Decreto Terra dei Fuochi e combustione di stoppie
di Gianfranco AMENDOLA
1. Il decreto "terra dei fuochi" : il comma 6 del nuovo art. 256-bis D. Lgs. 152/06
Nel settore della normativa ambientale la certezza del diritto è ormai un'utopia. Quel che è avvenuto con il SISTRI non è certo degno di un paese civile.
Purtroppo, più andiamo avanti e più cresce l'incertezza.
Un notevole contributo in tal senso è stato apportato, di recente, dal decreto legge 10 dicembre 2013 n. 136 convertito con legge 6 febbraio 2014 n. 6 (cd "terra dei fuochi") il quale, come è noto, ha introdotto nel TUA l' art. 256-bis che prevede il nuovo delitto di "combustione illecita di rifiuti".
Già in altre sedi abbiamo espresso il nostro giudizio totalmente negativo su questa legge, frutto di demagogia e pressapochismo1.
Oggi, tuttavia, vogliamo soffermarci su una sua disposizione che sembra essere passata quasi inosservata e che, invece, a nostro avviso, merita un approfondimento anche per la disparità di trattamento che già si profila nel nostro paese.
Ci riferiamo al comma 6 del nuovo articolo il quale prevede che <<si applicano le sanzioni di cui all'articolo 255 se le condotte di cui al comma 1 hanno ad oggetto i rifiuti di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e) >>. Per la esatta comprensione della disposizione, quindi, occorre fare ben 3 precisazioni normative:
1) Le condotte di cui al comma 1, il quale recita che << salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata e' punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni. Il responsabile e' tenuto al ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica.>>. Sembra, quindi, che, in realtà, anche se si parla di "condotte", la condotta sia una sola: quella di chi appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata.
2) Oggetto: i rifiuti di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e), e cioè << i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali >>
3) Sanzioni di cui all'art. 255 e cioè la sanzione amministrativa pecuniaria da 300 a 3.000 euro.
A questo punto, sembra si possa concludere, come prima approssimazione, che il comma 6 del nuovo articolo vuole introdurre una eccezione alla severa regola del primo comma, sostituendo la sanzione amministrativa alla reclusione qualora si appicchi il fuoco a rifiuti vegetali abbandonati o depositati in modo incontrollato, in considerazione della limitata offensività di tale comportamento.
Ma, se vogliamo andare oltre questa prima approssimazione, sorgono immediatamente notevoli dubbi connessi sia con l’insieme del nuovo provvedimento normativo in esame sia con le disposizioni già esistenti del TUA .
2. La congruità rispetto alle altre ipotesi di illecito previste dal decreto
Un primo dubbio deriva dalla formulazione del comma 6 rispetto al nuovo art. 256-bis nel suo complesso. Se, infatti, l'ammorbidimento della sanzione (da delitto ad illecito amministrativo) riguarda solo le condotte di cui al comma 1, dovrebbero restarne escluse quelle del secondo comma anche se riguardano rifiuti vegetali. E, quindi, le condotte di abbandono-deposito incontrollato e di gestione illecita (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216) di rifiuti vegetali, in funzione della successiva combustione illecita dovrebbero essere punite come delitti, con le stesse pene del primo comma del nuovo articolo, e cioè con la reclusione da 2 a 5 anni.
Insomma, se si tratta di rifiuti vegetali, la condotta illecita principale sarebbe illecito amministrativo mentre le condotte propedeutiche sarebbero delitto.
Tanto per fare un esempio, se una ditta di giardinaggio trasporta i rifiuti vegetali in località dove eliminarli in sicurezza tramite combustione, dovrebbe applicarsi la reclusione da 2 a 5 anni (più confisca del mezzo) per il trasporto non autorizzato e la sanzione amministrativa da 300 a 3.000 euro per la combustione (che è il vero evento che si vuole evitare).
Lo stesso dicasi se li stocca sul terreno (senza formale autorizzazione) in attesa, sempre, di bruciarli in sicurezza. Anzi, visto che si tratta di reato commesso nell'ambito dell' attività di un'impresa o comunque di un' attività organizzata bisognerebbe applicare anche gli aumenti di pena del comma 3.
E’ superfluo, a questo punto, ogni commento circa la evidente irrazionalità di tale situazione normativa.
3. I rifiuti vegetali di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e) D. Lgs. 152/06
Altrettanto evidente appare l’importanza di definire esattamente la portata del comma 6 rispetto all’oggetto (i rifiuti vegetali di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e) D. Lgs. 152/06), visto che è proprio questo l’elemento che giustifica l’eccezione della sanzione amministrativa rispetto alla “regola” della reclusione per la combustione.
Trattasi, come già abbiamo detto dei “rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali”, inclusi, come tali, tra i rifiuti urbani. E, quindi, ovviamente, diversi dai “rifiuti derivanti da attività agricole e agro-industriali, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2135 c.c. ”, che il comma 3, lett. a) dello stesso articolo 184 classifica come rifiuti speciali.
Se, a questo punto, leggiamo l’art. 2135 c.c. apprendiamo che “è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”2
Quindi, come prima precisazione, possiamo dire che tra i rifiuti vegetali contemplati dal comma 6 non possono essere inclusi i rifiuti prodotti da queste attività agricole ed agro-industriali esercitate a fini commerciali.
Ma c’è di più. Perché, in realtà, il D. Lgs 152/06, parla di rifiuti agricoli anche in un altro articolo, il 185, dove configura quali rifiuti non devono essere assoggettati alla disciplina della parte quarta (quella, appunto, sui rifiuti).
Vediamo, allora, questo quadro normativo di insieme evidenziando come si è modificato nel tempo, dal decreto Ronchi del 1997 ad oggi, anche in relazione al dettato comunitario da cui deriva l’attuale TUA.
Art. 184 D LGS 152/06Classificazione
1. Ai fini dell'attuazione della parte quarta del presente decreto i rifiuti sono classificati, secondo l'origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi. 2. Sono rifiuti urbani: OMISSIS e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali; 3. Sono rifiuti speciali: a) i rifiuti da attività agricole e agro-industriali ai sensi e per gli effetti dell’art. 2135 c.c.; OMISSIS SCHEMA TEMPORALE 1997-2010 DISPOSIZIONI ESCLUSIONE RIFIUTI AGRICOLI
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In sostanza, l’art. 185 individua alcuni “rifiuti agricoli” che sono, per legge, esclusi dalla disciplina del D. Lgs. 152/06. Ad essi, quindi, non si applica neppure il “nuovo” art. 256-bis sulla combustione di rifiuti.
Se, a questo punto, ci soffermiamo sulla dizione normativa italiana conseguente alle modifiche del 2010 (ed attualmente in vigore) vediamo subito che essa, a prima vista, sembra distinguere, attraverso un “nonchè”, questi rifiuti agricoli “esenti”, in “paglia, sfalci e potature” da un lato e “altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso…” dall’altro. Con la conseguenza che il divieto di combustione (così come gli altri divieti del D. Lgs 152/06) non riguarderebbe paglia, sfalci e potature.
Se, tuttavia, analizziamo meglio il dettato normativo, sembra evidente che quel “nonché” non è disgiuntivo in quanto subito dopo appare la dizione “utilizzati in agricoltura ecc.”; dove il plurale (utilizzati) si riferisce, quindi, non solo ad “altro materiale…” ma anche a “paglia, sfalci e potature”3. In armonia, peraltro, con la direttiva comunitaria e con le versioni precedenti della normativa sui rifiuti.
Si deve, quindi, concludere che sono esclusi dalla disciplina sui rifiuti (incluso il divieto di combustione introdotto dall’art. 256-bis) solo paglia, sfalci e potature “utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”4.
Si noti, peraltro, l’assoluta novità, rispetto alla normativa precedente ed alla direttiva ultima, del testo italiano che nel 2010 non solo ha aggiunto alla “paglia” anche “sfalci e potature”, ma ha anche inserito quell’equivoco “nonché”. Forse, ma è una nostra illazione, nel tentativo (non riuscito) di esentare sfalci e potature tout court dalla disciplina sui rifiuti e dal divieto di combustione (che, come vedremo, già esisteva anche se non era delitto).
In conclusione, per quanto concerne i rifiuti vegetali:
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Il divieto di combustione illecita introdotto dal Decreto “terra dei fuochi” viene sanzionato come delitto tutte le volte che riguarda rifiuti, anche vegetali, derivanti da una attività agricola imprenditoriale di sfruttamento del terreno.
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Viene invece sanzionato in via amministrativa se riguarda rifiuti vegetali prodotti da aree verdi e cioè da aree (quali, ad esempio, giardini, parchi e aree cimiteriali) la cui funzione non è lo sfruttamento del terreno ma l’utilizzazione proprio in quanto “verdi”.
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Sono esenti dal divieto (così come da tutta la disciplina del TUA) solo quei rifiuti vegetali utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana. Ovviamente, in tal caso, occorrerà la prova certa da parte dell’interessato che i suoi rifiuti vegetali siano stati realmente utilizzati nel senso indicato dalla legge.
4. Smaltimento illecito di rifiuti e divieto di combustione
Giova ricordare, a questo punto, che, in realtà, già prima del Decreto in esame, la combustione (ovviamente non autorizzata) di rifiuti, anche vegetali, era vietata in quanto, comunque, lo smaltimento non autorizzato di rifiuti, anche tramite combustione, era ed è previsto come reato contravvenzionale, dall'art. 256, comma 1, D.Lgs 152/06. Circostanza che, tuttavia, come si legge nella relazione illustrativa, è stata ritenuta dal legislatore "risposta sanzionatoria inadeguata a fronte dei concreti rischi di contaminazione delle matrici ambientali e pregiudizio per la salute umana che le emissioni prodotte dalle combustioni dei rifiuti sono suscettibili di produrre".
Oggi, quindi, la novità, per quanto concerne i rifiuti vegetali, consiste da un lato nella regola della trasformazione della contravvenzione in delitto e dall’altro nella eccezione della trasformazione della contravvenzione in sanzione amministrativa per i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi.
Tuttavia, per quanto concerne la ipotesi contravvenzionale dell’art. 256, comma 1, vi è una importante precisazione da fare. Tale norma incriminatrice, infatti, punisce con arresto o con ammenda “chiunque effettua una attività di ….. smaltimento… di rifiuti, in mancanza della prescritta autorizzazione… di cui agli artt. 208, 209, 210, 211…>>. E, pertanto, a prima vista, essa non discrimina affatto nell’ambito del soggetto attivo, che può essere <<chiunque>>. Tuttavia, ad un esame più approfondito, si deve rilevare che essa punisce solo chiunque, appunto, effettua una attività di smaltimento di rifiuti <<in mancanza della prescritta autorizzazione…di cui agli artt. 208, 209, 210, 211.>>. Vi è, quindi, a livello di norma penale, come più volte messo in rilievo dalla dottrina più attenta5, un rinvio diretto e totale agli articoli di legge che prevedono l’obbligo di autorizzazione per gli impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti. E, a questo punto, basta leggerli per verificare che essi prevedono la esistenza di “impianti” e l’esercizio di un’attività di impresa, anche se solo di fatto6; con la conseguenza che, in realtà, sembra preferibile parlare di reato proprio. Trattasi, in altri termini, della stessa ratio che ha portato, in caso di abbandono di rifiuti, a punire con sanzione amministrativa il privato e con sanzione penale il titolare o responsabile di ente o impresa: ciò che preoccupa il legislatore per i possibili danni all’ambiente non è il fatto occasionale ma un comportamento continuato, associabile, di solito, ad una attività imprenditoriale. Del resto, lo stesso iter necessario per ottenere l’autorizzazione allo smaltimento è chiaramente strutturato in funzione di una attività di impresa e non di un comportamento occasionale di privato7.
Tornando, quindi, alla combustione illecita di rifiuti (anche vegetali), a nostro sommesso avviso, prima del Decreto in esame sulla “terra dei fuochi”, essa rientrava nell’ambito dello smaltimento non autorizzato di cui all’art. 256, comma 1, solo se commessa nell’ambito di attività di impresa e non se commessa saltuariamente da privati (salvo, ovviamente, altre ipotesi di reato, quali, ad esempio, quella di cui all’art. 674 c.p.)8.
Oggi, naturalmente, di fronte ad una nuova, espressa disposizione speciale, tale conclusione non è più valida: come abbiamo visto, cioè, la combustione illecita di rifiuti è sempre e comunque un illecito (penale o, se ricorre il comma 6 dell’art. 256-bis, amministrativo) da chiunque venga commessa.
5. La combustione di stoppie
E’ in questo quadro generale che si pone il problema molto frequente dell’abbruciamento di stoppie9, ramaglie e altro materiale vegetale di risulta.
Di esso si era più volte occupata la giurisprudenza, ovviamente sulla base della legislazione precedente al “Decreto terra dei fuochi”, con riferimento, quindi, al reato di smaltimento illecito di cui all’art. 256, comma 1.
Vale la pena, in particolare, di ricordare due sentenze del Tribunale di Trento, -la prima, sezione distaccata di Cles, del 21 dicembre 2005, la seconda della sezione distaccata di Borgo del 6 marzo 2006-, le quali hanno ritenuto che bruciare in loco le stoppie e gli scarti di vegetazione costituisse, appunto, il reato di smaltimento non autorizzato di rifiuti non pericolosi (art. 51, comma 1 lett. a) D. Lgs 22/1997, ora art. 256, comma 1, lett.a) D. Lgs 152/2006). Entrambe le sentenze evidenziano che si tratta di rifiuti in quanto il detentore voleva disfarsene, tanto più che, come si legge nella seconda sentenza, <<la tesi per cui le ceneri costituirebbero un concimante naturale non trova riscontro nelle tecniche di coltivazione attuali>>. Altrettanto certo è che, come afferma esattamente la prima sentenza, gli scarti vegetali sono ricompresi nel Catalogo Europeo dei rifiuti (cod. CER 02.01.03), non si tratta di sostanze naturali non pericolose riutilizzate nelle normali attività agricole, né possono essere confusi con le materie fecali o con le terre da coltivazione provenienti dalla pulizia dei prodotti vegetali (e pertanto non sono, di per sé, escluse dalla normativa sui rifiuti ai sensi dell’art. 185, comma 1, lett. e, D. Lgs 152/2006 nella formulazione allora vigente). Di certo, infine, il loro incenerimento integra una operazione di smaltimento. E, pertanto, veniva ritenuta la sussistenza del reato.
Di potature di alberi si occupava anche, due volte, la suprema Corte nel 2005 e nel 2009 con riferimento, però, non alla loro combustione bensì al loro deposito incontrollato; nella seconda, rispondendo alla difesa che sosteneva non trattarsi di rifiuti, la Cassazione replicava, in modo scarno, che “secondo la giurisprudenza di questa Corte vanno qualificati come rifiuti… i materiali vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi.. Tant’ è che è stato ritenuto configurabile il reato di cui all’art. 51, comma terzo, D. Lgs 22/1997 in caso di “deposito dei residui di potatura e pulitura degli alberi in zona adibita a discarica abusiva (Cass, sez. 3, n. 12356 del 24.2.2005)”.
Alla stessa conclusione la suprema Corte perveniva nel 2008 in un caso di incenerimento di rami tagliati, affermando che “il taglio di alberi, eseguito nell’ambito della silvicoltura, costituisce attività produttiva e quindi trova applicazione il D. Lgs 152/06. La eliminazione, mediante incenerimento, dei rami degli alberi tagliati (per circa un metro cubo) non usufruibili in processi produttivi non costituisce una forma di utilizzazione nell’ambito di attività produttive. Inoltre non trova riscontro nelle tecniche di coltivazione attuali l’utilizzazione delle ceneri come concimante naturale. Tale materiale, pertanto, non può essere considerato materia prima secondaria riutilizzata in diversi settori produttivi senza pregiudizio per l’ambiente”.10 E confermava, quindi, una sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a) D. Lgs 152/06.
In questo quadro, fondate perplessità suscita una successiva sentenza del 2013 la quale, con poche righe di motivazione, ha ritenuto che la combustione di frasche e residui di potatura provenienti da un vivaio di piante e destinate ad essere utilizzate come composto nello stesso vivaio costituisca attività che rientra nella normale pratica agricola, cui consegue l’esclusione, ai sensi dell’art. 185, comma 1, lett. f ) D. Lgs 152/06, dei materiali di cui si tratta dal novero dei rifiuti”11.
Infatti, a parte che l’esercizio di un vivaio non sembra rientrare affatto nell’attività agricola, se anche può dirsi che la combustione delle stoppie rientra nella normale pratica agricola, questo non comporta affatto che si tratti automaticamente di materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana.
Non si capisce, infatti, quale sia il loro utilizzo, visto che l’unico intento di chi brucia le stoppie è di liberarsene; e, quindi, di solito, le stoppie vengono bruciate e le ceneri disperse12. E, del resto, sempre la Cassazione, come abbiamo visto, aveva già chiaramente ricordato sin dal 2008 che “non trova riscontro nelle tecniche di coltivazione attuali l’utilizzazione delle ceneri come concimante naturale”.
Anzi, sembra accertato che, in agricoltura, la combustione delle stoppie viene considerata una pratica non utile ma addirittura nociva. Basta ricordare, in proposito, che il D.M. 15 dicembre 2005, dando attuazione all' art. 5 Regolamento CE 1782/03, allegato 4 ("gli Stati membri provvedono affinché tutte le terre agricole siano mantenute in buone condizioni agronomiche e ambientali"), alla norma 2.1, statuisce, in via generale, che "al fine di favorire la preservazione del livello di sostanza organica presente nel suolo..... è vietata la bruciatura delle stoppie e delle paglie, nonchè della vegetazione presente al termine dei cicli produttivi di prati naturali o seminati"13.
Peraltro, la migliore conferma che la combustione di rifiuti vegetali costituiva e costituisce un illecito viene proprio dall’inserimento del comma 6 nel Decreto “Terra di fuochi” che sarebbe del tutto superfluo se tale operazione fosse realmente una operazione rientrante nella normale pratica agricola cui consegue tout court l’esclusione dalla normativa sui rifiuti (incluso il nuovo art. 256-bis).
6. La situazione attuale: il diritto e la realtà
E’ a questo punto che si pone il problema della realtà in cui si cala questa conclusione.
Basta, infatti, una occhiata a Internet per accertare che l'Italia è piena di ordinanze e disposizioni di Regioni e di sindaci emanate per disciplinare la combustione delle stoppie in agricoltura14, con prescrizioni (di tempo, di luogo e di modalità) tese solo ad evitare incendi15.
Il Comune di Massa ha addirittura emanato una procedura secondo cui "per richiedere l'autorizzazione a bruciare scarti di verde derivanti da attività agricole e di giardinaggio è necessario presentare una domanda in carta semplice indirizzata al Sindaco su modulo predisposto oppure semplicemente indirizzando una richiesta al Sindaco indicando le proprie generalità, un recapito telefonico e l'ubicazione del terreno interessato alla bruciatura delle ramaglie. E' previsto il pagamento per i diritti di sopralluogo il cui importo ammonta ad euro 50,00....".
La Regione Liguria, nel giugno del 2013 , ha approvato un provvedimento di modifica di legge regionale per stabilire che i residui vegetali di potature di uliveti e altre coltivazioni non sono da considerare rifiuti speciali e potranno essere oggetto di “abbruciamento controllato, nel rispetto delle norme per la prevenzione degli incendi”.
Nè sembra che la emanazione del Decreto "Terra dei fuochi" abbia indotto a ripensamenti.
Basta leggere, da ultimo, il decreto del Presidente della Giunta regionale pugliese dell' 8 aprile 2014 n. 226 che, ignorando totalmente la nuova legge, contiene, tra l'altro, un art. 7, intitolato a "divieti per la bruciatura delle stoppie", in cui regolamenta il fenomeno, stabilendo che "è fatto divieto di bruciatura delle stoppie e delle paglie, nonché della vegetazione presente al termine di prati naturali o seminati ricadenti nelle Zone a Protezione Speciale (Z.P.S.) prima del 1° settembre come previsto dall’articolo 5 comma 1, lett. w del Regolamento Regionale n. 28 del 22.12.2008. ....
Ove ritenuto, ed in relazione a particolari condizioni locali e climatiche, i Sindaci potranno posticipare l’inizio del periodo di bruciatura delle stoppie nel territorio di propria competenza. All’interno delle aree naturali protette nazionali istituite ai sensi della L. 394/1991 e di quelle regionali istituite ai sensi della L.R. 19/1997 si applica, ove esistente, la specifica normativa...."
Ma, anche quando ci si è accorti della novità legislativa, la reazione principale è stata nel senso di tentare di neutralizzarla, invocando, soprattutto, la esclusione (sopra esaminata) dell'art. 185.
In tal senso sembra si sia mossa la Regione Sardegna, la quale informa che " è possibile bruciare le stoppie, i pascoli e gli incolti soltanto per gli scopi agrozootecnici ma è necessario prima chiedere l'autorizzazione alla Stazione Forestale. Il procedimento rientra tra le prescrizioni antincendio".
In modo ben più evidente è intervenuta la giunta del Friuli Venezia Giulia, la quale, proprio con l'intento dichiarato di superare il divieto del Decreto sulla «Terra dei fuochi», ha introdotto, nella L.R. 5 del 28 marzo 2014, un emendamento aggiuntivo alla norma sugli Ogm con il quale, ferme restando le disposizioni in materia di antincendio boschivo, è consentito bruciare i residui ligno-cellulosici derivanti dalle lavorazioni agricole, purché il materiale triturato e le ceneri siano reimpiegate nel ciclo colturale, tramite distribuzione, come sostanze concimanti o ammendanti e lo spessore del materiale distribuito non superi i 15 centimetri nel caso della triturazione e i 5 centimetri nel caso delle ceneri.
Rappresenta, quindi, un'eccezione l'ordinanza 27 marzo 2014 del sindaco di Polverana, in Veneto, la quale "informa che il nuovo art. 256-bis del D.Lgs. n. 152/2006 (Testo Unico delle norme in materia ambientale) introduce il divieto di combustione illecita di rifiuti, sanzionando penalmente chiunque bruci rifiuti provenienti da attività agricola: stoppie, ramaglie, paglie, nonchè la vegetazione presente al termine dei cicli produttivi di prati naturali o seminati, fatte salve eventuali disposizioni regionali connesse ad emergenze fitosanitarie...." e conclude invitando "tutti i produttori dei rifiuti in argomento, a procedere con lo smaltimento degli stessi nelle modalità di legge.."16
7. Conclusioni
A questo punto appare del tutto evidente che, specie dopo il Decreto "Terra dei fuochi", ci troviamo in una situazione grottesca e paradossale.
Mentre la combustione delle stoppie è vietata e sanzionata, di regola, dallo Stato come delitto, Regioni e Comuni la regolamentano, e, quindi, implicitamente la autorizzano anche se a certe condizioni.
Regolamentando, in tal modo, la commissione di un delitto e diventando, quindi, concorrenti nel reato.
E allora, che fare? Non spetta al giurista, a questo punto, suggerire una soluzione al problema che, peraltro, già esisteva e che oggi è stato solo reso più evidente con il Decreto sulla "Terra dei fuochi".
Di certo, quello che non è ammissibile è che si faccia finta di niente con enormi disparità di trattamento tra Regione e Regione e tra Comune e Comune, con la polizia giudiziaria che si trova di fronte all'obbligo di sanzionare il divieto statale di combustione da un lato e con quello di permetterlo a livello locale dall'altro.
Urge un chiarimento specifico e definitivo senza ombra di equivoci che restituisca, in primo luogo agli agricoltori, la certezza del diritto. In un senso o nell'altro.
L'occasione potrebbe essere il progetto di legge sul collegato ambientale alla legge di stabilità approvato dal Governo Letta il 15 novembre 2013, il quale contiene una specifica disposizione finalizzata a risolvere proprio tale problema.
Altrimenti corriamo il rischio che, alla fine, siano solo alcuni agricoltori, qualche zingaro, qualche prostituta e qualche extracomunitario a subire la severità del Decreto "Terra dei fuochi". Mentre i camorristi ed i delinquenti che hanno dato origine al gravissimo fenomeno continuano a restare impuniti.
1 Viva viva la terra dei fuochi in www.lexambiente.it nonchè Combustione di rifiuti: un commento al DL "Terra dei fuochi" in Ambiente e sicurezza sul lavoro 2014, n. 1, pag. 60 e segg.
2 l’articolo aggiunge che “per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.
Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.
3 Anche l’uso del termine “altro” conferma un collegamento e non una separazione
4 Nello stesso senso, anche se con riferimento alla dizione normativa precedente, cfr. Cass. pen., sez. 3, 7 aprile 2009, n. 26951, Marozzi, secondo cui “a mente dell’art. 185 D. Lgs 152/06 non rientrano nella disciplina della gestione dei rifiuti “le altre sostanze naturali e non pericolose utilizzate nell’attività agricola” (fattispecie relativa a raspi e vinacce)
5 Cfr. per tutti PAONE, Il dipendente di un’impresa risponde del reato di gestione abusiva dei rifiuti? in Foro it. 2012, 2, c. 238
6 Con riferimento all’obbligo di iscrizione all’Albo per il trasporto di rifiuti, ci permettiamo rinviare al nostro La casalinga che porta al cassonetto in auto la busta dei rifiuti domestici deve essere iscritta all’Albo?, in www.lexambiente.it, 2010
7 Di contrario avviso è la giurisprudenza della Cassazione, la quale, con riferimento al reato di cui al primo comma dell’art. 256 D. Lgs 152/06, afferma costantemente che non si tratta di reato proprio “non dovendo necessariamente essere integrato da soggetti esercenti professionalmente l’attività di gestione rifiuti, dal momento che la norma fa riferimento a <<chiunque>>” : Cass. pen., sez. 3, 25 maggio 2011, n. 23971, Graniero. Da ultimo, cfr ID, 15 gennaio 2013, n. 6294, Berlingieri, secondo cui il reato “può essere commesso anche da chi esercita attività di gestione di rifiuti in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa, dovendosi pertanto escludere la natura di reato proprio la cui commissione sia possibile solo da soggetti esercenti professionalmente una attività di gestione di rifiuti”
8 Per approfondimenti, si rinvia al nostro Bruciare stoppie e residui vegetali e’ veramente reato? in www.industrieambiente.it
9 Secondo il dizionario per stoppie si intendono i residui di una coltura erbacea (spec. frumento o altro cereale) rimasti sul campo dopo il taglio o la mietitura
10 Cass. pen., sez. 3, 4 novembre 2008, n. 46213, Dallemule
11 Cass. pen., sez. 3, 7 marzo 2013, n. 16474
12 Peraltro, nel caso in esame, mancava anche del tutto, la prova, in concreto, da parte degli imputati che vi fosse un utilizzo conforme a quanto richiesto dall’art. 185 per usufruire della esenzione
13 Illustrando questa norma, il Manuale pratico della condizionalità delle imprese agricole (ARSIAL) precisa che" talune pratiche come la bruciatura delle stoppie e dei residui colturali, incidono negativamente sulla dotazione di sostanza organica del terreno, anche perché sottraggono biomassa che potrebbe essere più efficacemente utilizzata se interrata ".
14 cfr. anche il DPR n. 297 del 4 giugno 2008 in materia di fuochi controllati in agricoltura
15 Tipico esempio l'ordinanza 1 giugno 2011 del Comune di Ravenna in cui
"Visto l’art.59 T.U. delle leggi di Pubblica Sicurezza;
Ritenuta la necessità di impedire nell’imminente stagione estiva la bruciatura delle stoppie, per evitare pericoli
di incendio e la distruzione dei nidi e dei piccoli nati della selvaggina;
SI RAMMENTA
che ai sensi della citata disposizione di legge, è vietato dar fuoco nei campi e nei boschi alle stoppie fuori dal tempo e senza le condizioni stabilite dai regolamenti locali e ad una distanza minore di quella in essi determinata.
In mancanza di regolamenti, è vietato dare fuoco nei campi e nei boschi alle stoppie prima del 15 agosto e ad una distanza minore di 100 metri dalle case, dagli edifici, dai boschi, dalle piantagioni, dalle siepi, dai mucchi di biada, di fieno, di foraggio e da qualsiasi altro deposito di materiale infiammabile o combustibile.
Contro i contravventori si procederà a norma di legge.
Gli agenti della forza pubblica, gli agenti del corpo di polizia della Provincia, sono invitati a vigilare sulla perfetta osservanza delle norme richiamate nel presente avviso."
16 in proposito per un approfondimento di questa problematica con particolare riferimento ai rapporti Stato-Regioni per l'applicazione dell'art. 185 D. Lgs 152/06,, si rinvia al parere 18 giugno 2013, prot. 230593 dell'area consulenza giuridica ed assistenza agli atti del dipartimento istituzionale e territorio della Regione Lazio, il quale conclude che "stante la riserva di legge statale in materia penale, ne consegue un'assoluta impossibilità di deroga da parte della normativa regionale"