Cass. Sez. III n. 17387 del 6 maggio 2021 (CC 3 feb 2021)
Pres. Izzo Est. Di Stasi Ric. Circo
Rifiuti.Reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata

Ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, è necessario l'accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta (anche se non abituale), in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo con carattere di definitività , in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, con conseguente degrado, anche solo tendenziale, dello stato dei luoghi ed essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24/05/2020, la Corte di appello di Palermo, in riforma della sentenza assolutoria resa il 24/05/2018 dal Tribunale di Agrigento, dichiarava Circo Rosario responsabile del reato di cui all’art. 256, comma 3, d.lgs 152/2006 e lo condannava alla pena di mesi sei di arresto ed euro 2.600,00 di ammenda.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Circo Rosario, a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione degli artt. 546 e 192 cod.proc.pen. e correlato vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale aveva affermato la penale responsabilità dell’imputato limitandosi al richiamo delle fonti di prova e senza alcuna valutazione giuridica sugli elementi costitutivi del reato contestato; le prove documentali e testimoniali, invece, mettevano in luce una limitata e modesta attività di accumulo, configurante un mero deposito su un terreno di non vaste dimensioni, peraltro accessibile dalla via pubblica, nonché l’assenza di un minimum di organizzazione.
Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 131-bis cod.pen., lamentando che la Corte territoriale, non aveva valutato la minima offensività del fatto, alla luce della natura contravvenzionale del reato, della non abitualità della condotta e del comportamento tenuto successivamente al reato (ripristino dei luoghi in ottemperanza alle prescrizioni).
Con il terzo motivo deduce violazione degli artt. 62.bis e 133 cod.pen. e correlato vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale aveva denegato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche con una mera clausola di stile senza tener conto del comportamento successivo al reato e di quello processuale; inoltre, la determinazione della pena non era sorretta da motivazione relativa alla valutazione degli elementi di cui all’art. 133 cod.pen.
Con il quarto motivo deduce violazione degli artt. 255 e 256 d.lgs 152/2006, lamentando che era stata illegittimamente disposta la confisca su un terreno bonificato.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale, con argomentazioni congrue e logiche, ha ritenuto integrato il reato contestato (art. 256, comma 3, d.lgs 152/2006 ) rimarcando che le emergenze probatorie evidenziavano che nel terreno rurale di proprietà dell’imputato, in un’area estesa di circa 400 mq erano presenti “numerosi cumuli di terra e pietre da scavo, materiale ferroso e plastica”; la quantità dei rifiuti, peraltro ammassati nel corso di un significativo periodo di tempo in numerosi cumuli alti cinque metri, in un’area estesa circa 400 mq, le loro caratteristiche di eterogeneità (materiale non solo proveniente da scavi ma anche ferroso e di plastica) nonché il conseguente degrado del terreno, erano, quindi, circostanze che rendevano evidente la configurabilità del reato di discarica abusiva.
La valutazione è in linea con i principi di diritti affermati da questa Suprema Corte in subiecta materia.
Va ricordato che, ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, è necessario l'accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta (anche se non abituale), in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo con carattere di definitività , in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, con conseguente degrado, anche solo tendenziale, dello stato dei luoghi ed essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata (Sez.3, n.39027 del 20/04/2018, Rv. 273918 – 01; Sez. 3,n.47501 del 13/11/2013, Rv. 257996 - 01; Sez. 3,n. 27296 del 12/05/2004, Rv.229062 -01).
2. La questione dell’applicabilità del disposto dell’art. 131-bis cond.pen. non è stata devoluta dal ricorrente al Giudice di appello (cfr conclusioni rassegnate dal difensore dell’imputato all’udienza del 28.05.2020 e riportate anche in sentenza, che non contengono una siffatta richiesta).
Il motivo di ricorso è, pertanto, inammissibile, perché avente ad oggetto doglianza non proposta specificamente in sede di appello.
3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, il Giudice nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti; è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione , individuando, tra gli elementi di cui all’art.133 cod.pen., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato (Sez.3, n.28535 del 19/03/2014, Rv.259899; Sez.6, n.34364 del 16/06/2010, Rv.248244; sez. 2, 11 ottobre 2004, n. 2285, Rv. 230691). Nella specie, la Corte territoriale, con motivazione congrua e logica, insindacabile in sede di legittimità, ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche, rimarcando la gravità della condotta in relazione alla quantità e natura dei rifiuti presenti nella discarica abusiva.
Nel determinare l’entità del trattamento sanzionatorio, la Corte di appello ha fissata la pena in misura pari al minimo edittale, ritenendola congrua, richiamando i criteri di cui all’artt. 133 cod.pen, e, in particolare, lo stato di incensuratezza dell’imputato. La dosimetria della pena, pertanto, è sorretta da adeguata e logica motivazione.
4. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La confisca dell’area interessata dalla discarica abusiva è stata legittimamente disposta dalla Corte di appello.
Va ricordato che confisca dell'area sulla quale è realizzata la discarica abusiva di cui all'art. 256, comma 3, d.lgs 152/2006 deve essere obbligatoriamente disposta dal giudice, prevedendo la norma che alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi degli artt. 444 e segg. cod.proc. pen.,. consegua la confisca dell'area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi. La misura non può essere applicata, dunque, solo qualora l'area su cui la discarica abusiva è realizzata sia di proprietà di un soggetto terzo, ossia di un soggetto che non è autore dell'illecito ovvero concorrente nel medesimo. Si precisa, inoltre, che non può essere disposta la confisca dell'area adibita a discarica abusiva, in caso di estinzione del reato per decorso del termine di prescrizione e, ove precedentemente disposta, l'estinzione del reato fa venire meno la confisca (Sez. 3, 13 marzo 2019, n. 10873). La confisca obbligatoria dell'area deve, invece, essere disposta anche qualora, come avvenuto nella specie, essa sia stata sottoposta a bonifica (cfr Sez.3 n.847 del 19/11/2019, dep.13/01/2020, Rv. 278281 – 01, che ha affermato il principio in tema di sequestro preventivo dell'area su cui è stata realizzata una discarica abusiva, precisando che, esso deve essere mantenuto anche qualora i luoghi siano stati sottoposti a bonifica, in quanto, trattandosi di bene del quale è prevista la confisca obbligatoria ex art. 256, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, tale circostanza non fa venir meno le esigenze di cautela sottese all'adozione del provvedimento).
5. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
6. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 03/02/2021