Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3666, del 27 luglio 2015
Urbanistica.Onere della prova in ordine alla ultimazione delle opere edilizie

Ricade sul privato l'onere della prova in ordine alla ultimazione delle opere edilizie. Ciò, in quanto soltanto l'interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione di un manufatto. In difetto di tali prove resta pertanto integro il potere dell'amministrazione di negare la sanatoria dell'abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria. Per quanto riguarda, poi, la gamma degli strumenti probatori ammissibili ai fini della prova del momento di realizzazione dell’abuso, un consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che le dichiarazioni sostitutive di notorietà non siano utilizzabili nel processo amministrativo e che non rivestano alcun effettivo valore probatorio, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l'attività istruttoria dell’amministrazione, ovvero, le deduzioni con cui la stessa amministrazione rileva l’inattendibilità di quanto rappresentato dal richiedente. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 03666/2015REG.PROV.COLL.

N. 04868/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4868 del 2014, proposto dal dottor Paolo Bonomo, rappresentato e difeso dagli avvocati Biagio Bertolone e Sebastiano Zuccarello, con domicilio eletto presso Biagio Bertolone in Roma, Via Flaminia, n. 109 

contro

Comune di Torino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Donatella Spinelli e Massimo Colarizi, con domicilio eletto presso Massimo Colarizi in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 87 

per la riforma della sentenza del T.A.R. del Piemonte, Sezione I, n. 507/2014

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Torino;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 aprile 2015 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Zuccarello e Colarizi

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. del Piemonte e recante il n. 1299/2001 l’appellante dott. Bonomo, premesso di essere proprietario di un ‘basso fabbricato’ nel territorio comunale di Torino, impugnava il provvedimento in data 16 maggio 2001 con cui il Comune di Torino aveva respinto l’istanza di condono in data 1° marzo 1995 relativa ad opere abusive realizzate in via Monteu da Po, n. 15.

Con successivo ricorso recante il n. 1025/2003 l’odierno appellante impugnava l’ordinanza in data 29 aprile 2003 con la quale il Comune aveva ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi.

I fatti all’origine della vicenda di causa sono descritti nei termini che seguono nell’ambito della sentenza impugnata.

Il dott. Paolo Bonomo è proprietario, nell’ambito del complesso immobiliare sito in Torino via Monteu da Po n. 1, ove risiede con la propria famiglia, di un basso fabbricato sito in prossimità dell’abitazione, originariamente adibito in parte a cantina (piano terra) e in parte a deposito attrezzi e serra (primo piano), in area soggetta a vincolo di tutela ambientale ai sensi della l. 29 giugno 1939, n. 1497.

In data 13 giugno 1998, a seguito di domanda presentata il 14 gennaio 1994, l’odierno appellante otteneva dal Comune di Torino, previo nulla osta della Regione Piemonte in data 4 ottobre 1994, l’autorizzazione edilizia n. 567/98 per eseguire, nel predetto basso fabbricato, la sostituzione dei serramenti e l’intonacatura della facciata esterna,

Il 25 novembre successivo, a seguito di domanda di condono presentata il 1 marzo 1995, il medesimo otteneva dallo stesso Comune la concessione edilizia in sanatoria n. 4366/1998 per la conservazione di alcune opere edilizie eseguite abusivamente nel predetto immobile, così descritte nel provvedimento di condono: “Trasformazione di un locale cantina sito al piano terra in un alloggio di civile abitazione composta da cucina, una camera, un locale bagno e ingresso. Al primo piano è stata realizzata una camera mediante la chiusura (in muratura) di un pergolato. I locali al piano terra sono collegati tramite scala interna alla camera del primo piano”.

Successivamente, avendo avuto conoscenza che nei confronti del dott. Bonomo era stato avviato un procedimento penale per avere il medesimo - secondo l’ipotesi accusatoria – attestato falsamente in atto notorio che le predette opere edilizie erano state ultimate nel periodo antecedente al 31 dicembre 1993 al fine di conseguire la concessione in sanatoria, inducendo in errore l’amministrazione comunale (accusa da cui l’odierno appellante è stato successivamente assolto “perché il fatto non sussiste”, con sentenza della III sezione penale della Corte di Appello di Torino n. 2446/2005), il Comune di Torino, con provvedimento del 2 ottobre 2000, annullava d’ufficio la predetta concessione in sanatoria n. 4366/1998 e nel contempo disponeva la riapertura della pratica di condono invitando l’interessato a produrre entro il termine di 90 giorni previsto dall’art. 39 comma 4 della l. 724 del 1994, copia della ricevuta di avvenuta presentazione alla Regione Piemonte dell’istanza di nulla osta ambientale di cui all’art. 32 della legge n. 28 febbraio 1985, n. 47 (sul presupposto che il nulla osta precedentemente acquisito si riferisse esclusivamente alle opere edilizie autorizzate con il citato provvedimento n. 567/98 e non anche alle opere di trasformazione e ampliamento oggetto dell’istanza di condono), nonché una “relazione riportante in dettaglio la descrizione delle opere eseguite alla data del 21.12.1993 con adeguata documentazione probatoria”.

Con successivo provvedimento n. 589/01 X-10-5 del 16 maggio 2001, il Comune di Torino respingeva la domanda di condono, con articolata motivazione.

In sintesi, l’amministrazione rilevava che l’interessato, pur avendo acquisito e allegato un nuovo nulla osta regionale, questa volta correttamente riferito alle opere oggetto di condono, aveva tuttavia prodotto una relazione insufficiente ad attestare la data di ultimazione delle opere, “mancando di qualsiasi riferimento, attestazione, documentazione, o elemento probante in ordine alla esatta consistenza delle opere oggetto di condono al tempo del 31.12.1993”.

Inoltre – rilevava l’amministrazione -, confrontando la documentazione allegata alla pratica di condono con quella prodotta dall’interessato in allegato alla domanda di autorizzazione per la sostituzione di serramenti e modifica di facciata, era emersa una chiara contraddizione, dal momento che nella documentazione fotografica presentata il 19 gennaio 1994 per la pratica di sostituzione serramenti e modifica di facciata – la quale avrebbe dovuto riportare lo stato dei luoghi al gennaio 1994 - in realtà non compariva il nuovo volume oggetto di condono, asseritamente ultimato alla data del 31 dicembre 1993.

Al diniego di sanatoria faceva poi seguito l’ordinanza n. 192/03 del 29 aprile 2003 con cui il Comune ingiungeva all’interessato di rimuovere quanto abusivamente eseguito e di ripristinare lo stato dei luoghi entro 90 giorni dalla notifica del provvedimento, avvenuta il 24 maggio 2001.

Il dr. Bonomo impugnava il diniego di sanatoria con ricorso rubricato al n. 1299/2001 e ne chiedeva l’annullamento.

Il dr. Bonomo impugnava altresì la successiva ordinanza di demolizione con separato ricorso rubricato al n. 1025/2003.

Con la sentenza in epigrafe il T.A.R. del Piemonte, riuniti i richiamati ricorsi, li respingeva entrambi.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dal dottor Buonomo il quale ne ha chiesto la riforma articolando cinque motivi.

Con il primo motivo l’appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici hanno ritenuto di respingere l’argomento basato sul pieno valore probatorio da riconoscere alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio al fine di attestare l’avvenuto completamento delle opere abusive alla data del 31 dicembre 1993.

Al riguardo i primi Giudici avrebbero omesso di considerare:

- che è la stessa normativa disciplinante la sanatoria edilizia (in particolare: il comma 4 dell’articolo 29 della l. 724 del 1994) a richiamare il valore pienamente certificativo e probatorio della dichiarazione sostitutiva resa dal soggetto che richiede la sanatoria;

- che, comunque, l’intrinseca veridicità della dichiarazione resa dall’odierno appellante all’atto dell’istanza di sanatoria era emersa all’esito del giudizio penale instaurato a suo carico per un presunto falso ideologico in tale occasione commesso e conclusosi con la sentenza di proscioglimento della III sezione penale della Corte di Appello di Torino n. 2446/2005;

- che, in ogni caso, il Comune di Torino aveva omesso di fornire elementi davvero dirimenti idonei a revocare in dubbio la veridicità del contenuto della più volte richiamata dichiarazione sostitutiva in relazione alla data di ultimazione degli interventi.

Con il secondo motivo l’appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici hanno ritenuto di respingere l’argomento con cui si erano contestate le deduzioni del Comune per ciò che riguarda la data di ultimazione degli interventi contestati.

Il Comune aveva fondato le proprie deduzioni (e il provvedimento in data 6 maggio 2001) sulla rilevata discrasia fra:

- da un lato, la documentazione fotografica allegata alla domanda di autorizzazione edilizia presentata nel gennaio del 1994 per la sostituzione di alcuni serramenti (nella documentazione fotografica allegata alla domanda non erano presenti i volumi edilizi di cui alla successiva domanda di condono) e

- dall’altro, la documentazione allegata alla domanda di condono (la quale avrebbe dovuto dimostrare, in particolare, che quei volumi fossero stati già completati alla data del 31 dicembre 1993).

Sotto tale aspetti i primi Giudici avrebbero omesso di considerare un dato che, di per sé solo, sarebbe stato idoneo a giustificare l’apparente discrasia: ci si riferisce al fatto che le fotografie allegate all’istanza del gennaio 1994 non riproducevano la situazione esistente al momento della sua presentazione, essendo state scattate molti mesi prima (il che sarebbe agevolmente evincibile dall’esame di tali fotografie, le quali descrivevano uno stato di fatto non compatibile con il periodo invernale durante il quale erano state in concreto presentate).

Con il terzo motivo l’appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici hanno ritenuto di respingere l’argomento con cui si era sottolineato che l’effettiva data di realizzazione dei volumi fosse altresì provata dalle fatture presentate nel corso del primo grado.

Al riguardo il T.A.R. avrebbe erroneamente affermato che tale produzione risultasse tardiva rispetto alle previsioni di cui alla l. 724 del 1994.

Ma il punto è che la tempestività di tale produzione documentale non doveva essere vagliata alla luce delle disposizioni relative al condono edilizio, bensì alla luce della normativa processuale inerente le produzioni documentali.

Riguardando la questione dal (corretto) punto di vista processuale, i primi Giudici non avrebbero potuto dichiarare la tardività di tale produzione.

Con un quarto motivo (articolato “per mero scrupolo di difesa”) l’appellante ritiene di prevenire la possibile riproposizione – da parte del Comune di Torino – dell’eccezione di improcedibilità del ricorso di primo grado già proposta dinanzi al T.A.R. e non esaminata per avere i primi Giudici ritenuto assorbente la questione della infondatezza del ricorso.

Sotto tale aspetto l’appellante non nega di aver presentato nel corso del 2005 una nuova domanda di condono relativa ai medesimi interventi per cui qui è causa. E neppure nega che tale seconda domanda sia stata respinta dal Comune di Torino con provvedimento in data 21 ottobre 2013. Ma tali circostanze non avrebbero di certo fatto venire meno l’interesse in capo all’appellante alla coltivazione dell’impugnativa (il che sarebbe confermato dal fatto che il dottor Buonomo ha anche proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato al fine di ottenere l’annullamento del nuovo provvedimento comunale di reiezione del condono).

Si è costituito in giudizio il Comune di Torino il quale ha reiterato l’eccezione di improcedibilità già articolata in primo grado (e non esaminata dai primi Giudici i quali hanno ritenuto assorbente la rilevata infondatezza del ricorso) e, nel merito, ha concluso nel senso dell’infondatezza dell’appello.

Con ordinanza n. 3501/2014 (resa all’esito della camera di consiglio del 1° agosto 2014) questo Consiglio ha disposto la sospensione cautelare degli effetti della sentenza in epigrafe.

Alla pubblica udienza del 28 aprile 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione il Collegio il ricorso in appello proposto dal proprietario di un ‘basso fabbricato’ ubicato in un’area vincolata nel Comune di Torino (il quale lo aveva abusivamente trasformato in foresteria) avverso la sentenza del T.A.R. del Piemonte con cui

- dapprima è stata respinta l’istanza di sanatoria edilizia per l’abusiva trasformazione ai sensi della l. 724 del 1994 e

- successivamente, è stata ingiunta la rimessione in pristino dell’area.

2. Il Collegio ritiene di poter prescindere dall’esame puntuale dell’eccezione preliminare sollevata dal Comune di Torino il quale ha nella presente sede ribadito l’eccezione di improcedibilità del primo ricorso stante l’avvenuta presentazione, da parte dell’odierno appellante, di una nuova domanda di sanatoria – questa volta ai sensi della l. 24 novembre 2003, n. 326 - (domanda peraltro respinta dal Comune con provvedimento in data 21 ottobre 2013 impugnato con il rimedio del ricorso straordinario).

Ciò in quanto il ricorso principale, per le ragioni che fra breve si esporranno, risulta comunque infondato nel merito.

Ai ben limitati fini che qui rilevano si osserva comunque che del tutto ritualmente il Comune di Torino ha riproposto nella presente sede di appello il motivo in parola con semplice memoria, stante la previsione di cui al comma 2 dell’articolo 101 del cod. proc. amm. (secondo cui “si intendono rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell’atto di appello o, per le parti diverse dall’appellante, con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio”).

Non può invece essere condivisa la tesi dell’odierno appellante, secondo cui la riproposizione del motivo in questione – non espressamente divisato dai primi Giudici – avrebbe richiesto l’articolazione di un appello incidentale avverso la sentenza in epigrafe.

3. Venendo al merito della res controversa il Collegio osserva che, pur dovendosi dare atto della complessità (e invero della complessiva peculiarità) della vicenda per cui è causa, il punto focale del thema decidendum risulta puntuale: si tratta di stabilire se l’odierno appellante avesse fornito nella fase procedimentale – e, in seguito, in quella processuale - elementi adeguati atti a stabilire che gli interventi edilizi per cui è causa risultassero ultimati entro il 31 dicembre 1993 (in tal modo risultando conformi alle previsioni dell’articolo 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724).

3.1. Ora, dal punto di vista generale (e per quanto riguarda la distribuzione dell’onus probandi in ordine all’effettivo momento di realizzazione degli interventi abusivi) il Collegio ritiene di richiamare il consolidato – e qui condiviso – orientamento secondo cui, nella materia edilizia, ricade sul privato l'onere della prova in ordine alla ultimazione delle opere edilizie. Ciò, in quanto soltanto l'interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione di un manufatto.

In difetto di tali prove resta pertanto integro il potere dell'amministrazione di negare la sanatoria dell'abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria (sul punto –ex multis -: Cons- Stato, .IV, 29 maggio 2014, n. 2782; id., IV, 27 dicembre 2011, n. 752; id., IV, 27 novembre 2010, n. 8298).

L’orientamento in parola ha trovato una puntuale e consolidata conferma nella materia – che qui rileva – della prova relativa al momento di realizzazione di abusi per i quali siano state presentate domande di condono edilizio, ivi compreso quello disciplinato dall’articolo 39 della l. 724 del 1994 (sul punto –ex multis -: Cons. Stato, VI, 14 novembre 2014, n. 5597; id., VI, 22 settembre 2014, n. 4776; id,, VI, 10 giugno 2014, n. 2960).

In particolare, laddove in base agli atti allegati dal richiedente emergano rilevanti dubbi in ordine all’effettivo momento di realizzazione dell’abuso (nonché, più in generale, dubbi in ordine alla complessiva attendibilità del quadro temporale rappresentato dal richiedente stesso), del tutto legittimamente l’amministrazione può respingere l’istanza di condono, senza che sulla stessa gravi l’onere – per così dire : ‘di segno inverso’ – di fornire a propria volta un’autonoma prospettazione in ordine al momento in cui verosimilmente gli interventi rappresentati sono stati realizzati.

Per quanto riguarda, poi, la gamma degli strumenti probatori ammissibili ai fini della prova del momento di realizzazione dell’abuso, un consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che le dichiarazioni sostitutive di notorietà non siano utilizzabili nel processo amministrativo e che non rivestano alcun effettivo valore probatorio, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l'attività istruttoria dell’amministrazione - ovvero, le deduzioni con cui la stessa amministrazione rileva l’inattendibilità di quanto rappresentato dal richiedente – (sul punto –ex multis -: Cons. Stato, IV, 29 maggio 2014, n. 2782, cit.; id., IV, 27 maggio 2010 n. 3378).

3.2. Tanto premesso dal punto di vista generale, si osserva che non può essere condivisa la tesi dell’appellante secondo cui, stante la previsione di cui al secondo periodo del comma 4 dell’articolo 39, cit. (secondo cui “la documentazione di cui all'art. 35, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, è sostituita da apposita dichiarazione del richiedente resa ai sensi dell'art. 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15”) dovrebbe ritenersi che alla dichiarazione sostitutiva sia da riconoscere “una oggettiva efficacia probatoria” anche per ciò che riguarda il momento di ultimazione degli abusi.

In senso contrario ci si limita ad osservare:

- che il dinanzi richiamato orientamento giurisprudenziale ha opinato in senso opposto rispetto a quello suggerito dall’appellante, sino a chiarire che è onere del richiedente del condono edilizio provare che l'opera sia stata completata entro la data utile fissata della legge, non essendo a tal fine sufficiente la sola dichiarazione sostitutiva dell'atto notorio, che deve essere supportata da ulteriori riscontri documentali, eventualmente indiziari, purché altamente probanti (sul punto –ex multis -: Cons. Stato, VI, 5 gennaio 2015, n. 6; id., IV, 10 giugno 2014, n. 2960; id., VI, 15 ottobre 2013, n. 5007);

- che la disposizione richiamata dall’appellante a sostegno della propria tesi (si tratta del secondo periodo del comma 4 dell’articolo 39, cit.) non sancisce in alcun modo la piena efficacia fedefacente del contenuto della dichiarazione sostitutiva, ma si limita a stabilire che tale dichiarazione tenga il luogo della documentazione prevista dal terzo comma dell’articolo 35 della l. 28 agosto 1985, n. 47 (tale documentazione riguarda: i) la descrizione delle opere; ii) la dichiarazione relativa allo stato di consistenza delle opere che eccedano i 450 metri cubi; iii) il certificato di residenza del richiedente; iv) il certificato CCIAA dell’impresa eventualmente interessata);

- che, al contrario, lo stesso Legislatore del 1994 impone al richiedente di allegare alla propria domanda la necessaria documentazione fotografica (articolo 39, cit., comma 3), all’evidente fine di consentire all’amministrazione di verificare la complessiva attendibilità delle deduzioni del richiedente per ciò che riguarda il momento di completamento delle opere. Tale dato normativo palesa un’evidente voluntas legis finalizzata a non riconoscere piena efficacia probatoria al contenuto delle dichiarazioni sostitutive, ma a vagliarne in concreto il contenuto e la complessiva attendibilità sulla base di riscontri fattuali di carattere oggettivo.

4. Una volta escluso che alla sola dichiarazione sostitutiva allegata alla domanda di condono fosse da annettere piena efficacia fedefacente, si può esaminare il merito della questione relativa alla complessiva attendibilità della deduzione del dott. Buonomo, secondo cui gli interventi per cui è causa sarebbero stati ultimati alla data del 31 dicembre 1993.

Al riguardo il Comune di Torino (con deduzione confermata dai primi Giudici attraverso un iter logico che non palesa profili di incongruità) ha ritenuto che l’affermazione resa dall’appellante in sede di presentazione della domanda di condono per cui è causa (1° marzo 1995) in ordine al tempus di realizzazione degli abusi risultasse in contrasto piuttosto evidente con le risultanze istruttorie del pregresso procedimento finalizzato al rilascio di un nulla-osta ai fini ambientali per la sostituzione di alcuni serramenti e la modifica della facciata (l’istanza in questione risale al 19 gennaio 1994).

Al riguardo, il Comune e in seguito il T.A.R. hanno osservato che sussisteva una discrasia logico/fattuale fra:

- (da un lato) quanto dichiarato con l’istanza di condono del marzo 1995 (la quale avrebbe dovuto rappresentare, anche attraverso l’allegazione di materiale fotografico effettivamente fornito, l’ultimazione degli interventi abusivi alla data del 31 dicembre 1993) e

- (dall’altro) quanto rappresentato con l’istanza del gennaio 1994, le cui foto allegate rappresentavano una realtà dei luoghi apparentemente incompatibile (in particolare, in tali foto risultava assente aumento di volumetria che, con la successiva istanza del marzo 1995, si dichiarava essere stato già realizzato al dicembre del 1993).

Nella presente sede di appello il dott. Buonomo tenta di giustificare tale evidente discrasia affermando che le foto prodotte in atti nel gennaio del 1994 non rappresentavano la realtà dei luoghi esistente in quel momento storico, ma erano state realizzate “diversi mesi prima”, in tal modo rendendo verosimile la tesi secondo cui fra il momento di realizzazione delle fotografie e il dicembre del 1993 fosse stato realizzato l’incremento di volumetria di cui alla domanda di condono del marzo 1995.

4.1. La deduzione in questione, tuttavia, si fonda su mere affermazioni prive di alcun concreto riscontro probatorio e non risulta idonea a superare le rilevanti tracce di inattendibilità sollevate – in modo congruo e argomentato – dal Comune e poi dal T.A.R. del Piemonte.

E invero (fermo restando che grava comunque sul richiedente l’onere di fornire elementi probatori sufficientemente attendibili in ordine al tempus di realizzazione dei manufatti abusivi), non risulta persuasiva la tesi qui sostenuta dall’appellante secondo cui la discrasia fra le fotografie prodotte nel gennaio 1994 (in cui i maggiori volumi contestati erano assenti) e quelle del marzo 1995 (in cui tali volumi erano presenti) si giustificherebbe con il fatto che le foto prodotte nel gennaio del 1994 fossero state scattate “diversi mesi prima” (peraltro, senza indicare in quale momento esatto).

4.2. Né può essere condiviso l’argomento profuso a pagina 10 del ricorso in appello in cui si tenta di dimostrare la correttezza di tale deduzione in relazione alla particolare ‘ambientazione stagionale’ che caratterizzerebbe le fotografie prodotte nel gennaio del 1994.

Al di là del carattere comunque incerto e indeterminato di tali deduzioni (che non aiutano comunque a chiarire il dato dirimente della genuinità della datazione delle fotografie allegate all’istanza di condono del marzo 1995), si osserva comunque che le stesse si fondano su un argomento assolutamente incerto (quello secondo cui la rappresentazione fotografica di piante verdi con presenza di fiori non potrebbe in alcun modo essere riferita a un periodo invernale).

5. Né a conclusioni diverse rispetto a quelle sin qui tracciate si può pervenire in accoglimento del terzo motivo di appello.

Con il motivo in questione – come si è anticipato in narrativa - il dott. Buonomo ha chiesto la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui non ha riconosciuto valore probatorio (ai fini della determinazione della data di completamento degli abusi per cui è causa) all’allegazione delle fatture - aventi data anteriore al dicembre del 1993 – le quali testimonierebbero la veridicità di quanto dichiarato nel marzo del 1995.

5.1. Al riguardo il Collegio osserva che, al di là della ritualità di tale produzione documentale (peraltro, puntualmente contestata dai primi Giudici), il suo esame non consente comunque di pervenire a conclusioni diverse rispetto a quelle esposte retro, sub 3 e 4.

Ed infatti, fermo restando che l’attendibilità delle deduzioni di parte in ordine al tempus di ultimazione degli abusi deve essere condotta in base a un processo logico/valutativo che tenga adeguatamente conto del complesso delle circostanze in atti, si osserva che la produzione di tali fatture attesta – al più – la presenza di attività di carattere edilizio in epoca anteriore al 31 dicembre 1993, ma non fornisce alcuna prova dirimente in ordine al fatto che, a tale data, le opere abusive fossero anche “ultimate” (come richiesto dal più volte richiamato articolo 39).

Si osserva sul punto che ben otto delle dodici fatture e bolle di consegna prodotte in primo grado (e qui puntualmente richiamate) recano date comprese fra il novembre e il dicembre del 1993 (in un caso addirittura – doc. 2 - la quietanza di pagamento reca la data dello stesso 31 dicembre 1993, mentre in un altro caso – doc. 6 – la fattura reca la data del 30 dicembre 1993).

Il che rafforza il convincimento del Collegio secondo cui manca in atti la prova piena in ordine al fatto che gli interventi per cui è causa risultassero effettivamente completati alla data del 31 dicembre 1993.

In ogni caso, la richiamata produzione documentale non risulta idonea a superare i dubbi relativi alla corretta contestualizzazione temporale degli interventi, dinanzi esaminati sub 4.

E i dubbi relativi all’idoneità dei richiamati documenti a testimoniare l’effettivo completamento delle opere abusive per cui è causa alla data del 31 dicembre 1993 risultano viepiù rafforzati dalla circostanza – già in precedenza richiamata - per cui il complesso immobiliare di via Monteu da Po, 15 fosse stato interessato – fra il 1993 e il 1994 – anche da ulteriori e diversi interventi edilizi, quali quelli relativi alla sostituzione dei serramenti e alla modifica della facciata.

Ora, in assenza di elementi certi e inequivocabili idonei ad imputare le fatture in questione agli interventi abusivi di cui all’istanza di condono del marzo 1995 (e non a quelli di cui alla precedente istanza del gennaio 1994) non può ritenersi che la produzione di tali fatture sia idonea ad apportare elementi dirimenti in favore della tesi dell’appellante.

5.2. Anche per tale ragioni il ricorso in appello non può trovare accoglimento.

6. Alcune notazioni conclusive devono poi essere svolte in rilievo al motivo di appello con cui si è sottolineata la valenza che, ai fini del decidere, rivestirebbe la sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 2446/2005 con la quale è stata confermata l’assoluzione del dotto. Bonomo per i reati di cui aggi artt. 483, 48, 476 e 479 cod. pen. in relazione alle dichiarazioni rese al fine di dimostrare che gli interventi per cui è causa fossero stati completati alla data del 31 dicembre 1993.

6.1. A tacer d’altro si osserva che le deduzioni in questione non possono trovare accoglimento in quanto se - per un verso - è vero che la sentenza n. 2446/2005 ha confermato l’assoluzione del dott. Bonomo dai reati contestati “per non aver commesso il fatto”, per altro verso la sentenza di assoluzione è stata resa per insufficienza di prove ai sensi dell’articolo 530, co. 2 cod. proc. pen. (e l’appellante non ha impugnati in parte qua la sentenza della Corte d’Appello).

Sotto tale aspetto il Collegio ritiene di richiamare il consolidato – e qui condiviso – orientamento secondo cui l'efficacia vincolante del giudicato penale è configurabile solo allorché la sussistenza dei reati contestati sia stata esclusa ai sensi dell'art. 530, comma 1, cod. proc. pen., vale a dire quando all'esito del dibattimento è stata raggiunta la prova positiva dell'insussistenza dei fatti o della loro non attribuibilità all'imputato.

Per contro, lo stesso effetto non esplica la sentenza assolutoria per insufficienza di prove ai sensi del comma 2 di quest'ultima disposizione del codice di procedura penale (Cass. civ., Sez. II, 30 agosto 2004, n. 17401; id., Sez. III, 9 marzo 2010, n. 5676, id., 30 ottobre 2007, n. 22883, id., 20 settembre 2006, n. 20235; id., Sez. III, 19 maggio 2003, n. 7765; id., Sez. VI, ord. 13 novembre 2013, n. 25538).

Ai limitati fini che qui rilevano si osserva che i Giudici della Corte d’Appello di Torino hanno in effetti esaminato le ragioni addotte dall’odierno appellante al fine di contestare le formula di assoluzione, ma hanno infine escluso che nel caso in esame ricorresse l’invocata prova della non falsità dell’attestazione di cui al capo ‘A’ dell’imputazione.

Al contrario, i Giudici di appello, pur avendo individuato elementi idonei a suffragare – in senso contrario rispetto alle tesi del dott. Bonomo – la sicura falsità delle attestazioni da lui rese al fine di attestare la data di ultimazione dei lavori, hanno tuttavia ritenuto che ostasse alla reformatio in pejus della favorevole sentenza di primo grado la circostanza per cui tale sentenza non fosse stata in parte qua gravata dal P.M. (sentenza n. 2446, cit., pag. 17, ss.)

7. Per le ragioni sin qui esposte l’appello in epigrafe deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi euro 3.500 (tremilacinquecento), oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2015 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/07/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)