Cass. Sez. III n. 41056 del 13 ottobre 2015 (Ud 22 set 2015)
Pres. Squassoni Est. Andreazza Ric. Bordoli
Rifiuti. Luogo di produzione rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo

Il luogo di produzione rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo ai sensi dell'art. 183 del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 non è solo quello in cui i rifiuti sono prodotti ma anche quello che si trova nella disponibilità dell'impresa produttrice e nel quale gli stessi sono depositati, purché funzionalmente collegato al luogo di produzione

RITENUTO IN FATTO

1. B.B. ha proposto ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Como di condanna per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 192 e art. 256, comma 1, lett. a) in relazione alla realizzazione, quale amministratore unico della Acqua Servizi Integrati Srl, di un deposito incontrollato di rifiuti speciali decadenti dal proprio ciclo produttivo.

2. Con un primo motivo ha lamentato l'erronea applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 192 e art. 256, comma 1, lett. a) in relazione all'art. 183, lett. bb) in punto di sussistenza dell'elemento materiale del reato e in particolare della ritenuta esclusione di un'ipotesi di deposito temporaneo per mancato rispetto del divieto di miscelazione dei rifiuti e dell'obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico. Rileva che, al contrario, è unicamente emersa una tardiva annotazione di una singola operazione di carico e scarico mentre, con riguardo al divieto di miscelazione, lo stesso è riferito dall'art. 187 del D.Lgs. cit. ai rifiuti pericolosi, non trattati in alcun modo dall'impianto. Nè rileva la testimonianza del consulente della difesa ove semplicemente suggerisce l'opportunità di chiudere il cassone in talune fasi per evitare la miscelazione della fase liquida con quella solida. Così come è stato chiarito dallo stesso consulente che, in ragione di specifica pendenza del supporto in calcestruzzo, sarebbe impossibile un moto centrifugo del percolato se non del tutto eccezionalmente in caso di eventi atmosferici particolarmente intensi.

3. Con un secondo motivo ha lamentato la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione quanto all'elemento soggettivo del reato; precisa che è risultato dalle dichiarazioni dei testi P. e Ba. che il cassone non poteva essere collocato altrove poichè la sua posizione dipendeva dalla struttura dell'impianto, immutata sin dal momento della sua costruzione avvenuta su iniziativa dell'Amministrazione provinciale all'inizio degli anni 90. Sicchè solo il Comune di Menaggio o i comuni consorziati avrebbero potuto ordinare modifiche all'impianto. Nè si comprende quale obbligo di segnalazione avrebbe avuto il ricorrente rispetto ad una situazione immutata da più di un ventennio e ben nota a Comune, Provincia, Asl, Arpa ecc. 4. La Acqua Servizi idrici integrati Srl ha proposto a sua volta ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Como che, condannando appunto B.B. per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 192 e art. 266, comma 1, lett. a) ha condannato la stessa, quale civilmente obbligata per la pena pecuniaria, al pagamento di una somma pari all'ammontare dell'ammenda in caso di insolvibilità del condannato.

5. Con un primo motivo insiste, a seguito del rigetto della relativa eccezione da parte del Tribunale, per la nullità del decreto penale di condanna per mancanza degli avvertimenti di cui all'art. 460 c.p.p., comma 1, lett. e), f) e g) e per non essere lo stesso stato notificato alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria; di qui, infatti, la lesione del diritto di difesa e di determinazione nelle scelte e prerogative di legge a favore del civilmente obbligato che ha subito passivamente le determinazioni processuali dell'imputato.

6. Con un secondo motivo lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Premette che il Tribunale ha ritenuto sussistente il reato sulla base del triplice profilo della generale non copertura del cassone, della mancanza di modalità idonee ad assicurare il divieto di miscelazione e della mancanza di un adeguato controllo.

Quanto al primo profilo, però, il Tribunale lo ha desunto illogicamente sulla base della deposizione del teste Ing. M. quando invece lo stesso ha riferito che il cassone restava scoperto nella sola fase di disidratazione dei fanghi. Quanto al secondo profilo, deduce quanto riferito sempre dal teste M., consulente della difesa circa il fatto che in ragione di specifica pendenza del supporto in calcestruzzo sarebbe stato impossibile un moto centrifugo del percolato se non del tutto eccezionalmente in caso di eventi atmosferici particolarmente intensi.

Quanto poi al terzo profilo relativo al contestato non adeguato controllo, rileva che sono emerse come sussistenti tutte le condizioni relative al deposito temporaneo sia in relazione al luogo di produzione che a quantità e qualità dei rifiuti che al tempo di giacenza.


CONSIDERATO IN DIRITTO

7. Il primo e secondo motivo del ricorso presentato da B. B. sono manifestamente infondati.

La sentenza impugnata ha essenzialmente posto in rilievo la mancanza, nella specie, di due requisiti indispensabili per potere, tra gli altri, concorrere a caratterizzare la figura del deposito temporaneo, ovvero, da un lato, la necessità che i rifiuti non siano tra loro miscelati e, dall'altro, la necessità che il raggruppamento sia effettuato presso il luogo di produzione del rifiuto. Quanto infatti al primo profilo, questa Corte ha costantemente precisato che, in linea con il principio precauzionale del diritto comunitario, il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 208, comma 17, ha assoggettato anche il deposito temporaneo al divieto di miscelazione di cui all'art. 187 e all'obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico di cui all'art. 190 (Sez. 3, n. 39544 del 11/10/2006, Tresolat, Rv.235704);

nè può trascurarsi la necessità, anch'essa sottolineata da questa Corte, che l'abbandono dei rifiuti sia effettuato per categorie omogenee e non invece "alla rinfusa" come desumibile dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. bb), n. 3 (Sez. 3, n. 11258 del 11/02/2010, Chirizzi, Rv. 245469). Quanto poi al secondo profilo, va ribadito che il luogo di produzione rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo ai sensi del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183 non è solo quello in cui i rifiuti sono prodotti ma anche quello che si trova nella disponibilità dell'impresa produttrice e nel quale gli stessi sono depositati, purchè funzionalmente collegato al luogo di produzione (Sez. 3, n. 8061 del 23/01/2013, Ercolani, Rv. 254754; Sez. 3, n. 35622 del 11/07/2007, p.g. in proc. Pili ed altro, Rv. 237388).

Ora, anche a voler ritenere che il primo requisito non fosse nella specie esigibile posto che il divieto di miscelazione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, 187 espressamente richiamato dall'art. 208, comma 17, è relativo al divieto di miscelazione dei rifiuti pericolosi tra loro e di rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi (mentre l'addebito rivolto all'imputato si riferisce a rifiuti speciali senza ulteriore qualificazione), resterebbe comunque, quale elemento ostativo, quello del "luogo di deposito" dei rifiuti: nella specie, non solo dalla sentenza non è emerso in alcun modo che il luogo di deposito fosse infatti funzionalmente collegato a quello di produzione, ma anzi, è risultato che il cassone era stato collocato presso un'area pubblica e a ridosso di una strada accessibile a chiunque e, dunque, senza la predisposizione dei presidi di sicurezza, pur sempre necessari per qualificare un deposito temporaneo (Sez. 3, n. 8061 del 23/01/2013, Ercolani, Rv. 254754).

Sicchè, in definitiva, la motivazione, incentrata sulle dichiarazioni del testi P., con cui il Tribunale ha ritenuto che nella specie si versasse nell'ipotesi, contestata all'imputato, di deposito incontrollato di rifiuti speciali, e non invece in quella, invocata in ricorso, di deposito temporaneo, oltre ad essere logica e congruente rispetto ai dati processuali di cui la sentenza da conto, risulta in linea, quanto meno con riferimento al secondo requisito, con i principi più volte affermati da questa Corte sul punto: la sentenza ha precisato che i fanghi derivanti dal processo dell'impianto venivano stoccati in un cassone (da cui poi venivano periodicamente prelevati) che tuttavia veniva lasciato aperto sì che gli stessi avevano a fuoriuscire da esso; e ha aggiunto poi che, secondo il teste M., la platea di cemento sottostante al cassone era, per la pendenza del massetto, non sufficiente a drenare il percolato ove avessero a verificarsi, in maniera tutt'altro che improbabile, eventi atmosferici intensi.

Va peraltro aggiunto che l'onere della prova in ordine alla sussistenza delle condizioni fissate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183 per la liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo, grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria del deposito temporaneo rispetto alla disciplina ordinaria (Sez.3, n. 23497 del 17/04/2014, Lobina, Rv. 261507).

Di qui, dunque, in definitiva, la adottata logica conclusione in ordine alla esclusione di un deposito temporaneo e, simmetricamente, alla sussistenza di un deposito incontrollato senza che le doglianze contenute nel primo motivo di ricorso, significativamente incentrate unicamente sul primo dei requisiti ostativi alla configurazione del deposito temporaneo, e volte a pretendere inammissibilmente da questa Corte una diversa lettura degli elementi probatori rispetto a quella operata dal Tribunale, possano incidere sul percorso argomentativo correttamente seguito dalla sentenza.

8. Anche il secondo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza limitandosi la doglianza a rappresentare su di un piano meramente fattuale l'impossibilità di collocazione in altro luogo del cassone senza che neppure in ricorso si indichino circostanze che avrebbero reso inevitabile la condotta tenuta; anzi, una tale prospettazione risulta confutata dalla sentenza impugnata che, dando atto tra l'altro di uno spostamento già operato rispetto alla collocazione originaria, ha correttamente concluso, con riguardo alle addotte difficoltà di manovra, per la loro irrilevanza; così come appare palesemente inconferente, rispetto alla condotta contestata come ricostruita in sentenza, l'aspetto relativo alla titolarità dell'impianto in capo al Comune, pacificamente gestito dalla Acqua Servizi Integrati S.r.l..

9. Anche il ricorso della civilmente obbligata Acqua Servizi è infondato. Infondato infatti il secondo motivo per le ragioni appena esposte sopra, quanto al primo motivo va infatti osservato che, essendo stata comunque fatta opposizione al decreto penale sia pure dall'imputato (le cui scelte, nonostante quanto lamentato dal ricorrente, si ripercuotono ex lege sul civilmente obbligato stante quanto prescritto dall'art. 463 c.p.p., comma 2) è venuto evidentemente meno ogni interesse della civilmente obbligata a lamentare nullità riguardanti un provvedimento divenuto, per effetto appunto dell'opposizione (che non può non condurre per legge alla revoca del decreto), tamquam non esset (si veda del resto ad indiretta conferma di ciò, nel senso che l'omessa notifica del decreto penale di condanna al difensore determina una nullità non assoluta, che è sanata dalla presentazione dell'opposizione poichè, avendo l'atto conseguito lo scopo cui era diretto, viene meno l'interesse dell'imputato all'osservanza della disposizione violata, Sez. 4, n. 17582 del 01/04/2010, Petrina, Rv. 247094).

10. In definitiva entrambi i ricorsi vanno rigettati con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2015