Cass. Sez. III n. 30328 del 4 agosto 2021 (UP 25 giu 2021)
Pres. Di Nicola Est. Galterio Ric. Armanno
Rifiuti.Normativa emergenziale e rifiuti ingombranti

La diversa tipologia dei rifiuti che l’art. 6 d. l. 172/2008, conv. nella L. 210/2008 accomuna (rifiuti pericolosi, rifiuti speciali e rifiuti ingombranti) impone di riferire, secondo un criterio logico oltre che letterale stante la presenza della disgiuntiva “ovvero”, i requisiti dimensionali previsti dalla lett. a) ai soli rifiuti cd. “ingombranti” che rimarrebbero, in difetto delle specifiche dettate dal legislatore, un concetto indeterminato, tale da configurare una norma penale in bianco, a differenza delle altre due tipologie di rifiuti che risultano specificamente individuate dalle previgenti disposizioni di legge, trattandosi di rifiuti per i quali la punibilità è prevista per il fatto stesso della appartenenza a una delle due categorie, indipendentemente dalle dimensioni. Del resto, ove si consideri che il bene tutelato dalla norma è quello della salubrità dell’ambiente, sarebbe del tutto irrazionale ritenere che beni intrinsecamente pericolosi o che prevedano specifiche e rigorose modalità di smaltimento possano, diversamente opinando, integrare una condotta illecita solo se raggiungano determinati volumi


RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza in data 17.1.2020 della Corte di Appello di Palermo ha confermato la penale responsabilità di Francesco Armanno per il reato di cui all’art. 6 lett.a) d. l. 172/2008, conv. nella L. 210/2008, per aver effettuato l’illecito smaltimento di rifiuti speciali pericolosi, costituiti da lastre di eternit, su un’area di sua proprietà con occultamento degli stessi all’interno di una buca a cielo aperto, in assenza delle prescritte autorizzazioni, riducendo tuttavia la pena inflittagli all’esito del primo grado di giudizio, stante l’esclusione della recidiva ed il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n.6 cod. pen., ad un mese e dieci giorni di reclusione.
2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando quattro motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
2.1. Con il primo motivo contesta, in relazione al vizio motivazionale, la sussistenza dell’elemento soggettivo deducendo che le modalità concrete con le quali il deposito delle lastre in eternit era stato realizzato fossero ascrivibili esclusivamente agli esecutori materiali, ovverosia ai due artigiani colti nell’atto di gettare i suddetti rifiuti in una buca senza che le suddette modalità fossero conosciute dall’imputato, che neppure era presente sul posto al momento dell’intervento degli agenti di PG e che perciò non poteva essere considerato concorrente morale delle altrui condotte.
2.2. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge, la riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 6 lett. a) d.l. 172/2008, originariamente contestato ai sensi del medesimo art. 6 lett. d), in assenza di qualsivoglia accertamento del superamento del limite quantitativo previsto dalla suddetta disposizione che sanziona il deposito di “rifiuti pericolosi, speciali ovvero ingombranti,  domestici e non, di volume pari a 0,5 mc e con almeno due delle dimensioni d lunghezza, larghezza ed altezza superiori a 50 cm”.  
2.3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art.131 bis cod. pen., che l’esclusione ad opera della Corte di Appello della recidiva infraquinquennale unitamente alla riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 6 lett. a) d.l. 172/2008 ed al riconoscimento dell’eliminazione da parte dell’imputato delle conseguenze dannose del reato consentiva il riconoscimento della causa di non punibilità che può essere rilevata di ufficio dal giudice del gravame, ricorrendone tutti i presupposti sia oggettivi che soggettivi
2.4. Con il quarto motivo lamenta, in relazione al vizio motivazionale, il diniego delle attenuanti generiche di cui era stato sollecitato il riconoscimento alla luce delle modalità complessive del fatto, della sua occasionalità e della condotta tenuta dall’imputato che aveva eliminato le conseguenze dannose del reato, contestando l’illogicità del ragionamento seguito dalla Corte che ai fini del diniego dell’invocato beneficio aveva valorizzato il precedente penale a suo carico, in contrasto con la svalutazione del medesimo ai fini del diniego della recidiva, operazione con la quale era stato reciso ogni connessione tra la personalità del prevenuto e le sue pregresse condanne.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il primo motivo è inammissibile in ragione della manifesta infondatezza delle doglianze articolate in ordine all’elemento soggettivo del reato.
Il ricorrente non contesta di avere, in conformità a quanto da lui stesso spontaneamente dichiarato al distaccamento forestale di Carini, impartito direttive a due soggetti appositamente incaricati di rimuovere le lastre di eternit  poste a copertura di un vecchio magazzino e di sistemarle, sia pure a sua detta temporaneamente, all’interno di una buca presente nel terreno, né di essere il proprietario dell’area su cui insisteva tanto la baracca quanto lo scavo adibito a deposito dei suddetti rifiuti. A fronte di tal ammissione nessuno spazio residua sull’ascrivibilità a costui della condotta in contestazione, costituita dal deposito incontrollato sul suolo di rifiuti pericolosi, non evincendosi dalla contestazione difensiva neppure quali fossero le diverse modalità autonomamente poste in essere dagli esecutori materiali rispetto alle direttive da lui stesso impartite, volte a smantellare il tetto del preesistente manufatto e a riversarlo sul terreno, modalità che in ogni caso non varrebbero comunque ad escludere l’iniziativa assunta al riguardo dal proprietario dell’area. Del resto, consistendo la condotta penalmente sanzionata nell’abbandono, nel riversamento e nel deposito sul suolo o nel sottosuolo dei rifiuti pericolosi, ovvero speciali ovvero ingombranti senza alcun’altra finalità, ne deriva che l'elemento psicologico del reato sia costituito dal dolo generico, di modo che risulta sufficiente la semplice coscienza e volontà della condotta senza la necessità che sia specificamente voluto l'evento della messa in pericolo della salute pubblica.
2. Il secondo motivo relativo alla mancata verifica dei limiti quantitativi previsti dal reato in contestazione non risulta essere stato mai devoluto ai giudici del gravame, costituendo al contrario censura sollevata per la prima volta con il presente ricorso. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione doglianze afferenti punti della decisione diversi da quelli "attaccati" nell'originario atto d'appello che, solo, individua e circoscrive, limitandolo, l'effetto devolutivo dell'impugnazione, ai sensi dell'art. 581 e art. 597 c.p.p., comma 1, venendo altrimenti meno la funzione del sindacato di legittimità cui è sotteso il giudizio demandato a questa Corte (Sez.5, n.28514 del 23/04/2013 - dep. 02/07/2014, Grazioli Gauthier, Rv. 255577).
Peraltro, al di là di tale profilo preliminare, la censura risulta comunque manifestamente infondata. La diversa tipologia dei rifiuti che la norma in contestazione accomuna (rifiuti pericolosi, rifiuti speciali e rifiuti ingombranti) impone di riferire, secondo un criterio logico oltre che letterale stante la presenza della disgiuntiva “ovvero”, i requisiti dimensionali previsti dalla lett. a) ai soli rifiuti cd. “ingombranti” che rimarrebbero, in difetto delle specifiche dettate dal legislatore, un concetto indeterminato, tale da configurare una norma penale in bianco, a differenza delle altre due tipologie di rifiuti che risultano specificamente individuate dalle previgenti disposizioni di legge, trattandosi di rifiuti per i quali la punibilità è prevista per il fatto stesso della appartenenza a una delle due categorie, indipendentemente dalle dimensioni (in tal senso cfr. Sez. 3, Sentenza n. 41161 del 17/04/2012 - dep. 22/10/2012, Cozzo, Rv. 253867). Del resto, ove si consideri che il bene tutelato dalla norma è quello della salubrità dell’ambiente, sarebbe del tutto irrazionale ritenere che beni intrinsecamente pericolosi o che prevedano specifiche e rigorose modalità di smaltimento possano, diversamente opinando, integrare una condotta illecita solo se raggiungano determinati volumi
3. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche per il terzo motivo, non potendo essere rivolte a questa Corte, chiamata al controllo di legittimità della sentenza impugnata, doglianze su questioni che non risultano essere state preventivamente indirizzate al giudice di merito, il quale peraltro non solo ha espressamente stigmatizzato l’estrema pericolosità della condotta mettendo l’accento sull’incalcolabile danno ambientale che sarebbe stato cagionato ove le lastre di eternit, posizionate su un terreno ubicato sul litorale in una buca a cielo aperto, fossero finite nel mare, ma ha comunque quantificato il trattamento sanzionatorio in misura superiore al minimo edittale, così implicitamente escludendo la configurabilità della particolare tenuità del fatto.
A tale rilievo si aggiunge l’assoluta genericità della censura che lungi dal prospettare la sussistenza di elementi che escludessero ab origine, vuoi per la modalità della condotta, vuoi per l’esiguità del danno o del pericolo, la gravità dell’offesa, tali da imporne il rilievo ex officio da parte del giudice di merito, limitandosi ad affermare con formula anodina e del tutto asettica la configurabilità di tutti i profili sia oggettivi che soggettivi della causa di non punibilità, senza arrivare pertanto neppure ad imbastire il vizio motivazionale che solo astrattamente lamenta.
4. Inammissibili devono ritenersi, infine, anche le censure afferenti al diniego delle circostanze generiche.
Va in primo luogo esclusa la dedotta contraddittorietà con l’esclusione della recidiva attese le diverse finalità perseguite dai due istituti, tenuto conto che la suddetta aggravante va intesa quale elemento sintomatico di un'accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell'esistenza di precedenti penali a suo carico, onde la sua esclusione non impedisce di attribuire rilievo alla personalità negativa dell’imputato in ragione delle precedenti condanne conseguite che, se non determina l’aggravamento di pena determinato dall’art. 99 cod. pen., ben può essere considerata al fine di escluderne la mitigazione nell’ambito della cornice edittale (Sez. U - , Sentenza n. 20808 del 25/10/2018 - dep. 15/05/2019, Schettino, Rv. 275319).
In secondo luogo, va ribadito l’univoco orientamento giurisprudenziale secondo cui in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269): conseguentemente il rilievo conferito al precedente penale dell’imputato ai fini della dosimetria della pena in quanto ostativo al riconoscimento del beneficio invocato consente di ritenere legittimamente superati da tale valutazione tutti gli altri elementi fattori asseritamente favorevoli addotti dalla difesa (cfr. ex multis Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899)
5. All’esito del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso il 25.6.2021