790-01, non solo ha espressamente enunciato il seguente principio: «Il rinvio dell'art. 324, comma 7, al comma 10 dell'art. 309 cod. proc. pen. deve intendersi […] riferito alla formulazione codicistica originaria di quest'ultima norma» (cfr. § 7), così accogliendo una soluzione contrastante con il presupposto evocato dal ricorrente a fondamento della sua prospettazione, e cioè che il termine di uno o cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale per il riesame è perentorio anche in materia di misure reali proprio per il coordinamento tra l’art. 324 e l’art. 39, comma 10, cod. proc. pen. Ha anche chiaramente precisato, in motivazione, che «il menzionato comma 10 non può oggettivamente operare per il riesame delle misure reali, quanto alla sanzione che appresta al mancato rispetto del precetto del precedente comma 5, per ragioni che rimandano alla stessa struttura del precetto in questione e alla ontologica incompatibilità di questo col comma 3 dell'art. 324, ragioni illustrate dalla giurisprudenza di legittimità a sezioni semplici e poi unite, all'indomani della introduzione del nuovo testo del detto comma 5» (v., testualmente, § 5.1.).

3. Manifestamente infondate, se non diverse da quelle consentite in sede di legittimità, sono le censure formulate nel secondo motivo, che contestano la ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti, deducendo che il materiale di scarto era, in realtà, in deposito temporaneo, e comunque il fatto è privo di offensività ed occasionale.
3.1. Sembra utile premettere, innanzitutto, che, secondo un principio assolutamente consolidato, enunciato anche dalle Sezioni Unite, e dal quale non vi sono ragioni per dissentire, il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (così, per tutte, Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692-01, e Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656-01).
Per quanto concerne, poi, specificamente la configurabilità del deposito temporaneo di rifiuti, va richiamato l’indirizzo giurisprudenziale generalmente condiviso, secondo cui, in tema di gestione illecita dei rifiuti, ricorre la figura del deposito temporaneo solo nel caso di raggruppamento di rifiuti e del loro deposito preliminare alla raccolta ai fini dello smaltimento per un periodo non superiore all'anno o al trimestre (ove superino il volume di 30 mc), nel luogo in cui gli stessi sono materialmente prodotti o in altro luogo, al primo funzionalmente collegato, nella disponibilità del produttore e dotato dei necessari presidi di sicurezza (cfr. Sez. 3, n. 50129 del 28/06/2018, D., Rv. 273965-01, nonché Sez. 7, n. 17333 del 18/03/2016, Passarelli, Rv. 266911-01).
Ancora, per quanto attiene alla individuazione della natura dei rifiuti, rilevante anche ai fini dell’individuazione dei presidi di sicurezza da assicurare, è fuori discussione che oli esausti e liquidi di batterie costituiscono rifiuti pericolosi (v., in proposito, tra le altre, Sez. 3, n. 31155 del 06/06/2006, Pezone, Rv. 235055-01, e Sez. 1, n. 7479 del 18/03/2021, dep. 2022, Mangia, Rv. 282683-01).
3.2. L’ordinanza impugnata spiega perché deve ritenersi sussistente il fumus del reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. n. 152 del 2006.
Il Tribunale, precisamente, afferma che, nella specie, ricorrono quanto meno i presupposti della fattispecie di deposito incontrollato di rifiuti da parte del titolare di una impresa. A tal fine, anche previo richiamo al materiale fotografico in atti, rappresenta che: -) il fatto è contestato con riferimento a cose rinvenute presso un’officina per la riparazione di automobili; ­-) all’interno di una fossa di ispezione per veicoli, coperta da assi di legno, profonda 1,60 mt. circa, larga 1,00 mt. circa e lunga 4,00 mt. circa, erano presenti numerosi rottami di veicoli riconducibili al codice cer 160117 e numerosi filtri di olio riconducibili al codice cer 160107; -) fuori dell’officina, in un locale attiguo della superficie di 5,50 mt. x 4,00 mt., erano riposti, in parte per terra e in parte in un bidone metallico, numerosi filtri esausti di olio per veicolo riconducibili al codice cer 1302 e seguenti; -) l’indagato, titolare dell’officina, era privo di un registro rifiuti regolarmente compilato e vidimato.
3.3. In considerazione dei principi giuridici applicabili e degli elementi da essa esposti, deve concludersi che l’ordinanza impugnata è immune da vizi anche in ordine al presupposto del fumus commissi delicti.
Invero, il Tribunale ha motivato analiticamente e compiutamente in ordine alle ragioni da cui inferire la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, confrontandosi con tutti gli elementi disponibili, nonché richiamando ed applicando correttamente i principi giuridici in materia.

4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 05/04/2022