Cass. Sez. III n. 41049 del 13 ottobre 2015 (Ud 15 set 2015)
Pres. Squassoni Est. Ramacci Ric. Malatesta
Rifiuti. Rinnovo della comunicazione

Ai sensi  dell'art. 216 d.lgs. 152/06 l'amministrazione provinciale è chiamata ad effettuare, anche in relazione al rinnovo della comunicazione di cui al comma 5 la medesima verifica della sussistenza dei requisiti e delle condizioni richieste dalla legge in sede di prima comunicazione e l'espletamento dell'attività in presenza di provvedimento di divieto di inizio o di prosecuzione, emesso ai sensi del comma 4, deve ritenersi effettuato in assenza di comunicazione e sanzionabile ai sensi dell'art. 256, comma 1 d.lgs. 152/06.

 



RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Massa, con sentenza del 15/12/2014 ha affermato la responsabilità penale di Simone MALATESTA, che ha condannato alla pena dell'ammenda, per i reati di cui agli artt. 256, comma 1, lett. a) e 137, comma 1 d.lgs. 152/06, perché, quale legale rappresentante della «Lunigiana Scavi di Malatesta Simone & C. s.a.s.», effettuava attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi (detriti edili e terre e rocce da scavo) in mancanza della prescritta comunicazione ed, inoltre, perché  effettuava uno scarico di acque reflue industriali in assenza di autorizzazione (Aulla, 4/10/2010).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.     

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione dell'art. 216 del d.lgs. 152/06, rilevando che, sebbene gli fosse stato contestato in sentenza di aver ignorato le disposizioni dell'amministrazione provinciale, comunicate con una nota nella quale si imponevano alcune prescrizioni (recinzione del fondo e realizzazione di una copertura stabile della zona adibita al trattamento dei rifiuti che potevano produrre polvere), detta nota non avrebbe contenuto espressamente l'esecuzione delle opere riferendosi genericamente ad «appositi mezzi di copertura, anche mobili» che, secondo quanto riferito dai testimoni, sarebbero stati attuati.
Aggiunge che, per ciò che riguarda il titolo abilitativo, si trattava di un mero rinnovo relativo ad impianto che, nel tempo, non aveva subito modifiche e che, fino ad allora, la Provincia non aveva mai ritenuto di intervenire con l'adozione di prescrizioni. Inoltre, l'atto dell'amministrazione sarebbe illegittimo perché imponeva al privato attività non previste dalla normativa di settore ed era stato emesso ben oltre il termine di 90 giorni di cui all'art. 216 d.lgs. 152/06.

3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la mancanza di correlazione tra accusa e sentenza, in quanto oggetto di contestazione è la mancanza della prescritta comunicazione della quale egli, invece, disponeva, mentre la sentenza tratta del mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la comunicazione dell'amministrazione provinciale.

4. Con un terzo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione, osservando che il giudice del merito avrebbe adottato la propria decisione considerando esclusivamente le dichiarazioni di un teste dell'accusa (MAGERA) ritenendo, contrariamente alla realtà, che l'efficacia del titolo abilitativo fosse sospesa, mentre il provvedimento dell'amministrazione nulla avrebbe disposto in tal senso, tanto che, come da successivo provvedimento prodotto in udienza, l'attività risultava autorizzata a far data dal 1/12/2009, data anteriore a quella dei fatti contestati.

5. Con un quarto motivo di ricorso rileva il vizio di motivazione, affermando che il giudice del merito non avrebbe tenuto conto delle dichiarazioni rese da altri testi, i quali avevano chiarito che le opere  richieste dalla provincia erano state realizzate.

6. Con un quinto motivo di ricorso il vizio di motivazione viene denunciato rilevando che, secondo i testi escussi, dopo la comunicazione della Provincia la società non avrebbe eseguito alcuna operazione di recupero, circostanza, questa, non considerata dal giudice del merito.

7. Con un sesto motivo di ricorso lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva,  avendo il Tribunale escluso l'audizione di due testi già ammessi, dipendenti comunali, i quali avrebbero potuto riferire in merito al fatto che i detriti in entrata nello stabilimento provenivano da lavori di somma urgenza commissionati dall'amministrazione comunale.

8. Con un settimo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, perché il Tribunale avrebbe ritenuto, contrariamente a quanto riferito dai testi escussi, che lo scarico fosse in funzione.

9. Con un ottavo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che l'apertura dello scarico sarebbe correlata all'attività di recupero dei rifiuti, cosicché avrebbe dovuto trovare applicazione l'art. 81 cod. pen.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.         





CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
Va preliminarmente rilevato che il ricorso è articolato quasi interamente in fatto, con diffusi richiami ad atti del processo (dichiarazioni testimoniali, documentazione acquisita) l'accesso ai quali è precluso al giudice di legittimità.

2. Ciò posto, deve osservarsi, con riferimento al primo motivo di ricorso, che, per le ragioni appena dette, resta ignoto a questa Corte il contenuto della comunicazione effettuata dalla società del ricorrente nell'ambito della procedura semplificata finalizzata per l'attività di recupero dei rifiuti e quello della comunicazione con la quale l'amministrazione provinciale ha imposto alcune prescrizioni.
Per contro, la sentenza impugnata indica chiaramente, con argomentazioni prive di cedimenti logici o manifeste contraddizioni, che sulla base delle risultanze dell'istruzione dibattimentale e, segnatamente, dalla documentazione acquisita e dall'esame dei testi, anche della difesa, si è potuto accertare in fatto che l'amministrazione provinciale avrebbe subordinato la prosecuzione dell'attività di recupero all'esecuzione, nel termine assegnato di novanta giorni, di alcuni interventi finalizzati a completare la perimetrazione esterna ed a realizzare una copertura stabile nella zona adibita al trattamento dei rifiuti.
Rileva inoltre il giudice del merito che, a seguito di un sopralluogo effettuato durante il periodo di sospensione dell'efficacia del titolo abilitativo, si era accertato che la società aveva continuato a svolgere l'attività di recupero di rifiuti.

3. Considerati dunque i dati fattuali evidenziati nel provvedimento impugnato e sulla base degli altri elementi ricavabili dal ricorso, unici atti a disposizione del Collegio, deve escludersi la sussistenza della dedotta violazione di legge.
L'art. 216 d.lgs. 152/06 stabilisce, al comma 5, che la comunicazione per l'esercizio di attività di recupero di rifiuti deve essere rinnovata ogni cinque anni e, comunque, in caso di modifica  sostanziale delle operazioni di recupero.
Il comma 4 della medesima disposizione specifica, inoltre, che nel caso in cui venga accertato il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, la provincia dispone, con provvedimento motivato, il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell'attività, salvo che l'interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dall'amministrazione.
Il potere dell'amministrazione provinciale di imporre specifiche prescrizioni è dunque previsto dalla legge e nulla esclude che possa essere esercitato anche in sede di rinnovo della comunicazione.
Invero la procedura di rinnovo non può essere considerata come una mera formalità e presuppone comunque la verifica, da parte dell'amministrazione competente, della sussistenza dei requisiti e presupposti richiesti dalla legge per l'esercizio dell'attività di recupero, verifica che il comma 3 dell'art. 216 impone, stabilendo che sia effettuata d'ufficio sulla base della relazione che lo stesso comma prevede debba essere allegata alla comunicazione di inizio di attività.
Ne consegue che, in presenza di provvedimenti inibitori emessi dall'amministrazione, l'inizio o la prosecuzione dell'attività di recupero deve ritenersi effettuata in assenza di valido titolo abilitativo, configurandosi il reato di illecita gestione di cui all'art. 256 d.lgs. 152\06, poiché il procedimento finalizzato al conseguimento del titolo non può ritenersi completato.

4. Deve conseguentemente affermarsi il principio secondo il quale ai sensi dell'art. 216 d.lgs. 152/06 l'amministrazione provinciale è chiamata ad effettuare, anche in relazione al rinnovo della comunicazione di cui al comma 5 la medesima verifica della sussistenza dei requisiti e delle condizioni richieste dalla legge in sede di prima comunicazione e l'espletamento dell'attività in presenza di provvedimento di divieto di inizio o di prosecuzione, emesso ai sensi del comma 4, deve ritenersi effettuato in assenza di comunicazione e sanzionabile ai sensi dell'art. 256, comma 1 d.lgs. 152/06.  
Il motivo di ricorso appena esaminato risulta, pertanto, manifestamente infondato.

5. A conclusioni analoghe deve pervenirsi con riferimento al secondo motivo di ricorso poiché, per le ragioni appena esposte, deve ritenersi la piena correlazione tra imputazione contestata e sentenza, non essendo configurabile alcuna incertezza sull'oggetto dell'imputazione.

6. Va poi rilevata la inammissibilità del terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, che pongono in discussione la valutazione delle risultanze istruttorie da parte del giudice del merito con argomentazioni volte a prospettare un nuovo e diverso apprezzamento non consentito in questa sede.

7. Quanto al sesto motivo di ricorso, deve richiamarsi la decisione delle SS.UU. di questa Corte, secondo la quale il diritto alla prova riconosciuto alle parti implica la corrispondente attribuzione del potere di escludere le prove manifestamente superflue ed irrilevanti, secondo una verifica di esclusiva competenza del giudice di merito che sfugge al sindacato di legittimità ove abbia formato oggetto di apposita motivazione immune da vizi logici e giuridici (Sez. U, n. 15208 del 25/2/2010, Mills, Rv. 246585).
Nella fattispecie, come risulta dal verbale di udienza del 15/12/2014, che la Corte può consultare stante la natura processuale dell'eccezione, manca del tutto qualsivoglia riferimento ai testi indicati in ricorso.
In ogni caso, il ricorrente non deduce di aver eccepito immediatamente l'eventuale nullità dell'ordinanza di revoca, né la formulazione dell'eccezione risulta dall'esame del verbale medesimo, con la conseguenza che la stessa sarebbe in ogni caso sanata ai sensi dell'art. 182, comma 2 cod. proc. pen. (cfr. Sez. 2, n. 9761 del 10/2/2015, Rizzello, Rv. 263210; Sez. 5, n. 51522 del 30/9/2013, Abatelli e altro, Rv. 257891; Sez. 5, n. 18351 del 17/2/2012, Biagini, Rv. 252680; Sez. 3, n. 816 del 06/12/2005 (dep. 2006), Guatta, Rv. 233256).   

8. Anche il settimo motivo di ricorso, come altri in precedenza, risulta articolato in fatto.
Deve tuttavia rilevarsi che, in ogni caso, quanto sostenuto dal ricorrente e, cioè, che non risulterebbe dimostrato il funzionamento dello scarico, risulta privo di pregio, poiché nella sentenza impugnata viene specificato che, in sede di sopralluogo, si era accertato che le acque reflue provenienti dalla pulitura delle ruote dei camion venivano convogliate in pozzi e depurate ma, successivamente, venivano scaricate in assenza di autorizzazione.
Si tratta, anche in questo caso, di un dato fattuale accertato dal giudice del merito non censurabile in sede di legittimità.

9. Per ciò che concerne, infine, l'ottavo motivo di ricorso, osserva il Collegio come si sia avuto già modo di affermare che la continuazione può essere ravvisata tra contravvenzioni soltanto se l'elemento soggettivo ad esse comune sia il dolo e non la colpa, atteso che la richiesta unicità del disegno criminoso è di natura intellettiva e consiste nella ideazione contemporanea di più azioni antigiuridiche programmate nelle loro linee essenziali.  (così Sez. 3, n. 10235 del 24/1/2013, Vitale, Rv. 254423. Conf. Sez. 4, n. 1285 del 25/11/2004 (dep. 2005), Gentilini, Rv. 230715; Sez. 3, n. 2702 del 22/1/1991, Borello, Rv. 186518).
Inoltre, si è pure affermato che, ai fini del riconoscimento della continuazione, è onere dell'imputato dimostrare, nel giudizio di cognizione, l'allegazione degli specifici elementi dai quali è desumibile l'unicità del disegno criminoso (Sez. 6, n. 43441 del 24/11/2010, Podda, Rv. 248962; Sez. 5, n. 18586 del 4/3/2004, D'Aria, Rv. 229826; Sez. 2, n. 40342 del 13/5/2003, Settimo, Rv. 227172; Sez. 1, n. 5518 del 18/11/1994 (dep.1995), Montagna, Rv. 200212 ed altre prec. conf.).
Nella fattispecie tale prova non risulta essere stata fornita, né il ricorrente ha indicato in base a quali elementi il giudice di prime cure avrebbe dovuto riconoscere la continuazione, essendosi limitato ad affermare, del tutto apoditticamente e senza alcun riferimento concreto, che lo scarico sarebbe stato effettuato nell'ambito dell'attività di recupero di rifiuti e che le due condotte non avrebbero potuto essere concepite al di fuori di un medesimo disegno criminoso.

10. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00   
          


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 15.9.2015