Consiglio di Stato Sez. IV n. 7592 del 16 settembre 2024
Rifiuti.Abbandono e responsabilità per omesso controllo

La condotta illecita del terzo, responsabile dell'abbandono di rifiuti in luogo pubblico, non esonera dalla responsabilità il proprietario (rectius il titolare di diritti reali o personali di godimento) che abbia tollerato, per trascuratezza, negligenza e incuria, la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva - ovvero la proliferazione delle condotte illecite dei terzi - e dunque non è di per sé una causa che rende non imputabile al proprietario l'evento (la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva), né frattura il nesso di causalità tra la sua condotta colposa (id est, caratterizzata dalla trascuratezza e dalla incuria)” e l’evento stesso, per cui, l'art. 192 d.lgs. 152/2006, in caso di depositi di rifiuti discendenti da fatti illeciti di soggetti ignoti, impone all'amministrazione di disporre le misure ivi previste nei confronti del proprietario che - per trascuratezza, superficialità o anche indifferenza o proprie difficoltà economiche - nulla abbia fatto e non abbia adottato alcuna cautela volta ad evitare che vi sia in concreto l'abbandono dei rifiuti

Pubblicato il 16/09/2024

N. 07592/2024REG.PROV.COLL.

N. 06369/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6369 del 2023, proposto da Fallimento Sintesi s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Bellotto, Alessandro Kiniger, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Daniela Iuri, Elda Massari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Comune di Spilimbergo, Ame S.r.l. - Fallimento (Ex Gruppo Sintesi Spa), non costituiti in giudizio;
Intesa San Paolo s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luciano Salomoni, Giuseppe Filippo Maria La Scala, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima) n. 00570/2022.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e di Intesa San Paolo s.p.a;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2024 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;


FATTO

1. Con ricorso notificato il 20 maggio 2022, e depositato il successivo 10 giugno, il Fallimento Sintesi s.p.a. ha impugnato il provvedimento con il quale la Regione ha individuato in Sintesi s.p.a. (già Sintesi s.r.l.) il soggetto responsabile di alcuni fenomeni di contaminazione (cromo VI e nichel) rilevati nei terreni del sito industriale ubicato nel Comune di Spilimbergo, alla via del Cosa n. 9.

La Regione Friuli-Venezia Giulia ha, pertanto, diffidato la curatela di Sintesi s.p.a. “a porre in essere quanto necessario in base al Titolo V parte quarta del d. lgs. 152/2006 [e …] a dar seguito alla presentazione e alla attuazione di un piano di indagini integrative, necessarie al completamento del modello concettuale del sito, secondo quanto indicato nella nota regionale prot. AMB-GEN 4945 del 31 gennaio 2022 in esito alla recente conferenza di servizi”, assegnando a tal fine il termine di trenta giorni dalla data di notifica del provvedimento “per la presentazione del piano di indagini integrativo che consenta di dare seguito agli interventi necessari di cui al Titolo V parte quarta del d.lgs. 152/06”.

2. Il Fallimento Sintesi s.p.a. ha impugnato dinanzi al T.a.r. Friuli-Venezia Giulia quest’ultima determinazione, deducendo, nel ricorso di primo grado, le seguenti censure:

1) violazione degli artt. 3-ter, 239, 242 e 244, del d.lgs. n. 152/2006, eccesso di potere nelle forme dell’illogicità, del difetto di istruttoria e di motivazione, della contraddittorietà, dell’ingiustizia manifesta, della falsità del presupposto e del travisamento dei fatti;

2) violazione, sotto altro profilo, degli artt. 3-ter, 239, 242 e 244, del d.lgs. n. 152/2006, eccesso di potere nelle forme della carenza dei presupposti, dell’illogicità, del difetto di istruttoria e di motivazione, dell’ingiustizia manifesta;

3) violazione e falsa applicazione della direttiva CE 2004/35 e della parte VI del d.lgs. n. 152/2006, eccesso di potere per carenza dei presupposti, sviamento, contraddittorietà, illogicità e ingiustizia manifeste;

4) violazione di legge in relazione alla direttiva 2004/35/CE e agli artt. 3-ter, 239, 242, 244 e 311 del d.lgs. n. 152/2006, violazione del principio “chi inquina paga”; eccesso di potere per carenza dei presupposti, sviamento, contraddittorietà, illogicità e ingiustizia manifeste;

5) violazione e falsa applicazione degli artt. 239, 240, 242, 244 e 245, del d.lgs. n. 152/2006, eccesso di potere per carenza dei presupposti e di istruttoria, sviamento, contraddittorietà, illogicità e ingiustizia manifeste, carenza di motivazione.

3. Il T.a.r., con la sentenza 23 dicembre 2022, n.570, ha respinto il ricorso.

4. Il Fallimento Sintesi s.p.a. ha proposto appello per i motivi riportati nella parte in diritto.

5.Si sono costituiti nel presente giudizio la Regione Friuli-Venezia Giulia e Intesa San Paolo s.p.a., chiedendo di dichiarare l’infondatezza del gravame.

6. In vista dell’udienza del 27 giugno 2024, le parti hanno con memorie e repliche meglio argomentato le rispettive linee difensive.

7. All’udienza del 27 giugno 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo mezzo di gravame la società appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto l’obbligo della curatela fallimentare di realizzare gli interventi di bonifica ambientali dei siti inquinati, indicati al punto 1 della parte in fatto, in base alla considerazione per cui detta curatela avrebbe avuto la detenzione del sito contaminato “anche solo per un breve periodo, non essendo invece necessario verificare che la stessa si sia protratta per un certo tempo e che sia stata conservata sino all’attualità; ciò sul rilievo che gli obblighi connessi alla responsabilità ambientale sorgono istantaneamente per il puro e semplice conseguimento in capo al fallimento della detenzione del sito inquinato”.

1.1. Ad avviso della parte appellante, così giudicando, il giudice di primo grado avrebbe non correttamente applicato i principi stabiliti nella materia di che trattasi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione con la decisione 26 gennaio 2021, n. 3.

La detenzione del sito, rilevante ai fini dell’obbligo di realizzazione della bonifica dei siti inquinati, sarebbe – nella prospettiva della parte appellante – solo quella esistente “al momento dell’emanazione del provvedimento amministrativo che ordina la bonifica in coerenza al principio del tempus regit actum”.

Da tale premessa la parte appellante trae la conclusione per cui, poiché alla data di emanazione del decreto regionale n. 1495/AMB, del 29 marzo 2022, che ha individuato i responsabili dell’inquinamento ingiungendo loro di attivarsi, il Fallimento Sintesi s.p.a. non aveva la disponibilità dei fondi suindicati, difetterebbe la sua legittimazione passiva in ordine all’obbligo di realizzare l’intervento di bonifica.

2. Il motivo non è fondato.

2.1. Occorre premettere che l'Adunanza Plenaria, con la citata decisione 3/2021, è stata chiamata a decidere la questione relativa alla individuazione del soggetto obbligato alla rimozione e smaltimento (ex art. 192, del d.lgs. n. 152/2006) dei rifiuti abbandonati in loco da un'impresa dichiarata successivamente fallita.

La Plenaria - segnando un revirement rispetto al orientamento prevalente della precedente giurisprudenza amministrativa sul punto - ha riconosciuto l’esistenza di un siffatto obbligo a carico della persona del curatore fallimentare, in qualità di detentore, dal momento della dichiarazione di fallimento, dei beni del fallito.

L'Adunanza plenaria ha, in particolare, riconosciuto, attraverso una lettura estensiva del principio "chi inquina paga", una precisa responsabilità in capo al curatore, il quale, per il sol fatto di detenere i beni fallimentari, risulta essere chiamato a rispondere dell'abbandono dei rifiuti e, più in generale, dell’inquinamento prodotto dall'impresa fallita.

Su tali basi argomentative, la Plenaria, nella decisione citata, ha, pertanto, enunciato i seguenti principi:

a) “la curatela fallimentare, che ha la custodia dei beni del fallito, […] anche quando non prosegue l'attività imprenditoriale, non può evidentemente avvantaggiarsi dell’esimente di cui all'art. 192, lasciando abbandonati i rifiuti risultanti dall'attività imprenditoriale dell'impresa cessata”;

b) nella sua qualità di detentore dei rifiuti, sia secondo il diritto interno, ma anche secondo il diritto comunitario (quale gestore dei beni immobili inquinati), il curatore fallimentare è perciò senz’altro obbligato a metterli in sicurezza e a rimuoverli, avviandoli allo smaltimento o al recupero;

c) “poiché l’abbandono di rifiuti e, più in generale, l’inquinamento, costituiscono ‘diseconomie esterne’ generate dall’attività di impresa (cd. “esternalità negative di produzione”), appare giustificato e coerente con tale impostazione ritenere che i costi derivanti da tali esternalità di impresa ricadano sulla massa dei creditori dell’imprenditore stesso che, per contro, beneficiano degli effetti dell’ufficio fallimentare della curatela in termini di ripartizione degli eventuali utili del fallimento”.

2.2. È, pertanto, alla luce di tale autorevole arresto interpretativo che occorre valutare la posizione della odierna parte appellante, verificando, in particolare, se il curatore fallimentare della Sintesi s.p.a. abbia o non abbia in concreto conseguito la qualifica di detentore del sito inquinato, posto che quest’ultimo ha affermato di non essere mai entrato nella effettiva disponibilità dell’area interessata dal provvedimento impugnato.

2.3. Ad avviso del Collegio, la tesi della parte appellante non trova adeguata corrispondenza nelle risultanze procedimentali.

Essa, come anticipato, muove dall’assunto di fondo, rimasto, come si avrà modo di specificare, indimostrato e, per certi versi, smentito dagli atti di causa, che la curatela non abbia mai ottenuto, in data successiva alla dichiarazione di fallimento, la detenzione dell’area del sito industriale soggetto alla contaminazione.

In senso contrario occorre, preliminarmente, rilevare che, in base agli effetti del contratto di affitto d’azienda del 14 giugno 2013, la giuridica disponibilità del sito inquinato è stata, incontrovertibilmente, trasmessa alla Sintesi s.p.a, essendo quest’ultima, peraltro, ivi indicata quale custode “sino al termine del Contratto d’Affitto il 16 giugno 2016” (cfr. il punto 2.3. del contratto d’affitto).

Tanto premesso, dall’esame degli atti di causa, in primo luogo, si ricava che, dopo la sentenza dichiarativa del fallimento, avvenuta in data 30 maggio 2016, il relativo curatore della Sintesi s.p.a è stato concretamente e materialmente immesso nel possesso dell’immobile in questione.

La prova di questa conclusione può ragionevolmente ricavarsi, sia pure in via deduttiva, dall’istanza di sostituzione del custode giudiziario presentata dallo stesso curatore alla Procura della Repubblica di Pordenone il 22 marzo 2017.

Con la predetta istanza il curatore ha, in particolare, chiesto all’Autorità giudiziaria penale di essere esentato dalla custodia del bene, in tal modo ammettendo, seppur implicitamente, di averne conseguito in precedenza la disponibilità.

Depone a sostegno di questa conclusione anche l’ulteriore considerazione per cui, ai sensi dell’art. 79, della legge fallimentare, il fallimento non è di per sé causa di scioglimento del contratto di affitto d'azienda, come contrariamente sostenuto dalla parte appellante.

Ne discende, anche sotto quest’ultimo profilo, che l’azienda della Sintesi s.p.a., che comprendeva al tempo della dichiarazione del fallimento anche lo stabilimento della cui detenzione si discute nel presente giudizio, rientrava a pieno titolo tra i beni acquisiti dal curatore al momento della sentenza dichiarativa del fallimento.

Sulla base di tali risultanze probatorie, non coglie, pertanto, nel segno, l’assunto della parte appellante in ordine alla mancata disponibilità del sito contaminato.

2.4. Né rileva, per giungere a diverse conclusioni, l’osservazione della parte appellante secondo cui la disponibilità materiale dell’area sarebbe stata impedita dalla sottoposizione dell’area a sequestro penale, posto che l’Autorità giudiziaria, con atto del 1° aprile 2016 (anteriore pertanto alla sentenza dichiarativa del fallimento), ha emesso un apposito provvedimento autorizzatorio finalizzato a consentire l’effettuazione delle attività propedeutiche alla bonifica del sito.

Né dall’esame degli ulteriori atti di causa emergono elementi per poter giungere a diverse conclusioni.

Non emergono, in particolare, atti negoziali o altri elementi dai quali poter dedurre che la curatela fallimentare si sia svincolata dall’accordo contrattuale in esame prima della sua scadenza naturale, fissata in data 16 giugno 2016.

2.5. In conclusione, alla luce delle suesposte considerazioni, ritiene il Collegio che la dedotta non disponibilità dell’area sia stata dalla parte appellante argomentata sulla base di rilievi non idonei a scalfire le risultanze processuali di segno contrario appena passate in rassegna.

Di qui l’infondatezza del motivo esaminato.

3. Con il secondo mezzo di gravame la parte appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha accolto il motivo del ricorso di primo grado con il quale era stata contestata la legittimità dell’individuazione di Sintesi s.p.a. quale responsabile dell’inquinamento di cui si controverte.

In particolare, secondo la parte appellante, la Sintesi s.p.a. non avrebbe potuto causare l’inquinamento di che trattasi, non avendo più svolto, dalla data della sottoscrizione del contratto d’affitto d’azienda (giugno 2013), l’attività di verniciatura e cromatura (di fatto esternalizzata).

4. Il motivo non è fondato.

4.1. In senso contrario occorre osservare che gli atti dell’istruttoria procedimentale e il provvedimento contestato sono chiarissimi nel ricondurre le ragioni della possibile responsabilità della odierna appellante in relazione alla riferita contaminazione ambientale, non, e in ogni caso non esclusivamente, all’attività di verniciatura, ma alla semplice presenza in loco del materiale inquinante, contenuto e stoccato nelle vasche galvaniche, dalle quali potrebbe essere fuoriuscito.

4.2. Sulla base di tale rilievo in punto di fatto, osserva il Collegio che l’infondatezza della tesi sostenuta dalla parte appellante si ravvisa nella mancata distinzione tra la fattispecie nella quale si registra una diretta responsabilità del proprietario e quella, ricorrente nel caso in esame, nella quale al proprietario viene fondatamente contestato un omesso controllo.

Tale conclusione trova, in primo luogo, riscontro nella lettera del menzionato art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, che chiaramente attribuisce le conseguenze ripristinatorie della condotta lesiva dell’ambiente anche al proprietario colpevole di inidonea vigilanza sui beni interessati dall’abbandono dei rifiuti.

In linea con il chiaro tenore di quest’ultima disposizione è orientata, del resto, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui “la responsabilità, di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, art. 192 può essere non solo commissiva, quella a carico dell’autore del fatto inquinamento, ma anche omissiva, quella del proprietario o altro titolare di diritto reale cui è ascrivibile l’omessa diligenza, derivante dal fatto di essersi disinteressato a lungo del bene, permettendo colposamente che esso potesse essere scelto dall’autore materiale come luogo di discarica di rifiuti” (cfr. Cass. Civ. Sez. III, n. 14612/2020).

Ad analoghe conclusioni è giunta anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo la quale “ la a condotta illecita del terzo, responsabile dell'abbandono di rifiuti in luogo pubblico, non esonera dalla responsabilità il proprietario (rectius il titolare di diritti reali o personali di godimento) che abbia tollerato, per trascuratezza, negligenza e incuria, la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva - ovvero la proliferazione delle condotte illecite dei terzi - e dunque non è di per sé una causa che rende non imputabile al proprietario l'evento (la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva), né frattura il nesso di causalità tra la sua condotta colposa (id est, caratterizzata dalla trascuratezza e dalla incuria)” e l’evento stesso, per cui, "l'art. 192 d.lgs. 152/2006”, in caso di depositi di rifiuti discendenti da fatti illeciti di soggetti ignoti, “impone ... all'amministrazione di disporre le misure ivi previste nei confronti del proprietario che - per trascuratezza, superficialità o anche indifferenza o proprie difficoltà economiche - nulla abbia fatto e non abbia adottato alcuna cautela volta ad evitare che vi sia in concreto l'abbandono dei rifiuti" (Cons. di St., sez. V, 17 luglio 2014, n. 3786).

5. Con il terzo mezzo di gravame la parte appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha rilevato che la Regione avrebbe impropriamente richiamato norme afferenti al diverso aspetto della responsabilità per danno ambientale, senza considerare che la relativa azione rientra nella esclusiva competenza del Ministero della Transizione ecologica, escludendo la legittimazione degli enti locali.

6. Il motivo non è fondato non trovando corrispondenza nella motivazione del provvedimento contestato.

Rileva al riguardo il Collegio che, contrariamente a quanto ritenuto nel motivo di appello in esame, nel provvedimento contestato sono semplicemente richiamati i principi regolatori della responsabilità ambientale con una finalità meramente didascalica, senza che, in tal modo, la Regione abbia inteso esercitato alcuna competenza riservata ad altri enti.

7. Con un quarto mezzo di gravame la parte appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la possibilità di separare la responsabilità di Sintesi s.p.a da quella di Ame s.p.a ai fini dell’adozione delle misure di prevenzione.

8. Il motivo non è fondato.

L’argomentazione della società appellante urta, infatti, contro il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tutti i casi in cui non è possibile riconoscere gli effetti delle singole condotte causative del pregiudizio all’ambiente, non si devono identificare singole azioni di bonifica e la responsabilità di tali adempimenti è solidale (Cons. Stato, Sezione Quarta, 7 gennaio 2021, n. 172).

Applicando tali consolidati principi al caso in esame, la sentenza impugnata ha correttamente rilevato che non sono allo stato separatamente individuabili i danni determinati dai due operatori, l’uno per l’esercizio dell’attività produttiva, l’altro per la detenzione del sito, atteso che le sostanze che hanno determinato la contaminazione sono le stesse e sono quelle stoccate nelle vasche.

9. Con il quinto mezzo di gravame la parte appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe, per un verso, esentato UBI leasing s.p.a. dall’obbligo di concludere la bonifica iniziata e, per altro verso, imposto alla parte appellante di completare la caratterizzazione realizzata solo per una porzione del sito.

Ad avviso della parte appellante, UBI leasing s.p.a, una volta iniziata la procedura di bonifica avrebbe dovuto portarla anche a termine.

10. Il motivo non è fondato.

10.1. Recentemente la Sezione (sentenza 2 febbraio 2024, n. 1110) ha avuto modo di affermare che, quando il proprietario non responsabile dell’inquinamento, si attiva volontariamente per realizzare gli interventi bonifica e di ripristino ambientale, è obbligato a portarli a completa esecuzione, trovando tale obbligo la propria fonte nell’istituto della gestione di affari non rappresentativa.

Tale principio, che il Collegio condivide, non può trovare, nondimeno, applicazione nel caso di che trattasi, posto che, contrariamente a quanto avvenuto nella fattispecie esaminata in quest’ultimo arresto giurisprudenziale, nel quale la società proprietaria del fondo inquinato aveva assunto spontaneamente l'impegno di eseguire un “complessivo intervento” di bonifica, nel caso in esame non vi è mai stato un impegno di tal fatta, posto che l’impegno assunto da Ubi Leasing s.r.l. – ora Intesa San Paolo s.p.a- è stato, sin dall’inizio, precisamente circoscritto, come comprovato dalla nota del 16 dicembre 2019 nella quale Ubi Leasing s.r.l evidenzia esclusivamente la disponibilità ad “approfondire la conoscenza della limitata area di ns proprietà individuata come inquinata da Nichel ed eventualmente valutare l’asportazione dell’hot spot, ovvero procedere con le verifiche attinenti la CSR ed eventuali successive operazioni limitatamente a tale area” .

10.2. Sul punto, il Collegio ulteriormente rileva che l’impossibilità di imporre le opere di bonifica al proprietario di un terreno inquinato non responsabile del relativo inquinamento è stata affermata a partire dalla nota sentenza Corte di giustizia UE, sez. III, 4 marzo 2015 C 534-13 (su ordinanza di rinvio pregiudiziale dell’Adunanza plenaria 13 novembre 2013 n.25). La sentenza della Corte di giustizia, in particolare, ha chiarito che “La direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione”.

La successiva giurisprudenza nazionale, nel tentativo di ulteriormente sviluppare l’assunto della Corte di giustizia, è giunta ad affermare l’impossibilità di imporre le misure di bonifica al proprietario non responsabile della contaminazione, traendo principale argomento dalla natura sanzionatoria di questa misura (Cassazione Sezioni Unite, 1 febbraio 2023, n. 3077).

In base a tale consolidato orientamento, il proprietario del terreno sul quale sono depositate sostanze inquinanti, che non sia responsabile dell'inquinamento (c.d. proprietario incolpevole) e che non sia stato negligente nell'attivarsi con le segnalazioni e le denunce imposte dalla legge, è, pertanto, tenuto solo ad adottare le misure di prevenzione, mentre gli interventi di riparazione, messa in sicurezza definitiva, bonifica e ripristino gravano sul responsabile della contaminazione, ossia su colui al quale - per una sua condotta commissiva od omissiva - sia imputabile l'inquinamento; la P.A. competente, qualora il responsabile non sia individuabile o non provveda agli adempimenti dovuti, può adottare d'ufficio gli accorgimenti necessari e, se del caso, recuperare le spese sostenute attraverso un'azione di rivalsa verso il proprietario, il quale risponde nei soli limiti del valore di mercato del sito dopo l'esecuzione degli interventi medesimi (cfr., tra le altre, Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2018, n. 502, e id., Sez. V, 10 ottobre 2018, n. 5604).

11. In conclusione, per le suesposte ragioni, l’appello va respinto, con integrale conferma della sentenza di primo grado.

12.. La particolarità della questione, e l’articolarsi non esclusivo delle responsabilità, giustificano, nondimeno, l’integrale compensazione delle spese anche in questo grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione.

Compensa integralmente tra le parti costituite le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Carbone, Presidente

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Luigi Furno, Consigliere, Estensore

Rosario Carrano, Consigliere