Cass. Sez. III n. 23148 del 27 maggio 2019 (PU 29 mar 2019)
Pres. Izzo Est. Noviello Ric. Domenicone
Rifiuti.Requisiti della fertirrigazione

La pratica della "fertirrigazione", idonea a sottrarre il deposito delle deiezioni animali alla disciplina sui rifiuti, richiede, in primo luogo, l'esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento, nonché l'adeguatezza di quantità e qualità degli effluenti e dei tempi e modalità di distribuzione al tipo e fabbisogno delle colture e, in secondo luogo, l'assenza di dati sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la fertirrigazione, quali, ad esempio, lo spandimento di liquami lasciati scorrere per caduta a fine ciclo vegetativo

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28/05/2018 il tribunale di Teramo condannava Domenicone Nevio alla pena di euro 4000,00 di ammenda in relazione al reato di cui all’art. 256 comma 2 del Dlgs 152/2006, perché in assenza di autorizzazione e comunque fuori dei casi e procedure previste, depositava sul suolo rifiuti speciali allo stato liquido quali liquami prodotti dall’allevamento di pertinenza.

2. Avverso la predetta sentenza Domenicone Nevio ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore deducendo sei motivi di impugnazione che si riportano ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.   
 
3. Con il primo motivo ha dedotto il vizio di cui all’art. 606  comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. rilevando la sussistenza di elementi idonei ad escludere l’utilizzazione di letame incompatibile con l’attività di fertirrigazione, quale in particolare la testimonianza di Domenicone Bruno, oltre alla mancata dimostrazione di danni derivanti dallo spandimento di deiezioni animali sul terreno. Tanto anche alla luce dell’indirizzo di legittimità per cui emerge la rilevanza penale dello spandimento su suolo di liquami zootecnici solo quando non integrino una parte marginale del rifiuti riversati, mentre nel caso concreto sarebbero stati rinvenuti solo fertilizzanti. In tal modo il tribunale avrebbe erroneamente inquadrato i fatti nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 256 del Dlgs 152/06 essendosi limitato il ricorrente a depositare sostanze non nocive e quindi non classificabili come rifiuti.

4. Con il secondo motivo ha dedotto il vizio di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonché omessa valutazione di prove favorevoli e mancanza di motivazione oltre che per erronea individuazione dell’autore del reato, deducendo che in motivazione non si sarebbe considerato come l’imputato dal 1995 svolgerebbe attività lavorativa diversa e in luoghi lontani da dove si svolse il fatto, con conseguente impossibilità di identificarlo nell’autore del reato, indicato, al contrario, dal teste Domenicone Bruno, nel padre.

5. Con il terzo motivo ha dedotto il vizio di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al difetto della violazione dell’interesse protetto dalla norma penale:  premettendo che il letame era stato accumulato in vista, forse, dello spandimento su terreni limitrofi per concimarli, il ricorrente osserva che tale condotta era piuttosto da considerarsi utile alla coltivazione del terreno e quindi non in grado di pregiudicare il bene giuridico protetto.  

6. Con il quarto motivo ha dedotto il vizio di cui all’art. 606  comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione: a fronte di minime proporzioni dello smaltimento, il pericolo di inquinamento del terreno dovrebbe considerarsi esiguo senza quindi pregiudizio per l’ambiente. Da qui la sussistenza della particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen.

7. Con il quinto motivo ha dedotto il vizio di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione: il giudice non avrebbe concesso le attenuanti generiche né avrebbe motivato sul punto né avrebbe motivato in ordine ai criteri sussunti a base della applicazione dell’ammenda.

8. Con il sesto motivo ha dedotto il vizio di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in ordine alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena e del beneficio della non menzione, pur sussistendone i presupposti, concludendo per la concessione dei benefici eventualmente anche mediante correzione di errore materiale ai sensi dell’art. 547 cod. proc. pen.  

9. E’ seguita altresì la presentazione di motivi aggiunti a sostegno delle deduzioni sopra esposte nonché rivolti a dedurre l’intervenuta estinzione per prescrizione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Devono valutarsi unitariamente i primi tre motivi di impugnazione siccome omogenei, in quanto vertono sull’identico tema della configurabilità del reato.

    2. Con la sentenza impugnata il tribunale ha evidenziato come sia emerso, a seguito di un accertamento del Corpo Forestale, che presso l’azienda agricola concessa in locazione all’imputato per l’allevamento di bestiame fossero presenti tre metri cubi di letame (intesi come effluenti zootecnici di allevamento costituiti da escrementi di animali) posizionati direttamente sul terreno nudo, senza alcuna impermeabilizzazione onde evitare la dispersione degli effluenti liquidi nell'ambiente circostante. Si trattava, secondo il tribunale, di materiali fecali provenienti da attività agricola ma non riutilizzati nella medesima attività bensì lasciati stazionare sul terreno senza altra utilizzazione. Il giudice di merito ha altresì osservato come a fronte di tale situazione, ben lontana peraltro anche dallo svolgimento di un’attività di utilizzazione agronomica o di fertirrigazione, la prova dell’esistenza delle circostanze e presupposti idonei a sottrare le deiezioni animali al regime penale sui rifiuti incombe sulla parte interessata, trattandosi di casi integranti eccezioni al regime ordinario disciplinante la gestione del rifiuti e la relativa rilevanza penale. In ragione di tale ultimo principio ha sottolineato come non sia stata fornita prova chiara su cosa sia stato oggetto della asserita (da parte della difesa) utilizzazione agronomica, così escludendo l’irrilevanza penale dei fatti.
2.1. Va precisato che la pratica della "fertirrigazione" invocata dal ricorrente, idonea a sottrarre il deposito delle deiezioni animali alla disciplina sui rifiuti, richiede, in primo luogo, l'esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento, nonché l'adeguatezza di quantità e qualità degli effluenti e dei tempi e modalità di distribuzione al tipo e fabbisogno delle colture e, in secondo luogo, l'assenza di dati sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la fertirrigazione, quali, ad esempio, lo spandimento di liquami lasciati scorrere per caduta a fine ciclo vegetativo (cfr. Sez. 3, n. 40782 del 06/05/2015 Rv. 264991 – 01 Valigi); va altresì ribadito che le attività idonee a sottrarre i rifiuti dalla relativa disciplina ordinaria e dalle correlate ipotesi di reato in quanto integranti un’eccezione alla regola devono essere dimostrate dalla parte che vi abbia interesse (cfr. Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015 Rv. 263336 – 01 Fortunato). Tanto premesso, occorre rilevare come a fronte della ricostruzione operata dal giudice di merito circa l’intervenuto deposito su suolo, da parte dell’imputato, di deiezioni animali, senza che sia stato dimostrato (quale onere per l’imputato) il riutilizzo diretto o comunque l’utilizzo agronomico ovvero la destinazione a fertirrigazione, le deduzioni difensive fondate sul richiamo di talune deposizioni, sull’analisi critica di quelle rese da testi di pg oltre che su taluni documenti, come ad esempio le buste paga del ricorrente, da una parte si traducono nella prospettazione di una diversa valutazione del merito, come tale inammissibile in questa sede; dall’altra, in assenza dell’allegazione puntuale degli atti processuali invocati, vengono proposte in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, secondo cui il nuovo testo dell'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., introdotto dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, nel fare riferimento ad "altri atti del processo" che devono essere "specificamente indicati" dal ricorrente, ha dettato una previsione aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella contenuta nell'art. 581, lett. c), cod. proc. pen., secondo cui i motivi d'impugnazione devono contenere l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta, con l'effetto di porre a carico del ricorrente un peculiare onere d'inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione degli atti processuali che intende far valere, nelle forme di volta in volta più adeguate, compresa l'allegazione degli stessi atti (Sez. 6, n. 20059 del 16/01/2008 Rv. 240056 – 01 Magri). Si è altresì specificato, al riguardo, che la condizione della specifica indicazione degli "altri atti del processo", con riferimento ai quali, l'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali, ad esempio, l'integrale riproduzione dell'atto nel testo del ricorso, l'allegazione in copia, l'individuazione precisa dell'atto nel fascicolo processuale di merito), purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma primo, lett. c), e 591 cod. proc. pen. (cfr. Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014 Rv. 260994 – 01 Sisti).
2.2. Consegue l’inammissibilità dei primi tre motivi di impugnazione tutti riferiti ad una diversa ricostruzione della vicenda attraverso una nuova e unilaterale valutazione di atti processuali, peraltro non allegati. Va aggiunto, con specifico riferimento al terzo motivo, che l’individuazione della fattispecie di reato in contestazione, a fronte peraltro della mancata dimostrazione del regime “eccezionale” della fertirrigazione invocato, implica di per sé anche il pregiudizio al bene giuridico tutelato dalla norma, negato invece dal ricorrente.
 
    3. Riguardo al quarto motivo di impugnazione, è anche esso manifestamente infondato: il ricorrente non deduce di avere avanzato richiesta di applicazione della fattispecie di cui all’art. 131 bis cod. pen. né ciò emerge dalla lettura delle richieste delle parti riportate nella sentenza impugnata. In assenza di specifica domanda è quindi insussistente il vizio di violazione di legge e carenza di motivazione in relazione all’art. 131 bis cod. pen. prospettato. In proposito è stato precisato che in tema di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, la questione dell'applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all'art. 606, comma terzo, cod. proc. pen., se il predetto articolo era già in vigore – come nel caso di specie - alla data della deliberazione della sentenza d'appello. Tanto sul rilievo che la questione postula, di regola, un apprezzamento di merito precluso in sede di legittimità, ma che poteva essere proposto al giudice procedente al momento dell'entrata in vigore della nuova disposizione (cfr. Sez. 7, Ordinanza n. 43838 del 27/05/2016 Rv. 268281 – 01 Savini; nel medesimo senso con riguardo alla medesima questione non dedotta in grado di appello Sez. 6, n. 20270 del 27/04/2016, Gravina, Rv. 266678).

4. Egualmente inammissibile è il quinto motivo di impugnazione. In ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche – per le quali ancora una volta il ricorrente non deduce di avere avanzato in appello richiesta di applicazione né ciò emerge dalla lettura delle richieste delle parti riportate nella intestazione della sentenza impugnata – rileva il principio, condiviso dal Collegio, per cui in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza.
Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivato alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato – mancante nel caso di specie - volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (cfr. Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016 Ud.  (dep. 29/01/2016 ) Rv. 265826 – 01 De Cotiis).
Nell’ambito del predetto quadro giuridico dunque, l’assenza di domanda di concessione delle attenuanti in parola esclude ogni vizio dell’atto e conduce alla valutazione di inammissibilità del motivo.

 5. L’inammissibilità del sesto motivo di impugnazione discende anche essa dalla assenza di istanza qualificata mediante la specifica indicazione delle circostanze ritenute idonee a supportarne l’accoglimento, rivolta ad ottenere dal giudice di merito la concessione dei benefici invocati.

6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 29/03/2019.