Consiglio. di Stato Sez. III n. 1632 del 28 aprile 2016
Rifiuti.Informativa antimafia in relazione al reato di traffico illecito di rifiuti
l disvalore sociale e la portata del danno ambientale connesso al traffico illecito di rifiuti rappresentano, già di per se stessi, ragioni sufficienti a far valutare con attenzione i contesti imprenditoriali, nei quali sono rilevati, in quanto oggettivamente esposti al pericolo di infiltrazioni di malaffare, tanto più, nel caso di specie, ove si consideri che la società appellata si occupa proprio dello smaltimento dei rifiuti. Ne segue che l’interdittiva antimafia, nel caso di specie, si fonda motivatamente su elementi di sicura rilevanza, ai sensi dell’art. 84 del d. lgs. n. 159 del 2011, e sintomatici di possibile infiltrazione mafiosa.
N. 01632/2016REG.PROV.COLL.
N. 00456/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ai sensi degli artt. 38 e 60 c.p.a.
sul ricorso numero di registro generale 456 del 2016, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
La s.r.l. Enzo, appellata non costituita;
la Provincia di Caserta, appellata non costituita;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli–, Sez. I, n. 3661/2015, resa tra le parti, concernente il divieto della prosecuzione dell’attività di recupero e di smaltimento dei rifiuti pesanti a seguito di informativa interdittiva antimafia.
visti il ricorso e i relativi allegati;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nella camera di consiglio del giorno 31 marzo 2016 il Cons. Massimiliano Noccelli e udito per le parti l’avvocato dello Stato Lorenzo D’Ascia;
sentita la sola parte appellante, comparsa, ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;
1. Col ricorso n. 5756 del 2014, l’odierna appellata Enzo s.r.l., che si occupa dell’importazione e dell’esportazione di indumenti usati, ha impugnato avanti al T.A.R. Campania il provvedimento n. 82805 del 23 settembre 2014, recante il divieto di prosecuzione dell’attività di recupero ai sensi degli artt. 214 e 216 del d. lgs. n. 152 del 2006, e il presupposto provvedimento interdittivo antimafia emesso dalla Prefettura di Caserta con nota n. 38972 del 25 luglio 2014.
1.1. Tale informativa antimafia si fonda, essenzialmente, sull’ordinanza applicativa di misure cautelari personali disposte dal G.I.P. presso il Tribunale di Firenze nei confronti del sig. Ant. Bron, – amministratore della società dal 2006 al 2012, fino a tale provvedimento adottato dal giudice penale, nonché marito dell’altra socia, Ann. Fior., e padre dell’attuale amministratore, Vin. Bron. – per la ritenuta esistenza di gravi indizi di colpevolezza per il delitto di cui all’art. 260 del d. lgs. n. 152 del 2006 (traffico illecito di rifiuti).
1.2. La ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 84 e 91 del d. lgs. n. 159 del 2011 e dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 sotto distinti profili, ha chiesto l’annullamento, previa sospensione, degli atti impugnati.
1.3. Nel primo grado di giudizio si sono costituiti in resistenza la Provincia di Caserta e il Ministero dell’Interno, quest’ultimo depositando ulteriori documenti a conforto delle proprie ragioni.
1.4. Tali atti sono stati impugnati con motivi aggiunti dalla ricorrente Enzo s.r.l.
2. Il T.A.R., dopo avere accolto la domanda cautelare, con la sentenza n. 3661 del 10 luglio 2015 ha accolto il ricorso anche nel merito, annullando gli atti impugnati.
2.1. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Ministero dell’Interno, lamentandone l’erroneità, e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma.
2.2. Non si sono costituite in questo grado di giudizio né la Provincia di Caserta né la s.r.l. Enzo
2.3. Nella camera di consiglio del 31 marzo 2016, fissata per l’esame della domanda cautelare proposta dal Ministero appellante ai sensi dell’art. 98 c.p.a., il Collegio, ritenuto di poter decidere la controversia unitamente al merito, con sentenza in forma semplificata, e sentita sul punto il difensore della Amministrazione appellante, ha trattenuto la causa in decisione.
3. L’appello del Ministero è fondato e va accolto.
3.1. Il primo giudice ha ritenuto che, sebbene il traffico di rifiuti appartenga al novero dei reati considerati maggiormente indizianti del pericolo infiltrativo mafioso nella vita economica dell’impresa, questo dato non apparirebbe, di per sé, sufficiente a sorreggere, sotto il profilo dell’assetto motivazionale, una misura fortemente incisiva come quella dell’informativa antimafia, in difetto di ulteriori elementi.
3.2. La ‘soglia di anticipazione’, per la sentenza impugnata, non potrebbe spingersi fino a ritenere sufficiente, a questo fine, un solo elemento latamente indiziario, ove manchino ulteriori ed attuali fattori sintomatici del condizionamento mafioso, quali, ad esempio, potrebbero essere le cointeressenze economiche verificate nel corso del tempo, l’accertata frequentazione di malavitosi dalla specifica connotazione mafioso-camorristica, e altre situazioni sintomatiche.
3.3. La decisione del primo giudice, così riassunta, non risulta condivisibile, poiché l’art. 84, comma 4, lett. a), del d. lgs. n. 159 del 2011 prevede che le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa, che danno luogo all’adozione dell’informativa, sono desunte, tra l’altro, dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare per taluni dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., tra i quali figura, espressamente, il delitto previsto dall’art. 260 del d. lgs. n. 152 del 2006.
3.4. L’informativa antimafia, nel caso di specie, si fonda sull’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti del signor Ant. Bron., che ha ricoperto dal 2006 al 2012 la carica di amministratore unico della s.r.l. Enzo, odierna appellata, che si occupa di importazione e di esportazione di indumenti usati.
3.5. Successivamente a tale ordinanza, peraltro, il sig. Ant. Bron. ha trasferito le quote e la carica sociale alla moglie e al figlio, attuale amministratore, elemento, pure questo, di indubbio rilievo, valutabile ai sensi dell’art. 84, comma 4, lett. f), del d. lgs. n. 159 del 2011 e ben valorizzato dall’informativa, costituendo tale trasferimento di quote e cariche sociali ai più stretti familiari una circostanza che, per le modalità di tempo con le quali è avvenuta (dopo il provvedimento cautelare del G.I.P.), denota il più che probabile intento di eludere la normativa in materia.
3.6. Il disvalore sociale e la portata del danno ambientale connesso al traffico illecito di rifiuti, per la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio (v., in particolare, Cons. St., sez. III, 21 dicembre 2012, n. 6618), rappresentano del resto, già di per se stessi, ragioni sufficienti a far valutare con attenzione i contesti imprenditoriali, nei quali sono rilevati, in quanto oggettivamente esposti al pericolo di infiltrazioni di malaffare, tanto più, nel caso di specie, ove si consideri che la società appellata si occupa proprio dello smaltimento dei rifiuti.
4. Ne segue che l’interdittiva antimafia, nel caso di specie, si fonda motivatamente su elementi di sicura rilevanza, ai sensi dell’art. 84 del d. lgs. n. 159 del 2011, e sintomatici di possibile infiltrazione mafiosa.
5. In accoglimento dell’appello proposto dal Ministero dell’Interno, la sentenza qui impugnata, pertanto, deve essere riformata, con conseguente reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti proposti in primo grado dalla s.r.l. Enzo.
6. Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello n. 456 del 2016, come in epigrafe proposto dal Ministero dell’Interno, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso n. 5756 del 2014 e i motivi aggiunti proposti in primo grado da Enzo s.r.l.
Condanna la società appellata a rifondere in favore del Ministero dell’Interno le spese del doppio grado di giudizio, che liquida in € 6.000,00, oltre accessori (IVA, CPA e spese generali) come per legge, di cui 2.000 per il primo grado e 4.000 per il secondo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/04/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)